Supplemento S73 - Articoli originali

Malattie renali ereditarie con fenotipo cistico ad espressione in età adulta: non solo ADPKD2

Abstract

In recent years, the etiologies of many kidney diseases have been revealed as single-gene defects, due to the use of novel molecular genetic techniques. It is now clear that molecular diagnostics of kidney diseases plays a key role not only in the pediatric field, but also in adult nephrology. Recent data suggest that inherited disorders may account for approximately 10% of ESRD cases presenting in adulthood. Among hereditary kidney diseases, the most common are cystic diseases.

Here we describe five cases of adult-onset renal genetic disease with cystic phenotype, encountered in daily clinical practice. In particular, we discuss two cases of Polycystic Kidney Disease (PKD) and three cases of Autosomal Dominant Tubulointerstitial Kidney Disease (ADTKD). Molecular analysis was performed using Next Generation Sequencing (NGS) with a 7-gene panel for cystic kidney disease (PKD2, PKHD1, TSC1, TSC2, UMOD, HNF1B, REN).

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Introduzione

I metodi di sequenziamento di nuova generazione hanno rivoluzionato l’analisi genetica nell’ultimo decennio, spostando l’analisi da quella di singoli geni, basata su Sanger, allo screening che impiega pannelli di più geni-malattia, fino al sequenziamento dell’intero esoma (Whole Exome Sequencing, WES) e dell’intero genoma (Whole Genome Sequnecing, WGS).  Queste metodologie sono la base di una nuova generazione di test molecolari clinici [1].

Sebbene la prevalenza di ogni malattia ereditaria renale presa singolarmente sia rara, la prevalenza cumulativa è sorprendentemente elevata [2]. Attualmente, i test genetici sono raccomandati come parte del work-up diagnostico per i pazienti pediatrici con malattia renale. Le statistiche indicano che mutazioni patogenetiche possono essere causa di malattia renale allo stadio terminale (ESRD) in circa il 70% dei pazienti pediatrici [34], e in circa il 10% dei casi di ESRD che si presentano in età adulta [5].

L’elenco delle malattie renali mendeliane è cresciuto significativamente negli ultimi anni; nonostante ciò, gli studi hanno dimostrato che l’uso di test genetici non è così diffuso nella pratica clinica nefrologica dell’adulto, suggerendo che in ambito nefrologico la consapevolezza del ruolo della genetica sia inferiore rispetto ad altri campi della medicina. Oltre a chiarire l’eziologia della malattia renale, stabilire la causa genetica può influenzare notevolmente la gestione del paziente e l’esito della malattia [6]. In generale, l’accurata diagnosi di una specifica malattia può rivelarsi utile per una migliore valutazione del decorso clinico, della prognosi e per l’identificazione di manifestazioni extrarenali, che possono giovarsi di individuazione e trattamento precoci. La conoscenza del genotipo può anche aiutare a ridurre il numero di procedure invasive e consentire una scelta più consapevole delle opzioni terapeutiche disponibili. È, inoltre, assolutamente rilevante per un programma di trapianto renale, in quanto il tasso di recidiva nell’organo trapiantato varia al variare della nefropatia di base. Nondimeno, un’accurata diagnosi genetica è fondamentale non solo per i soggetti in esame, ma anche per le loro famiglie, sia nell’ambito dell’individuazione precoce di altri membri affetti, sia per l’aspetto della pianificazione familiare. L’importanza di una diagnosi molecolare precoce e specifica è sottolineata dal fatto che la causa dell’insufficienza renale sia classificata come sconosciuta in più di uno su dieci pazienti con ESRD [79] e che il 10–29% dei pazienti adulti di diversa etnia con ESRD di diversa eziologia riporti una familiarità positiva per malattia renale [1013].

Chiarita l’utilità dei test genetici anche in pazienti adulti, gran parte del dibattito si concentra attualmente sul miglior strumento per lo screening dei pazienti per malattie ereditarie renali. Mentre l’analisi tramite WGS fornisce dati su tutte le varianti (esoniche, introniche e intergeniche), i costi di sequenziamento, la complessità dell’analisi e della memorizzazione dei dati indicano che questo generalmente non è l’approccio favorito per la diagnostica clinica, anche se la situazione potrebbe cambiare in un futuro non troppo lontano. Il sequenziamento dell’esoma (WES), in cui solo la codifica dell’1% del genoma viene catturata e sequenziata, riduce i costi di sequenziamento e analizza l’insieme di geni codificanti per proteine. Tuttavia, allo stato attuale, l’approccio tramite pannello genico sembra essere ancora il più vantaggioso in ambito clinico, specie se il quadro clinico permette un orientamento sul tipo di malattia renale. Un pannello progettato ad hoc, piuttosto che l’analisi con WES, può anche schermare in modo più efficace geni difficili, come il PKD1 [14]. Un numero crescente di coorti descritte in letteratura illustra l’utilità di un approccio di screening genetico con pannelli nella nefrologia adulta, come illustrato nei recenti lavori di Mori e Bullich [1516].

Con una prevalenza di 1:500 nati vivi, le malattie renali ereditarie più comuni sono le nefropatie cistiche [17], che comprendono diverse malattie e sindromi caratterizzate dalla formazione di cisti renali che interrompono la struttura del nefrone (Tabella 1). Ad oggi, sono stati descritti circa 100 geni che causano nefropatie cistiche ereditarie. La maggior parte di questi geni sono espressi nel cilio primario delle cellule tubulari renali; difetti strutturali e funzionali del cilio portano ad una grande varietà di condizioni abbastanza diverse conosciute collettivamente come ciliopatie. Le nefropatie cistiche ereditarie si manifestano con una vasta gamma di fenotipi che vanno dalla malattia letale perinatale ad una malattia mild ad esordio in età adulta. Le forme più importanti sono la malattia renale policistica autosomica dominante (ADPKD) e la malattia renale policistica autosomica recessiva (ARPKD), seguite dal gruppo del complesso nefronoftisi (NPHP) e dalle malattie recentemente ri-classificate come nefropatie tubulo interstiziali autosomiche dominanti (ADTKD).

In questo articolo illustriamo 5 casi clinici riguardanti pazienti adulti, afferiti al nostro centro poichè affetti da nefropatia con fenotipo cistico e insufficienza renale. Dopo un’attenta valutazione clinica dei casi, la diagnostica molecolare è stata eseguita tramite Next Generation Sequencing (NGS) impiegando un pannello di geni associati a malattia genetica renale a fenotipo cistico (PKD2, PKHD1, TSC1, TSC2, UMOD, HNF1B, REN) (Tabella 2). L’analisi dei casi evidenzierà come la diagnosi genetica sia stata di aiuto nel chiarire il fenotipo clinico dei pazienti, spesso eterogeneo.

 

Il rene policistico autosomico dominante con mutazione di PKD1 (ADPKD1) e fenotipo mild

Caso clinico 1

Il primo paziente è un uomo di 66 anni, affetto da CKD stadio II (s.Cr 1.1 mg/dL) secondaria a rene policistico autosomico dominante (ADPKD) ereditato dal padre. Il paziente presenta cisti renali bilaterali in reni aumentati di volume (14 e 15.5 cm di diametro) e cisti biliari in particolare del lobo destro. Ha presentato calcolosi renale in assenza di altre complicanze attribuibili alla malattia policistica; in particolare, il paziente non soffre di ipertensione arteriosa. La diagnosi molecolare era stata precedentemente condotta tramite analisi NGS del pannello genico sopracitato e non mostrava varianti nel gene PKD2; l’analisi del gene PKD1, condotta con tecnica Sanger, documentava la presenza della variante Pro2833Ser. Tale variante, classificata come missenso, risultava descritta come likely pathogenic nell’ADPKD Mutation Database (http://pkdb.mayo.edu/). Il paziente veniva inviato a visita multidisciplinare, nefrologica e genetica; veniva ricostruito l’albero familiare (Figura 1) e proposta analisi di segregazione per confermare la patogenicità della mutazione; una figlia, di 37 anni, che mostrava cisti renali ed epatiche con funzione renale conservata veniva sottoposta a test genetico che mostrava la presenza della mutazione missenso PKD1 già identificata nel padre.

La malattia renale policistica autosomica dominante (ADPKD) è la più comune malattia cistica renale e complessivamente rappresenta il 5-10% di ESRD nei paesi sviluppati [18].  In circa il 90% dei pazienti la storia familiare è positiva, mentre nel 10% la malattia sembra essere dovuto a una mutazione de novo. L’ADPKD è dovuto a mutazioni in due geni, PKD1 e PKD2. Tuttavia, il 6-11% dei pazienti con fenotipo PKD, non hanno mutazioni rilevabili in PKD1 o PKD2 [19]. Inoltre, possono occasionalmente mimare il fenotipo cistico dell’ADPKD i fenotipi associati a mutazioni in diversi geni, come DNAJB11, HNF1B, TSC1 e TSC2, i geni autosomici dominanti della malattia del fegato policistico (ADPLD: SEC63, PRKCSH, LRP5, ALG8 e SEC61B e soprattutto GANAB) [2021].

È noto che la variabilità genica influenza fortemente la gravità della ADPKD, essendo in genere le mutazioni a carico di PKD1 in grado di determinare un fenotipo cistico più severo e progressivo. Nel caso del paziente sopradescritto, la presenza di modesta riduzione della funzione renale e l’assenza di ipertensione arteriosa in età avanzata sembrava orientare verso una mutazione a carico del gene PKD2. Inoltre, non solo il gene interessato, ma anche il tipo di mutazione sembra essere significativamente correlato con il tempo di sopravvivenza renale assoluto [2223]. Uno studio recente ha delineato come l’ESRD venga raggiunta a una età mediana di 58 anni in individui con mutazioni troncanti PKD1, a circa 67 anni per coloro con mutazioni non troncanti PKD1, e a circa 79 anni per mutazioni in PKD2 [24].

L’integrazione di fattori di rischio clinici con risultati genetici può, inoltre, migliorare ulteriormente la stratificazione del rischio nell’ADPKD, come esemplificato dall’uso del punteggio PROPKD (predittivo dell’outcome renale in ADPKD), che mostra una rapida progressione della malattia renale in presenza di mutazione PKD1 troncante associata a ipertensione e/o complicanze urologiche insorte prima dei 35 anni [25]. In generale, l’analisi genetica unita alla clinica ha permesso importanti progressi nella capacità di fornire informazioni prognostiche ai pazienti affetti da ADPKD, sebbene un certo grado di variabilità rimanga inspiegata.

Allo stato attuale, i test molecolari sono usati raramente in ambito clinico per la diagnostica di ADPKD. La maggior parte di questi pazienti non necessitano di test genetico e la diagnosi pre-sintomatica degli adulti a rischio si basa principalmente su studi di imaging ultrasonografico che utilizzano criteri ben stabiliti (diagnostica poco costosa e largamente disponibile). Esistono tuttavia una serie di scenari clinici in cui mutazioni genetiche complesse determinano variabilità del fenotipo clinico, e quindi il test genetico dovrebbe essere preso in considerazione [2627], ad esempio in soggetti con sospetto ADPKD e storia familiare negativa (I); in presenza di imaging renale equivoco (II); in un potenziale donatore di rene da vivente all’interno di una famiglia affetta, se giovane (<25 anni) o con imaging dubbio (III); in soggetti che necessitino di counselling genetico prenatale e/o diagnosi genetica pre-impianto (IV); in presenza di una forma atipica di PKD (V), come nei casi di PKD ad esordio precoce e severo, di un PKD con marcata asimmetria renale, di discrepanza tra il grado di insufficienza renale e l’imaging, di notevole e discordante variabilità fenotipica della malattia all’interno della stessa famiglia, di forme sindromiche, di sospetto mosaicismo somatico.

 

Il rene policistico autosomico recessivo (ARPKD) nell’adulto

Caso clinico 2

Descriviamo un paziente di 43 anni affetto da malattia renale cronica in fase avanzata caratterizzata principalmente da cisti bilaterali in reni di normali dimensioni e cisti epatiche. Si segnala il primo riscontro di CKD a 23 anni (sCr 2,0 mg/d-; eGFR 46) con reni di normali dimensioni e numerose piccole cisti, lieve splenomegalia e piastrinopenia. Il quadro clinico si caratterizza per lenta evoluzione della malattia renale, con reni progressivamente di dimensioni sempre minori e 8-10 piccole cisti per rene. A 40 anni peggioramento del quadro epatico con peggioramento dei segni di ipertensione portale e primo riscontro di piccole cisti epatiche. Il paziente non presenta familiarità per nefropatia.

L’analisi dei geni PKD1 e PKD2 non ha identificato varianti di sequenza, escludendo l’ipotesi di ADPKD. Tuttavia, nel gene PKHD1 sono state identificate due variazioni di sequenza in eterozigosi: Arg723Leu e Arg760His. La mutazione Arg760His è già descritta in associazione alla malattia; la variante Arg723Leu non è mai stata decritta prima d’ora. Per verificare la fase delle due mutazioni abbiamo esteso l’indagine molecolare al padre, di anni 82. La ricerca delle due varianti identificate nel figlio ha permesso di evidenziare nel padre la presenza della variante Arg760His in eterozigosi. Questa condizione genetica di eterozigosi composta per due varianti di cui una certamente patogenetica, unitamente al quadro clinico del paziente, permette di porre diagnosi di ARPKD.

Il quadro clinico presentato dal paziente, caratterizzato da cisti renali senza aumento volumetrico dei reni e da epatopatia con ipersplenismo, ben si accorda con la diagnosi di ARPKD. La piastrinopenia ha sconsigliato l’esecuzione di biopsia epatica per la conferma eventuale di fibrosi epatica.

L’ARPKD è una malattia rara (1/40.000 nati) caratterizzata principalmente da reni policistici e fibrosi epatica congenita. Il gene responsabile della malattia, PKHD1, mappa sul cromosoma 6p21, è formato da 67 esoni e codifica per una proteina denominata fibrocistina.

Sebbene il fenotipo ARPKD possa essere variabile, generalmente la malattia si manifesta in epoca prenatale con reni grandi ed iperecogeni spesso associati a oligo-anidramnios o in età neonatale-infantile con addome globoso da reni aumentati di volume, insufficienza renale, e ipoplasia polmonare. I reni ecograficamente hanno un profilo conservato e il parenchima è sovvertito da numerose minute cisti. La fibrosi epatica congenita si manifesta nel 45% dei neonati con epatomegalia e dilatazione dei dotti biliari intraepatici; più tardivamente con ipertensione portale, epato-splenomegalia e varici esofagee. La biopsia epatica ha caratteristiche peculiari: disgenesia dei dotti biliari e una proliferazione dei dotti biliari dilatati e fibrosi negli spazi portali [28]. La mortalità perinatale è elevata, circa il 30% muore per insufficienza polmonare da ipoplasia polmonare entro il primo anno di vita. A 15 anni il 60-75% dei bambini sviluppa ESRD [29]. In una percentuale minore di casi l’esordio della malattia è nell’infanzia con una predominanza dei segni clinici correlati alla fibrosi epatica congenita.

La malattia nei long-survivors è poco nota, e aneddotica è la descrizione di pazienti con ARPKD in età adulta [30]. Se le caratteristiche iconografiche renali dei bambini affetti da ARPKD sono note, il quadro ultrasonografico nell’adulto è invece poco conosciuto, rendendo difficile la diagnosi di malattia nei casi ad esordio tardivo. Il 50-55% delle mutazioni descritte nei pazienti con ARPKD è di tipo troncante. Quando sono presenti due mutazioni che danno origine ad una proteina tronca, il quadro clinico è precoce e severo. Le mutazioni missenso, altresì, sono associate a caratteristiche cliniche variabili, da forme gravi a quelle con esordio tardivo. La condizione di eterozigosi composta per due mutazioni missenso descritta nel nostro paziente potrebbe in parte spiegare l’esordio tardivo della malattia, contribuendo a definire la correlazione genotipo-fenotipo.

 

Malattia renale associata a mutazioni di HNF1B: ADTKD-HNF1B

Caso clinico 3

Il paziente è un uomo di 48 anni che presenta CKD stadio IV (s.Cr 5 mg/dL) secondaria a nefropatia non accertata istologicamente, ma con pattern urinario compatibile con tubulointerstiziopatia. Si poneva diagnosi clinica di nefropatia tubulointerstiziale sulla base dei seguenti fattori: esame urine negativo per ematuria e proteinuria; peso specifico urinario particolarmente basso a controlli seriati (PS=1008); ipokaliemia (K 3.2 meq/L) con escrezione urinaria di potassio inappropriatamente elevata rispetto alla concentrazione plasmatica. Agli esami ematochimici si segnalano, inoltre, ipomagnesiemia e intolleranza glucidica.

La diagnostica strumentale renale (US e TC) mostra reni piccoli (DX 7.2 cm, SX 8.3 cm), plurime piccole cisti renali a sinistra e una piccola calcificazione di verosimile significato litiasico al terzo medio del rene destro. Il paziente non presenta familiarità per nefropatia. Si segnala il primo riscontro di CKD (s.Cr 1.8 mg/dl) all’età di 35 anni, in seguito al quale eseguì cistografia minzionale, risultata negativa per VUR. Nel sospetto di tubulointerstiziopatia di origine genetica veniva avviata la diagnostica molecolare con pannello NGS per malattia genetica renale a fenotipo cistico. L’analisi rivelava la presenza di una variante in eterozigosi a livello del gene HNF1B (c.913A>T; p. Lys305) non descritta in letteratura.

 

Caso clinico 4

Il paziente è un uomo di 54 anni affetto da CKD stadio IV (s.Cr 3.0 mg/dL) secondaria a nefropatia tubulointerstiziale (diagnosi istologica), associata a fenotipo cistico renale bilaterale e artrite gottosa (Figura 2AFigura 2B). In particolare, la malattia renale esordiva all’età di 30 anni con riscontro di creatininemia elevata (1.8 mg/dL), esame urine non significativo ed episodi acuti gottosi in presenza di spiccata iperuricemia (9 mg/dL). Si segnalavano, inoltre, la presenza di ipopotassiemia (3.2 meq/L) e ipomagniesiemia (0.43 mg/dL). All’ecografia i reni apparivano di dimensioni ridotte con alcune piccole cisti bilaterali corticali (diametro massimo 11 mm). Il paziente eseguiva un’approfondimento bioptico renale con riscontro aspecifico di atrofia tubulare e fibrosi interstiziale. In precedenza una urografia ed una cistouretrografia minzionale avevano escluso una patologia mal formativa del tratto urinario.

Anche in questo caso il paziente non presentava familiarità per nefropatia. Nel sospetto di tubulointerstiziopatia di origine genetica si è proceduto all’esecuzione di pannello NGS per malattie cistiche renali. L’analisi ha identificato la presenza della variante c.1196delA (p.Asp399Valfs*4) in eterozigosi nell’esone 5 del gene HNF1B. Questa variante determina una mutazione troncante mai descritta in letteratura e assente nei database internazionali.

La malattia associata al fattore nucleare epatocitario 1β (HNF1B) è un’entità clinica riconosciuta di recente con un fenotipo multisistemico variabile. I primi resoconti che descrivono mutazioni in HNF1B risalgono al 1997 e lo identificano come una rara causa genetica del diabete di giovane età adulta (MODY), caratterizzato da un’insorgenza solitamente entro i 25 anni di età e da disfuzione delle cellule beta pancreatiche [31]. Questi pazienti presentavano, inoltre, cisti renali e riduzione della funzione renale e per questo motivo venne inizialmente coniata l’etichetta di cisti renali e sindrome del diabete (RCAD). È ora evidente che pazienti affetta da mutazioni di HNF1B possano presentare corredi sintomatologici molto diversificati, peraltro anche in assenza di diabete e cisti renali.

Nel 2015 la malattia correlata a HNF1B è stata riclassificata come parte del gruppo di condizioni chiamate malattie tubulointerstiziali autosomiche dominanti (ADTKD). Il termine ADTKD non solo riflette la causa genetica e il modello di ereditarietà, ma definisce malattie caratterizzate da blando sedimento urinario, fibrosi tubulare e interstiziale, malattia renale lentamente progressiva [32]. I fenotipi associati alle mutazioni di HNF1B si sovrappongono in parte con le mutazioni in UMOD, REN e MUC1, che fanno anch’esse parte dello spettro ADTKD.

La malattia associata a HNF1B si verifica in seguito a mutazioni in eterozigosi o delezioni nel gene HNF1B (noto anche come fattore di trascrizione 2 o TCF2) nella regione cromosomica 17q12.5. Come sottolineato nei due casi sopradescritti, le mutazioni de novo sono frequenti e si verificano nel 30-50% dei pazienti [3334]. HNF1B è un fattore di trascrizione che è importante nella regolazione della trascrizione e dell’espressione di diversi geni target. Perché la perdita di funzione di un solo allele sia sufficiente per causare malattia, è in gran parte inspiegabile, così come non ha ancora trovato spiegazione la limitata correlazione genotipo-fenotipo [3536]. I fattori ambientali o la regolazione epigenetica dell’espressione di HNF1B da parte del microRNA potrebbero contribuire ai risultati sopra riportati. Il fenotipo multisistemico è probabilmente attribuibile alla promiscuità funzionale del fattore di trascrizione HNF1B, coinvolto nello sviluppo del rene, del tratto urogenitale, del pancreas, del fegato, del cervello e della ghiandola paratiroidea. Oltre alla presenza di cisti renali e diabete MODY, le caratteristiche che suggeriscono una mutazione HNF1B includono:

  • Ipomagnesiemia. HNF1B sembra essere coinvolto nella trascrizione del gene FXYD2, codificante per la subunità γ dell’ATPasi sodio-potassio espressa nel tubulo contorto distale, che si ritiene svolga un ruolo nel riassorbimento del magnesio transcellulare [37]. Le mutazioni di FXYD2 sono associate anche con ipocalciuria. La combinazione di ipomagnesemia e ipocalciuria si riscontra anche nella sindrome di Gitelman, pertanto, la tubulopatia HNF1B deve entrare in diagnosi differenziale con quest’ultima.
  • Iperuricemia/gotta. La maggior parte dei pazienti con mutazioni HNF1B presenta iperuricemia e alcuni presentano gotta ad esordio precoce [38].
  • Iperparatiroidismo a esordio precoce con livelli di ormone paratiroideo (PTH) giudicati inadeguati rispetto alla funzione renale [39]. HNF1B wild-type funziona come repressore trascrizionale della produzione di PTH. Le mutazioni HNF1B trovate nei pazienti hanno perso i loro effetti repressivi sulla trascrizione del PTH.
  • Enzimi epatici elevati; atrofia pancreatica con insufficienza endocrina ed esocrina. HNF1B sembra essere coinvolto nel processo di differenziazione dei progenitori epatici e pancreatici [40]; inoltre mutazioni di HNF1B si associano ad anomalie ciliari nei colangiociti e possono causare colestasi [41].
  • Malformazioni del tratto urogenitale. Possono derivare da aplasia e fallimento della fusione dei dotti Mülleriani. L’ipospadia e altre anomalie genitali sono sporadicamente descritte in individui maschi. Queste malformazioni possono essere isolate o far parte dello spettro CAKUT [42].
  • Carcinoma renale a cellule cromofobe e altri tumori maligni [43]. Diversi studi hanno suggerito una correlazione tra varianti di HNF1B e suscettibiltà a tumori ginecologici e della prostata [44].
  • Autismo e disturbi psichiatrici. Tra i pazienti sottoposti a test genetici per disturbi dello sviluppo neurologico o psichiatrici, mutazioni di HNF1B erano più frequenti rispetto ai controlli [45].

Il fenotipo CAKUT, specialmente nei pazienti pediatrici, è relativamente facile da identificare e porta invariabilmente a screening genetico. In tutti gli altri casi, soprattutto con manifestazione clinica in età adulta, la presentazione eterogenea in combinazione con la frequente assenza di una storia familiare positiva a causa di mutazioni de novo rende difficile il riconoscimento di casi attribuibili a mutazioni in HNF1B. Come nei due casi sopracitati, il nefrologo clinico deve quindi sospettare una malattia associata a HNF1B quando il paziente presenta una CKD secondaria a nefropatia tubulointerstiziale in assenza di una chiara storia familiare, soprattutto se in presenza delle sopracitate manifestazioni aggiuntive. Nel caso in cui si documentino cisti renali, queste in genere si presentano plurime, di piccole dimensioni e non associate a ingrandimento renale.

 

Malattie renali associate ad uromodulina: ADTKD-UMOD

Caso clinico 5

L’ultimo caso presentato, già riportato dal nostro gruppo in letteratura, riguarda il capostipite di una famiglia di quattro generazioni, che comprendeva 10 membri (4 uomini e 6 donne) affetti da nefropatia cronica [46] (Figura 3). Il caso indice (I-1) aveva presentato IRC progressivamente evoluta verso l’ESRD all’età di 67 anni, associata a cisti renali midollari ed esame urine non significativo. Il paziente aveva sofferto, inoltre, di episodi gottosi dall’età di 45 anni. Una diagnosi clinica di malattia cistica della midollare (MCKD) era stata posta. Oltre al caso indice, cinque membri (II-1, II-4, II-3, III-4 e IV-1) avevano solo una diagnosi clinica, mentre quattro (III-3, III-6, III-9 e IV-6), avevano ricevuto una diagnosi clinica e istologica. Cinque dei membri affetti (II-3, III-3, III-6, III-9 e IV6) presentavano iperuricemia; in due soggetti (II-3 e III-9), l’iperuricemia era complicata dall’artrite gottosa. L’età alla diagnosi variava da 16 a 54 anni (media di 31.5 anni). Le cisti renali sono state documentate mediante ecografia in un soggetto (II3). Veniva eseguita una analisi di linkage su sei soggetti affetti e sette parenti sani che rilevava quello che al tempo era considerato un nuovo locus per malattia cistica midollare sul cromosoma 16p12; successivamente all’identificazione del gene dell’uromodulina come causa di MCKD,  mutazioni a carico di questo gene vennero identificate negli affetti di questa famiglia. Come già accennato, anche le malattie associate a mutazioni di UMOD, precedentemente conosciute come malattia renale cistica midollare di tipo II (MCKD2; OMIM 603860), nefropatia iperuricemica giovanile (FJHN; OMIM 603860) e malattia renale glomerulocistica (GCKD; OMIM 609886) sono state codificate nel gruppo ADTKD [32, 4748]. Più di 100 mutazioni nel gene UMOD (16p12.3) sono state descritte finora; la maggior parte delle mutazioni si raggruppa negli esoni 4 e 5, causando la sostituzione dei residui di cisteina e portando a misfolding della molecola UMOD [49]. Il gene UMOD codifica l’uromodulina, anche nota come proteina di Tamm-Horsfall, prodotta dalle cellule epiteliali che rivestono il tratto ascendente spesso (TAL) dell’ansa di Henle. Sebbene l’uromodulina rappresenti la proteina più abbondante nelle urine normali, la sua funzione è solo parzialmente conosciuta. L’eziopatogenesi di malattia risiede verosimilmente nell’accumulo di uromodulina mutante nel reticolo endoplasmatico delle cellule TAL, con conseguente diminuzione della sua secrezione (Figura 4). L’alterazione del trafficking intracellulare altera il trasporto del canale NKCC2 sulla superficie luminale delle cellule epiteliali del TAL [5051]. Il risultante difetto di concentrazione urinaria e la conseguente deplezione del volume possono aumentare il riassorbimento di sodio nel tubulo prossimale e secondariamente di acido urico, con conseguente iperuricemia. Inoltre, la ritenzione UMOD può avviare un processo infiammatorio, probabilmente innescato da percorsi di stress ER attivati ​​nelle cellule TAL, con conseguente progressiva fibrosi interstiziale [52].

L’ADTKD-UMOD è una patologia tubulointerstiziale in cui si assiste a progressiva perdita della funzione renale, fino all’ESRD che generalmente viene raggiunta nella tarda età adulta [5354]. Rispetto alle altre forme di ADTKD, il quadro clinico è spesso caratterizzato da iperuricemia e gotta. Generalmente la gotta è presente in diversi membri della famiglia e la sua età di esordio può variare in modo significativo. Le cisti corticomidollari sono rilevabili ecograficamente in circa un terzo dei casi, mentre l’istologia mostra segni aspecifici quali fibrosi interstiziale e atrofia tubulare [5556]. La correlazione genotipo-fenotipo nell’ADTKD-UMOD è stata esaminato in due grandi coorti di pazienti. In uno studio francese, 37 mutazioni UMOD sono state identificate in 109 pazienti di 45 famiglie. La maggior parte dei pazienti aveva iperuricemia; la gotta era presente nel 75% degli uomini e nel 50% delle donne. L’età media al primo episodio gottoso era di 21 anni. Le cisti sono state rilevate nel 34% dei pazienti. La sopravvivenza renale mediana era di 54 anni. Il fenotipo non è stato predittivo della mutazione UMOD e si è osservata una elevata variabilità intrafamiliare della sopravvivenza renale [57]. In una seconda serie di 202 pazienti di 74 famiglie con 59 diverse mutazioni di UMOD, l’età media all’esordio di iperuricemia, gotta e ESRD era rispettivamente di 24, 40 e 56 anni. Il tipo di mutazione sembrava influenzare la progressione della malattia renale, poiché l’età media allo sviluppo di ESRD era più bassa nei pazienti con mutazioni nei domini EGF2 e EGF3 [58]. La prevalenza di ADTKD-UMOD è difficile da determinare: l’insufficienza renale lentamente progressiva, il blando sedimento urinario e l’imaging spesso negativo rendono elusiva la diagnosi corretta. Nel nostro caso il sospetto diagnostico è stato facilitato dalla presenza di estesa familiarità per nefropatia tubulointerstiziale con fenotipo cistico associata a esordio precoce di iperuricemia/gotta.

 

Conclusioni

In questo articolo abbiamo descritto 5 casi clinici di pazienti affetti da nefropatia tubulointerstiziale e fenotipo cistico. Dalla descrizione dei casi emerge come molte malattie genetiche possano esordire in età adulta e manifestarsi con una gamma più ampia di fenotipi di quanto si pensasse in precedenza. Queste espansioni fenotipiche dissipano la visione classica che esista una relazione uno-a-uno tra un gene e una malattia e sfidano le tradizionali classificazioni cliniche. Una diagnosi genetica precoce può evitare l’odissea diagnostica che molti pazienti attraversano. Nei casi illustrati in questo articolo, alcuni pazienti sono stati sottoposti a vari accertamenti radiologici (cistografia, urografia) e ad agobiopsia renale. Inoltre, la diagnosi genetica può fornire una più profonda comprensione della patogenesi della malattia, informare la prognosi e guidare la gestione clinica. Può indicare comorbidità renali ed extrarenali che altrimenti richiederebbero più tempo per la diagnosi e che potrebbero trarre beneficio dall’individuazione precoce e dal monitoraggio della malattia. L’assistenza attraverso una consulenza genetica specifica e la discussione dello spettro previsto dei sintomi e del rischio di ricorrenza (ad esempio, nel contesto della pianificazione familiare e del trapianto) sono possibili solo quando il genotipo sottostante è noto. Sebbene lo sviluppo del NGS abbia consentito il diffondersi della diagnostica genetica clinica, non è da sottovalutare come l’interpretazione del dato genetico risulti essere la parte più impegnativa e laboriosa dell’analisi. L’utilizzo di pannelli genici in ambito clinico sembra essere, allo stato attuale, un approccio vantaggioso.

 

 

Bibliografia

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