Gennaio Febbraio 2019 - Specialità e professioni a colloquio

Narrative Medicine can reduce opposition to organ removal for transplantation

Abstract

In Italy in 2017 out of 2738 assessments of death, there was a 28.7% of oppositions of family members to the removal of organs post-mortem. This opposition is a serious limitation to the development of transplantation programs. There is a need to increase the number of transplants since transplantation grants the highest quality of life, a longer survival and at a lower cost for the society. We propose the use of Narrative Medicine (MN) to reduce this opposition. “Narrative Medicine – as Charon says – fortifies clinical practice with the narrative competence to recognize, absorb, metabolize, interpret, and be moved by the stories of illness”. We have identified eight stories as having a particular echo: 1. That of Nicholas Green, the American child killed on the Salerno-Reggio Calabria highway and whose organs saved seven people. 2. The story of Ylenia, who learned solidarity from transplants. 3. That of Robin JA Eady, Dermatology Professor in London and the second person on dialysis from Scribner in Seattle. 4. The story of the organ donation of Liberato Venditti, a young man who loved life and climbs on a motorcycle. 5. That of the young football player Giuseppe Feola, remembered here by the Napoli player Gonzalo Higuaín. 6. The donation of the organs of Bruno Memoli, Professor of Nephrology in Naples. 7. The reflections of a heart surgeon. 8. The story written by Federico Finozzi about his own transplant.

“The stories” – as Greenhalgh writes – “have an ethical dimension. The person who reads or hears such a story incurs a duty to act so. Stories are open and subversive”.

Keywords: Narrative Medicine, organ donation, opposition to organ removal, lack of organs for transplantation, narrative organ donation

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Introduzione

Giovanni Paolo II nel discorso tenuto ai partecipanti del Primo Congresso Internazionale della Society for Organ Sharing sottolineava che: “Soprattutto, questa forma di trattamento è inseparabile da un atto umano di donazione. In effetti, il trapianto presuppone una decisione anteriore, esplicita, libera e consapevole da parte del donatore o di qualcuno che legittimamente lo rappresenti, di solito i parenti più stretti. È una decisione di offrire, senza alcuna ricompensa, una parte del corpo di qualcuno per la salute e il benessere di un’altra persona. In questo senso, l’atto medico del trapianto rende possibile l’atto di oblazione del donatore, quel dono sincero di sé che esprime la nostra essenziale chiamata all’amore e alla comunione. Amore, comunione, solidarietà e rispetto assoluto per la dignità della persona umana costituiscono l’unico legittimo contesto del trapianto d’organi. È essenziale non ignorare i valori morali e spirituali che entrano in gioco quando degli individui, nell’osservanza delle norme etiche che garantiscono la dignità della persona umana e la conducono alla perfezione, decidono liberamente e consapevolmente di donare una parte di sé, una parte del loro corpo, al fine di salvare la vita di un altro essere umano” (1).

L’opposizione dei familiari all’espianto degli organi post mortem è una grave limitante allo sviluppo dei programmi dei trapianti. La disponibilità di organi è infatti il prerequisito per i trapianti. Varie strategie sono impiegate per ridurre le opposizioni, che sono particolarmente significative in molti paesi tra cui l’Italia, la Francia ed il Regno Unito.

In Italia nel 2017 su 2738 accertamenti di morte c’è stato un 28,7% di opposizioni come risulta dal Report del Centro Nazionale Trapianti 2018 (2).

In Francia nonostante il presunto principio di consenso (legge opt-out), circa il 30-33% dei donatori di morte cerebrale eleggibili ha espresso un rifiuto per la donazione o ha avuto un rifiuto comunicato dal parente prossimo, creando un ostacolo maggiore all’aumento dei tassi di donazione (3).

In Inghilterra, dove vige una legislazione opt-in, nel 2015 ci sono state il 38% di opposizioni (4). Per questo il governo prevede di varare una legislazione opt-out che dovrebbe entrare in vigore nel 2020.

Sono stati individuati sette aspetti riguardanti l’atteggiamento negativo nei confronti della donazione e del trapianto di organi: paura, mancanza di conoscenza, credenza religiosa, perdita dell’integrità fisica, il grado di relazione del destinatario, l’effetto della decisione sulla famiglia e l’adempimento di determinati criteri per un destinatario (5).

Alessandro Nanni Costa in un’intervista al Corriere della Sera spiega che: “Il familiare si chiede tre cose: il mio congiunto è davvero morto? Bisogna saperglielo spiegare perché, al di là del livello culturale, non è facile capire che il proprio caro è morto anche se gli batte il cuore. La seconda domanda è: avete fatto tutto il possibile per curarlo? Questa è anche una domanda che riguarda il tipo di accoglienza ricevuta in ospedale. Sappiamo che una parte di opposizione nasce per una sorta di negatività o risentimento verso la struttura, anche questo è un dato nazionale. Stiamo perciò lavorando nelle Rianimazioni per la formazione nel colloquio con il familiare che deve sentire una relazione d’aiuto in un momento difficile. La terza domanda: che vantaggio ottenete con l’espianto? Qui bisogna essere credibili come struttura. Credo che oggi il sistema trapianti lo sia, in termini di trasparenza, regolarità, eticità” (6).

 

 

Scopo del presente lavoro

Si propone l’impiego della Medicina Narrativa (MN) quale trigger metodologico al fine di ridurre le opposizioni. La Medicina Narrativa “fortifica la pratica clinica con la competenza narrativa per riconoscere, assorbire, metabolizzare, interpretare ed essere mossi dalle storie di malattia. Aiuta medici, infermieri, assistenti sociali e terapisti a migliorare l’efficacia dell’assistenza sviluppando capacità di attenzione, riflessione, rappresentazione e affiliazione con pazienti e colleghi” (7). Consente al medico di praticare la medicina clinica con empatia, riflessione, professionalità ed attendibilità.

 

Metodologia

Si è proceduto a raccogliere le storie di donazioni e trapianti tenendo conto della risonanza che hanno avuto sulla stampa specialistica e non a partire dal 2007, anno di fondazione di Sopravvivere non Basta, un’iniziativa internazionale ripetuta ogni anno in occasione della Giornata Mondiale del Rene in molte università italiane, europee e mediterranee. Giunta ormai alla XII Edizione, tale iniziativa ha il sostegno e la partecipazione dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”.

Sono quindi state scelte otto storie particolarmente significative:

  1. Quella di Nicholas Green, il bambino americano ucciso sulla Salerno-Reggio Calabria, i cui organi salvarono sette persone.
  2. Quella di Ylenia, che ha imparato la solidarietà dai trapianti.
  3. Di Robin JA Eady, professore di dermatologia a Londra e seconda persona messa in dialisi da Scribner a Seattle.
  4. Di Liberato Venditti, un giovane che amava la vita e le arrampicate in motocicletta.
  5. Del giovane calciatore del Real San Felice (Caserta) Giuseppe Feola, ricordato dal campione del Napoli Gonzalo Higuaín.
  6. La donazione degli organi del Professor Bruno Memoli.
  7. Le riflessioni di un cardiochirurgo espiantatore.
  8. La storia di Federico Finozzi che racconta il suo trapianto.


Nicholas

“Fin dall’inizio, istintivamente sia io che Maggie avevamo cercato di minimizzare l’orrore, ma non la gravità, dell’evento nei confronti di Eleonor. Avevamo sempre tentato dispiegarle esattamente quello che stava succedendo. “Nicholas morirà?” ci chiese infine, con voce rotta. Era una domanda che mi stavo facendo anch’io fin dall’inizio e sapevo che avrei dovuto rispondere a lei allo stesso modo che stavo rispondendo a me stesso. “Non sappiamo ancora, tesoro,” le dissi. “Tutti quei dottori che abbiamo visto oggi gli danno tutto l’aiuto che possono dare, e anche gli infermieri. Dobbiamo continuare a sperare.” Cercavo di non drammatizzare né di stringerla troppo forte, ma l’abbracciavo stretta per nascondere le mie lacrime. La fine è arrivata in modo semplice, quasi banale. Ci chiamarono dall’ospedale e il capo neurologo ci comunicò “Ho cattive notizie. Non troviamo più segni di attività cerebrale.” “Cosa significa?” “È la morte cerebrale”, rispose il neurologo. “C’è una qualche speranza?” “Credo che non ci sia più nessuna speranza. Tuttavia, faremo una serie di esami per essere sicuri.” Abbiamo aspettato per circa mezz’ora nella stanzetta soleggiata, silenziosi ed oppressi, tenendoci per la mano. Ci hanno portato l’esito del tracciato: nessuna attività cerebrale. Nicholas era morto, se n’era andato sullo stretto di Messina come uno dei suoi eroi dell’antica Grecia. In quel momento, sapevo che non sarei mai più stato veramente felice. Passarono alcuni minuti mentre stavamo metabolizzando la notizia. Poi Maggie disse “Ora che se ne è andato, non dovremmo donare i suoi organi?” “Sì,” risposi, e così fu deciso. Era chiaro che non aveva più bisogno di quel suo involucro, ma che, da qualche altra parte là fuori, c’era gente che invece aveva un bisogno disperato di ciò che poteva dare quel piccolo corpo. Non potevamo vederle, quelle persone, ma c’erano. Sentivamo che qualche significato poteva essere trovato, qualcosa poteva essere salvato da quella situazione senza senso. Comunicammo ai medici la nostra decisione e loro ci spiegarono la procedura, che era chiara e comprensibile. Firmammo i moduli e ce ne andammo. Per entrambi, era la decisione insieme più importante e più facile che avessimo mai preso. Da quel giorno, posso dire che non abbiamo mai avuto ripensamenti riguardo alla nostra decisione. Da allora, abbiamo conosciuto centinaia, forse migliaia di famiglie donatrici, e praticamente nessuno ha riferito sentimenti di rammarico. Dopo la morte di Nicholas, ci sedemmo con Eleanor sul letto nella stanza dell’albergo. “Non lo vedrò più?” ci chiese velocemente. “Ora Nicholas è un angelo. Sarà sempre con noi, con tutti noi,” Maggie le spiegò. “Ti amerà sempre e anche tu lo amerai. E potrai pensare a lui in qualsiasi momento che vorrai.” Tornammo all’ospedale e ci chiesero se lo volevamo vedere. “Posso venire a salutarlo anch’io?” chiese Eleanor. “Sarà saggio?” dissi a Maggie. “Potrebbe stare male.” “Credo che le cose sconosciute siano più difficili da sopportare di quelle conosciute,” ragionò Maggie. “Se vuole accompagnarci dovremmo lasciarla venire.” Capii subito che aveva ragione. Sarebbe stata una esperienza dura, un altro colpo al cuore, ma credo ancora che sia stata la decisione corretta. Durante quell’ultima visita a Nicholas, notai come risaltavano le sue lentiggini nel pallore dell’incarnato. “Ma non si possono trapiantare anche quelle…?” mi domandai. Lasciai scivolare una moneta da 500 lire nella sua tasca, per pagare Caronte durante la traversata del fiume Stige, l’ultima fase del gioco che ci aveva impiegato il tempo libero in quegli ultimi mesi”.(8)

Commento 1

“Il delitto causò molta pena in Italia, anche perché la generosità di Reg e Maggie aveva donato gli organi di Nicholas ad ammalati del Paese dove il loro figlio era stato ucciso. […]

Presto i nomi dei riceventi gli organi di Nicholas, sotto la pressione dei mass media e per il forte interesse popolare, divennero noti (a quel tempo far conoscere i nomi dei riceventi non era ancora proibito dalla legge, come è adesso).

Ad ogni modo ci fu una imprevista reazione in tutta l’Italia e scuole, parchi, strade, piazze, aule, fontane, musei vennero intitolati a Nicholas Green. E molti bambini furono chiamati Nicholas. Dopo venti anni si contano 103 luoghi dedicati a Nicholas. Essi sono distribuiti in tutto il Paese e, specialmente in Calabria dove il bimbo è stato ucciso” (9).

Commento 2

Ventuno anni dopo, al 1 gennaio 2016, sono 121 i luoghi intitolati a Nicholas in tutta Italia.

 

Ylenia

“Donare non è una cosa comune. Le poche persone che lo fanno, come i genitori di Nicholas, sono molto speciali, perché donando una parte di sé stessi o di qualcuno che amano si prendono cura di persone che hanno bisogno di aiuto. Donando gli organi di Nicholas, sette persone sono state salvate e ora una parte di lui vive in quelle persone. Nicholas era un ragazzo molto speciale, così speciale che forse avrebbe voluto donare i suoi organi per aiutare i sette ammalati a sopravvivere”. (10)

Commento 1

La riflessione di una bambina della scuola primaria della Signora De Rosa che impara la solidarietà dai trapianti.

Commento 2

Nell’aprile del 2008 è stato inviato un questionario a tutti i 7.452 dirigenti di scuola elementare dei Paesi Bassi con l’obiettivo di raccogliere il punto di vista degl’insegnanti circa una lezione neutrale su la donazione di organi e tessuti ed il trapianto. Si chiedeva inoltre quale fosse l’età migliore per tenerla. Dei questionari, 1582 (23%) sono stati restituiti entro quattro settimane. Il 70% ha risposto positivamente alla domanda: Vuoi dare una lezione su questo argomento? Gli insegnanti hanno pensato che l’età migliore per una prima lezione informativa fosse intorno ai 9-11 anni.

In base ai risultati del questionario è stata poi sviluppata una lezione. Questa lezione è stata sostenuta dal governo olandese, in collaborazione con il National Transplant Foundation ed un ufficio specializzato per l’educazione digitale compreso il supporto attivo di un gruppo di insegnanti. È stata poi editata nel 2010.

Nel 2011 è stato poi condotto uno studio pilota sugli effetti di tale lezione tra 269 alunni delle scuole elementari. I risultati di questo studio evidenziano quanto informazioni adeguate siano importanti al fine di promuovere idee realistiche. E di come i bambini abbiano discusso in modo significativo l’argomento a casa più spesso dopo la lezione. (11)

Robin JA Eady: i benefici del trapianto

“Le complicanze cliniche associate con la dialisi a lungo termine sono ben conosciute. Tra queste la sindrome del tunnel carpale, i progressivi problemi muscolo-scheletrici, tra i quali il dolore osseo, e la difficoltà montante nella regolazione della pressione arteriosa. Per me il sintomo più intollerabile era il dolore notturno alla spalla, probabilmente associato ad amiloidosi da β2microglobulina. Pertanto dopo aver resistito per molti anni alla opzione trapianto ciò prima dell’avvento della ciclosporina, venne il tempo in cui io realizzai che il trapianto era l’unico mezzo con cui avere ragione di alcuni di questi problemi. Avendo ricevuto più di 150 unità di sangue nei miei anni prima della dialisi e durante la dialisi io avevo sviluppato anticorpi che limitavano la possibilità di trovare un donatore accettabile. Di nuovo la fortuna venne in mio soccorso e Peter Morris allora Nuffield Professor di Chirurgia ad Oxford – il quale non fu soltanto un eccellente chirurgo ma anche un esperto immunologo – fece il trapianto dopo aver predetto che il mio repertorio di anticorpi era meno problematico di quanto non si potesse pensare. Vi furono ancora pochi prevedibili effetti collaterali, la loro origine credo rimanga ancora sconosciuta. I pazienti ben adattati alla dialisi, ed io penso a quelli adattati alla dialisi domiciliare, si prendono cura del loro trattamento, quasi completamente, per esempio essi possono scegliere, a ragione, l’ora della dialisi e programmare la terapia per proteggersi dagli occasionali eccessi quali il bere in eccesso alcool o consumare un pasto orientale. Dopo il trapianto l’autonomia cessa. Nelle prime settimane il paziente non controlla il successo o il fallimento della cura. Dopo aver effettuato le analisi il ritornare con una diminuzione o un aumento della creatininemia fu causa di ansietà. Io dovetti confrontarmi con me stesso in quei terribili momenti non sapendo se stessi per perdere il prezioso rene trapiantato e dovendo anche accettare che non ci fosse nulla da fare. La dialisi non fu mai una cosa piacevole, ma non produsse mai un forte dramma e tensione. Col passare degli anni ci sono sempre momenti di ansia nell’attesa dei risultati delle analisi, ma fortunatamente la mia funzione renale è ancora buona”. (12)

 

Liberato Venditti

Bello era biondo e di gentile aspetto (Dante, Purgatorio, III: 134)

Liberato, vetraio venticinquenne, capelli corvini ed occhi neri profondi ed inquisitivi. Bello, forte -amante delle arrampicate in moto e di teatro – sul fare della sera del 23 Ottobre 1999 andò incontro alla morte mentre guidava la sua moto a passo d’uomo per le vie del suo paese, nelle vicinanze della Villa Comunale, a Piedimonte Matese.

La sua moto si scontrò frontalmente con l’auto guidata da una sua carissima amica nonché dirimpettaia. Sbalzato dal sellino, Liberato, dopo un volo, cadde sul selciato e perse coscienza. Una corsa al locale ospedale ed un’altra all’Ospedale Cardarelli di Napoli dove giunse in coma. Nelle ore seguenti fu effettuato un intervento in neurochirurgia per trauma cranico grave ed esteso. Ma la vita di Liberato era già finita su quel selciato inzuppato del suo sangue, nel suo paese, cioè quasi a casa sua.

Il 29 ottobre 1999 Liberato venne dichiarato clinicamente deceduto. Il padre, il fratello Antonio e la sorella Annamaria, confortati ed ispirati dal fratello Guglielmo, giovane nefrologo, decisero con esemplare generosità che gli organi di Liberato continuassero a vivere nei corpi di persone che ne avevano bisogno. Furono prelevati i reni, il cuore, il fegato.

Quattro persone furono salvate ed ebbero la chance della rinascita. Dai giornali si seppe che il fegato era stato trapiantato in una venticinquenne con epatopatia fulminante a Milano, il cuore ed i reni a Napoli (13).

Commento 1

Dopo quell’evento Guglielmo Venditti ha dato l’adesione all’AIDO, di cui in seguito è stato anche Vicepresidente nazionale. L’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e l’AIDO di Caserta nel 2014 hanno testimoniato apprezzamento e gratitudine a Guglielmo nel corso di eventi di Sopravvivere Non Basta sia a Napoli che a Caserta.

Il nome di Liberato Venditti dal 2003 è legato al centro AIDO di Piedimonte Matese che ha lo scopo di informare e fare formazione di volontari per il trapianto. Pertanto organizza eventi che richiamano il valore sociale della donazione, cioè della vita che continua e si moltiplica.

Commento 2

Lo struggente ricordo ed il significato di quella donazione sono stati fissati in Ciao Amico Mio, una poesia di Guglielmo Venditti.

Ciao amico mio

Non ti ho mai conosciuto

e vivi dentro me

Non ho mai incrociato i tuoi occhi

e mi fai vedere il mondo come te

Non ho mai ascoltato la tua voce

e parlo della bellezza di amare

Non ho mai stretto le tue mani

e stendo le mie mani verso la sofferenza

Non ho mai visto il tuo sorriso

e la vita torna a sorridere

Non ho mai percepito il battito del tuo cuore

e ora il mio pulsa con te

Io non ti conosco ma ti sei donato

Hai squarciato le tenebre della mia esistenza

con la forza e la luce della tua vita

Dentro di me hai sprigionato

l’energia del tuo amore profondo

Immenso come l’universo,

brillante come la stella polare

Guida nel firmamento celeste.

 

Giuseppe Feola

Dopo il tragico incidente occorsogli mentre con lo scooter stava tornando a casa dopo l’allenamento Giuseppe Feola era stato trasportato al reparto rianimazione dell’Ospedale di Caserta. Là era stato dichiarato clinicamente morto. I familiari hanno dato il consenso all’espianto degli organi (14).

La domenica successiva, dopo aver segnato alla Lazio il goal del 2 a 1, il centravanti del Napoli Gonzalo Higuaín ha sollevato la maglia con l’immagine di Peppino (15).

 

La donazione degli organi del Professor Bruno Memoli, Associato di Nefrologia e Direttore della Dialisi dell’Università Federico II

“Bruno era molto apprezzato e stimato dai Colleghi della sua Facoltà. Intelligente e colto, svolgeva con uguale passione le tre attività, didattica, scientifica ed assistenziale tipiche del Professore Universitario. Intensa è stata infatti la sua attività di insegnamento sia agli studenti del Corso di Laurea in Medicina, sia agli Specializzandi della Scuola di Specializzazione in Nefrologia, mostrandosi sempre disponibile a soddisfare le richieste degli studenti e degli Specializzandi. Affinché gli studenti potessero acquisire le nozioni delle diverse tecniche dialitiche si è sempre impegnato perché nel Centro Dialisi venissero praticate tutte le tecniche dialitiche extracorporee disponibili, come l’Emofiltrazione, l’Emodiafiltrazione, la Paired Filtration Dialysis, l’Acetate Free Biofiltration e le tecniche on line. I risultati delle sue ricerche, sempre interessanti, brillanti ed originali, hanno trovato una vasta risonanza nel mondo scientifico internazionale. I suoi protocolli di ricerca hanno ottenuto numerosi finanziamenti e contratti di ricerca soprattutto dal MURST e dal CNR.

[…] Il destino ha voluto che proprio quest’anno si realizzasse il suo grande sogno: il conseguimento dell’idoneità nazionale a Professore Ordinario (prima fascia).

Bruno ha lasciato un grande vuoto in tutti coloro che, avendolo conosciuto, ne hanno apprezzato la cultura, la simpatia, l’entusiasmo, la sensibilità, le capacità relazionali e le non comuni qualità umane. La sua generosità lo aveva portato ad esprimersi favorevolmente alla donazione dei suoi organi in caso di morte improvvisa. La moglie ed i figli lo hanno lodevolmente esaudito in questo suo desiderio. I suoi organi sono stati infatti prelevati e trapiantati ed oggi consentono una vita normale a coloro che li hanno ricevuti”. (16)

 

Le riflessioni di un cardiochirurgo espiantatore

Avevamo operato in emergenza il padre di un collega e caro amico. La procedura di bypass aortocoronarico non era andata a buon fine, il cuore non era ripartito. Stone Heart, si dice in gergo, e avevamo dovuto ricorrere ad un ECMO confidando nella disponibilità di un cuore in emergenza. Ma passarono giorni senza alcun riscontro e il paziente stava tragicamente scivolando via.

All’improvviso una segnalazione di un organo compatibile. La sede non era raggiungibile via aereo, fummo obbligati a spostarci in auto con il supporto della polizia. Gli agenti, capita l’urgenza, guidavano come se non ci fosse un domani, ma fummo costretti a fermarci più volte per fare rifornimento, e le gazzelle non si riforniscono dal benzinaio ma nei loro autoparchi…

Arrivammo in ospedale esasperati e con un animo quasi predatorio decidemmo di far trasferire il donatore direttamente in sala operatoria. Avremmo fatto tutte le nostre valutazioni direttamente lì. Ma furono i colleghi delle altre equipe a rallentare ulteriormente il processo sforando per problemi  organizzativi … le condizioni del nostro paziente peggioravano di minuto in minuto e noi eravamo prigionieri nel blocco operatorio.

Finalmente giunse il via libera, il donatore era in ascensore, il mio collega già pronto con il camice indosso… ed ecco passare la barella su cui Biancaneve riposava e intorno un’aria immensa di mestizia.

Un’ambulanza a sirene spiegate aveva urtato con lo specchietto una studentessa all’uscita di scuola. Di tante attese restava solo la possibilità di un dono anonimo, inatteso, tanto generoso quanto crudele… E la sua bellezza, il minimo trauma, l’aveva preservata intatta. Brillava sotto i neon giallognoli della sala operatoria. Nessuno aveva il coraggio di toccarla. Ogni urgenza sembrava sospesa in un mistero più grande.

“Telarla” fu un sollievo, restava in vista solo l’accesso chirurgico.

Il miracolo non riuscì. Le condizioni del ricevente erano troppo deteriorate…

Un uomo che aveva dedicato tutta la sua vita all’apostolato in una parrocchia di periferia e una ragazzina generosa avvolti in un destino difficile da decifrare.

Ho provato turbamento e vergogna per quanto avvertito quella notte.

E il dilemma del chirurgo di fronte all’insuccesso si è coniugato in modo inatteso con le riflessioni di un uomo, un padre, un amico.

 

Commento

Pochi in letteratura gli studi inerenti le emozioni dei chirurgi, focalizzati inoltre su gli eventi avversi in sala operatoria o le gravi complicanze postoperatorie e le ripercussioni psicologiche sulla cosiddetta seconda vittima.

Uno studio di Orri ha evidenziato che le emozioni dei chirurghi (tra cui ansia, paura, angoscia, senso di colpa e responsabilità) si verificano anche in assenza di un evento avverso e pervadono la relazione con pazienti, famiglie o colleghi (17).

 

Federico Finozzi. Storia di un trapianto

“Mi chiamo Federico e abito a Casciana Terme, un paesino in provincia di Pisa. La mia esperienza inizia nel 1994, all’età di 18 anni quando mi fu diagnosticata una rettocolite ulcerosa con colangite sclerosante di natura primitiva, malattia non molto frequente. Non sapevano certo quale fosse la causa né tantomeno la cura. L’unica cosa certa che mi comunicarono fu che prima o poi avrei dovuto fare un trapianto di fegato. Poteva essere dopo un anno, due, dieci, venti. Ho cercato di affrontare ogni giorno senza pensarci e cercando di stare meglio che potevo. Nonostante la fatica e i farmaci, la mia volontà voleva comunque cercare di fare una vita “normale”. E questo ho fatto fino a che ho potuto.

Nel 2001 la malattia si aggravò e ogni mese che passava stavo sempre peggio. Ho passato tre anni fra febbre, antibiotici e ricoveri ospedalieri. Avevo circa dieci giorni di febbre ogni due settimane, con tutto ciò che ne consegue: dolori articolari, mal di testa, stanchezza cronica. Gli studi universitari rallentarono bruscamente. Le uscite con gli amici pure. Così fino a gennaio del 2003, quando la situazione precipitò e la febbre fu giornaliera. E quando parlo di febbre, parlo di 40 gradi e oltre! In qualsiasi ospedale andassi nessuno sapeva come curarmi o come alleviare le mie sofferenze.

Nonostante questo cercavo di condurre una vita il più possibile normale ma il mio stato fisico non sempre me lo permetteva. Fino al gennaio del 2003 quando chi mi aveva in cura a Bologna mi disse che non c’erano più speranze di salvare il mio fegato. Non c’erano più armi a disposizione. Loro di arrendevano. Fu una notizia terribile da digerire. All’età di 28 anni sentirsi dire che non c’è più speranza è tremendo. Mi sentivo al capolinea della mia vita. Non vedevo speranza, non vedevo futuro, progetti, sogni […] niente.

Mi consigliarono di recarmi al Centro Trapianti di fegato a Cisanello (Pisa) e sperare che trovassero una soluzione. Sono stato ricoverato a Pisa per otto mesi. E otto mesi in un ospedale sono tantissimi! L’ospedale diventa casa tua, i medici si trasformarono in familiari, gli infermieri in amici. Anche perché in ospedale c’è una malattia brutta che si chiama “solitudine”. Vengono amici e parenti a trovarti ma ad una certa ora finisce il passo dei visitatori e ti ritrovi a dormire con persone sconosciute, lontano da casa, lontano dalla tua camera, in un letto che non è il tuo letto! I medici che mi avevano in cura decisero, non vedendo risultati positivi, e soprattutto il primario, il Professor Filipponi che l’unica soluzione era un trapianto di fegato. Mi comunicò che soluzioni non c’erano. O si faceva il trapianto o non sarei qui a raccontare la mia storia. Aggiunse un’altra cosa, ma ai miei familiari, non a me. Aggiunse che non avrei avuto che tre mesi di vita, che ad agosto non ci sarei arrivato. A me non lo dissero ma lo sentivo. Percepivo che “me ne stavo andando”. La sera non volevo addormentarmi perché sentivo che poteva esser l’ultimo giorno su questa terra, cercavo di tenermi sveglio fino a quando la stanchezza non aveva la meglio. La mattina appena sveglio ero già felice perché voleva dire che avevo passato la notte e che avrei avuto un altro giorno di speranza. Sapevo che ogni giorno che affrontavo era un giorno in meno di vita e non uno in più. La mia attesa è durata due mesi e dieci giorni. Sono stato trapiantato il 29 luglio 2003, un martedì mattina.

Quel giorno una persona che non conosco, terminò il suo cammino su questa terra. E sono convinto che amasse talmente tanto la vita che probabilmente in vita ha deciso che gli fosse capitato qualcosa, acconsentiva al prelievo degli organi dando la possibilità a qualche sconosciuto di provare a sopravvivere alla malattia. Quello sconosciuto ero io. A me arrivò un fegato compatibile. Ma accadde che sotto i ferri ebbi un problema di sanguinamento. Quello stesso giorno qualcuno che non conosco decise di donare il proprio sangue. In verità erano venti perché ebbi bisogno di venti sacche di sangue, cioè di venti persone che in un giorno come tanti altri decisero di andare a donare il sangue. Loro non lo sapranno mai. Per loro è stato un gesto come tanti altri durato dieci minuti, forse venti. Ma anche quei regali aspettati contribuirono al superamento dell’intervento.

Avevo però nel cassetto un sogno. Qualche giorno prima dell’operazione lessi per caso sulla Gazzetta dello Sport che si stavano svolgendo a Nancy, in Francia, i Giochi Mondiali per Trapiantati, una sorta di Olimpiadi per chi, dopo un trapianto, aveva ripreso a fare sport. Con estrema fatica tornai in piscina per prepararmi ai Campionati Italiani per Trapiantati, tappa fondamentale per partecipare ai XV Campionati Mondiali per Trapiantati che si sarebbero svolti a London, Toronto, Canada dal 16 al 25 luglio 2005. In Canada sono riuscito a vincere 6 medaglie, tre d’oro, un argento e due bronzi, stabilendo un record del mondo sui 50 metri rana. È stata un’esperienza fantastica, soprattutto dal punto di vista umano. Trovarsi con cinquemila trapiantati è stato eccezionale.

La mia vita oggi è diventata una vita normale! Faccio tutte le cose che prima la malattia mi impediva di fare! Anzi come amo dire, la mia vita è straordinariamente normale. Sembra una frase scontata ma per me lo svegliarsi la mattina è già una gran regalo. Non do mai niente per scontato perché non lo è. Dov’è scritto che è scontato star bene? Dov’è scritto che è normale e scontato svegliarsi la mattina? So che non è facile da capire. Spesso solo chi ha avuto un problema riesce a godersi la vita in modo consapevole. Certo anche io ho le giornate “storte”, ma subito dopo penso al fatto che dovrei esser già morto e invece sono ancora vivo e vegeto! La vita è meravigliosa…se hai la fortuna di viverla!

Nel frattempo è accaduto un altro miracolo. Sono tornato ad una vita normale. Lavoro per l’associazione Vite Onlus (www.viteonlus.it) e gestiamo una Foresteria. Ogni giorno sono tantissime le persone che arrivano da tutta Italia in cerca di salvezza da malattie che non hanno cura. E qualche anno dopo il trapianto sono diventato babbo! È nata Rebecca! E questo evento mi ha fatto fare una riflessione. Se il mio donatore non avesse donato gli organi io sarei morto quasi sicuramente viste le mie condizioni. E mia figlia non sarebbe nata. Se quelle venti persone non fossero andate a donare il sangue, a loro non sarebbe cambiato niente […] invece io non avrei superato l’intervento.

Invece con il loro “si” aperto alla donazione mi ha fatto tornare alla vita e ne ha fatta nascere un’altra. E se un domani Rebecca crescerà e avrà un figlio, il mio donatore avrà salvato tre vite. E se per caso il mio donatore avesse donato tutti e sette gli organi a persone giovani che hanno avuto un figlio dopo il trapianto? Quante vite legate ad una scelta di dire “si” […] ha fatto nascere una generazione intera grazie al suo “si” alla donazione. Il trapianto ha moltiplicato la vita!” (18)

 

Commento

Federico Finozzi amava la vita. Ai convegni aveva grande successo per il suo parlare, era accattivante. L’impegno per la donazione fu totale come solo chi ha atteso ed avuto un trapianto può fare. Trapiantato a 19 anni nel 2003 è deceduto il 17 agosto 2017.


Discussione

Scrive Trisha Greenhalgh nel Health Evidence Network Synthesis Report 49: “Le storie sono dispositivi che creano senso. […] sono intrinsecamente non lineari (descrivono eventi come emergenti dall’interazione di azioni, relazioni e contesti), quindi sono strumenti particolarmente potenti per dare un senso a fenomeni complessi e emergenti. […] Le storie sono spesso evocative e memorabili. Sono ricche di immagini, ricche di azione e cariche di emozioni. […] sono necessariamente prospettiche […] possono catturare la conoscenza tacita. […] Le storie sono retoriche. In effetti, una storia è uno strumento di argomentazione, progettato per persuadere l’ascoltatore della legittimità della prospettiva del narratore. […] Le storie individuali sono annidate all’interno di più ampie metanarrative e quindi forniscono la finestra per lo studio di organizzazioni, comunità e culture. […].

Le storie hanno una dimensione etica. La persona che legge o ascolta una tale storia incorre nel dovere di agire.

[…] Le storie sono aperte […] Infine, le storie sono sovversive”. (19)

Ed ancora Gaia Marsico sostiene che: “le esperienze, raccontate fuori dalle strettoie di questionari o interviste, offrono un’occasione preziosa per contestualizzare i dati clinici, i bisogni, le domande di salute, rendono visibile l’unicità delle storie/persone, permettono di vedere “con gli occhi degli altri”. Troppo spesso il linguaggio che descrive o che si usa nei contesti medici non racconta la vita, non evoca l’incertezza, le differenze, la paura, le emozioni. […] Le testimonianze-esperienze delle persone completano i dati epidemiologici su: la qualità della vita, l’accesso ai servizi, i bisogni, le realtà clinico assistenziali. Raccontare-ascoltare-raccogliere le esperienze dei/delle pazienti rappresenta una modalità di fare epidemiologia a partire da un punto di vista diverso: quello dei soggetti di cura. Le narrazioni sono soprattutto la testimonianza di un’esperienza vissuta e rielaborata, sono la memoria della fatica, del dolore, della speranza, di ciò che si prova sulla propria pelle” (20).

 

Conclusione

“La generosità si apprende attraverso le storie che descrivono persone che agiscono in modo generoso, e le storie restano centrali su come la generosità è messa in atto. In certi casi la generosità consiste nell’ascoltare le storie degli altri; in altri casi nell’essere un testimone delle loro storie; in altre ancora nell’agire, nel diventare un personaggio nelle loro storie in modo tale da dar loro buone storie da narrare”. (21)

Questo lavoro è stato presentato in parte (poster) al 59Congresso Nazionale della Società Italiana di Nefrologia, il 5 ottobre 2018.

 

Bibliografia

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  14. È finita. È morto Giuseppe Feola. https://www.corrierece.it/notizie-cronaca/2014/04/11/e-finita-e-morto-giuseppe-feola-ha.html (accesso il 1 Ottobre 2018).
  15. Sky Sport football, 13.04.2014.
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  17. Orri M, Revah-Lévy A, Farges O. Surgeons’ Emotional Experience of Their Everyday Practice – A Qualitative Study. PLoS One. 2015 Nov 24;10(11):e0143763. eCollection 2015. https://doi.org/10.1371/journal.pone.0143763
  18. Finozzi F. The story of a young transplanted. In De Santo NG, Balat A, Gesualdo L, De Rosa G et al. Survival is Not Enough: Organ Donation: A Family Decision, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici 2014, p.67-7. (Tradotto dall’inglese dalla Dr. Giusy De Rosa).
  19. Greenhalgh T. Cultural contexts of health: the use of narrative research in the health sector. Health Evidence Network Synthesis Report 49. WHO/Europe, 2016, p.7-9.
  20. Marsico G. Perché raccogliere storie? R&P 2007;23:17-25.
  21. Frank AW. The Renewal of Generosity. The University of Chicago Press: 2004.