Supplemento S73 - Articoli originali

Aging e rene – Il trapianto renale con donatore deceduto anziano

Abstract

Con l’incremento dei pazienti in attesa di trapianto renale senza un concomitante aumento del numero di donatori disponibili si è reso necessario di allargare progressivamente in criteri di accettazione del donatore deceduto sia in termini di età che di caratteristiche cliniche con ovvie conseguenze in termini di qualità dei reni a disposizione. Infatti con l’età vi è una riduzione del filtrato glomerulare a cui si aggiungono ulteriori “danni” a carico dell’organo di varia natura sia pre-esistenti che al momento del trapianto. Il donatore anziano è pertanto da tempo definito come marginale o subottimale con criteri di allocazione ben definiti che si sono modificati nel corso del tempo a partire dalla prima definizione del 1999 (cosiddetti criteri di Crystal City) fino ai più recenti algoritmi (KDRI/KDPI).

Per ridurre il tasso di scarto di tali organi ed al tempo stesso assicurare buoni tassi di sopravvivenza per i riceventi sono state utilizzate differenti strategie a partire dalla valutazione del donatore (includendo l’analisi istologica pre-trapianto), alla gestione del prelievo e del trapianto e al follow up dei riceventi. Nel presente articolo si analizzano tali strategie nel dettaglio e per ognuna si pone l’accento su punti di forza e criticità nonché su come siano state utilizzate nelle differenti realtà trapiantologiche. Un capitolo peculiare è dedicato al doppio trapianto renale ed alla sua evoluzione nel tempo. Nella parte finale si mette in evidenza l’esperienza del centro Torinese nella gestione dell’allocazione dei reni marginali con riferimento anche all’andamento del ricevente nel lungo termine.

In conclusione gli autori confermano la tesi sostenuta da molti autori che propongono il trapianto di rene da donatore deceduto anziano come un’alternativa valida per utilizzare al meglio il pool di organi disponibili riducendo la “discard rate” e assicurando accettabili tassi di sopravvivenza per i riceventi (seppure come ovvio inferiori a quelli ottenibili con donatori standard). L’ottenimento di tali risultati non può prescindere da strategie dedicate e da un approccio multidisciplinare oltre che dal costante aggiornamento dei clinici coinvolti.

Parole chiave: trapianto renale, donatore deceduto anziano, criteri di allocazione, doppio trapianto.

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Introduzione

È un dato ben noto che si assiste nel mondo ad una crescita dei pazienti in lista per trapianto di rene, determinata dall’aumento di incidenza della malattia renale e dall’allargarsi delle indicazioni alla sostituzione naturale dell’organo in associazione al restringersi dei limiti dovuto al progresso della medicina in generale e della trapiantologia in particolare.

Per contro, non si verifica un pari aumento dei donatori ed in particolare dei donatori deceduti (sia nel mondo americano che nella realtà europea ed italiana). Il divario tra la richiesta e l’offerta trova una parziale correzione nei donatori viventi pur rimanendo significativo. Nell’ambito dei donatori deceduti una risorsa ben nota in misura incrementale – eppure sempre fonte di dibattito – è quella del donatore anziano.

In termini ormai obsoleti, il donatore anziano è un donatore marginale. Infatti, con l’aumentare dell’età si assiste ad una perdita di nefroni con conseguente riduzione progressiva del filtrato glomerulare (GFR) che si attesta all’incirca ad 1 ml/min/anno dopo i 40 anni di età [1]. Tale assunto è valido per il donatore vivente sano ed ancor più per il donatore deceduto [2]. In tale contesto si aggiungono ulteriori fattori di “marginalità” quali il danno da ipertensione, la malattia cardiovascolare, l’aterosclerosi e l’ischemia. A ciò si aggiungono fattori specifici al momento del trapianto e dopo il trapianto tra cui il danno da ischemia-riperfusione e la maggiore suscettibilità alla nefrotossicità della terapia immunodepressiva.

Il donatore anziano è stato da tempo spesso definito come donatore marginale o subottimale. Questa definizione mutuata dalla terminologia in uso negli USA nei primi anni 2000 può essere più adeguatamente corretta con la sigla ECD (expanded criteria donors), donatori a criteri allargati, senza offrire l’accezione negativa implicita nell’aggettivo marginale.

In ambito trapiantologico il donatore anziano rientra in criteri di allocazione ben definiti. In primis a partire dal 1999 in seguito alla conferenza di Cristal City si svilupparono i criteri di definizione per il cosiddetto donatore marginale o expanded criteria donor (ECD) rappresentati da età del donatore maggiore di 60 anni o tra 50-59 anni con almeno 2 su 3 caratteristiche tra ipertensione, causa di morte cerebrovascolare e creatinina al prelievo > 1,5 ,g/dl [3].

Più recentemente a partire dal Giugno 2013 su spinta del mondo trapiantologico americano, è stato introdotto un nuovo algoritmo di definizione del  donatore ed allocazione d’organo il cosidetto ”kidney donor risk index” successivamente  denominato “kidney donor profile index” (KDRI/KDPI), che tiene conto di 10 differenti caratteristiche cliniche del donatore: età, altezza, peso, razza, ipertensione, diabete, causa di morte, creatininemia, HCV positività e morte cardiaca [4, 5].

L’introduzione del KDPI da parte della UNOS aveva tra l’altro lo scopo di ridurre il livello di scarto (discard rate) di reni per vari motivi subottimali. Questo, sempre nell’ottica di ridurre il divario tra domanda ed offerta. Infine basandosi sul concetto di “longevity match” cioè, nella sostanza, reni migliori a individui con migliore aspettativa di vita, si auspicava di poter allocare anche reni subottimali a riceventi con minor aspettativa di vita, concetto non molto dissimile dalla strategia dell’”old for old” proposta in Europa dal programma Eurotransplant [6].

L’altro modo per ridurre la” discard rate” è il doppio trapianto che tuttavia è assai difficilmente legato ad un incremento del numero effettivo di trapianti eseguiti, nel senso di sottrarre due pazienti alla dialisi. Ed infine, altra strategia degna di nota è rappresentata dall’utilizzo delle macchine da perfusione non solo per i donatori a cuore non battente, pratica già molto diffusa in vari paesi Europei oltre che in USA, ma ancora poco in Italia.

In realtà l’introduzione del KDPI non ha ancora portato all’auspicata riduzione del tasso di scarto d’organo, per cui il dibattito è tuttora aperto sia sulla sua reale validità di applicazione ed universalità, sia su quali parametri sia meglio scegliere per giudicare un rene “anziano” [7]. A tale riguardo va notata la critica, da varie parti sottolineata,  del livello di concordanza statistico non molto elevato associato al KDPI (“C statistic” 0,63), non offrendo pertanto un così valido supporto matematico alla decisione di accettare o rifiutare organi [8].

 

Il donatore anziano negli ultimi 20 anni

A partire dal 1999 è stata incontrovertibilmente dimostrata la migliore sopravvivenza del trapianto renale sulla dialisi in seguito dimostrata anche per pazienti comorbidi a vario titolo  ed anche con donatori marginali (+ 5 anni di sopravvivenza media rispetto a pazienti corrispondenti rimasti in dialisi) [911].

Tale dimostrazione risulta applicabile anche con donatori con elevato KDPI come dimostrato in una recente casistica statunitense su oltre 40000 soggetti [12]. In tale studio vengono inoltre sottolineati due ulteriori importanti assunti: utilizzare reni con elevato KDPI in soggetti anziani ed assicurare ove possibile il trapianto prima della dialisi per i riceventi di organi con elevato KDPI.

Anche l’esperienza spagnola su pazienti trapiantati con donatori > di 65 anni ha dimostrato una mortalità 2.6 volte superiore per pazienti corrispondenti rimasti in dialisi (mortalità inferiore del 60% anche per pazienti trapiantati con donatori molto anziani > di 75 aa) [13].

Anche l’utilizzo del doppio trapianto può rappresentare un’alternativa, ancora non praticata in maniera estensiva e universale per ottimizzare l’utilizzo del donatore anziano.

In ultima analisi, anche trapiantare con reni provenienti da donatori anziani e con comorbidità, siano essi definiti con criteri ECD o KDPI, assicura ai riceventi migliori sopravvivenze che ai pazienti in dialisi. Tuttavia, per migliorare i risultati per questa categoria di donatori, è opportuno utilizzare alcuni accorgimenti e tenere conto di alcune valutazioni supplementari che andremo brevemente ad elencare e a trattare separatamente nei paragrafi sottostanti: accoppiamento donatore ricevente “old for old”, problema dell’ischemia fredda, problema della biopsia sul donatore, ottimizzazione della terapia sul ricevente, implementazione del doppio trapianto, riduzione del tasso di scarto d’organo.

 

Accoppiamento donatore/ricevente (“Old for old”)

L’esperienza europea facente capo al gruppo Eurotransplant pubblica, a partire dal 2008, risultati favorevoli dell’allocazione “old for old” (reni anziani a riceventi anziani) senza badare alla compatibilità ma mirando a ridurre il tempo di ischemia fredda e di conseguenza il rischio di Delayed graft function (DGF) e gli effetti negativi ad esso correlati, maggiori nei reni “marginali” [14].

Esperienze successive hanno dimostrato come la coppia donatore anziano – ricevente  giovane rappresenti in effetti la combinazione più sfavorevole dal punto di vista della sopravvivenza d’organo, con svantaggi anche dal punto di vista immunologico [15, 16].

Qualche anno più tardi, nel 2014, lo studio di Massie et al ha chiaramente dimostrato come si possa ottenere un beneficio di sopravvivenza accettando reni con elevato KDPI (> 90%) per riceventi maggiori di 50 anni (si ricorda che un rene con KDPI > 85% è grossomodo corrispondente alla pregressa definizione di ECD), ulteriormente confermando la necessità di uno schema “old for old” [17].

 

Ischemia fredda (“cold ischemia time – CIT”)

È noto come l’incremento del tempo di ischemia fredda (CIT) aumenti la probabilità di DGF del ricevente, ma che impatto ha sulla sopravvivenza d’organo a breve e lungo termine?

Dai dati del Collaborative Transplant Study europeo se CIT risulta maggiore di 18 ore si ha un aumento del 10% del rischio di perdita dell’organo trapiantato. Un recente studio francese su quasi 4000 trapianti ha dimostrato un aumentato rischio di perdita del rene e di mortalità per ogni ora addizionale di  ischemia fredda [18].

Inoltre, un recente studio australiano di Wong e collaboratori ha dimostrato un incremento del rischio di perdita del rene trapiantato del 2% maggiore per ogni ora di CIT superiore alle 14h. Tale impatto è stato dimostrato maggiore per donatori > di 55 anni o in morte cardiaca, con effetto sinergico tra queste due caratteristiche (HR di perdita organo trapiantato 3,4 volte maggiore) [19].

In relazione a ciò appaiono rilevanti iniziali evidenze di come la perfusione pulsatile ossigenata con macchina da perfusione possa avere un effetto protettivo sulla DGF anche nei donatori a cuore non battente ed anziani controbilanciando l’effetto negativo dell’ischemia fredda in tali organi più suscettibili [20, 21].

 

Biopsia

La dicotomia di vedute  tra sostenitori e detrattori della biopsia  trova  un’ evidente  dimostrazione in una frase  nel lavoro di Tanriover e colleghi [22] : “ kidneys that undergo pretransplant kidney biopsy are at increased risk of discard..”

Questa affermazione riflette il punto di vista, prevalentemente, ma non solo, americano secondo cui la biopsia pre-trapianto del donatore non sia uno strumento valido perché per la sua natura intrinsecamente focale, può tendere a sovra- o sottostimare il danno, causando appunto un incremento dello scarto in caso di sovrastima e una allocazione erronea in caso di sottostima.

Un esempio di sovrastima può essere rappresentato dalla glomerulosclerosi in caso di biopsia a cuneo (“wedge biopsy”).  Senza considerare, in aggiunta, come la glomerulosclerosi stessa di per se non sia un segno  affidabile per la previsione dell’esito del trapianto, come già suggerito da studi di anni parecchio precedenti, proponendo di volta in volta il danno interstiziale o quello vascolare come indicatore più   adeguato [23, 24].

Altri argomenti non favorevoli all’utilizzo della biopsia sono i costi (considerando la movimentazione di personale tecnico e medico in reperibilità) e l’allungamento dei tempi di ischemia fredda (quest’ultimo ancor più ove si consideri la possibilità di ripetizione dell’esame in caso di campione non adeguato). Proprio questo secondo dato ha un impatto ancor più negativo nel donatore anziano, proprio dove la biopsia sarebbe più da praticarsi.

Infine bisogna considerare due ulteriori punti. Il primo è quello della complicanza post bioptica – emorragica, nella stragrande maggioranza dei casi non grave, rara ma possibile. Il secondo è quello della lettura della biopsia; in particolar modo la “quasi necessità” di un patologo esperto [25], pertanto operante in reperibilità , per la lettura in urgenza (presso il nostro centro il tempo totale per la processazione e lettura del campione è di circa 4 ore 24/24 ore tutti i giorni dell’anno).

Da ultimo ricordiamo come principalmente siano adottati due tipi di tecniche bioptiche: a cuneo e con ago, con differenti pro e contro. Un terzo tipo di biopsia, utilizzato più marginalmente, è la “punch biopsy”, ideata per le biopsie cutanee, ma estensibile con successo alla biopsia renale.

L’atteggiamento poco incline alla biopsia si trova anche in centri europei; un esempio per tutti ritrovabile nel lavoro di Aubert e del Paris Transplant Group: in una analisi su 916 reni da ECD il lavoro dimostrerebbe come la biopsia non possegga un potere predittivo sulla sopravvivenza del trapianto da donatore “marginale”, potere che invece avrebbero sia il tempo di ischemia fredda che la positività per DSA. Gli autori pertanto concludono affermando che la biopsia non rappresenti il miglior approccio per decidere sull’allocazione di tali organi [26].

A favore della biopsia come strumento per l’allocazione e per il rifiuto sono invece varie voci europee ed italiane.

A livello europeo ricordiamo il contributo di autori  britannici [27] e spagnoli [28], ad esempio.   In Italia  Remuzzi ha propugnato dall’inizio degli anni 2000 [29] il suo uso, fissando il limite del Karpinsky score (che  classifica la lettura delle lesioni nelle quattro sedi: glomerulo, tubulo, interstizio, vaso) a 3 per l’attribuzione del rene a singolo trapianto, maggiore di 6 per il rifiuto, con l’opzione doppio trapianto  per  gli scores 4-5-6. Gli ottimi risultati riportati ne sono  lo specchio [30] .

Anche altri gruppi italiani si sono dimostrati a favore dell’utilizzo della biopsia esibendo buoni risultati. Ne sono esempio il  gruppo dell’Emilia Romagna [31], tre gruppi del Nord Italia Transplant [32] (applicando lo score istologico secondo Remuzzi) e il gruppo di Torino [33] (adottando in una parte consistente della casistica lo score  4  come soglia per il singolo trapianto, vedi a tal proposito anche paragrafo sul doppio trapianto).  Sottolineiamo come in Piemonte l’applicazione del dato istologico non sia isolata in se stessa ma associata ad una valutazione collegiale con il chirurgo che tiene conto degli aspetti macroscopici e funzionali/anamnestici, a discrezione degli operatori.

 

Ottimizzazione terapia sul donatore

La trattazione della terapia del ricevente anziano e di rene “marginale” non fa parte degli scopi di questa relazione.  Si rammenta l’indicazione ad utilizzare la globulina antilinfocitaria (a dosi controllate, non superando i 5-6 mg/kg in totale) anche nei riceventi di organi di qualità sub-ottimale anche per ridurre i livelli di inibitore delle calcineurine nell’immediato post-trapianto onde diminuirne il potenziale nefrotossico. Uno schema di immunodepressione dell’anziano che riceve un organo con caratteristiche di marginalità è quello proposto dal gruppo di Tullius che riteniamo degno di considerazione [34].

 

Doppio trapianto

Il doppio trapianto è stato introdotto alla fine degli anni ’90 nel tentativo di espandere il pool di organi disponibili in un contesto di scarsità di risorse [35]. In particolare, con i programmi di doppio trapianto, si ipotizza di superare lo sbilanciamento tra la limitata massa nefronica dei donatori “marginali” e le richieste metaboliche del ricevente. In tale modo si mira a ridurre il tasso di scarto con il recupero di organi altrimenti destinati ad essere rifiutati e al tempo stesso ottimizzando i risultati del trapianto con donatore anziano o molto anziano e comorbido.

Un obbiettivo principale per i programmi di doppio trapianto deve essere l’utilizzo di un criterio di allocazione uniforme per i reni provenienti da donatore subottimale. L’allocazione deve al tempo stesso assicurare esiti sovrapponibili in termini di sopravvivenza d’organo e paziente e di funzionalità renale e permettere un numero sufficiente di trapianti con ridotti tassi di scarto e un bilanciamento tra organi allocati in singolo ed in doppio. Nell’ambito del tentativo di sviluppare criteri condivisi di allocazione a doppio  trapianto sono stati considerati, da differenti gruppi, criteri eminentemente istologici (utilizzo del cosiddetto score di Remuzzi con allocazione in DKT di tutti gli organi provenienti da donatore > di 60 anni con Karpinski score > 3 [30]), parzialmente istologici (valutazione bioptica della sola glomerulosclerosi [36]) o eminentemente funzionali (allocazione in doppio trapianto degli organi provenienti da donatori con eGFR < 60 ml/min [37]).

In tale dibattito appare rilevante anche il tentativo della UNOS di creare un algoritmo di allocazione che tentasse di associare caratteristiche clinico-funzionali ed istologiche [38]. Nonostante i numerosi tentativi e le differenti esperienze in tutto il mondo lungo gli ultimi 20 anni, ancora non vi è tuttavia accordo sul più corretto schema di allocazione da adottarsi, questo anche limitato dall’eterogeneità e scarsa riproducibilità degli studi inerenti il DKT [39].

Di notevole interesse appare anche l’esperienza italiana del centro di Padova, ad oggi la più vasta casistica monocentrica italiana di doppio trapianto con 200 casi in 14 anni di attività. Anche tale studio, con criterio di allocazione istologico sulla base dello score di Remuzzi, ha dimostrato ottimi risultati per il doppio trapianto a 5 anni con sopravvivenza d’organo > del 90% e con limitate complicanze mediche e chirurgiche [40].

Con l’introduzione del sistema di allocazione KDRI/KDPI anche il doppio trapianto ha assunto una nuova importanza. In un recente studio di Tanriover et al il doppio trapianto da donatori con KDPI elevato (90%) dimostra sopravvivenza d’organo a 5 anni significativamente migliore rispetto ai trapianti singoli con beneficio anche in termini di riduzione della “discard rate”. Si dimostra pertanto che organi con alta probabilità di essere scartati possano essere utilizzati per il doppio trapianto con buoni risultati [22].

Un ulteriore pool di organi per il doppio trapianto può essere rappresentato da donatori non a cuore battente con caratteristiche di marginalità. In questo caso appare importante l’utilizzo della macchina da perfusione come segnalato da iniziali esperienze; è opportuno che l’allocazione in doppio sia valutata sia mediante parametri clinico-istologici che con parametri funzionali, prima e durante la perfusione (es. indici di resistenza) [27, 41].

 

Esperienza di Torino

L’esperienza del centro torinese in un lavoro presentato nel 2014 ha dimostrato la non inferiorità di andamento dei doppi trapianti rispetto ai trapianti singoli da donatore marginale [42]. Tale dato riguarda 100 doppi trapianti con età media del donatore > 70 anni (massima 88 anni) con un follow up medio di circa 8 anni.  L’algoritmo di allocazione in vigore nel nostro centro prevede un criterio combinato clinico, funzionale ed istologico di allocazione in DKT con Karpinsky score > 4 (tale criterio è entrato in vigore a partire dal 2005 con il superamento del precedente criterio di allocazione in DKT a partire dallo score di 4 senza differenze di andamento tra i due periodi (Fig 1), nella popolazione in oggetto il Karpinsky score medio è di 6,66 ± 2,47). La bontà di tale strategia di allocazione è dimostrata anche dai risultati accettabili nei casi di trapianti doppi divenuti singoli per complicanze chirurgiche intra o periprocedurali necessitanti espianto di uno dei due reni.

L’utilizzo del doppio trapianto come strumento per contenere il tasso di scarto di organi senza incorrere in una riduzione eccessiva della sopravvivenza d’organo è stato ulteriormente messo in evidenza da un lavoro torinese del 2017. In tale studio si prendevano in considerazione oltre 600 trapianti da donatore ECD suddivisi secondo le decadi di età del donatore e si osservava una non inferiorità del doppio trapianto rispetto al singolo per l’intera coorte dei donatori marginali – Fig 2 – mentre il DKT aveva risultati migliori del trapianto singolo quando effettuato con donatori ≥ 80 anni – Fig 3. Tali risultati sono stati ottenuti comunque a fronte di un contenimento del tasso di scarto d’organo che si assesta intorno al 20% per donatori marginali compresi tra 50 e 80 anni, salendo intorno al 50% solo per i donatori ≥ 80 anni, con un OR di circa 6 volte superiore alla popolazione di riferimento (donatori di età compresa tra 50 e 60 anni) ma comunque inferiore ad analoghe esperienze USA con donatore marginale molto anziano (ovvero con KDPI > 85%) – Tab 1.

Stimolati dal nostro lavoro e dal dibattito internazionale sui nuovi sistemi di allocazione, abbiamo analizzato la nostra casistica anche per quanto concerne il KDPI con riscontro di quasi il 50% di donatori con KDPI > 95% (11% con KDPI di 100%). Non è stata peraltro dimostrata alcuna differenza di sopravvivenza nelle differenti fasce con KDPI molto elevato (> 85%).

 

Conclusioni

Il panorama relativo all’uso del donatore anziano appare tuttora frastagliato, anche dopo decenni di esperienza, eppure con alcuni punti inoppugnabili. Tali punti sono, non paradossalmente, in parte tra loro contrastanti: da un lato la minore longevità del trapianto rispetto a quelli eseguiti da donatori più giovani, con comorbidità minori o assenti, dall’altro la necessità di non bloccarne a priori l’uso proprio per poter offrire sempre a più pazienti l’opzione trapianto, ampiamente dimostrata come superiore alla dialisi per sopravvivenza ma anche per qualità di vita (per tutti i tipi di pazienti). Inoltre, lo sviluppo in aumento negli anni più recenti del trapianto prima della dialisi  proprio per i migliori risultati di sopravvivenza in assoluto [12, 43] porta ancor più a percorrere  anche questa strada, non potendosi certo usare solo donatori viventi a fronte di una sempre maggiore richiesta  per tutte le fasce di età.

Di qui il legame che può unire  questi due fattori , cioè  l’utilizzo al meglio delle possibilità proprio per  ridurre  quel tasso di scarto ancora così alto in USA (58,4% nel 2017 per i reni con KDPI > 85%) [4447].

Nel nostro paese alcuni  gruppi  hanno difeso questa strategia , acquisendo esperienze  e buoni risultati, con proposte di allocazione simili [30, 31].

Ad esempio nell’ultimo lavoro  pubblicato su questo argomento all’atto della stesura di questo testo, il gruppo facente capo ai tre centri Bergamo, Verona e Padova [32] propone l’utilizzo di donatori decisamente anziani, > 80 anni, con il supporto della biopsia e con il Remuzzi score per l’allocazione singolo/doppio trapianto. I risultati in un follow-up di sette anni sono buoni, con una allocazione prevalente in doppio (33/37 donatori) e con uno scarto basso (13 donatori su 50, pari al 26%), arrivando alla medesima conclusione favorevole all’uso di donatori anziani, anche senza essere così favorevoli al doppio trapianto come altri gruppi, ad esempio quello catalano.

Gli accorgimenti per l’utilizzo dei donatori anziani dove il limite di età sia biologico molto più che anagrafico sono la strategia vincente. A quelli qui esposti va aggiunto un incremento dell’uso della perfusione dei reni con macchina, per il quale nell’ambito di questa tipologia di donatori sono attesi studi più approfonditi.

Ovviamente una condizione non modificabile è invece l’età con le precedenti eventuali comorbidità del ricevente. Perciò gli accorgimenti per lo più terapeutici sul ricevente sono l’altra indispensabile faccia della medaglia (non soggetto di questo scritto).

Per concludere l’utilizzo dei reni da donatori a criteri estesi è fondamentale per contrastare la carenza di organi disponibili e deve essere guidato da due principi fondamentali:

  • sviluppando e migliorando gli accorgimenti che ne implementano l’utilizzo efficace e “sicuro” nel rispetto del “longevity match” e per il maggior numero di pazienti.
  • limitando al massimo il tasso di scarto, consci però che sarà sempre più elevato che in donatori più giovani, affinchè si rispetti la prima regola, cioè di non minare la sicurezza del ricevente.

 

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