Novembre Dicembre 2017 -

Association between fractures and vascular calcifications

Abstract

Several cross-sectional and prospective studies highlight the existence of an association between bone fractures and abdominal aortic calcifications, especially if particularly severe and independent from confounders such as aging, smoking habits and diabetes. This phenomenon affects not only the general population but also patients with chronic kidney disease in which cortical bone lesions are prevalent. Moreover, bone fractures and aortic calcifications have been proved to be linked to increased cardiovascular morbidity and mortality, both in the general populations and in patients with chronic kidney disease, who notoriously show elevated cardiovascular risks.

Therefore, diagnostic investigations about bone fractures and abdominal aortic calcifications, particularly in patients with chronic kidney disease, may represent a useful tool for identification of patients with a higher cardiovascular risk in order to optimize therapies for bone metabolism disorders.

KEYWORDS: Vertebral fractures, vascular calcifications, Chronic Kidney Disease, mortality

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INTRODUZIONE

L’Osteoporosi e le malattie cardiovascolari sono due importanti problemi di salute pubblica, entrambi associati ad elevata morbilità e ospedalizzazione di lunga durata, elevata mortalità ed elevato dispendio di risorse da parte del Sistema Sanitario (1).

Tra queste due patologie, inoltre, è documentata una stretta correlazione, sia nella popolazione generale, sia nei pazienti con malattia renale cronica (MRC), come dimostrato da recenti studi clinici sperimentali (234).

La relazione tra osso e vasi è molto ben riassunta, sotto l’aspetto biologico, dal processo di calcificazione della media dei vasi arteriosi. Infatti, alcuni modulatori chiave del metabolismo osseo e minerale sono coinvolti attivamente nel processo di calcificazione vascolare, in quanto esistono forti analogie tra le cellule della parete vascolare e il tessuto osseo. In particolare, le cellule muscolari lisce, stimolate dagli stessi lipidi ossidati che inducono aterosclerosi, sono in grado di trans-differenziarsi in osteoblasti e, successivamente, di produrre osso mineralizzato nella parete arteriosa. Inoltre, sia il processo di aterosclerosi che di osteoporosi vedono il reclutamento dei monociti e la loro differenziazione in macrofagi-cellule schiumose nelle arterie e negli osteoclasti dell’osso (5). Il processo di trans-differenziazione in senso osteo-condroblastico delle cellule muscolari lisce della tunica media delle arterie vede coinvolto un aumento dell’espressione del fattore di trascrizione Runx2 e di altri mediatori a valle di differenziazione osteoblastica (Msx2, Wnt3a, and Wnt7a), di mineralizzazione della matrice (osterix, fosfatasi alcalina) e proteine tipiche del tessuto osseo (collageno tipo I, osteocalcina, osteopontina, e RANKL) (6).

Il processo di calcificazione dei vasi arteriosi è comunque un processo molto complesso, che vede coinvolti numerosi mediatori e meccanismi patogenetici (2). Da un lato esso è caratterizzato da perdita di efficienza del sistema degli inibitori della calcificazione, che include la Matrix Gla protein (MGP), le GLA-rich protein (GRP), fattori vitamina K dipendenti, la fetuina-A, la osteopontina fosforilata, il pirofosfato ed il deficit di osteoclastogenesi che è associato ad aumentato rapporto tra osteoprotegerina e RANKL. Dall’altro lato il processo di calcificazione vede interessata l’attivazione di meccanismi pro-calcificanti, che sono in gran parte legati ad alterata omeostasi del calcio e fosforo. L’elevata concentrazione di calcio e fosforo in circolo si associa a formazione di particelle calciproteiche, che sono nano-aggregati calciofosforici intensamente pro-calcificanti e di “Ca/Pi loaded matrix vescicles”, che sono vescicole rilasciate dalle cellule muscolari lisce differenziate in senso osteo-condrocitico in grado di promuovere la deposizione di idrossiapatite, soprattutto in assenza o in carenza di inibitori della calcificazione. Anche gli elevati livelli circolanti di omocisteina sono in grado di esercitare un effetto pro-calcificante, probabilmente attraverso l’induzione di metalloproteinasi-2 (MMP2) e di agenti pro-infiammatori e pro-aterogeni, come il TNFα, IL-1β, IL-6, IL-8, and IL-12 (7).

Il processo di calcificazione è inoltre modulato dalle molecole di MicroRNA, che sono catene di 20-30 nucleotidi in grado di legare la 3′-untranslated region (3′-UTR) delle molecole di RNA messaggero complementare, con effetto pro-calcificante, malgrado inducano ridotta espressione del fattore di trascrizione Runx2 (8).

L’associazione tra calcificazioni vascolari e rischio fratturativo è stata evidenziata in diversi studi osservazionali, sia cross-sectional che prospettici, in cui le calcificazioni dell’aorta addominale (AAC), ed in particolare le forme più severe si sono rivelate significativi predittori di rischio fratturativo, anche indipendentemente da potenziali variabili di confondimento (1).

 

FRAGILITA’ OSSEA E RISCHIO CARDIOVASCOLARE

Diversi studi clinici, talora con alcune contraddizioni, hanno dimostrato una relazione tra queste due patologie. Tra di essi vi è lo studio condotto da Schulz et al. (9), in cui è stata investigata, in oltre 2000 donne in post-menopausa, la relazione tra lo score TAC di calcificazione aortica, i pregressi eventi fratturativi patologici e la densità ossea. Si è così dimostrata una significativa relazione inversa tra calcificazioni aortiche e densità ossea e diretta tra calcificazioni vascolari ed eventi fratturativi. Inoltre, in 228 donne seguite con un follow-up della durata di 8 anni, si è dimostrata un’associazione diretta tra progressione delle calcificazioni vascolari e massa ossea.

Lo studio cross-sectional STRAMBO (10) ha valutato l’associazione tra calcificazioni dell’aorta addominale e la prevalenza di fratture vertebrali in 901 uomini d’età superiore a 50 anni, concludendo che la prevalenza, la severità ed il numero di fratture vertebrali erano più alti negli individui con più elevato AAC score, valutato con la metodica di Kauppila. L’indice di Kauppila è un indicatore semiquantitativo di AAC determinabile in base ad una semplice radiografia dell’addome in proiezione latero-laterale. L’aorta addominale viene suddivisa in quattro segmenti corrispondenti alle vertebre lombari L1, L2, L3 ed L4, per ciascun segmento viene dato un punteggio predefinito in base al grado di calcificazione sia della parete anteriore sia della parete posteriore e la somma dei punteggi restituisce l’indice di Kauppila (11). Nello studio STRAMBO, fissata una soglia arbitraria di indice di Kauppila di 6, l’Odds Ratio (OR) di fratture vertebrali era 2,5 volte più alto nei pazienti con indice > 6 rispetto ai pazienti in cui tale indice era ≤ 6, anche indipendentemente da potenziali fattori confondenti.

Lo studio EVOS (4), condotto su 624 individui (sia di sesso maschile che di sesso femminile) d’età superiore a 50 anni, ha dimostrato un’associazione significativa tra prevalenza di calcificazioni aortiche severe e fratture osteoporotiche [OR=1.93 (1.02-3.65)], ma tale associazione era più marcata quando venivano considerate le sole fratture vertebrali [OR=2.45 (1.23-4.87)]. Inoltre, la progressione delle calcificazioni aortiche si mostrava significativamente associata al tasso di declino della densità minerale ossea del rachide lombare.

Lo studio MrOS (12), invece, ha dimostrato in pazienti maschi di età superiore a 65 anni una significativa associazione tra fratture non vertebrali, soprattutto dell’anca, e calcificazioni vascolari severe dell’aorta addominale.

Lo studio MORE (13, 14), condotto su 2576 donne in post-menopausa, ha infatti dimostrato che le donne con osteoporosi avevano un rischio 3.9 volte maggiore (95% CI, 2.0-7.7; p < 0.001) di eventi cardiovascolari rispetto alle donne osteopeniche. In particolare una densità minerale ossea (BMD) dell’anca con T score ≤-2.5 era associata ad un aumento di 2.1 volte del rischio cardiovascolare (95% CI, 1.2-3.6; p < 0.01) rispetto ad una BMD compresa tra -2.5 e -1, e tale rischio era ulteriormente incrementato dal numero e dalla severità delle fratture vertebrali (p<0.001).

Lo studio condotto da Silva et al. (15) su 150 individui con sindrome metabolica ed età compresa tra 30 e 80 anni, ha evidenziato, nei pazienti con recente evento coronarico acuto, un rischio 5 volte maggiore di fratture osteoporotiche rispetto ai controlli, indipendentemente dal sesso e dalla BMD (OR=4.97, 95% CI 1.17-30.30, p=0.031). E’ interessante sottolineare che nello studio di Silva le pazienti che avevano avuto un evento coronarico acuto presentavano livelli circolanti di fosforo significativamente più elevati rispetto ai controlli. Ciò assume particolare significato tenendo conto dell’importanza della fosforemia nei processi di calcificazione vascolare e come importante fattore di rischio cardiovascolare in soggetti con e senza MRC.

ASSOCIAZIONE TRA FRAGILITA’ OSSEA E RISCHIO CARDIOVASCOLARE NEI PAZIENTI CON MALATTIA RENALE CRONICA

Gli studi sinora descritti riguardano la popolazione generale, ma è evidente che il problema riguardi anche la popolazione affetta da malattia renale cronica, caratterizzata da un danno prevalente a livello dell’osso corticale. Infatti, l’osso trabecolare, invece, risente meno dell’effetto del paratormone (PTH), ed è per questo che la prevalenza delle fratture vertebrali nei pazienti dializzati non differisce di molto rispetto alla popolazione generale. Tuttavia, gli studi (1618) che abbiano valutato la prevalenza delle fratture vertebrali nei pazienti con MRC sono pochi e limitati dall’aver impiegato metodi semi-quantitativi per la valutazione dell’entità delle fratture vertebrali. Ad ogni buon modo, malgrado tali limitazioni metodologiche, tra questi studi alcuni evidenziano aspetti di particolare importanza (17, 1921).

In uno studio condotto su una coorte spagnola di emodializzati (coorte di Oviedo) è stata osservata una frequenza di calcificazioni aortiche maggiore rispetto a controlli, rappresentati da una sovrapponibile popolazione di soggetti non in emodialisi provenienti dalla stessa area regionale (79% versus 37.5%, P < 0.001), mentre la frequenza di fratture vertebrali non evidenziava differenze statisticamente significative (26.5% versus 24.1%). E’ da sottolineare che, in analisi multivariata avente come variabile di esito la mortalità, condotta in donne in emodialisi appartenenti a tale coorte, le fratture vertebrali risultavano associate ad un rischio relativo (RR) di morte più elevato rispetto alle calcificazioni aortiche (RR=4.8, versus RR=3.2) (17).

Lo studio multicentrico EVERFRACT (21), condotto su 387 pazienti adulti emodializzati seguiti per 3 anni, ha evidenziato una prevalenza di fratture vertebrali, rilevate con metodo morfometrico quantitativo, del 55,3%, in linea con altri studi (22, 23) ed ha studiato l’associazione tra fratture vertebrali e diverse variabili, tra cui le calcificazioni aortiche e le calcificazioni delle arterie iliache (Tabella 1). Le prime si associavano alle fratture vertebrali con un OR di 1.77 mentre le seconde con un OR di 1.96 e, aspetto molto interessante della questione, un’analisi derivata da questo studio evidenziava come, utilizzando la tecnica dell’AKAIKE information criterion, la presenza di calcificazioni iliache si associava ad una chance di predire la frattura vertebrale pari al 91% contro il 9% associato al riscontro di calcificazione aortica (24).

 

Tabella 1. Rischio di calcificazione vascolare in sede aortica e/o di arterie iliache (presenza vs assenza) associato a presenza di fratture vertebrali nello studio EVERFRACT (21).

Fratture vertebrali
Sede di calcificazione vascolare (esito) Odds Ratio Intervallo confidenza 95%
aorta addominale (presenza vs assenza) 1.77 1.03-1.07
arterie iliache (presenza vs assenza) 1.96 1.27-3.04
aorta addominale + arterie ilache (presenza vs assenza) 2.61 1.38-4.92

 

FRATTURE VERTEBRALI E TRAPIANTO DI RENE

Il rischio di frattura non risparmia senza dubbio anche i riceventi di trapianto di rene, come conseguenza delle preesistenti alterazioni ossee e dell’effetto sullo scheletro dei farmaci immunosoppressori. Uno studio condotto da Giannini et al. su 125 trapiantati di rene (22) ha dimostrato che l’età del paziente e l’epoca dal trapianto sono predittivi di bassi livelli di 25-OH Vitamina D. Questi, a loro volta, insieme alla durata della vita dialitica, sono predittivi di elevati livelli di PTH. L’iper-paratiroidismo e l’epoca dal trapianto sono predittivi di più alto rischio fratturativo.

Lo studio cross-sectional spagnolo EMITRAL, condotto su 727 pazienti trapiantati di rene, ha dimostrato che queste differenze metaboliche, nel trapiantato, risentono dell’effetto di genere. Infatti, col progredire della MRC, la prevalenza dell’ipovitaminosi D, dell’iperfosfatemia e dell’iper-paratioridismo è maggiore nelle donne, dove aumenta anche più rapidamente (25). In questi pazienti la prevalenza di deformità vertebrale ≥ 2 (misurata con il classico metodo Genant) non differisce tra i vari stadi di CKD, mentre la prevalenza di calcificazioni aortiche (misurate con l’indice di Kauppila) aumenta significativamente con il progredire della malattia renale (20).

 

CONCLUSIONI

Le calcificazioni della tunica media delle arterie e le fratture ossee sono fenomeni biologicamente interconnessi, sia nella popolazione generale che nei pazienti con MRC. La loro associazione rappresenta un elemento prognostico importante perché è in grado di condizionare insorgenza e progressione di malattia cardiovascolare, soprattutto nei pazienti con MRC che sono particolarmente esposti a rischio cardiovascolare. Per tali ragioni la ricerca di fratture vertebrali e di calcificazioni vascolari potrebbe essere considerata in tali pazienti tra le indagini diagnostiche più utili per individuare i pazienti maggiormente esposti a rischio cardiovascolare, al fine di ottimizzare i trattamenti di correzione delle alterazioni del metabolismo minerale.

 

 

BIBLIOGRAFIA

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