Ultrasonography for diagnosis and management of nephrolithiasis: state of the art and new perspectives - GIN

Numero Speciale - In depth review

Ultrasonography for diagnosis and management of nephrolithiasis: state of the art and new perspectives

Abstract

The correct management of patients with kidney stones is a crucial issue for nephrologists. In recent years, the incidence and prevalence rates of nephrolithiasis have maintained a growing trend worldwide, showing a strong correlation with other systemic disease such as diabetes mellitus, hypertension, obesity, metabolic syndrome and chronic kidney disease. International guidelines indicate computed tomography as the first choice for all adult patients with suspected acute symptoms for obstructive nephrolithiasis. Intravenous pyelogram is more useful in the follow-up of patients with relapsing nephrolithiasis and known stone composition, while the high costs and the long image acquisition times limit the routine use of magnetic resonance. Recent innovative tools have improved the accuracy of kidney stone localization and measuring with B-Mode and color Doppler imaging, thereby reducing the gap between ultrasonography and computer tomography. The aim of this review is to report the latest evidence on risk factors and on the pathophysiology of nephrolithiasis, and to compare the utility of the available imaging techniques in the management of patients with kidney stones, focusing on the role of ultrasonography and the present and future strategies to improve its accuracy.

 

Keywords: nephrolithiasis, diagnostic imaging, ultrasonography, B-Mode imaging, color Doppler imaging, twinkling artifact

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Introduzione

Il management del paziente con colica renale richiede un lavoro di equipe multidisciplinare, in cui i contributi del nefrologo e dell’urologo sono determinanti per giungere a una diagnosi eziologica precoce. La nefrolitiasi è senza dubbio una delle cause più frequenti di colica renale, i cui tassi di prevalenza e incidenza sono in continua crescita a livello globale. La vecchia concezione della nefrolitiasi come di una patologia circoscritta all’apparato urinario appare ormai obsoleta: le attuali evidenze scientifiche dimostrano infatti che essa è responsabile di numerose complicanze sistemiche, non per ultima una maggiore predisposizione allo sviluppo di insufficienza renale cronica. Sebbene l’anamnesi e l’esame obiettivo siano tappe fondamentali nell’iter diagnostico del paziente con colica renale, le tecniche di imaging sono di grande ausilio per il clinico al fine di una rapida diagnosi differenziale e consentono di acquisire alcune importanti informazioni, quali l’esatta determinazione della sede e delle dimensioni del calcolo, necessarie per pianificare la strategia terapeutica più opportuna. Obiettivi di questa review sono stati quelli di riesaminare le ultime evidenze sui fattori di rischio e sulla fisiopatologia della nefrolitiasi e di mettere a confronto le diverse tecniche di imaging nella gestione del paziente con calcolosi renale, ponendo l’accento sul ruolo dell’ultrasonografia e sulle strategie (sia attuali che in fase di studio) volte a migliorarne l’accuratezza diagnostica.

Epidemiologia

Data l’assenza di studi epidemiologici recenti, i dati statistici sulla nefrolitiasi in atto disponibili derivano da studi retrospettivi aggiornati allo scorso decennio, la maggior parte dei quali è stata condotta su un campione di popolazione rappresentativo di un singolo stato o, in alcuni casi, di una singola regione o città. In una revisione sistematica della letteratura pubblicata nel 2010, Romero et al. [1] hanno passato in rassegna gli studi fino a quel momento pubblicati con l’obiettivo di estrapolare dati che potessero rispecchiare la situazione epidemiologica della nefrolitiasi su scala mondiale. In sintesi, gli Autori hanno riportato un aumento progressivo dei tassi di prevalenza e incidenza rispetto agli ultimi 3 decenni, strettamente correlato ai mutamenti delle abitudini alimentari e delle condizioni climatiche, con particolare riferimento al surriscaldamento globale. Questo trend si confermava per tutte le fasce di età, sesso e etnia, sebbene si fossero registrati un’età di insorgenza più precoce (intorno alla terza/quarta decade di vita) e un minor divario nel rapporto maschi:femmine (da 3:1 a 2:1) [2]. In Italia la mancanza di un registro nazionale della nefrolitiasi e la scarsità di studi epidemiologici descrittivi non consentono di conoscere il reale impatto di questa patologia a livello nazionale. Uno studio condotto su 1543 pazienti rappresentativi della popolazione generale della città Firenze ha riportato un picco di incidenza nella fascia d’età compresa tra i 55 e i 60 anni e una prevalenza complessiva del 7.5% in assenza di una differenza statisticamente significativa tra maschi e femmine [3]. Più di recente, uno studio multicentrico italiano ha documentato delle profonde differenze nell’assetto metabolico urinario tra maschi e femmine, dimostrando che l’analisi integrata della concentrazione sierica delle specie litogene e del loro tasso di escrezione urinaria nelle 24 ore è indispensabile al fine di elaborare un profilo metabolico di rischio correlato alla severità della nefrolitiasi [4].

La nefrolitiasi va sempre ricercata in presenza di ematuria. Un recente studio ha arruolato retrospettivamente 1046 pazienti sottoposti a tomografia computerizzata (TC) al fine di determinare la prevalenza dei disturbi urologici responsabili di ematuria micro- o macroscopica: nel 22.3% dei casi la causa è risultata essere l’urolitiasi, contro il 3.1% dei tumori vescicali e lo 0.6% dei tumori delle alte vie escretrici [5].

La nefrolitiasi, inoltre, si ripresenta spesso nel tempo: è stato stimato infatti un rischio del 15% di sviluppare un secondo episodio entro un anno e di quasi il 50% entro 10 anni; inoltre, in più del 3% dei casi tale comportamento recidivante conduce allo sviluppo di End Stage Renal Disease (ESRD). Vari studi epidemiologici dimostrano che i pazienti affetti da nefrolitiasi hanno un rischio quasi doppio di sviluppare ESRD rispetto alla popolazione generale e che circa il 5% dei casi di ESRD nella popolazione generale è attribuibile alla patologia che ha determinato la nefrolitiasi, ai trattamenti urologici praticati e/o alle complicanze legate alla calcolosi stessa [68].

 

Fattori di rischio e fisiopatologia

Più dell’80% dei calcoli renali contiene calcio, presente soprattutto sotto forma di calcio ossalato monoidrato o diidrato e in minor misura come calcio fosfato. Meno frequenti sono i calcoli di acido urico (10%), fosfato-ammonio-magnesiaco (struvite, 7-8%) e cistina (1-2%); i calcoli a base di xantina e di 2,8 diidrossiadenina sono invece estremamente rari. Indipendentemente dalla loro composizione, la formazione del calcolo richiede la precipitazione, crescita ed aggregazione cristallina nelle urine delle corrispettive specie litogene. Tali fenomeni possono avvenire in fase liquida, o in alternativa necessitano di un’interfaccia tissutale di ancoraggio a base di apatite, come la placca di Randall nel caso della calcolosi ossalico-calcica [9]. In entrambi i casi, la mineralizzazione dei sali litogeni presuppone la presenza di condizioni fisico-chimiche favorevoli, che derivano da uno squilibrio tra fattori predisponenti alla litogenesi (concentrazione urinaria delle specie litogene al di sopra del limite superiore di metastabilità, pH urinario eccessivamente acido o alcalino) e fattori inibenti (adeguata concentrazione urinaria di citrato, magnesio e/o pirofosfato).

Le abitudini alimentari non corrette rappresentano uno dei principali responsabili dell’elevata incidenza di nefrolitiasi nella popolazione mondiale. Le attuali evidenze scientifiche concordano sugli effetti dannosi delle diete ad alto contenuto in proteine animali e a basso contenuto calcico, mentre una dieta ricca in frutta e vegetali associata ad un’assunzione bilanciata di latticini a basso contenuto in grassi comporta un minoro rischio di nefrolitiasi; è stato inoltre stimato che il rischio di nefrolitiasi si riduce del 13% per ogni 200 mL di liquidi introdotti con la dieta, a dimostrazione di come un apporto idrico giornaliero adeguato sia fondamentale per prevenire la formazione dei calcoli [10]. Altre condizioni predisponenti riguardano fattori genetici, aspetti socio-demografici, l’assunzione di particolari farmaci e l’eventuale presenza di patologie d’organo e/o sistemiche capaci di alterare la composizione e il pH delle urine (Tabella I) [11,12].

 

ABITUDINI ALIMENTARI
▪ Introito idrico <2 L/die

▪ Intake di calcio <800-1000 mg/die

▪ Dieta povera in frutta e vegetali

▪ Consumo di sale >5 g/die

▪ Consumo di proteine di origine animale >0.8-1 g/kg/die

▪ Concentrazione di ossalato nei cibi >50 mg/porzione

PATOLOGIE GENETICHE EREDITARIE
▪ Cistinuria

▪ Malattia di Dent

▪ Sindrome di Lowe

▪ Rachitismo ipofosfatemico ereditario con ipercalciuria (HHRH)

▪ Pseudoxantoma elastico

▪ Sindrome di MacGibbon-Lubinsky

▪ Rene a spugna midollare

▪ Xantinuria ereditaria

▪ Ipercalcemia idiopatica infantile

▪ Acidosi tubulare renale distale autosomica dominante

▪ Acidosi tubulare renale distale autosomica recessiva

▪ Sindrome di Bartter (tipo 1-2-5)

▪ Ipomagnesemia familiare con ipercalciuria e nefrocalcinosi (FHHNC)

▪ Iperossaluria primaria (tipo 1-2-3)

▪ Sindrome di Williams-Beuren

FATTORI SOCIO-DEMOGRAFICI
▪ Età ≥ 50 anni

▪ Sesso maschile

▪ Etnia caucasica

▪ Appartenenza a ceto sociale elevato

▪ Residenza in zone climatiche più calde

▪ Familiarità per nefrolitiasi

FARMACI
▪ Calcoli di calcio

  • Diuretici dell’ansa
  • Vitamina D
  • Corticosteroidi
  • Supplementazione di calcio
  • Antiacidi
  • Teofillina
  • Acetazolamide
  • Topiramato
▪ Calcoli di acido urico

  • Salicilati
  • Probenecid
  • Allopurinolo
  • Melamina
▪ Farmaci che formano cristalli

  • Triamterene
  • Acyclovir (se infusione rapida)
  • Indinavir
  • Nelfinavir
CONDIZIONI CLINICHE E PATOLOGIE PREDISPONENTI
Calcoli di calcio Calcoli di acido urico Calcoli di struvite
 

Ipercalciuria (>6.5 mmol/die)

▪ Calcemia normale

  • Ipercalciuria idiopatica

▪ Calcemia elevata

  • Iperparatiroidismo primario
  • Malattie granulomatose (sarcoidosi, TBC, berilliosi)
  • Ipervitaminosi D iatrogena
  • Ipertiroidismo
  • Neoplasie

 

 

Iperuricosuria (>4.5 mmol/die)

▪ Gotta

▪ Malattie mieloproliferative

▪ Sindrome da lisi tumorale

▪ Sindrome di Lesch-Nyhan

▪ Deficit di 6-glucosio-fosfatasi

Iperossaluria (>0.5 mmol/die)

▪ Iperossaluria

  • Primaria
  • Alimentare
  • Enterica

▪ Sindromi da malassorbimento

  • Celiachia,
  • Morbo di Crohn

▪ Bypass digiuno-ileale

 

 

 

Ipocitraturia (<1.5 mmol/die)

▪ Acidosi metabolica

▪ Ipokaliemia

▪ Ipomagnesemia

▪ Acidosi tubulare renale distale

Iperuricosuria (>4.5 mmol/die)

▪ Gotta

▪ Malattie mieloproliferative

▪ Sindrome da lisi tumorale

▪ Sindrome di Lesch-Nyhan

▪ Deficit di 6-glucosio-fosfatasi

 

 

Ridotto volume urinario

▪ Eccessiva perdita extrarenale di liquidi

  • Diarrea
  • Perdite insensibili (perspiratio)

 

 

pH urinario <5.5

▪ Diarrea

▪ Insulino-resistenza (obesità, diabete, sindrome metabolica)

Infezioni ricorrenti da batteri produttori di ureasi

▪ Proteus

▪ Haemophilus

▪ Yersinia

▪ Staphylococcus epidermidis

▪ Pseudomonas

▪ Klebsiella

▪ Serratia

▪ Citrobacter

▪ Ureaplasma

 

Altre condizioni predisponenti

▪ Ostruzione delle vie urinarie

▪ Vescica neurologica

▪ Disturbi della minzione

▪ Presenza di catetere vescicale

Tabella I: Principali fattori di rischio per lo sviluppo di nefrolitiasi

 

Un tema di grande attualità riguarda il ruolo eziopatogenetico delle alterazioni del microbiota, le quali costituiscono un campo di ricerca molto affascinante ma ancora poco esplorato in ambito urologico [13]. È stato ampiamente dimostrato in letteratura che le urine non sono sterili come si credeva nel passato e che le infezioni ricorrenti sostenute da germi produttori di ureasi, quali i batteri della specie Proteus, predispongono alla alcalinizzazione delle urine e alla conseguente formazione di calcoli di struvite. Il gruppo di Stern et al. [14] è stato il primo a descrivere le differenze nella composizione del microbiota intestinale tra pazienti sani e pazienti affetti da nefrolitiasi: in questi ultimi gli Autori hanno infatti riscontrato una prevalenza di Bacteroides, una minor rappresentazione del genere Prevotella e un rapporto di proporzionalità inversa tra batteri del genere Eubacterium e livelli di ossalato e tra batteri del genere Escherichia e concentrazione urinaria di citrato. Oxalobacter formigenes è un batterio Gram negativo anaerobio obbligato che necessita di un uptake continuo di ossalato per produrre ATP. Vari Autori hanno dimostrato che la colonizzazione dell’apparato digerente da parte di Oxalobacter formigenes limita l’assorbimento intestinale di ossalato, mantiene basse le sue concentrazioni sierica e urinaria e previene pertanto la formazione di calcoli. [15,16]. Le evidenze scientifiche a supporto della disbiosi intestinale come fattore causativo di nefrolitiasi possono essere così riassunte:

  • Alterazioni del microbiota intestinale sono state osservate in pazienti affetti da patologie metaboliche notoriamente associate ad elevato rischio di nefrolitiasi (diabete mellito, ipertensione arteriosa, obesità, sindrome metabolica) [13];
  • L’uso di antibiotici promuove la calcolosi renale in quanto impedisce la crescita intestinale di Oxalobacter formigenes e di altri batteri capaci di metabolizzare l’ossalato [17];
  • Il trapianto di feci, sperimentato finora solo su modelli animali, è in grado di modificare il microbioma intestinale e la biochimica urinaria, pertanto può rappresentare un’arma terapeutica innovativa in grado di ridurre l’incidenza di nefrolitiasi nei soggetti ad alto rischio [18].

 

Aspetti clinici e diagnosi

I pazienti con nefrolitiasi generalmente riferiscono un intenso dolore acuto “tipo colica” (caratterizzato da periodi di remissione alternati a fasi di recrudescenza e causato dalla distensione acuta del sistema collettore) o di “tipo gravativo” (secondario alla distensione della capsula renale), la cui irradiazione fornisce informazioni indirette sulla possibile localizzazione del calcolo. Altre manifestazioni associate includono ematuria, nausea, vomito e talvolta febbre [19]. Un’attenta raccolta dell’anamnesi e un accurato esame obiettivo sono di solito sufficienti a formulare la diagnosi di nefrolitiasi. I segni e i sintomi sopra elencati possono tuttavia presentarsi in misura variabile da soggetto a soggetto e sono del tutto aspecifici in quanto presenti anche in altre patologie (Tabella II). In questo contesto, l’analisi del sedimento urinario costituisce uno strumento diagnostico di grande utilità: il riscontro di cristalluria, unito alle informazioni ottenute dalle tecniche di diagnostica per immagini, consentono al nefrologo clinico non solamente di avvalorare il sospetto diagnostico di nefrolitiasi, ma anche di acquisire informazioni sulla composizione dei calcoli e, quindi, sul possibile disturbo metabolico responsabile della loro formazione [20] (Tabella III).

 

Ipocondrio destro Epigastrio Ipocondrio sinistro
▪ Appendicite

▪ Colecistite/colica biliare

▪ Ulcera duodenale

▪ Pancreatite

 

▪ Gastrite

▪ Infarto acuto miocardico

▪ Pancreatite

▪ Ischemia mesenterica

▪ Polmonite lobare inferiore

 

▪ Infarto splenico

▪ Ascesso splenico

▪ Rottura splenica

▪ Pancreatite

 

Fianco destro Mesogastrio Fianco sinistro
▪ Calcolosi renale

▪ Pielonefrite

▪ Ernia lombare

▪ Diverticolite cecale

 

▪ Pancreatite

▪ Enterite

▪ Ernia ombelicale

 

▪ Calcolosi renale

▪ Pielonefrite

▪ Diverticolite del colon

 

Fossa iliaca destra Ipogastrio Fossa iliaca sinistra
▪ Appendicite

▪ Diverticolite cecale

▪ Endometriosi

▪ Adenite mesenterica

▪ Diverticolo di Meckel

▪ Ernia inguinale incarcerata

▪ Ernia inguinale strozzata

 

▪ Infezione delle vie urinarie

▪ Mal. infiammatoria pelvica

▪ Ernia ombelicale

▪ Torsione del testicolo

▪ Torsione di cisti ovarica

▪ Endometriosi

 

▪ Colite ischemica

▪ Ernia inguinale incarcerata

▪ Ernia inguinale strozzata

▪ Diverticolite sigmoidea

 

 Tabella II: Rappresentazione schematica delle patologie responsabili di dolore addominale acuto che entrano in diagnosi differenziale con la nefrolitiasi, suddivise in base alla tipica localizzazione del dolore nei diversi quadranti addominali

 

  Morfologia dei cristalli al sedimento urinario Strategie preventive
Calcio ossalato monoidrato ▪ A forma di “manubrio”

▪ A forma di “clessidra”

▪ Introito idrico ≥ 2 L/die

▪ Intake di calcio >800-1000 mg/die

▪ Aumentare il consumo di vegetali

▪ Evitare bevande gassate

▪ Intervento farmacologico

  • Diuretici tiazidici
  • Potassio citrato
Calcio ossalato

diidrato

▪ A forma di “busta da lettera”
Calcio fosfato ▪ Forma prismatica
Struvite ▪ A forma di “coperchio di bara”  

▪ Rimozione del calcolo infetto

▪ Terapia antibiotica mirata di lunga durata

 

Acido urico ▪ Forma romboidale

▪ A forma di “pallone da football”

 

▪ Volume urinario >2 L/die

▪ pH urinario = 7

  • Sodio bicarbonato
  • Potassio citrato

▪ Ridurre l’escrezione urinaria di acido urico

  • Allopurinolo
  • Febuxostat

 

Cistina  

▪ Forma esagonale

 

 

▪ Introito idrico ≥ 3 L/die

▪ pH urinario = 7-8

  • Sodio bicarbonato
  • Potassio citrato

 

Tabella III: Caratteristiche morfologiche dei cristalli all’analisi del sedimento urinario, fattori di rischio urinari e strategie preventive

 

Terapia

Il trattamento del dolore rappresenta il primo obiettivo terapeutico in corso di colica renale. Gli anti-infiammatori non steroidei (FANS) costituiscono la terapia di prima scelta, seguiti dai farmaci oppioidi. La terapia medica espulsiva è indicata per i calcoli localizzati nell’uretere e prevede il ricorso a farmaci calcio-antagonisti (nifedipina 20 mg/die) e alfa-litici (tamsulosina 0.4 mg/die). In caso di insuccesso, il trattamento chirurgico si avvale di numerose metodiche a differente grado di invasività, tra cui la litotripsia extracorporea, la litotripsia intrarenale retrograda, la nefrolitotomia percutanea e l’intervento chirurgico tradizionale con approccio laparoscopico. La scelta della strategia chirurgica più appropriata tiene conto di vari parametri, tra cui le caratteristiche del calcolo (grandezza, forma, consistenza, sede) e fattori legati al paziente (morfologia della via escretrice, eventuali pregressi trattamenti) [19].

 

La diagnostica per immagini nel management della nefrolitiasi

La diagnostica per immagini costituisce uno strumento indispensabile nel management della nefrolitiasi. La conoscenza esatta delle dimensioni e della posizione del calcolo è dirimente per decidere se tentare un approccio terapeutico conservativo oppure ricorrere alla chirurgia. Il ricorso all’imaging è inoltre necessario per documentare l’avvenuta espulsione del calcolo nei casi dubbi: la scomparsa della sintomatologia dolorosa non esclude infatti la persistenza dell’ostruzione in forma asintomatica, la quale se non diagnosticata può avere ripercussioni negative sulla funzionalità renale e predisporre all’insorgenza di infezioni [21].

 

Radiografia dell’apparato urinario (Rx diretta renale)

Per tanti anni lo studio radiografico dell’apparato urinario è stato condotto mediante pielografia endovenosa, in cui l’utilizzo simultaneo del radiogramma bidimensionale e del mezzo di contrasto permette di visualizzare le vie escretrici nella loro interezza e di individuare un’eventuale ostruzione. Sebbene la pielografia endovenosa offra i vantaggi di una modesta esposizione a radiazioni ionizzanti e di costi contenuti, essa risulta inefficace in caso di vicinanza del calcolo con l’apparato scheletrico o in presenza di aggregazioni di acido urico, cistina e struvite, che sono radiotrasparenti (Tabella IV). Le basse percentuali di sensibilità e specificità, pari al 57% e al 76% rispettivamente [22], rendono ad oggi la pielografia endovenosa poco indicata nell’inquadramento diagnostico del primo episodio di colica renale, mentre può avere un ruolo nel follow-up dei pazienti con nefrolitiasi recidivante e composizione del calcolo già nota. Alcune tecniche innovative, come la tomosintesi digitale, utilizzano multiple sorgenti di raggi X disposte ad arco intorno al paziente. Ciò consente di acquisire numerose immagini del calcolo, ognuna con un angolo di incidenza del fascio di raggi X differente, che vengono poi integrate digitalmente. Numerosi studi hanno dimostrato che la tomosintesi digitale è superiore alla pielografia endovenosa convenzionale in quanto la rielaborazione computerizzata delle immagini consente di individuare anche i calcoli radiotrasparenti, con un’accuratezza diagnostica paragonabile alla TC [23,24].

 

  Vantaggi Svantaggi
Pielografia endovenosa ▪ Bassa esposizione alle radiazioni ionizzanti

▪ Costi contenuti

▪ La fluoroscopia può essere usata come guida per ureteroscopia e/o litotrissia extracorporea

▪ Inefficace in caso di vicinanza del calcolo all’apparato scheletrico

▪ Inefficace in presenza di aggregazioni di acido urico, cistina e struvite in quanto radiotrasparenti

Tomografia computerizzata ▪ Sensibilità per la nefrolitiasi più alta di qualsiasi altra tecnica di imaging

▪ Consente una rapida diagnosi differenziale tra le possibili cause di dolore addominale e ematuria

▪ Fornisce informazioni indirette sulla composizione del calcolo

▪ Elevata accuratezza diagnostica nei pazienti obesi

▪ Sensibilità ridotta per calcoli <3 mm

▪ Sensibilità ridotta per calcoli generati dalla precipitazione di alcuni farmaci antivirali (inibitori delle proteasi)

▪ Esposizione a elevati dosi di radiazioni ionizzanti

▪ Costi elevati

Risonanza magnetica nucleare ▪ Sensibilità elevata per idronefrosi

▪ Specificità elevata per nefrolitiasi

▪ È in grado di fornire immagini 3D

▪ Sensibilità ridotta per nefrolitiasi

▪ Esposizione a radiazioni ionizzanti assente

▪ Costi elevati

▪ Lunghi tempi di acquisizione delle immagini

Tabella IV: Principali vantaggi e svantaggi delle tecniche di imaging per la diagnosi di nefrolitiasi

 

Tomografia Computerizzata

Tra la fine degli anni ’90 e gli inizi degli anni 2000 la pielografia endovenosa è caduta in disuso grazie all’avvento della TC. Le proprietà chimico-fisiche dei calcoli fanno sì che essi assorbano una quantità considerevolmente maggiore di radiazioni rispetto al parenchima renale e all’urina, pertanto sono facilmente visibili senza dover ricorrere alla somministrazione di un mezzo di contrasto. Gli studi pubblicati in letteratura riportano percentuali di sensibilità e specificità molto elevate, pari al 95% e al 98% rispettivamente: la TC si è infatti dimostrata in grado di visualizzare quasi tutti i tipi di calcolo, ad eccezione dei calcoli generati dalla precipitazione di alcuni farmaci antivirali (inibitori delle proteasi) e di quelli di dimensioni <3 mm (Tabella IV) [2527]. Grazie alla moderna tecnologia TC “dual energy”, il coefficiente di attenuazione lineare del fascio radiante, descritto dall’unità Hounsfield (o numero CT), è in grado di fornire importanti informazioni indirette sulla composizione del calcolo e ha valore predittivo sul buon esito della litotripsia ad onde d’urto [2830]. I limiti maggiori della TC sono rappresentati dai costi elevati e dall’esposizione ad alte dosi di radiazioni, sebbene nuovi protocolli di studio tomo-densitometrico a bassa dose radiante abbiano dimostrato pari efficacia rispetto alla metodica convenzionale in termini di specificità e sensibilità [31,32]. Le attuali linee guida dell’American Urological Association (AUA) e dell’American College of Radiology (ACR) indicano la TC come l’indagine di prima scelta per tutti i pazienti adulti con sintomatologia acuta sospetta per nefrolitiasi ostruttiva e con BMI >30 (Fig. 1) [25,33].

Fig. 1: algoritmo diagnostico della nefrolitiasi. La tecnica di imaging di primo livello varia in relazione alle caratteristiche del paziente: età, BMI, stato di gravidanza. TC: tomografia computerizzata; RMN: risonanza magnetica nucleare; m.d.c.: mezzo di contrasto

 

Risonanza magnetica nucleare

Sebbene la RMN sia in grado di documentare in modo chiaro la presenza di idronefrosi, la sua sensibilità nell’identificare la presenza di un calcolo si attesta all’82%, valore certamente superiore alla radiografia convenzionale ma più basso rispetto alla TC. Utilizzando delle sequenze standard, nella maggior parte dei casi i calcoli appaiono come aree aspecifiche di vuoto del segnale, pertanto nei casi in cui la RMN non risulti dirimente ai fini diagnostici, lo studio TC è necessario al fine di escludere una litiasi ureterale. La chiara visualizzazione del calcolo mediante RMN lascia invece pochi dubbi sulla diagnosi di nefrolitiasi, motivo per cui la metodica gode di un’elevata specificità, pari al 98.3% [21]. Un grande vantaggio della RMN consiste nel fornire immagini tridimensionali senza dover ricorrere alle radiazioni ionizzanti; tuttavia, i costi elevati e i lunghi tempi di acquisizione delle immagini ne impediscono la diffusione nella pratica clinica per la diagnosi di nefrolitiasi (Tabella IV). Le attuali linee guida dell’American Urological Association (AUA), dell’American College of Radiology (ACR) e dell’European Association of Urology (EAU) indicano la RMN come metodica di seconda scelta nelle donne in gravidanza con sospetta nefrolitiasi, qualora l’ultrasonografia risulti non diagnostica (Fig. 1) [25,33,34].

 

Il ruolo dell’ultrasonografia

L’esame ecografico deve includere lo studio dei reni, degli ureteri e della vescica e andrebbe eseguito con il paziente a vescica piena, in decubito supino, spostato lievemente sul fianco opposto al lato valutato e utilizzando preferenzialmente una scansione addominale longitudinale obliqua posteriore. L’apparato ecografico dovrebbe essere dotato di una sonda convex a frequenza variabile compresa fra 1 e 8 MHz per l’adulto ed una sonda lineare a frequenza variabile fra 6 e 13 MHz, meglio se con campo di vista trapezoidale, per il bambino. In modalità B-Mode, il calcolo appare come una formazione fortemente iperecogena (espressione dell’intensa riflessione del fascio ultrasonoro a tale livello) associata alla presenza di un cono d’ombra posteriore, dovuto alla marcata attenuazione dello stesso fascio ultrasonoro a valle del calcolo (Fig. 2). L’esame ecografico è in grado, inoltre, di identificare un’eventuale dilatazione delle vie urinarie secondaria a nefrolitiasi ostruttiva e di stimarne la gravità in relazione all’entità della stessa e allo spessore del parenchima renale (Figg. 3-5) [35,36]. L’applicazione del modulo color Doppler nella valutazione di una sospetta uropatia ostruttiva è di fondamentale importanza nell’aggiungere informazioni all’esame ecografico B-Mode standard. Poiché la modificazione dell’emodinamica renale (e in particolare la riduzione del flusso ematico renale come conseguenza di una marcata vasocostrizione) rappresenta uno dei principali meccanismi di danno renale in corso di ostruzione urinaria, la valutazione delle resistenze vascolari intrarenali è stata ampiamente utilizzata in ecografia nella diagnosi di ostruzione. Molti studi hanno evidenziato l’associazione tra ostruzione urinaria e indici di resistenza elevati: i riferimenti più usati sono gli aumenti degli indici di resistenza sopra la soglia considerata normale di 0,70 e una differenza tra rene normale e rene ostruito di 0,05-0,10 [3739]. Gli ureteri pervi permettono l’entrata “a getto” di urina in vescica tramite movimenti peristaltici, producendo un jet a livello della giunzione vescico-ureterale ben visualizzabile con color/power Doppler. Tale jet si presenta ridotto o assente, a seconda che vi sia un’ostruzione parziale o completa, nel lato interessato dalla patologia (Fig. 6) [40].

Fig. 2: I calcoli (frecce) appaiono come aree iperecogene con ombra acustica posteriore (linee tratteggiate)
Fig. 3: Idronefrosi di I grado, scansione longitudinale obliqua destra. L’ectasia pielica e del sistema collettore (asterischi) è evidente sotto forma di area anecogena; la distinzione caliciale nei vari ordini (minore e maggiore) rimane ben evidente; lo spessore parenchimale è normale, a meno di alterazioni di altra natura pre-esistenti
Fig. 4: Idronefrosi di II grado, scansione longitudinale obliqua posteriore destra. L’area ectasica anecogena è più estesa (asterischi); si evidenzia ancora la distinzione nei gruppi caliciali maggiori, che sono però notevolmente dilatati; lo spessore del parenchima renale appare conservato, anche se può riscontrarsi un’iniziale riduzione di spessore della midollare. È visibile lo stent ureterale (freccia)
Fig. 5: Idronefrosi di III grado, scansione longitudinale obliqua posteriore destra. L’ectasia della via escretrice superiore viene ad occupare tutto il seno renale (asterischi); si riconoscono solo i calici maggiori che si presentano come sacche anecogene separate da setti; le papille non sono più riconoscibili e lo spessore parenchimale è notevolmente assottigliato
Fig. 6: “Jet ureterale” destro generato dai movimenti peristaltici ureterali che determinato l’entrata “a getto” di urina in vescica

Il settaggio dell’apparecchio ecografico

Numerosi Autori hanno posto l’attenzione sull’importanza di ottimizzare i parametri ecografici al fine di migliorare l’accuratezza diagnostica dell’US (Tabella V) [41]. La zona focale corrisponde al punto in cui si concentra la massima parte dell’energia acustica. Il collocamento del calcolo all’interno della zona focale migliora la risoluzione dell’immagine e la possibilità di ottenere una adeguata ombra acustica: infatti, se il calcolo si trova ad una profondità maggiore rispetto al punto di messa a fuoco, i raggi ultrasonori tendono a divergere riducendo la risoluzione spaziale dell’immagine; quando invece il calcolo si trova nella zona focale della sonda, le singole onde sonore che colpiscono la formazione litiasica vengono completamente assorbite o riflesse, per cui posteriormente all’immagine iperecogena si crea un completo silenzio acustico. Nel caso in cui il calcolo abbia dimensioni inferiori allo spessore del fascio ultrasonoro, l’ombra distale può non essere apprezzabile (effetto di volume parziale). Al fine di ovviare a tale inconveniente, l’esame dovrebbe essere condotto con sonde ad alta frequenza capaci di generare un fascio ultrasonoro più stretto e collimato; tuttavia, tali trasduttori presentano il limite di una bassa penetrazione nei tessuti e, quindi, di una minore risoluzione nei piani profondi [42].

 

Settaggio dell’apparecchio ecografico
▪ Collocare l’immagine del calcolo all’interno della zona focale
▪ Prediligere l’acquisizione delle immagini alle frequenze armoniche
▪ Ridurre il guadagno in modo proporzionale alla profondità del calcolo
▪ Aumentare il range dinamico dell’apparecchiatura

Tabella V: Suggerimenti per il corretto settaggio dell’apparecchio ecografico al fine di migliorare la visualizzazione dei calcoli renali

 

Il Tissue Harmonic Imaging (THI), è una tecnica ultrasonografica che consente di fornire immagini qualitativamente migliori rispetto a quelle ottenibili con tecniche ecotomografiche convenzionali. Le frequenze armoniche si formano come conseguenza della propagazione non lineare del fascio incidente durante l’attraversamento dei tessuti. Le armoniche hanno frequenze multiple rispetto alla fondamentale e producono un segnale di elevata intensità nella zona focale, mentre risulta pressoché nullo a livello delle strutture e dei tessuti superficiali e tende a ridursi progressivamente all’aumentare della profondità. L’acquisizione delle immagini alle frequenze armoniche offre la garanzia di una migliore risoluzione sia assiale (per una riduzione della lunghezza d’onda) che laterale (conseguente ad una migliore focalizzazione del fascio ultrasonoro) rispetto alla frequenza fondamentale. In tema di nefrolitiasi, numerosi studi hanno dimostrato che il THI migliora l’accuratezza diagnostica dell’US, sia da sola che combinata con la radiografia convenzionale [43,44].

 

Accuratezza diagnostica dell’US

La sensibilità e la specificità dell’US variano da uno studio all’altro in relazione all’habitus del paziente, agli standard di riferimento utilizzati, alla variabilità inter-operatore, nonché alla dimensione, localizzazione e lateralità del calcolo. Ray et al. [45] riportano percentuali di sensibilità e specificità dell’US pari rispettivamente al 45% e al 94% per i calcoli ureterali e al 45% e all’88% per i calcoli renali. Lo studio di Fowler et al. [46] dimostra percentuali di sensibilità e specificità pari rispettivamente al 24% e al 90% per tutti i calcoli indipendentemente dalla localizzazione; tuttavia, gli stessi Autori sottolineano come il 73% dei calcoli documentati alla TC ma non visualizzabili all’US fossero di dimensioni <3 mm. Analogamente, Unal et al. [47] riportano una sensibilità del 69% e una specificità dell’87% per tutti i calcoli indipendentemente dalla localizzazione, sebbene la sensibilità si riduca in modo proporzionale al ridursi della dimensione del calcolo (71% per calcoli >7 mm vs 13% per calcoli <3 mm). La bassa sensibilità dell’US per i calcoli di piccole dimensioni è dovuta verosimilmente al fatto che essi non danno luogo al cono d’ombra posteriore, pertanto sono difficilmente riconoscibili.

Le misurazioni ottenute mediante US tendono a sovrastimare le reali dimensioni del calcolo se paragonate alla TC. Secondo alcuni Autori [45], le dimensioni dei calcoli renali determinate con gli US concordano con quelle dell’esame TC solo nel 71.8% dei casi, riportando una sovrastima di 1.9 ±1.2 mm per calcoli renali <5 mm e di 1.6 ±1.7 mm per calcoli compresi tra i 5 e i 10 mm. Altri studi pubblicati in letteratura giungono alla medesima conclusione, riportando una sovrastima media delle dimensioni del calcolo variabile da 1.5 a 2 mm rispetto alla TC [46,48]. Tale aspetto è da tenere in seria considerazione nella pratica clinica: poiché infatti le probabilità di espulsione spontanea del calcolo si riducono per i calcoli >5 mm, la sottovalutazione del problema può portare ad un aumento improprio delle procedure interventistiche. Il guadagno definisce il rapporto tra il segnale di uscita e il segnale di ingresso in un circuito amplificatore. In un’apparecchiatura ecografica, regolando il guadagno dell’amplificatore si può aumentare o ridurre la brillantezza (intensità) degli echi di ritorno visualizzati, compensando così l’attenuazione causata dall’assorbimento e dalla riflessione. Dunmire et al. [48] hanno dimostrato che l’US sovrastima le dimensioni del calcolo all’aumentare della sua profondità rispetto alla sonda ecografica e che, a parità di profondità, la sovrastima è più marcata all’aumentare del guadagno totale. Aumentando il guadagno, il cono d’ombra posteriore si rende più visibile, tuttavia l’immagine tende a schiarirsi mascherando la presenza di eventuali masse iperecogene. Per contro, riducendo il guadagno totale il cono d’ombra è meno riconoscibile, ma i calcoli iperriflettenti sono più facilmente identificabili nel contesto del seno pielico ipoecogeno. In quest’ultimo caso, la visualizzazione dell’ombra acustica posteriore può essere ottimizzata aumentando il range dinamico dell’apparecchiatura, ossia il l’intervallo di intensità che un sistema può registrare e/o visualizzare.

Negli ultimi anni, nuovi parametri per una stima più accurata delle dimensioni dei calcoli renali sono stati oggetto di intensa ricerca. Nello studio di Dunmire et al. [49], gli Autori hanno sottoposto a studio ecografico in vitro 45 calcoli di ossalato di calcio monoidrato, dimostrando che la misura della larghezza dell’ombra acustica posteriore al calcolo è più accurata della misura del diametro del calcolo stesso in corrispondenza dell’area iperecogena. Usando questa tecnica, il 78% delle misurazioni presentavano un margine di errore <1 mm rispetto alla dimensione reale del calcolo, contribuendo a ridurre dal 50% al 15% il rischio di errata misurazione del calcolo per le categorie a maggiore rilevanza clinica (>5 mm vs <5 mm). Risultati analoghi sono stati ottenuti anche da studi in vivo. May et al. [50] hanno dimostrato che il 55% delle misurazioni della larghezza dell’ombra acustica posteriore ottenute mediante US presentavano un margine di errore <1 mm rispetto alla corrispondente misurazione TC, mentre nello studio di Dai et al. [51] la percentuale si è attestata al 42%. In aggiunta, è stato visto che l’83% dei calcoli che non mostravano cono d’ombra posteriore all’US misuravano <5 mm allo studio TC, a ulteriore riprova del fatto che la mancata visualizzazione del cono d’ombra indica la presenza di un calcolo di piccole dimensioni [51].

Autori sostengono che non esiste alcuna differenza significativa nella capacità della US di identificare i calcoli nei diversi segmenti renali. I calcoli localizzati al polo superiore, al terzo medio e al polo inferiore vengono riconosciuti con la medesima sensibilità, così pure non vi è differenza tra rene destro e rene sinistro; analogamente, i calcoli localizzati nell’uretere prossimale e distale sono facilmente identificabili, mentre il meteorismo intestinale può ostacolarne la visualizzazione in corrispondenza dell’uretere medio [52]. Ulusan et al. hanno invece stimato un’accuratezza diagnostica della US del 67-77% per il rene destro e del 53-54% per il rene sinistro quando comparata con la TC, concludendo che la diagnosi ecografica di nefrolitiasi è dipendente dal lato studiato e indipendente dal BMI [53]. La visualizzazione del sistema escretore di destra è resa più semplice dalla migliore finestra acustica (grazie alla presenza del fegato) e dalla posizione più bassa del rene destro rispetto al controlaterale, che quindi richiede meno scansioni intercostali per essere studiato.

Ad oggi, le linee guida dell’European Association of Urology (EAU) [34] sono le uniche ad indicare l’US come metodica di prima scelta nel sospetto diagnostico di nefrolitiasi ostruttiva. I vantaggi principali dell’US consistono nei bassi costi e nell’assenza di radiazioni ionizzanti, motivo per cui è raccomandata per le donne in gravidanza. L’US è la metodica di prima scelta anche nei pazienti <14 anni, nei quali la qualità dell’immagine è favorita dalla ridotta distanza tra la sonda ecografica e l’area di interesse [25,33,34]. Nel prossimo futuro, le raccomandazioni sull’utilizzo dell’US nella popolazione adulta potrebbero subire delle modifiche grazie ai risultati del trial STONE [54], in cui gli Autori hanno confrontato l’accuratezza diagnostica di US e TC su un campione di 2759 pazienti con sospetta nefrolitiasi ostruttiva, dimostrando l’assenza di differenze statisticamente significative in termini di sensibilità (~85%), specificità (~50%), incidenza di eventi avversi e tasso di ospedalizzazione.

 

Lo studio eco color-Doppler: il “twinkling artifact”

Quando la ricerca della litiasi renale è ostacolata dall’interposizione di tessuti che attenuano il fascio ultrasonoro (iperecogenicità del seno renale, meteorismo intestinale) o dalle ridotte dimensioni e/o dalla mancanza del cono d’ombra posteriore, lo studio eco color-Doppler può migliorare la sensibilità dell’indagine. Il “twinkling artifact” (TA) o “artefatto da scintillio” consiste nella presenza di un mosaico di colore (aliasing) all’interno, intorno e spesso lungo il cono d’ombra posteriore di interfacce fortemente riflettenti, come ad esempio la litiasi urinaria, le calcificazioni parenchimali o delle pareti vascolari (Fig. 7) [55]. Il posizionamento del volume campione del Doppler pulsato in corrispondenza dei citati segnali-colore consente di rilevare dei segnali Doppler caratterizzati da una estrema dispersione della distribuzione spettrale, sopra e sotto la linea di base. Anche se la genesi di tale artefatto non è stata ancora completamente chiarita, si ritiene che esso sia dovuto all’interazione del fascio ultrasonoro con minuscole bolle intrappolate nelle fessure poste sulla superficie irregolare del calcolo; l’oscillazione delle bolle genera dei segnali Doppler di ritorno, che vengono quindi codificati dalla strumentazione come segnali-colore. A supporto di tale ipotesi, Lu et al. [56] hanno dimostrato che il TA si estingue in condizioni di aumentata pressione statica e si ripresenta una volta ripristinata la pressione iniziale. Il TA scompare inoltre quando i calcoli sono bagnati con etanolo, verosimilmente perché quest’ultimo stabilizza le microbolle modificando la tensione superficiale.

 

Fig. 7: calcolo localizzato all’uretere medio, in corrispondenza dei vasi iliaci, scansione longitudinale obliqua anteriore. A sinistra: immagine a scala di grigi che documenta la presenza del calcolo iperecogeno (freccia) e del cono d’ombra posteriore (linee tratteggiate); A destra: immagine con modulo color Doppler, il calcolo è riconoscibile grazie al twinkling artifact. U: uretere, AI: arteria iliaca, VI: vena iliaca, TA: twinkling artifact

Vari studi clinici hanno valutato l’efficacia del TA nell’individuare la presenza dei calcoli. Nello studio di Sorensen et al. [57], condotto su 9 pazienti con diagnosi di nefrolitiasi confermata mediante TC, il TA ha mostrato una specificità più alta rispetto all’imaging tradizionale in B-Mode (74% vs 48%). Nello studio di Abdel-Gawad et al. [58], che ha arruolato 815 pazienti con dolore acuto di tipo colico, gli Autori hanno dimostrato che il TA era presente nel 97.1% dei pazienti con diagnosi certa di nefrolitiasi (anche in questo caso ottenuta mediante TC), riportando una sensibilità del 97.2% e una specificità del 99%. Più di recente, lo studio di Liu et al. [59], condotto su 2268 pazienti con colica renale acuta, ha riportato per il twinkling artifact una sensibilità del 96.98%, specificità del 90.39%, valore predittivo positivo del 99.77% e valore predittivo negativo del 41.23%. In contrasto con i risultati sopra elencati, altri Autori sostengono che il TA sia meno affidabile quando la diagnosi di nefrolitiasi non è nota: in questa categoria di pazienti, infatti, il TA ha mostrato una sensibilità del 78% e una specificità del 40%. L’uso combinato del TA e di altri parametri ecografici (settaggio adeguato della zona focale, misura della larghezza dell’ombra acustica posteriore) ha fatto registrare un calo significativo della sensibilità al 31%, mentre la specificità ha mostrato un incremento fino al 95% [60]. L’insieme di tutti questi dati porta alla conclusione che il TA costituisce un valido strumento diagnostico nel paziente con esordio acuto di dolore colico, in grado di ridurre l’esposizione alle radiazioni ionizzanti e garantire un accesso più rapido alle cure, sebbene la sua utilità sia limitata ai pazienti con storia di pregressa litiasi renale.

 

Prospettive future

Lo sviluppo di nuovi algoritmi capaci di ottimizzare la visualizzazione ultrasonografica del calcolo costituisce un campo di grande interesse in ambito di ricerca scientifica. L’ecografia B-Mode è gravata da un limite sostanziale e ineliminabile in senso assoluto, ossia un rapporto segnale/rumore sfavorevole. Il rumore altera la tessitura ecografica degli organi parenchimatosi e genera una serie di artefatti (riverberi, echi spuri, effetto nebbia, speckle) che riducono la qualità dell’immagine. L’imaging spaziale composito, o “spatial compounding”, è un algoritmo particolare di acquisizione dell’immagine in B-Mode che prevede un’attivazione sequenziale degli elementi piezoelettrici del trasduttore. In questo modo, l’immagine che viene generata è il frutto della media ponderata di 9 frames acquisiti con scansioni oblique parzialmente sovrapposte, nella quale gli artefatti che non sono presenti in tutti gli angoli di vista non vengono rappresentati. Se da un lato l’imaging spaziale composito migliora la definizione dell’immagine, dall’altro riduce l’ecogenicità del calcolo rendendolo meno riconoscibile e sovrastimandone le dimensioni. Alcuni Autori hanno sperimentato un sistema innovativo, denominato “S-Mode”, in grado di massimizzare il contrasto generato dal calcolo e di mettere in maggiore evidenza il cono d’ombra posteriore mediante l’utilizzo di un trasduttore ad elevata frequenza e di una maggiore densità di linea. Una recente review ha dimostrato una miglior performance dell’ecografia in S-Mode rispetto all’US convenzionale, riportando una sensibilità dell’80%, specificità del 90%, valore predittivo positivo del 76% e valore predittivo negativo del 92% [61].

Altri Autori hanno sperimentato nuove tecnologie di beamforming avanzato, tra cui la “plane wave synthetic focusing” (PWSF), “short-lag spatial coherence” (SLSC) imaging, “mid-lag spatial coherence” (MLSC) imaging e “aperture domain model image reconstruction” (ADMIRE), dimostrando una riduzione del margine di errore nella misurazione del calcolo rispetto al B-Mode tradizionale (Tabella VI) [62].

 

Tecniche di beamforming avanzato
▪ Esaltano maggiormente l’ecogenicità del calcolo
▪ Migliorano la visualizzazione del cono d’ombra posteriore
▪ Minimizzano l’errore nella misurazione delle dimensioni del calcolo
▪ Sopprimono il segnale derivante dai tessuti circostanti

Tabella VI: Principali caratteristiche che rendono le moderne tecniche di beamforming avanzato più accurate rispetto al B-mode convenzionale nella visualizzazione e nella misurazione dei calcoli renali

 

Un altro campo di ricerca particolarmente attivo riguarda l’US tridimensionale (3D), che è già stata sperimentata con successo sulle donne in gravidanza [63] ed è in grado di ricostruire con grande accuratezza l’anatomia del sistemo calico-pielico renale [64]. L’US 3D con approccio transrettale è stato inoltre utilizzato per valutare l’efficacia terapeutica della litotripsia ad onde d’urto nei pazienti con litiasi ureterale distale [6567].

 

Conclusioni

L’US è attualmente meno sensibile e meno specifica rispetto alla TC per la diagnosi di nefrolitiasi. I bassi costi, l’assenza di radiazioni ionizzanti e la capacità di individuare la presenza di idronefrosi rendono l’US la metodica di prima scelta nelle donne in gravidanza e nei pazienti pediatrici. Il corretto settaggio dell’apparecchio ecografico e l’utilizzo del modulo color Doppler contribuiscono a migliorare sensibilmente l’accuratezza diagnostica dell’US. Ulteriori studi sono necessari al fine di implementare l’utilizzo delle tecnologie esistenti (come la “real time fusion” tra US e TC) per la diagnosi e il follow-up dei pazienti con nefrolitiasi e di validare l’efficacia di nuovi algoritmi che siano in grado di fornire una misurazione del calcolo più affidabile rispetto allo studio B-Mode convenzionale.

 

 

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