Luglio Agosto 2019 - Nefrologo in corsia

Minimal change disease during lithium therapy: case report

Abstract

Lithium is a largely used and effective therapy in the treatment of bipolar disorder. Its toxic effects on kidneys are mostly diabetes insipidus, hyperchloremic metabolic acidosis and tubulointerstitial nephritis. Also, a correlation between lithium and minimal change disease has sometimes been described.

We report here the case of a patient with severe bipolar disorder on lithium therapy who, without any pre-existing nephropathy, developed nephrotic syndrome and AKI with histopathologic findings pointing to minimal change disease.

The patient was treated with symptomatic therapy; the discontinuation of lithium therapy resulted in the remission of AKI and of the nephrotic syndrome, thus suggesting a close relationship between lithium and minimal change disease.

 

Keywords: minimal change disease, lithium, nephrotic syndrome

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Introduzione

La glomerulonefrite a lesioni minime è una delle principali cause di sindrome nefrosica idiopatica. Nella popolazione adulta rappresenta circa il 15% dei casi di sindrome nefrosica idiopatica, rappresentandone la terza causa, in ordine di importanza, dopo la glomerulonefrite membranosa e la sclerosi segmentaria e focale [1, 2, 3]. Al contrario, nella popolazione infantile la glomerulonefrite a lesioni minime rappresenta la causa più comune di sindrome nefrosica, essendo presente nel 70-90% dei casi; avvicinandosi all’età puberale tale percentuale si riduce significativamente e aumenta di pari passo la frequenza di glomerulonefrite membranosa.

La presentazione clinica più frequente della glomerulonefrite a lesioni minime è la sindrome nefrosica conclamata, caratterizzata da edemi declivi, diffusi fino in sede periorbitaria, scrotale e labiale, oppure un vero e proprio stato anasarcatico con ascite, versamento pleurico e pericardico. La deplezione del volume intravascolare e l’oliguria sono spesso presenti e, insieme a fattori concomitanti come ad esempio sepsi, diarrea e l’utilizzo di diuretici, può condurre ad insufficienza renale acuta [1, 2].

Istologicamente la microscopia ottica e l’immunofluorescenza non mostrano lesioni glomerulari, mentre la microscopia elettronica mostra il caratteristico appiattimento dei podociti.

La grande maggioranza dei pazienti con sindrome nefrosica e reperto bioptico renale di glomerulonefrite a lesioni minime ha una forma primitiva o idiopatica.

Una presentazione analoga è peraltro descritta in un numero crescente di condizioni predisponenti che configurano un gruppo ibrido di malattie a lesioni minime secondarie. Ne sono elencate al momento sei categorie principali, rispettivamente dovute a neoplasie, farmaci, infezioni, atopia, malattie autoimmuni e miscellanee [1, 4]. Glomerulonefriti a lesioni minime secondarie sono state descritte in un’ampia varietà di neoplasie tra le quali linfomi, carcinomi renali e neoplasie dell’apparato digerente [18]. Tra i farmaci eventualmente responsabili sono da ricordare gli antinfiammatori non steroidei, alcuni antibiotici e numerosi altri farmaci.

In letteratura sono descritti casi di sindrome nefrosica indotte da terapia con litio [5, 6, 7, 8, 9, 10, 11]. Più comunemente, la terapia con litio può causare l’insorgenza di diabete insipido nefrogenico, nefropatia tubulo-interstiziale cronica e necrosi tubulare acuta [5, 12]. In alcuni rari casi è stata riportata una relazione causale tra l’uso di litio e lo sviluppo di sindrome nefrosica [5,, 6, 7, 8, 9, 10, 12].

Descriviamo qui il caso di un paziente che, in assenza di una preesistente patologia renale, ha sviluppato sindrome nefrosica ed insufficienza renale acuta con diagnosi istologica di glomerulonefrite a lesioni minime. Il paziente era in terapia cronica con litio e presentava livelli ematici di litio poco superiori ai limiti di norma; la patologia renale è andata in remissione spontanea dopo la sospensione della terapia con litio.

 

Caso clinico

Un uomo di 53 anni giungeva presso il pronto soccorso del nostro ospedale nel settembre 2018 per la comparsa di edemi declivi da circa 10 giorni ed episodi di dispnea notturna. In anamnesi si segnalava un’importante sindrome ansioso depressiva in terapia con litio, ipertensione arteriosa e dislipidemia.

La radiografia del torace, eseguita all’ingresso, non mostrava addensamenti parenchimali né segni di sovraccarico idrosalino. L’ecografia dell’addome mostrava reni dimensionalmente nei limiti, l’assenza di segni di idronefrosi, e una minima falda fluida endoaddominale e nel recesso retto vescicale.

Il paziente veniva dunque ricoverato nel reparto di Nefrologia.

Gli esami laboratoristici eseguiti durante la degenza mostravano un quadro di sindrome nefrosica conclamata ed insufficienza renale di grado moderato (proteinuria superiore a 150 mg/dl e 11.76 gr/ urine 24 ore, albumina sierica 20g/L, creatinina 1,4 mg/dl, urea 106 mg/dl) entrambe non note in precedenza (il dato precedente, di maggio 2018, era di creatinina 0,91 mg/dl e proteinuria assente all’esame chimico-fisico delle urine), in assenza di flogosi e con urinocoltura negativa; l’esame emocromocitometrico e la funzionalità epatica risultavano nella norma.

L’esame elettroforetico delle proteine sieriche era negativo per ricerca di componenti monoclonali, così come negativa risultava la ricerca di proteina di Bence Jones urinaria; risultava però compatibile con un profilo da sindrome nefrosica.

Inoltre:

  • le immunoglobuline sieriche IgA e IgM risultavano nella norma, mentre si riscontrava riduzione dei valori di IgG (2.46 g/L, range 7.00-16 g/L) da inquadrare nel contesto di grave disprotidemia;
  • i livelli di complemento sierico risultavano nel range di normalità (C3 e C4);
  • i livelli sierici di litio risultavano lievemente oltre i limiti superiori di norma (1.22 mM/L, range 0.6-1.2 Mm/L);
  • la ricerca di anticorpi ANCA risultava negativa, mentre vi era una debole positività per Anticorpi Anti Nucleo (ANA titolo 1:80, significativo 1:160);
  • negativa inoltre risultava la ricerca di anticorpi anti-PLA2R.

Gli esami sierologici per HIV erano negativi, così come la ricerca di anticorpi anti-HCV. La ricerca di anticorpi anti core era invece ad esito dubbio, negativo per HBV antigene Australia (HbSAg reflex) e positivo per anticorpi anti HBsAg reflex ad alto titolo (superiore a 1000 UI/L). L’ecografia addominale confermava il dato già descritto inizialmente.

Il paziente veniva trattato con terapia diuretica, ottenendo un adeguato calo ponderale ed una riduzione degli edemi declivi. Alla luce del quadro clinico e laboratoristico, veniva anche sottoposto ad agobiopsia renale eco assistita. In attesa dell’esito dell’esame istologico, veniva poi dimesso in buone condizioni generali.

A seguito dell’esame istologico eseguito su frammento di biopsia renale:

  • alla microscopia ottica venivano analizzati 12 glomeruli: 0 con sclerosi globale, 0 con sclerosi segmentaria, ispessimento di parete capillare assente, mancata presenza di depositi, ipercellularità mesangiale ed endocapillare assente, aumento di matrice mesangiale +1, assenza di necrosi fibrinoidi e di trombi ialini, spikes assenti così come le semilune;
  • si riscontrava fibrosi intimale a livello delle arterie (+3) e ialinosi intimale a livello arteriolare, flogosi lieve a livello interstiziale, niente atrofia né necrosi tubulare e nemmeno tubulite, reperto compatibile con la storia di ipertensione arteriosa (Figura 1).

L’esame di immunoflouorescenza su 6 glomeruli risultava negativo per IgA, IgG, C3, C1q, fibrinogeno, catene leggere kappa e lambda; venivano segnalate IgM positive in tracce.

L’esame ultrastrutturale su 2 glomeruli mostrava una modesta espansione mesangiale; lumi in genere pervi o talvolta occlusi da cellule endoteliali rigonfie con aspetti degenerativi e da elementi mononucleati infiammatori; membrane basali nella norma e libere da depositi. Il mesangio appariva moderatamente espanso e i pedicelli appiattiti in modo pressoché continuo. Infine, i podociti risultavano ipertrofici con microvillarizzazione e vacuolizzazione citoplasmatica. Nel comparto tubulo interstiziale si riscontravano aspetti degenerativi delle cellule epiteliali tubulari e presenza di isolati cast costituiti da cellule in sfaldamento. In conclusione, il quadro descritto risultava compatibile con una glomerulonefrite a lesioni minime (Figura 2).

Nel periodo di attesa per la refertazione dell’esame istologico il paziente veniva nuovamente ricoverato in Nefrologia per ripresa dello stato edemigeno ed anemizzazione severa (valore di Hb pari a 6,7 g/dl). Veniva dunque sottoposto ad emotrasfusioni e ad EGDS, che mostravano la presenza di ulcera duodenale in fase di cicatrizzazione, con ricerca di helicobacter pylori positiva. Durante il ricovero il paziente presentava inoltre un quadro di riacutizzazione grave dello stato ansioso depressivo, per cui è stata modificata la terapia antidepressiva, sospendendo la somministrazione di litio.

Alla luce del quadro clinico e psichiatrico, e nonostante il quadro istologico, si decideva di non impostare una terapia con steroidi ad alte dosi e di trattare il paziente, almeno temporaneamente, con diuretico, ottenendo una risoluzione del quadro edemigeno. Il paziente veniva dunque dimesso con prescrizione di terapia eradicante per infezione da helicobacter pylori e terapia antidepressiva non più comprendete il litio.

La rivalutazione collegiale del quadro clinico ed istologico, considerato soprattutto il grave quadro di depressione, ha condotto alla decisione di non utilizzare corticosteroidi a causa delle note complicanze di tale terapia a livello psichiatrico, in particolare in soggetti già affetti da patologie, e a causa della recente complicanza emorragica gastrointestinale.

Poiché vi sono ormai numerosi casi riportati in letteratura di glomerulonefrite a lesioni minime trattati efficacemente con rituximab, si decideva di iniziare un trattamento con tale farmaco, previa terapia di profilassi con lamivudina (vista la positività per HbcAb), da intraprendere una volta terminato il ciclo di eradicazione dell’infezione da virus helicobacter pylori e a distanza dall’evento emorragico.

Il paziente veniva dunque ricoverato per effettuare la terapia con rituximab. All’ingresso presentava un ottimale stato di idratazione, e gli esami ematochimici mostravano una normalizzazione della funzione renale (creatinina 1,1 mg/dl) e una totale risoluzione della sindrome nefrosica (proteinuria 0.24 g/urine 24 ore), con protidemia totale nella norma (valore di 69 g/L). Alla luce di questa remissione “spontanea” non si è proceduto alla somministrazione di rituximab.

Abbiamo supposto che tale remissione della glomerulonefrite a lesioni minime potesse essere dunque espressione di una patologia glomerulare secondaria. Pertanto, è stata avviata una revisione del caso clinico volta a ricercare una possibile causa di glomerulenefrite a lesioni minime che, una volta rimossa, potesse peraltro aver condotto alla risoluzione della sindrome nefrosica. Verosimilmente, nel paziente in esame, la terapia con litio è l’elemento che ha condotto a tale patologia glomerulare, che si è poi risolta dopo la sospensione del trattamento.

 

Discussione

La grande maggioranza dei pazienti con sindrome nefrosica e reperto bioptico renale di glomerulonefrite a lesioni minime ha una forma primitiva o idiopatica.

In letteratura sono descritte un numero crescente di forme di glomerulonefrite a lesioni minime secondarie. Nel dettaglio, le forme secondarie possono essere associate a [1, 4]:

  • allergie: pollini, funghi, allergeni alimentari, etc;
  • neoplasie maligne: malattia di Hodgkin, linfoma non Hodgkin, leucemie, mieloma multiplo, timoma, neoplasia polmonare, carcinomi renali, neoplasie dell’apparato digerente;
  • farmaci: sali di litio, antinfiammatori non steroidei, salazopirina, mercurio, oro, inibitori della tirosin chinasi;
  • infezioni: virali, parassitarie, micoplasma pneumoniae;
  • malattie autoimmuni: LES.

In particolare, tra le forme secondarie a farmaci, sono descritti in letteratura vari casi di sindrome nefrosica indotta da terapia con litio [5, 6, 7, 8, 9, 10, 11]. La tossicità renale di tale farmaco è prevalentemente rappresentata dall’insorgenza di diabete insipido nefrogenico, che coinvolge circa il 20-40% dei pazienti in terapia con litio [13, 14]. Un’altra disfunzione tubulare secondaria all’uso cronico e a lungo termine del litio è l’acidosi metabolica ipercloremica [15]. Infine, un’ulteriore forma di nefrotossicità secondaria a terapia con litio è rappresentata dall’insorgenza di nefrite tubulo interstiziale, caratterizzata da fibrosi interstiziale e atrofia tubulare [16].

I dati in letteratura che riguardano il coinvolgimento glomerulare secondario all’uso di litio sono invece scarsi [16]. Il riscontro di proteinuria non è frequente, e solitamente è di lieve entità (inferiore a 1 g/die) [17], la comparsa di sindrome nefrosica è rara [16, 17].

La sindrome nefrosica indotta da sali di litio è una reazione idiosincrasica che può colpire la popolazione adulta e pediatrica [5, 6, 7, 8, 9, 10, 11]. La glomerulonefrite a lesioni minime indotta da terapia con litio è una patologia rara e spesso, ma non sempre, correlata ai livelli sierici di litio e tipicamente si risolve con la sospensione della terapia con litio. In alcuni casi si può associare insufficienza renale acuta dovuta a ostruzione vascolare ed edema interstiziale, e talvolta è necessario l’uso di corticosteroidi per ridurre la proteinuria e prevenire la progressione ad insufficienza renale cronica.

Non è ancora chiaro il meccanismo patofisiologico con cui il litio determina la sindrome nefrosica. Il meccanismo di danno glomerulare potrebbe essere secondario ad una tossicità cellulare diretta da parte del litio, risultante in malattia a lesioni minime, o in sclerosi segmentaria focale. L’ipotesi più accreditata è rappresentata dall’interazione tra cationi della molecola del litio ed anioni dei glicosamminoglicani solfati contenuti a livello di podociti, membrana basale e capillari glomerulari; tale interazione determinerebbe il danno a carico della barriera glomerulare [5, 6, 7, 8, 9, 10, 21, 22].

Inoltre, si ipotizza che la molecola del litio, visto il suo ruolo di modulazione sulla cascata del fosfoinositolo che è a sua volta implicata nella stimolazione dei linfociti T, determini una attivazione eccessiva dei linfociti citotossici che possono quindi determinare il danno della membrana basale e dei podociti [23].

Vi sono vari articoli della letteratura mondiale in cui vengono riportati casi di sindrome nefrosica insorta durante terapia con litio, nella gran parte dei casi con riscontro istopatologico di glomerulenefrite a lesioni minime e, solo in alcuni rari casi, di glomerulonefrite membranosa o glomerulosclerosi segmentaria focale; nella maggioranza dei casi riportati, la sola sospensione del farmaco ha condotto alla remissione della malattia, suggerendo un forte rapporto causale tra l’assunzione di sali di litio e la patologia glomerulare [5, 6, 7, 8, 9, 22, 11].

Markowitz et al. hanno esaminato in uno studio [16] le biopsie renali di 24 pazienti in terapia con litio da lungo tempo, trovando una prevalenza di glomerulo sclerosi segmentarie e focale (50%) e di glomerulo sclerosi globale (100%) sorprendente elevate, talvolta di severità equivalente al danno cronico. Tra i pazienti con glomerulo nefrite a lesioni minime, alcuni presentavano remissione dopo la sospensione della terapia con litio, suggerendone così un forte rapporto causale.

Tandon et al., nel 2015, hanno riportato un caso clinico di sindrome nefrosica secondaria glomerulo nefrite a lesioni minime in corso di terapia con sali di litio e, anche in questo caso, alla luce dei casi riportati in letteratura e del reperto istologico, è stato ipotizzato una glomerulo nefrite a lesioni minime indotta da sali di litio. Nel caso descritto dagli autori però la sola sospensione del farmaco da sola non ha purtroppo indotto la remissione della malattia, ma si è resa necessaria una terapia con steroidi [17].

Nel nostro caso clinico abbiamo mostrato come il litio possa rappresentare un agente eziologico di patologia glomerulare, ed in particolare di glomerulonefrite a lesioni minime, confermando che tale danno sia reversibile con la sospensione del farmaco in esame.

 

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