Gennaio Febbraio 2021 - Nefrologo in corsia

Kidney involvement in Waldenström’s disease – case report

Abstract

Waldenström’s disease is a rare haematological neoplasm involving B lymphocytes, characterized by medullary infiltrated lymphoplasmacytic lymphoma and by the presence of a monoclonal M paraprotein. Although rarely, this condition may lead to heterogeneous renal involvement and cause severe renal failure.

We report the clinical case of a patient with overt nephrotic syndrome in Waldenström’s disease treated with a combination chemotherapy (rituximab, cyclophosphamide, dexamethasone) until complete renal and haematological remission.

 

Keywords: Waldenström’s disease, nephrotic syndrome, rituximab, cyclophosphamide, dexamethasone

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Introduzione

La malattia di Waldenström (WM) è una rara neoplasia ematologica coinvolgente i linfociti B, caratterizzata da un linfoma linfoplasmocitico con infiltrato midollare e dalla presenza di una paraproteina M monoclonale [1]. Essa rappresenta il 2% di tutte le neoplasie ematologiche, con un’incidenza annuale negli Stati Uniti di 0.57 su 100,000 persone, una età mediana di 71.5 anni al momento della diagnosi ed una maggiore prevalenza nel sesso maschile e nella etnia caucasica [2,3].

L’eziologia della WM non è conosciuta e le basi genetiche non sono ancora del tutto chiare. La cellula da cui origina la malattia sembra essere il linfocita B maturo ed attivo; attraverso fasi consecutive di mutazioni genetiche tale cellula dà origine ad un clone, dapprima benigno come gammopatia monoclonale di significato incerto (MGUS IgM) e successivamente maligno (WM) [4].

La diagnosi è basata sulla presenza di una componente monoclonale di tipo IgM e sulla conferma istologica alla biopsia osteomidollare di un infiltrato linfoplasmacitoide di almeno il 10%, con clone cellulare linfocitario di tipo B ad immunofenotipo caratteristico (CD19+, CD20+, CD22+, CD79a+, talora CD38+) che permette di differenziare la WM da alcuni altri linfomi a basso grado, come il linfoma linfocitico e il linfoma mantellare. Da un punto di vista molecolare, la malattia è caratterizzata dalla presenza in oltre il 90% dei casi della mutazione MYD88 L265P (non specifica ma generalmente non espressa nel linfoma marginale) e nel 30% dei casi dalla mutazione di CXCR4 [1].

Fino al 28% dei pazienti con WM risulta asintomatico e può rimanere tale per molti anni. Il tempo medio per lo sviluppo di sintomi va dai 5 ai 10 anni: essi sono legati all’infiltrazione tissutale della massa tumorale (citopenia ed epatosplenomegalia), alla paraproteinemia (crioglobulinemia, sindrome da iperviscosità, neuropatia periferica, vasculite, disturbi emocoagulativi) o alla sua deposizione nei tessuti (amiloidosi) [5].

Il coinvolgimento renale è raro, con un’incidenza cumulativa del 5.1% a 15 anni, e si manifesta attraverso quadri istologici molto eterogenei [6]. La sindrome nefrosica è presente in circa il 33% dei casi, mentre la proteinuria di Bence-Jones si riscontra solo nel 20%. Meno del 3% dei pazienti con WM evolve verso la insufficienza renale in stadio avanzato (ESKD) [7].

Attualmente la WM non è curabile; per i pazienti asintomatici senza danno d’organo risulta indicato solo uno stretto follow-up, mentre per quelli sintomatici è indicato un trattamento in mono- o poli-chemioterapia con protocolli spesso contenenti il rituximab, associati a regimi di plasmaferesi nei casi di sintomi da iperviscosità o da crioglobulinemia [8]. La valutazione della prognosi di malattia è fatta secondo i criteri proposti da Morel et al., tra i quali l’età ha il peso maggiore; la mediana di sopravvivenza dei pazienti al di sotto dei 70 anni è 10 anni, tra i 70 e i 79 è di 7 anni, oltre gli 80 è di 4 anni [9].

Presentiamo di seguito il caso clinico di un paziente con sindrome nefrosica conclamata in WM trattato con chemioterapia di associazione (rituximab, ciclofosfamide, desametasone), ottenendo una completa remissione sia renale che ematologica.

 

Case report

Il paziente è un uomo di 83 anni in buone condizioni generali, ricoverato nel nostro reparto di Nefrologia in Febbraio 2020 per comparsa di edemi declivi ingravescenti ed ipertensione arteriosa, nonostante la recente introduzione di terapia diuretica.

In anamnesi risultava affetto da nefrolitiasi recidivante trattata con litotrissia extracorporea ad onde d’urto (ESWL) con posizionamento temporaneo di tutore ureterale nel 2015, fibrillazione atriale parossistica in trattamento con flecainide, ipertiroidismo in terapia con tiamazolo e neoplasia intraduttale papillare mucinosa (IPMN). La terapia domiciliare comprendeva olmesartan + idroclorotiazide, tiamazolo, flecainide, amlodipina e furosemide. Da circa 40 giorni il paziente riferiva marcato rialzo dei valori pressori e, da 10 giorni, comparsa di edemi declivi; veniva pertanto eseguita, su indicazione del medico curante, una visita nefrologica ambulatoriale in cui si poneva indicazione a ricovero per evidenza all’esame urine di proteinuria in range nefrosico (705 mg/dl).

Gli esami bioumorali all’ingresso evidenziavano lieve insufficienza renale (creatinina 1.3 mg/dl, urea 84 mg/dl) associata a conclamata sindrome nefrosica con microematuria (proteinuria di 4.6 g/die, proteinemia totale 6.6 g/dl con albumina 40%, alfa 1 4%, alfa 2 13%, beta 16%, gamma 27%), normale funzione epatica e profilo emocromocitometrico. Gli esami eseguiti alla ricerca di cause secondarie di nefropatia evidenziavano la presenza di duplice componente monoclonale sierica (IgM Lambda e piccola IgG Lambda) ed urinaria (catene leggere Lambda) con livelli di Ig totali sieriche nella norma ma con elevato titolo di IgM (1010 mg/dl). Risultavano invece nella norma i valori di complementemia C3 e C4, di catene leggere libere sieriche (kappa 84 mg/l, lambda 143 mg/l con rapporto kappa/lambda 0.58). Gli esami di autoimmunità mostravano positività degli ANA (titolo 1:640 con pattern omogeneo), ENA ed anticorpi anti dsDNA negativi, ANCA positivi con pattern atipico (MPO e PR3 negativi).

Gli esami di imaging radiologico mostravano fegato e milza nella norma, reni normali in relazione all’età del paziente con normali indici di resistenza intrarenali, assenza di adenopatie a livello addominale e toracico.

Ad approfondimento diagnostico, veniva eseguita sia la biopsia renale che quella osteomidollare, in considerazione della presenza di componente monoclonale IgM nel sangue e nelle urine, indicativa di malattia linfoproliferativa. Il paziente veniva quindi dimesso dopo risoluzione degli edemi declivi, mediante terapia diuretica ed adeguamento della terapia anti-ipertensiva, con valori di creatinina plasmatica di 1.3 mg/dl e di urea plasmatica di 60 mg/dl.

Pervenivano in seguito i referti istologici:

  • A livello renale la microscopia ottica (analisi di 23 glomeruli, dei quali 5 completamente sclerotici) mostrava glomeruli sostanzialmente normoconformati, senza sclerosi (Figura 1, A-B), sparsa popolazione infiammatoria interstiziale rappresentata da linfociti di piccola taglia, minima atrofia dei tubuli (<5%), non evidenza di cristalli nel citoplasma dell’epitelio tubulare, occasionali cilindri di materiale proteinaceo nel lume dei tubuli, modesta fibrosi interstiziale, non evidenza di materiale da riferire ad amiloide; all’indagine immunoistochimica la popolazione plasmacellulare mostrava espressione politipica delle catene leggere delle immunoglobuline. L’immunofluorescenza (analisi di 12 glomeruli) evidenziava depositi diffusi e globali a livello della parete capillare e mesangio di IgM (++) e catene lambda (+) (Figura 2). La microscopia elettronica (ME) (analisi di singolo glomerulo) mostrava glomeruli con membrana basale di normale spessore, estensiva fusione dei pedicelli con iperplasia villosa dei podociti, segmentale espansione e sclerosi mesangiale, senza depositi elettrondensi o strutturati su anse, in mesangio o in sede peri-tubulare (Figura 3 A-C).
  • A livello midollare, veniva documentata la presenza, nella popolazione cellulare nucleata, di 35% di linfociti di piccola taglia (più raramente medio-grande) con nucleo rotondeggiante o a profilo lievemente irregolare, modestamente ipercromatico e citoplasma ora scarso, ora più ampio, organizzata in aggregati nodulari o a crescita interstiziale, occasionalmente con tendenza alla localizzazione intrasinusoidale, alle indagini immunoistochimiche con fenotipo B (CD20+ PAX 5- CD5- CD23-) con associata sparsa popolazione plasmocitoide/plasmacellulare con restrizione monotipica della catena leggera lambda; moderatamente numerosi mastociti commisti alla popolazione linfoide (Figura 4).
Figura 1: Biopsia renale. A (PAS; 20x), B (Gomori; 20x): inclusione in paraffina sezione 3-μm: glomerulo normale con membrane basali nella norma; 3 o meno cellule nucleate mesangiali per asse mesangiale; il tubulo adiacente mostra una membrana basale normale
Figura 2: IF: depositi di IgM (2+) a livello della parete dei capillari e del mesangio a carattere periferico, diffuso e globale; presenza anche di depositi di catene leggere Lambda con pattern identico a quello IgM (non mostrata in figura)
Figura 3: ME: estensiva fusione dei pedicelli (A in alto a destra, B in basso a sinistra e C in basso a destra); non si evidenziano depositi o aspetti indicativi di malattia monoclonale associata; la presenza di aree di sclerosi mesangiale (immagine C) esclude ragionevolmente anche una glomerulopatia a lesioni minime
Figura 4: Biopsia osteomidollare. A (ematossilina e eosina 10x): matrice ematopoietica moderatamente ipercellulata, caratterizzata da numerosi linfociti di piccola taglia con alcuni mastociti (inset); B (analisi immunoistochimica 10x): espressione di CD20 da parte dei linfociti; C (analisi immunoistochimica 10x): espressione di CD138 da parte delle plamacellule; D (analisi immunoistochimica 10x): catene leggere λ espresse in numerose plasmacellule, catene leggere κ espresse in rare plasmacellule

Veniva pertanto posta diagnosi di linfoma linfoplasmocitoide/malattia di Waldenström associata a quadro renale di glomerulopatia a lesioni minime (MCD)/glomerulosclerosi focale segmentale (GSF). La successiva valutazione ematologica ambulatoriale, considerato il quadro di linfoma indolente ed il periodo di emergenza sanitaria da Covid-19, non poneva indicazione all’inizio del trattamento.

Dopo 3 mesi, il paziente veniva però nuovamente ricoverato presso il nostro reparto per edemi declivi severi e ingravescenti con importante aumento ponderale e peggioramento della funzione renale, con creatininemia di 2.5 mg/dl. Agli esami ematochimici successivi si evidenziava insufficienza renale in rapido peggioramento (creatinina 2.5 → 4.0 → 4.6 mg/dl), ulteriore rialzo della proteinuria (7 g/die), albuminemia 2.7 g/dl, emoglobina 9.2 g/dl; gli esami sierologici per HBV-HCV-HIV e la ricerca di crioglobuline risultavano negativi.

Considerato il rapido peggioramento della funzione renale e l’evoluzione della proteinuria, indicativi di progressione di glomerulonefrite secondaria alla paraproteinemia del linfoma, in accordo con gli ematologi veniva impostato trattamento immunosoppressivo con rituximab in associazione a ciclofosfamide e desametasone a cicli, ogni 21 giorni per 6 volte (rituximab 600 mg, ciclofosfamide 500 mg, desametasone 20 mg/die per 4 giorni). Pochi giorni dopo l’inizio del trattamento si assisteva a rapido miglioramento della funzione renale e della proteinuria (creatininemia 4.6 → 3.3 → 2.5 mg/dl, proteinuria 7 → 1 g/die) con risoluzione degli edemi declivi e normalizzazione del volume extracellulare.

Dopo 6 cicli di terapia immunosoppressiva, si assisteva a remissione completa della nefropatia con negativizzazione della proteinuria (0.11 g/die) e recupero pressoché completo della funzione renale (creatinina 1.09 mg/dl) (Figure 5 e 6). A livello ematologico si assisteva parallelamente alla riduzione del titolo IgM a 617 mg/dl. Veniva inoltre ripetuta la biopsia osteomidollare che mostrava assenza di localizzazione attiva di linfoma; alla luce di tale referto veniva posta indicazione a sospensione della terapia e ad inizio di follow-up clinico-laboratoristico.

Figura 5: Andamento nel tempo di creatininemia (mg/dl). Le frecce indicano il primo e l’ultimo ciclo di terapia immunosoppressiva
Figura 6: Andamento nel tempo delle proteine urinarie (mg/dl). Le frecce indicano il primo e l’ultimo ciclo di terapia immunosoppressiva

 

Discussione

A differenza di quanto accade nel mieloma multiplo, nella WM il coinvolgimento renale è raro, probabilmente per la mancanza di ipercalcemia e la minima entità della proteinuria di Bence-Jones. Il caso clinico da noi presentato riguarda un caso di WM in precedenza asintomatico, caratterizzato da esordio renale con sindrome nefrosica e successiva rapida comparsa di insufficienza renale di grado severo. Il danno renale è un’indicazione assoluta all’inizio di terapia, ormai riconosciuta pressoché universalmente in quanto espressione di danno d’organo, anche in assenza di altre manifestazioni cliniche [10]. Nel nostro caso l’inizio della terapia è stato inizialmente procrastinato a causa del periodo di pandemia da Covid-19, che ha ritardato la rivalutazione clinica conclusiva ed ha posto dubbi riguardo il rischio di intraprendere una terapia immunosoppressiva.

Esistono diverse classificazioni istologiche del danno renale nella WM; Uppal et al. hanno eseguito recentemente una revisione della letteratura individuando le principali lesioni istologiche e dividendole in due gruppi: lesioni legate alla paraproteinemia (81%) e non legate alla paraproteinemia (19%) [11]. Nelle lesioni legate alla paraproteina il coinvolgimento glomerulare è il più frequente con pattern non-amiloidosi (33%) ed amiloidosi AL (21.5%), mentre il danno tubulointerstiziale risulta essere meno comune (26.5%); tra le lesioni non-amiloidosiche la più comune è la glomerulonefrite crioglobulinemica con pattern membranoproliferativo (MPGN), accanto ad altre quali la MPGN non crioglobulinemica e la malattia a depositi di catene leggere/pesanti (L/HCDD). Tra le lesioni non legate alla paraproteinemia configurano la microangiopatia trombotica (TMA), glomerulopatia membranosa, ed i quadri da danno podocitario (MCD/GSF).

Tale classificazione presenta un orientamento fisiopatogenetico, in quanto divide le manifestazioni renali in dirette (danno da paraproteinemia o da infiltrazione) ed indirette; queste ultime presentano un rapporto meno chiaro con la neoplasia e sono descritte anche in altre malattie neoplastiche ematologiche. Tuttavia, altri autori contestano tale classificazione patogenetica, ritenendo tutti i quadri istologici espressione di danno diretto, in considerazione anche della correlazione temporale con la WM e l’assenza di altri fattori di rischio [6].

La biopsia renale del nostro paziente ha evidenziato un quadro di sostanziale normalità alla microscopia ottica con iniziali aree di sclerosi evidenti solo alla ME, motivo per cui veniva posta diagnosi MCD/GFS. La microscopia ottica mostrava quadro di normalità dei glomeruli con lieve infiltrato linfocitario policlonale aspecifico. Tale quadro istologico risulta descritto, a nostra conoscenza, solo in alcune casistiche con una frequenza oscillante tra 5 e 7% [12, 6]. All’immunofluorescenza si evidenziavano inoltre depositi globulari di IgM e catene Lambda a livello della parete dei capillari glomerulari, verosimilmente riconducibili alla componente monoclonale sierica; tuttavia, tali depositi non erano riscontrabili alla microscopia ottica, in quanto a nostro giudizio essi rappresentavano probabilmente un’iniziale fase di deposito, in seguito aggravatasi, come dimostrato anche dall’andamento rapidamente peggiorativo del quadro nefrosico. Il mancato riscontro di tali depositi anche alla ME poteva invece essere giustificata dalla presenza nel campione analizzato di un solo glomerulo. La MCD/GSF rappresenta pertanto un pattern istologico raro; viene considerato secondo alcuni autori espressione indiretta di danno renale causato da un ignoto fattore circolante e pertanto trattabile con schemi terapeutici indicati nelle forme primitive con solo steroide [13].

L’ipotetico fattore circolante, ad oggi ancora non chiaramente identificato, avrebbe effetto tossico diretto sui podociti [14]. Nelle forme di MCD/GSF in corso di malattia di Waldenström non esistono studi patogenetici riguardo i precisi meccanismi che innescano il danno podocitario: si può pertanto ipotizzare la presenza, come nelle forme primitive, di un fattore ignoto circolante prodotto dal clone linfocitario maligno, oppure un’alterazione funzionale podocitaria causata da depositi renali di paraproteinemia.

Nel nostro caso la presenza all’IF di soli depositi di IgM e catene leggere K, di verosimile natura monoclonale e non tipica di un classico quadro di GSF, ha fatto considerare la nefropatia espressione diretta di danno podocitario dovuto a tali depositi. Il trattamento veniva quindi orientato ponendo come bersaglio il clone linfomatoso e non la nefropatia; l’andamento rapidamente peggiorativo della nefropatia ha inoltre condizionato la scelta di un regime terapeutico aggressivo.

È stato da noi concordato con il collega ematologo uno schema terapeutico iniziale con cicli di rituximab – ciclofofamide – desametasone, la cui efficacia risulta ben dimostrata in letteratura [15]. Dopo 5 cicli di terapia si è verificata una risposta completa sia a livello renale, sia a livello ematologico.

Vi sono tuttavia attualmente pochi trials randomizzati comparativi riguardo la terapia della WM, per cui il razionale di molti regimi terapeutici è basato sull’esperienza di pochi singoli centri e presenta un basso livello di evidenza. Tra gli altri farmaci impiegati in varia combinazione nella terapia della WM compaiono gli inibitori del proteasoma, la bendamustina, gli inibitori di m-tor e l’ibrutinib [16, 17]. I pazienti con stabilità/miglioramento della funzione renale dopo il trattamento hanno presentato in alcuni studi migliore sopravvivenza, a prescindere dal quadro istologico associato. La nefropatia WM-correlata sembra quindi avere influenza negativa sulla sopravvivenza [6]; tuttavia, in un’altra casistica, la correlazione tra risposta renale ed ematologica, ben nota tra gli altri quadri di gammopatia monoclonale a significato renale (MGRS), non è emersa a livello statisticamente significativo, probabilmente per una bassa percentuale di risposta ematologica completa/molto buona [12].

 

Conclusione

La WM è considerata una patologia a decorso indolente, in quanto a lenta evoluzione e spesso asintomatica; alla diagnosi molti pazienti, in considerazione anche dell’elevata età media dei soggetti affetti, non presentano indicazioni ad iniziare una chemioterapia [18]. Il coinvolgimento renale nella WM è raro e risulta istologicamente multiforme; la comparsa di nefropatia costituisce invece indicazione al trattamento, anche qualora essa sia l’unica manifestazione clinica. Dagli studi presenti in letteratura ad oggi, infatti, il coinvolgimento renale determina un impatto prognostico sulla sopravvivenza del paziente.

Le basi patologiche sono ancora completamente da chiarire, così come il trattamento ideale: la definizione di questi punti è resa complicata dalla scarsità di dati disponibili, nel contesto di una malattia infrequente. Il coinvolgimento renale va quindi cercato attivamente nei pazienti con WM, anche nei casi più subdoli; questo rende ancora più importante la collaborazione tra nefrologo ed ematologo in questa malattia, come del resto in altre nefropatie correlate alla presenza di componente monoclonale. A nostro parere, infine, è preferibile un approccio terapeutico diretto verso la patologia primitiva e non verso la nefropatia, a prescindere dal quadro istologico in atto.

 

 

Bibliografia

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