L’onconefrologia è una sotto-specializzazione emergente indirizzata allo studio delle innumerevoli interrelazioni tra cancro e malattie renali, che spaziano dagli effetti dell’impiego del mezzo di contrasto, alla complessa gestione delle terapie oncologiche nel paziente con malattia renale cronica o in trattamento dialitico, allo screening del portatore e del candidato al trapianto di rene.
Da tempo la patologia neoplastica è stata ricondotta ad una malattia cronica. La sopravvivenza dei pazienti negli ultimi anni è migliorata in maniera significativa grazie ad innovative strategie terapeutiche ed al coinvolgimento di operatori di diversa formazione in modelli di presa in carico multi-specialistica. Ai nefrologi viene sempre più spesso richiesto di entrare a far parte di questi gruppi perché le interazioni rene-tumore sono strette e bidirezionali. Molte malattie glomerulari sono associate a neoplasie solide ed ematologiche e possono rappresentarne il sintomo di presentazione. Inoltre i pazienti oncologici presentano spesso una malattia renale cronica al momento della diagnosi di neoplasia. Nella popolazione di soggetti con malattia oncologica infatti la prevalenza della malattia renale cronica, definita come eGFR <60 mL/min, varia dal 12% al 25%. L’affidabilità di questa misura come indicatore-limite di contrazione funzionale (ed aumentato rischio di mortalità), ancorché definitivamente acquisito dalle linee guida internazionali, prescinde dalla fisiologica caduta della velocità di filtrazione glomerulare con l’invecchiamento e dovrebbe essere largamente emendato. Una valutazione imperfetta della funzione renale favorisce la somministrazione di una dose subottimale di farmaco o preclude al paziente l’accesso a opzioni terapeutiche potenzialmente più efficaci o a sperimentazioni innovative.
Le principali complicanze renali includono il danno tubulare acuto, la microangiopatia trombotica e le nefriti tubulo-interstiziali. Queste complicanze possono condizionare la sospensione della terapia, la prescrizione di dosi inadeguate di chemioterapico e l’impiego di farmaci di seconda scelta, in ultima analisi la crescita del tumore e lo sviluppo di metastasi. All’opposto il prolungamento dell’emivita del farmaco oncologico per effetto della compromissione della funzione renale può condizionare una tossicità sistemica. L’outcome dei pazienti oncologici che sviluppano danno renale acuto è tendenzialmente negativo soprattutto se è richiesto un trattamento dialitico.
L’armamentario terapeutico per i pazienti oncologici si è recentemente arricchito di nuovi agenti che interferiscono con specifiche proteine e con recettori coinvolti nell’oncogenesi. Si tratta delle cosiddette terapie target, che hanno determinato un significativo aumento della sopravvivenza di molte categorie di pazienti oncologici.
Le cellule tumorali sfuggono alla sorveglianza immunitaria attraverso l’attivazione di checkpoint che sopprimono le risposte immunitarie antitumorali. L’introduzione di terapie innovative, derivanti dalla rivisitazione del cancro come malattia del sistema immunitario, ha cambiato lo scenario delle potenziali opzioni terapeutiche, ma anche quello delle complicanze. Le terapie mirate e gli inibitori dei checkpoint immunitari, assicurano infatti vantaggi sostanziali, nonostante alcuni effetti collaterali che colpiscono vari organi, ad includere il rene. Bloccando i checkpoint, i nuovi agenti antitumorali potenzialmente inducono malattie immuno-mediate. I nefroimmunologi dovrebbero saper fronteggiare le sequele nefrotossiche della terapia antitumorale e garantire la prosecuzione dei trattamenti salvavita. Il valore aggiunto delle competenze nefrologiche nell’identificazione dei meccanismi alla base delle anomalie orinarie e della contrazione funzionale in corso di terapia oncologica anche con un ampio impiego della biopsia renale appare oggi irrinunciabile.
Ad oggi le valutazioni istologiche del danno renale indotto dalle terapie target e l’immunoterapia sono molto limitate. Le linee guida sulla gestione del paziente con danno renale e malattia oncologica, essenzialmente formulate dagli oncologi, sono infatti condizionate da un approccio sostanzialmente astensionista rispetto ad approfondimenti diagnostici, come la biopsia renale, considerati impegnativi. Questa impostazione richiede forse emendamenti sostanziali.
Le raccomandazioni per la biopsia renale nei pazienti affetti da cancro rimangono infatti molto ristrette. La biopsia renale viene raccomandata nei pazienti che presentano una proteinuria di nuova insorgenza (≥1 g al giorno) o un peggioramento della funzionalità renale di genesi non altrimenti spiegabile.
Occorre sfatare il mito secondo il quale la biopsia renale debba essere limitata a contesti clinici così limitati. Gli eventi renali avversi determinano spesso l’interruzione della terapia, influenzando l’outcome del paziente. Non esistono linee guida evidence-based per la gestione degli eventi avversi renali nei pazienti sottoposti a target therapies. Le linee guida americane raccomandano la sospensione temporanea del bevacizumab nei pazienti con proteinuria >2 g/die e la sospensione permanente per la sindrome nefrosica indipendentemente dalla causa. Le linee guida della FDA sono ancora più confondenti rispetto alla sospensione dei TKI: proteinuria ≥ 3 g/die per pazopanib, ≥ 2 g/die per lenvatinib e proteinuria indefinita per axitinib. E non esistono linee guida per altri agenti come sorafenib, sunitinib, vandetanib e cabozantinib. Per quanto riguarda gli ICI, le linee guida della Society for Immunotherapy e dell’American Society of Oncologists menzionano la “nefrite sintomatica” e fanno riferimento ad una funzionalità renale stimata sulla creatinina sierica. L’intervento del nefrologo è previsto solo dopo la sospensione della terapia. In presenza di proteinuria in range nefrosico è indicata la sospensione definitiva, indipendentemente dalla causa.
Appare evidente che l’intervento nel nefrologo nel reindirizzare l’approccio diagnostico sia mandatorio. Sulla guida del dato istologico l’interruzione del trattamento può essere limitata ad un numero assai ridotto di pazienti, essenzialmente quelli con quadro di microangiopatia trombotica da farmaci anti-VEGF. L’interruzione del trattamento non è invece quasi mai necessaria in corso di immunoterapia. Nei pazienti trattati con farmaci in combinazione, i risultati istologici permettono l’identificazione della lesione renale agente-specifica consentendo aggiustamenti parziali del protocollo terapeutico in corso.
Un altro aspetto fondamentale dell’onconefrologia è rappresentato dalla gestione dei pazienti con trapianto di rene. La ridotta sorveglianza immunitaria e la minor difesa verso i virus oncogeni sono i principali meccanismi attraverso i quali l’immunosoppressione costituisce un fattore di rischio determinante per lo sviluppo di cancro dopo trapianto. Un’ulteriore complicazione nella gestione di questi pazienti è rappresentata dall’aggiustamento della dose. I modelli di calcolo dell’eGFR secondo Cockcroft-Gault, CKD-EPI, MDRD è validato sul rene nativo, non su quello trapiantato. Il sovra- o il sottodosaggio farmacologico sono pertanto comuni in questi pazienti.
Chemioterapia classica o terapia a bersaglio molecolare e radioterapia sono gli approcci terapeutici più comuni anche nei pazienti con trapianto di rene.
In questo numero del Giornale italiano di Nefrologia dedicato all’Onconefrologia sono riportati i più significativi contributi del Convegno “Onconephrology: the new challenge for nephrologists and oncologists”, organizzato a Torino nel maggio di quest’anno. Vi sono stati affrontati i temi chiave di questa impegnativa interfaccia clinica, che in Italia, come descritto da Cosmai, conta almeno dieci anni di storia.
Roccatello ha sottolineato i numerosi punti di intersezione tra malattia oncologica e rene e il ruolo fondamentale della biopsia renale nella gestione degli effetti avversi del trattamento e nell’identificazione dei rapporti tra malattia renale (soprattutto glomerulare) e tumori solidi ed ematologici.
Comandone ha ripercorso l’evoluzione della farmacologia in campo oncologico e ha rimarcato i temi cruciali ancora in discussione: la necessità di valutare i risultati come Progression-Free Survival piuttosto che in termini di “sopravvivenza grezza”, la reticenza dell’industria a programmare studi comparativi con molecole analoghe, i costi dei farmaci e la “tossicità finanziaria”.
È stata discussa la gestione dei trattamenti chemioterapici nei pazienti affetti da insufficienza renale cronica. Fenoglio e Cosmai hanno affrontato le problematiche relative ai farmaci oncologi nei pazienti affetti da insufficienza renale avanzata e/o in trattamento dialitico. Brunori ha approfondito gli aspetti etici relativi all’avvio o all’interruzione del trattamento dialitico nel paziente oncologico.
Pozzato ha analizzato le problematiche anche tecniche del trattamento sostitutivo nel paziente con cancro e insufficienza renale acuta.
Un ampio spazio è stato dedicato alle complicanze da target therapies e immunoterapia.
Collino ha illustrato benefici e limiti delle terapie con inibitori delle tyrosin-chinasi (TKI) esplorando i meccanismi molecolari alla base dell’intricata relazione tra TKI e tossicità renale.
È stato lo spunto per riportare l’esperienza dell’Ospedale Hub San Giovanni Bosco di Torino dalla quale è emerso il ruolo fondamentale della biopsia renale nel guidare la gestione delle complicanze renali evitando la sospensione inutile di terapie salvavita o, all’opposto, la prescrizione immotivata di steroidi che, ancorché supportata dalle linee guida, si rivela futile alla luce dei dati istologici.
Se inizialmente le complicanze di queste “nuove terapie” erano ritenute di pertinenza prioritariamente glomerulare, stanno ora emergendo effetti collaterali secondari prevalentemente tubulari.
Trepiccione ha analizzato le alterazioni elettrolitiche più rappresentative, sottolineando l’importanza di una diagnostica differenziale tra le forme secondarie a tumore e le forme iatrogene, l’effetto peggiorativo dei disturbi elettrolitici sulla prognosi del paziente oncologico e il potenziale ritardo nell’avvio di terapie specifiche o la loro interruzione.
La gestione del tumore renale è stata oggetto di un particolare approfondimento.
Floris ha sottolineato l’importanza di una gestione multidisciplinare del paziente nefrectomizzato.
Porta ha ripercorso le novità relative al trattamento del carcinoma a cellule renali, drasticamente modificato negli ultimi anni. In particolare ha illustrato le più recenti innovazioni scientifiche di questo settore.
Nell’ambito delle interazioni rene e tumore è stato affrontato anche il capitolo relativo alla stretta relazione tra trapianto e cancro.
Pani ha analizzato le problematiche relative all’immissione in lista di attesa per trapianto del paziente con pregressa neoplasia sottolineando alcuni aspetti che rimangono ancora controversi quale il tempo di attesa ideale che deve intercorrere tra guarigione della malattia oncologica e trapianto.
Biancone ha affrontato il tema delle strategie preventive e di monitoraggio intese a contenere la propensione al tumore dei pazienti trapiantati. Ha in particolare sottolineato il ruolo cruciale dello screening pre-trapianto e l’importanza di un follow-up post-trapianto personalizzato.
Amoroso, infine, ha evidenziato i potenziali rischi di trasmissione di neoplasie da donatore a ricevente nel campo del trapianto d’organo ed ha sottolineato come le linee guida, il servizio di Second Opinion Oncologica e il Registro degli eventi avversi abbiano limitato il rischio di trasmissione.
Negli ultimi anni è aumentato l’interesse anche nei confronti delle relazioni tra malattie renali ed ematologiche.
Leung ha illustrato in dettaglio l’avanzamento delle conoscenze sull’amiloidosi AL.
Un’attenzione particolare è stata anche rivolta al riconoscimento di nuove entità patologiche ad includere le gammopatie monoclonali di significato renale.
Angioi e Lepori hanno illustrato l’eterogeneità di questo gruppo di malattie caratterizzate dalla produzione di proteine monoclonali aberranti che interagiscono con le strutture renali, causando danni ai tessuti.
Di nuovo, è stato sottolineato il ruolo indispensabile della biopsia renale integrata dalle tecniche di microdissezione laser e di spettrometria di massa.
De Simone ha analizzato le metodiche attualmente disponibili per la rimozione delle catene leggere in corso di trattamento sostitutivo concludendo che se da un lato sono disponibili dati definitivi sulla necessità di impiegare trattamenti specifici per la rimozione extra-corporea delle catene leggere nei pazienti con cast-nephropathy, dall’altro la possibilità di impiegare metodiche semplici e a basso costo in pazienti comunque destinati al trattamento emodialitico rappresenta una scelta logica e supportata da un razionale fisiopatologico.