Maggio Giugno 2019 - Nefrologo in corsia

Ultrasonography in chronic lithium nephropathy: a case report

Abstract

Lithium has always been used as a first-choice therapy in bipolar disorders. However, its therapeutic index is restricted by placing patients at risk of potential nephrotoxic effects ranging from polyuria, to Insipid Nephrogenic Diabetes, to chronic kidney disease with a slow reduction of renal function over time. The Nephrologist has the role to diagnose chronic lithium nephropathy, monitoring its evolution and optimizing the management of risks associated with the treatment. In fact, the main objective, to be shared with the psychiatrist, is to encourage the maintenance of therapy even in the presence of nephropathy. Renal ultrasound, a safe, repeatable and low-cost technique, is essential to pursue this goal as it not only confirms the diagnosis of chronic lithium nephropathy hypothesized on the basis of the history and clinical picture, but is also helpful in monitoring its evolution. In this paper, we report a case of chronic lithium nephropathy in order to analyze the etiopathogenesis of renal damage, the clinical-laboratory and histological picture and, in particular, the fundamental role of ultrasound imaging.

 

KEYWORDS: lithium, Insipid Nephrogenic Diabetes, polyuria, nephropathy, renal ultrasound

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Introduzione

Il litio, elemento-traccia essenziale per la vita umana, è utilizzato in farmacologia clinica da oltre 50 anni quale valido trattamento nei disturbi bipolari per la comprovata efficacia e il basso costo [1], nonostante i potenziali effetti nefrotossici nei pazienti in terapia cronica che vanno dalla poliuria, al Diabete Insipido Nefrogenico (DIN), sino alla malattia renale cronica (MRC) con riduzione progressiva del GFR [2, 3]. La nefropatia cronica è una patologia diversa dall’Insufficienza Renale Acuta; quest’ultima si osserva nel setting clinico di tossicità acuta da litio per assunzione volontaria o accidentale di dosi elevate di litio e si manifesta con alterazioni dello stato mentale e altri sintomi neuropsichiatrici, livelli elevati di litiemia (>3 mEq/L), ed è in genere trattata con l’emodialisi se la funzione renale del paziente è insufficiente per rimuovere il farmaco in modo adeguato e veloce [4, 5].

La terapia con litio è ancora oggi considerata da varie linee-guida internazionali la prima scelta, spesso insostituibile, nel trattamento di tutte le fasi dei disturbi bipolari ad eccezione del rapid cycling [68]. Il litio è il farmaco di maggiore impiego nel paziente bipolare e risponde appieno alla definizione di “stabilizzatore dell’umore”. È efficace nel trattamento in acuto, senza indurre episodi di polarità opposta, nella prevenzione delle ricorrenze di entrambe le polarità nonché quale principale strategia di augmentation degli antidepressivi nella depressione resistente al trattamento [9, 10]. Non va infine sottovalutata la sua caratteristica principale, ossia il fatto che il litio è ad oggi l’unico stabilizzatore dell’umore ad aver dimostrato un effetto anti-suicidio in trials clinici randomizzati e controllati [11, 12]. L’efficacia terapeutica del litio è stata confermata nell’ultima decade da revisioni sistematiche e meta-analisi [1315]. Vista l’efficacia nel prevenire ricorrenze affettive e nel ridurre il rischio di suicidio, è sconsigliata la sospensione del farmaco anche in presenza di possibili effetti nefrotossici a lungo termine. Il consulente Nefrologo dovrebbe quindi avere come obiettivo quello di diagnosticare la nefropatia cronica da litio ed ottimizzare la gestione dei rischi connessi alla prosecuzione del trattamento in presenza di nefropatia. La decisione sull’eventuale sospensione del trattamento deve invece rimanere di competenza dello psichiatra [16].

La nefrotossicità da litio si sviluppa in genere in pazienti sottoposti da diversi anni a terapia cronica [17, 18]. In realtà, già entro i primi giorni o settimane dall’inizio della terapia, circa il 50% dei pazienti presenta poliuria e polidipsia, e di questi il 15-20% sviluppa DIN, caratterizzato dalla resistenza all’azione dell’ormone antidiuretico (ADH). Uno studio recente ha esaminato 4879 pazienti che avevano iniziato la terapia con litio tra il 1981 ed il 2010 e che avevano mantenuto tale terapia per almeno una decade [19]; i risultati dello studio riportano che circa il 30% dei pazienti trattati ha sviluppato, nell’arco di 10-30 anni di terapia, MRC con eGFR <60 ml/min/1.73m2 e un 5% con eGFR <30. L’End Stage Renal Disease si osserva in una bassa percentuale di pazienti e, in genere, dopo 15-20 anni di terapia; lo studio di Bendz su una coorte svedese ha valutato per la prima volta la prevalenza di ESRD da nefropatia da litio, che è risultata pari a 8.1 casi/1000, corrispondente a circa un caso ogni 100 pazienti, nella popolazione dialitica svedese [20]. È pertanto plausibile ipotizzare che, dopo una decade di terapia cronica, l’insorgenza di alterazioni renali funzionali e di MRC è un evento comune, anche se nella maggioranza dei casi il grado di malattia è lieve o moderato. Caratteristica è, inoltre, la proteinuria di basso grado, anche se circa il 25% può presentare una proteinuria in range nefrosico cui consegue un lento declino del GFR. I pazienti con MRC da litio quasi invariabilmente presentano in associazione il quadro clinico del DIN.

Riportiamo di seguito il caso clinico di una paziente inviata all’osservazione del nefrologo per riscontro di ipertensione e quadro di “nefropatia medica” all’ecografia renale refertata dal radiologo.

 

Caso clinico

La paziente, una donna di 42 anni, è stata inviata all’ambultorio di Nefrologia dopo aver praticato una ecografia addominale in un centro radiologico con un quadro ultrasonografico compatibile con nefropatia medica. La paziente aveva sviluppato da qualche mese ipertensione arteriosa e stava effettuando una valutazione clinica per escludere cause secondarie. All’anamnesi emergeva un disturbo bipolare in trattamento con litio (900 mg/die) dall’età di 20 anni (1991), con sviluppo di polidipsia e poliuria (8-10 L/die con 4-5 risvegli notturni). Alla visita nefrologica si evidenziava uno stato di disidratazione, testimoniato dal riscontro di pliche cutanee sollevabili all’esame obiettivo, il riscontro di ipotensione ortostatica con una pressione arteriosa di 150/90 mmHg in clinostatismo e 120/70 mmHg in ortostatismo (in terapia con atenololo 50 mg/die) nonché un peso corporeo in riduzione (se rapportato ai valori precedenti riferiti dalla paziente). Gli esami mostravano una modesta riduzione della funzione renale (creatininemia 1.3 mg/dl corrispondente ad un GFR di 48 ml/min/1,73 m2) e un quadro di lieve ipersodiemia (146 mEq/L) con ipostenuria (peso specifico urinario: 1010), e litiemia normale (0.8 mEq/l) (Figura 1). I valori di emoglobina (13.2 g/dl), degli indici di funzionalità tiroidea (TSH: 4,7 mcU/ml; FT3: 3,1 pg/ml; FT4: 10,4 pg/ml) e di paratormone intatto (26 pg/ml) risultavano nella norma; ai limiti alti della norma, invece, il valore di calcemia (10,1 mg/dl). L’osmolarità sierica non era disponibile mentre quella urinaria era ridotta (<100 m/Osm/Kg). Veniva poi eseguita dal nefrologo un’ecografia renale (ecografo ELOKA Prosound alfa 6) mediante l’impiego di sonda convex con frequenza 3-5 Mhz (UST-9123). All’ecografia in scansione longitudinale si evidenziavano reni di dimensioni regolari (diametro longitudinale rene destro: 98 mm; sinistro: 104 mm) con perdita della differenzazione cortico-midollare e parenchimo-pielica; erano presenti bilateralmente, nel contesto della corticale e della midollare, foci iperecogeni puntiformi senza cono d’ombra posteriore e cisti millimetriche (max 4 mm); si notava inoltre lieve ectasia della pelvi (Figura 2-A); gli indici di resistenza (IR) intraparenchimali erano nella norma bilateralmente (Figura 2-B). La correlazione del quadro ecografico con i segni clinici del diabete insipido nefrogeno (come testimoniato dalla poliuria, polidipsia, riscontro di ipersodiemia, riduzione della osmolarità urinaria <100 mOsm/Kg), verosimilmente secondario alla terapia con litio, era fortemente suggestiva di nefropatia cronica da litio. Vista l’anamnesi, non è stato praticato, come previsto dall’iter diagnostico, il test dell’assetamento ed il test con somministrazione di ADH. La paziente ha rifiutato di eseguire risonanza magnetica nucleare (RMN) per claustrofobia. Veniva prescritta una dieta iposodica e idroclorotiazide (25 mg, ½ cp/die) per indurre una condizione di ipovolemia al fine di aumentare il riassorbimento di acqua nel nefrone prossimale e ridurre la diuresi. Si proponeva inoltre un consulto con lo psichiatra di riferimento per eventuale riduzione della dose giornaliera di litio.

Alla visita di controllo dopo un mese si rilevava riduzione della diuresi a 4000 mL/die e un migliorato controllo pressorio (130/80 mmHg) con un notevole miglioramento del quadro clinico di diabete insipido, sebbene non totalmente reversibile vista la presenza di un danno ormai cronico. Nelle settimane successive si praticava la riduzione del dosaggio del litio a 450 mg/die. La pressione e i principali parametri di funzione renale si mantenevano stabili (Figura 1). In occasione dell’ultima visita (novembre 2018) si sostituiva l’idroclorotiazide con l’associazione amiloride-idroclorotiazide. Sempre in novembre 2018, la stabilità del quadro veniva confermata anche nell’ultima valutazione ecografica. In questo controllo non si evidenziavano modifiche del quadro di ipotonia della pelvi già evidente nei controlli precedenti (Figura 2-C), nè variazioni del pattern eco-color-doppler (Figura 2-D). In questo caso veniva peraltro eseguita una valutazione ecografica più approfondita. Analizzando, infatti, le immagini B mode senza seconda armonica si otteneva una migliore definizione dei foci iperecogeni, che rappresentano l’immagine ecografica distintiva della nefrite interstiziale da litio con le caratteristiche microcisti (Figura 3). Inoltre, utilizzando la sonda ad alta frequenza, la distinzione delle punteggiature iperecogene intraparenchimali (senza cono d’ombra posteriore) diventava ancora più evidente grazie alla maggiore risoluzione (Figura 4).

 

Meccanismi del danno renale cronico da litio

Il litio è un elemento idrosolubile che non si lega alle proteine plasmatiche. Pertanto, in seguito alla somministrazione orale, è assorbito a livello gastrico ed eliminato immodificato quasi esclusivamente per escrezione renale. A livello renale, come accade per il sodio e il potassio, il litio viene filtrato completamente a livello del glomerulo per essere riassorbito per circa l’80% dal tubulo prossimale; circa il 20% del carico filtrato si ritrova pertanto nel dotto collettore. In questo tratto, il litio antagonizza l’azione dell’ADH.

A livello del dotto collettore, il litio entra nelle cellule attraverso i canali epiteliali del sodio altamente regolati (ENaC). Non si osserva infatti la poliuria a bassa osmolarità nel topo knockout di ENaC trattato con litio [21]. D’altra parte, la somministrazione di amiloride (inibitore di ENaC) attenua gli effetti renali del litio [22] e viene perciò utilizzata nel trattamento della poliuria da litio [23]. Dopo essere entrato nelle cellule, il litio, agendo sulla via del inositol-proteinkinasi C, riduce la produzione dell’adenosin-monofosfato ciclico (AMPc) cui consegue una ridotta fosforilazione e attivazione delle acquaporine. Alla downregulation delle acquaporine contribuisce anche l’aumento dell’enzima MAPK e dell’espressione nelle cellule interstiziali delle ciclo-ossigenasi 2 (COX2) con aumentata sintesi di PGE2. La riduzione del AMPc e l’inibizione dell’enzima GSK3 concorrono inoltre a inibire l’azione dei trasportatori dell’Urea (UT-A). L’effetto “funzionale” è quindi quello di ridurre la capacità del rene di riassorbire acqua con difetto di concentrazione delle urine che può essere ingravescente sino a determinare il DIN.

Si deve evidenziare, che a questo meccanismo di danno “funzionale”, di per sé benigno e reversibile dopo sospensione del farmaco, si aggiungono anche altri effetti molecolari che rendono conto di danni “strutturali”, in primis l’inibizione dell’enzima GSK3 con conseguente formazione di microcisti e fibrosi renale, nonché l’arresto del ciclo cellulare in G2 delle cellule tubulari con conseguente apoptosi (Figura 5).

  

Segni ecografici della nefropatia cronica da litio

Il caso clinico descritto dimostra come sia difficile identificare gli effetti renali della terapia con litio a lungo termine se non si conosce a fondo la storia clinica del paziente. Il radiologo che ha praticato il primo esame ecografico non ha interpellato la paziente ed ha interpretato il quadro ecografico come generica nefropatia medica avanzata laddove erano evidenti i segni ecografici tipici della nefropatia da litio:

  • foci iperecogeni puntiformi non realizzanti cono d’ombra posteriore in sede corticale (++) e/o midollare (in genere bilaterali)
  • microcisti (in genere bilaterali) in sede corticale e/o midollare
  • precoce perdita della differenziazione cortico-midollare
  • precoce perdita della differenziazione parenchimo-pielica
  • dimensioni renali conservate
  • lieve ectasia della pelvi secondaria a poliuria

I foci iperecogeni puntiformi sono il segno ecografico più caratteristico e più precoce, espressione di microcisti tubulari, e non corrispondono a calcificazioni, come testimoniato dall’assenza del cono d’ombra posteriore e dalla mancanza al doppler del twinkling artifact; non c’è riscontro inoltre di depositi di calcio né in TC/RMN [24], né in biopsie renali. I foci iperecogeni puntiformi in TC e RMN corrispondono a microcisti non visibili in ecografia, che, per le loro piccolissime dimensioni, creano in ultrasonografia artefatti da riverberazione cui corrisponde un’immagine “a cielo stellato”. Le microcisti, lesione anatomopatologica tipica, sono osservabili più tardivamente.

Per aumentare la sensibilità dell’indagine ecografica per lo studio dei foci puntiformi è consigliato utilizzare alte frequenze (>5.5 MHz) ed escludere la funzione di seconda armonica; utilizzando la”frequenza fondamentale” è possibile infatti identificare al meglio i foci iperecogeni grazie all’artefatto del ring-down in quanto l’imaging di seconda armonica consente la riduzione degli artefatti da riverberazione. In questo caso quindi l’artefatto consente di migliorare l’immagine utile per la diagnosi di nefropatia cronica da litio. La registrazione e la visione di immagini in movimento consentono inoltre di evidenziare le microcisti altrimenti poco visibili in immagini statiche [24]. L’aspetto ecografico descritto va posto in diagnosi differenziale con altre nefropatie caratterizzate per la presenza di cisti renali, come la malattia del rene policistico autosomico recessivo e le patologie glomerulo-cistiche, ma i dati anamnestici possono essere dirimenti.

 

Ruolo diagnostico delle indagini di II° livello

L’ecografia ha sicuramente un ruolo diagnostico importante:si caratterizza per pronta disponibilità, sicurezza, ripetibilità e basso costo, che la rendono inizialmente preferibile ad indagini radiologiche di II° livello come la TC con mezzo di contrasto o la RMN [25]. Tuttavia, non è sempre possibile l’utilizzo di sonde ad alta frequenza per studiare i reni nativi (se non in soggetti magri o pediatrici) ed indagini di II° livello possono consentire l’identificazione precoce delle microcisti nei casi dubbi all’ecografia. L’RMN risulta infatti superiore all’ecografia, ma anche alla TC, nel diagnosticare la nefropatia cronica da litio; in particolare, le sequenze T2 pesate (con acqusizione single shot turbo spin-echo) senza uso di gadolinio rappresentano il migliore metodo non invasivo per dimostrare la presenza di microcisti del diametro di 1-2 mm con un caratteristico pattern di distribuzione simmetrico e uniforme a livello sia corticale che midollare [2628]. Ovviamente, effettuare indagini di II° livello ha degli svantaggi: l’alto costo, la possibile claustrofobia in caso di RMN e, in caso di infusione di mezzo di contrasto, il rischio di peggioramento della funzione renale. I pazienti in terapia cronica con litio infatti hanno spesso una ridotta funzione renale e sono perciò più esposti a nefropatia da mezzo di contrasto soprattutto se, a causa della patologia psichiatrica, non assumono adeguate quantità di liquidi.

 

Conclusioni

Ad oggi non è chiaro quando e come il Nefrologo debba intervenire nel follow up del paziente trattato con litio; analogamente, non è chiaro se la sospensione della terapia comporti benefici renali una volta insorta una MRC anche di grado medio (eGFR ≤40 mL/min/1.73m2) [29]. Sono necessari studi ad hoc su tale argomento. In questa ottica, è quindi essenziale poter identificare uno strumento adeguato alla diagnosi e follow up della nefropatia cronica da litio.

L’utilizzo dell’ecografia renale appare di grande utilità per consentire la diagnosi ed il monitoraggio di questa forma di nefropatia [30]. Non va inoltre sottovalutato il dato epidemiologico, di cui si deve tenere conto nella stima dei costi delle indagini strumentali. Un recente studio tratto dal registro Danese ha evidenziato come l’incidenza dei disturbi bipolari sia aumentata dal 18.5/100,000 persone-anno del 1995 al 28.4/100,000 nel 2012 [31]. D’altra parte la psichiatria sta oggi riscoprendo il litio sia per la maggiore efficacia rispetto ad altri stabilizzanti del tono dell’umore, sia per la maggiore gestibilità delle possibili complicanze ed effetti collaterali, ma anche per gli effetti neuroprotettivi e migliorativi della cognizione [32].

Vista l’importanza di una corretta diagnosi della malattia renale sulla prognosi di questi pazienti, è evidente quindi che debbano essere identificati strumenti diagnostici efficaci e a basso costo, come l’ecografia, per la patologia renale da litio [33]. Si deve anche considerare l’importanza della ripetibilità in sicurezza della diagnostica ultrasonografica. I pazienti con nefropatia cronica da litio, una volta identificati, vanno seguiti nel tempo dal Nefrologo che, anche grazie all’ausilio dell’ecografia renale, deve poter monitorare la progressione della nefropatia e modificare di conseguenza la terapia conservativa prescritta; deve limitare l’uso di farmaci nefrotossici, avendo come obiettivo principale quello di trovare il giusto equilibrio tra il mantenimento della terapia psichiatrica e la conservazione della funzione renale.

 

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