Sezione 1: Gestione delle cisti epatiche e delle loro complicanze

 

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Gestione in ambulatorio della malattia policistica

Abstract

La malattia policistica è una patologia di tipo familiare e pertanto l’attività ambulatoriale non si rivolge al singolo soggetto affetto, ma a tutta la sua famiglia.

D’altra parte la patologia determina un coinvolgimento sistemico e richiede il contributo di specialisti diversi quali il nefrologo, il genetista, il radiologo ed altri.

Pertanto è auspicabile l’attivazione di ambulatori in cui un team di specialisti valuti i quadri clinici di pazienti appartenenti alla stessa famiglia.

Parole chiave: ambulatorio, gestione dei pazienti, rene policistico

 

Raccomandazione

È utile costituire un ambulatorio dedicato alla malattia policistica preferibilmente con un team di specialisti associati (nefrologo, genetista, psicologo ed altri).

Razionale

La malattia policistica come patologia ereditaria, colpisce membri di una stessa famiglia e può determinare particolari dinamiche emotive e relazionali [1]. La costituzione di un team di specialisti dedicati favorisce il dialogo con i membri delle famiglie e determina la formazione di rapporti di fiducia consolidati. Gli specialisti coinvolti possono essere contemporaneamente presenti nelle sedute di ambulatorio o comunque creare una rete professionale che si prenda cura del paziente nella modalità di accesso diretto.

La conoscenza diretta dei quadri clinici presenti nelle famiglie da parte del team specialistico faciliterà le indagini di diagnosi. La presenza conosciuta della malattia cistica in alcuni membri della famiglia permetterà di porre diagnosi con le sole indagini ecografiche [2] senza dover ricorrere alle indagini genetiche. L’esperienza professionale diretta del team sarà molto utile nel percorso decisionale della diagnosi mentre la frequentazione con i membri della famiglia permetterà di ridurre ostacoli come la diffidenza o il timore di indagini allargate ai membri asintomatici. Inoltre molti aspetti della vita quotidiana dei pazienti policistici sono condizionati dalla patologia e stati di depressione ed ansia sono descritti in più del 60% dei pazienti [3]. I colloqui di lavoro e/o la stipula di contratti assicurativi od anche la scelta di un’attività fisica possono essere motivo di crisi psicologica dei pazienti. Tale problematiche possono essere riportate dai pazienti e ricevere un adeguato supporto dal team medico quando vi sia un’organizzazione dedicata alla patologia.

La storia clinica dei pazienti policistici richiede frequentemente il consulto con altri specialisti (es. radiologi per la valutazione di aneurismi intra-cranici, urologi e/o chirurghi per una valutazione di intervento selettivo su alcune cisti). La presenza di un team che ha sviluppato una rete di consulenze sia nel proprio ospedale che con centri esterni di grande esperienza è un motivo ulteriore che suggerisce la costituzione di un ambulatorio dedicato con un team costantemente presente ed aggiornato sulle problematiche.

Il trapianto di rene nella malattia policistica autosomica dominante del rene (ADPKD)

Abstract

Tra le terapie renali sostitutive, il trapianto è la scelta ottimale per i pazienti con malattia policistica autosomica dominante del rene (ADPKD). Prima del trapianto in questi pazienti è necessario considerare alcuni aspetti particolari, quali la nefrectomia dei reni nativi, la presenza di cisti epatiche, lo screening di aneurismi intracranici e le caratteristiche dell’eventuale donatore vivente consanguineo. Dopo il trapianto di rene, le percentuali di sopravvivenza del paziente e dell’organo sono eccellenti, e le dimensioni dei reni nativi tipicamente diminuiscono. Tuttavia, sono state documentate diverse complicanze renali ed extra-renali in pazienti con ADPKD sottoposti a trapianto di rene. In particolare, si possono verificare infezioni delle cisti nei reni nativi in pazienti che non hanno eseguito la nefrectomia bilaterale prima del trapianto. E’ stato inoltre riportato un aumento del rischio di diabete mellito post-trapianto e tumori cutanei non-melanoma, anche se recenti studi hanno messo in discussione questi risultati. In pazienti con ADPKD non sottoposti a nefrectomia preventiva il rischio di tumori dei reni nativi dopo un trapianto di rene è paragonabile a quello di pazienti con altre nefropatie. Non ci sono evidenze che supportino l’impiego preferenziale degli inibitori dell’enzima mammalian target of rapamycin come parte della terapia immunosoppressiva in pazienti trapiantati con ADPKD.

Parole chiave: adpkd, nefrectomia, terapia immunosoppressiva, trapianto di rene

 

Introduzione

Tra le terapie sostitutive renali, il trapianto è la scelta ottimale per pazienti con ADPKD e insufficienza renale terminale [1] [2] (full text). Il trapianto da donatore vivente, possibilmente pre-emptive, è la modalità associata ai migliori risultati [3] (full text). Uno studio europeo condotto in 35,164 pazienti con ADPKD e insufficienza renale cronica terminale ha evidenziato un aumento del ricorso al trapianto di rene tra il 1991 e il 2010. Durante questo periodo la prevalenza di pazienti ADPKD con primo trapianto di rene è aumentata da 22 a 55 per milione di popolazione, e il contributo relativo del trapianto di rene in relazione alle altre terapie sostitutive della funzione renale (emodialisi, dialisi peritoneale) è aumentato dal 43% al 59% [4].

Note rilevanti relative al trapianto di rene in ADPKD

  • Nella ADPKD le percentuali di sopravvivenza del paziente e dell’organo dopo il primo trapianto di rene sono eccellenti.
  • La nefrectomia preventiva dei reni nativi dovrebbe essere eseguita solo in pazienti con dolore severo, senso di sazietà precoce, sanguinamenti e infezioni ricorrenti, nefrolitiasi e nei casi in cui è necessario creare spazio nella cavità addominale per l’alloggiamento del rene da trapiantare.
  • L’imaging del fegato per determinare la severità della malattia policistica del fegato eventualmente associata dovrebbe far parte dell’inquadramento clinico iniziale di tutti i pazienti con ADPKD in attesa di trapianto.
  • Il trapianto combinato fegato-rene andrebbe preso in considerazione nei pazienti con epatomegalia sintomatica o colangite ricorrente se la velocità di filtrazione glomerulare è ≤ 30 mL/min/1.73 m2.
  • I soggetti di età inferiore a 30 anni valutati come potenziali donatori di rene di pazienti consanguinei con ADPKD dovrebbero essere sottoposti ad analisi genetiche se i risultati dei test di imaging sono negativi o equivoci.
  • Il rischio di tumori dei reni nativi dopo trapianto di rene in pazienti con ADPKD non sottoposti a nefrectomia preventiva è paragonabile a quello di pazienti con altre nefropatie.
  • Non ci sono evidenze che suggeriscano l’impiego preferenziale degli inibitori dell’enzima mTOR come parte della terapia immunosoppressiva nei pazienti con ADPKD sottoposti a trapianto di rene.

Preparazione al trapianto

Nella preparazione al trapianto di rene dei pazienti con ADPKD devono essere presi in considerazione la nefrectomia dei reni nativi, la presenza di cisti epatiche, lo screening di aneurismi intracranici e le caratteristiche dell’eventuale donatore vivente consanguineo.

Nefrectomia dei reni nativi

Uno degli aspetti più dibattuti del trapianto di rene in pazienti con ADPKD riguarda la necessità di procedere alla nefrectomia dei reni nativi, e le indicazioni e la tempistica relative a questa procedura (prima o dopo il trapianto) [5] (full text) [6] (full text). I reni non dovrebbero essere rimossi di routine prima del trapianto nei pazienti con ADPKD poiché la nefrectomia elimina l’eventuale diuresi residua, e si associa ad elevata morbilità e mortalità [5] (full text) [7] [8]. La procedura per via laparoscopica può essere meglio tollerata, anche se il passaggio alla nefrectomia aperta potrebbe essere necessario in caso di reni cistici molto grandi [9] [10]. Elementi a favore della nefrectomia pre-trapianto comprendono infezioni gravi e/o ricorrenti, nefrolitiasi sintomatica, sanguinamenti gravi e/o ricorrenti, dolore cronico, senso di sazietà precoce, sospetto di neoplasia renale e mancanza di spazio nella cavità addominale per l’alloggiamento del rene da trapiantare. A questo proposito, è utile considerare che solitamente nei pazienti con ADPKD il volume dei reni nativi diminuisce dopo un trapianto [11]. Anche se la pratica clinica è molto variabile tra i centri, nelle casistiche pubblicate meno di un terzo dei pazienti va incontro a nefrectomia pre-trapianto [12] (full text) [13]. L’embolizzazione arteriosa unilaterale trans-catetere è stata suggerita come alternativa alla nefrectomia per ottenere spazio nella cavità addominale che consenta il posizionamento dell’organo da trapiantare [14]. Sono state riportate anche esperienze di nefrectomia simultanea al trapianto. Questa procedura è considerata sicura poiché non incide sulla sopravvivenza del paziente o dell’organo trapiantato. Tuttavia, data la sua complessità, attualmente viene eseguita solo in pochi centri specializzati [15] [16] (full text) [17] (full text) [18]. Un altro aspetto spesso dibattuto riguarda la nefrectomia unilaterale o bilaterale. Sebbene alcuni studi abbiano dimostrato la sicurezza della nefrectomia bilaterale [17] (full text) [19], diversi centri preferiscono ricorrere alla procedura unilaterale per ridurre il rischio di complicanze post-trapianto [15].

In conclusione, tendendo conto sia dei rischi riguardanti la rimozione dei reni nativi nei pazienti con ADPKD sia la loro naturale riduzione di volume dopo il trapianto, la nefrectomia dovrebbe essere eseguita solo in pazienti sintomatici con chiare indicazioni e in pazienti asintomatici in cui è necessario creare spazio nella cavità addominale per l’impianto dell’organo. La nefrectomia simultanea al trapianto può essere presa in considerazione nei centri dove questa procedura è eseguita.

Coinvolgimento epatico

Non è noto se la terapia immunosoppressiva somministrata dopo il trapianto di rene aumenta il rischio di infezioni delle cisti epatiche. Tuttavia, in una coorte di più di 500 pazienti con ADPKD monitorati per 7 anni dopo il trapianto di rene, sono state documentate complicanze delle cisti epatiche, tra cui dolore o infezioni, nel 4% degli individui [12] (full text).

Il trapianto di fegato dovrebbe essere riservato a pazienti con sintomi estremamente disabilitanti, peggioramento della qualità di vita, infezioni ricorrenti delle cisti e malnutrizione secondaria all’epatomegalia [20]. Il trapianto combinato fegato-rene è diventato un’opzione di scelta nei casi in cui è presa in considerazione la possibilità di un trapianto di fegato in pazienti con ADPKD e velocità di filtrazione glomerulare stimata o misurata inferiore a 30 mL/min/1.73 m2 [21] (full text) [22] (full text). La sopravvivenza del paziente ADPKD associata alla procedura combinata è leggermente inferiore rispetto al trapianto di fegato o rene eseguiti separatamente[23] [24]. Tuttavia l’intervento combinato offre i vantaggi di un solo intervento chirurgico, un singolo regime immunosoppressivo di induzione, e fornisce eccellenti risultati a lungo termine in termini di qualità di vita [25] (full text).

Screening degli aneurismi intracranici

Le analisi di coorti di pazienti svedesi e francesi con ADPKD hanno dimostrato che le percentuali annuali di rottura di aneurismi intracranici in seguito a un trapianto di rene erano rispettivamente dello 0.4% e dello 0.05% [12] (full text)  [26] (full text). Questi risultati sono in accordo con studi epidemiologici e autoptici, secondo i quali l’età media alla rottura degli aneurismi intracranici in pazienti con ADPKD è rispettivamente di 41 anni e 37 anni. Queste osservazioni suggeriscono che in pazienti con ADPKD suscettibili a rottura degli aneurismi intracranici, è probabile che l’evento avvenga prima del trapianto di rene [27] (full text) [28] (full text). Recentemente è stato inoltre riportato che il rischio di emorragie intracraniche è inferiore nei pazienti con ADPKD sottoposti a trapianto di rene rispetto a quelli che rimangono in emodialisi[29] (full text). In sintesi, per stabilire in quali pazienti con ADPKD può essere utile eseguire uno screening degli aneurismi intracranici prima del trapianto rimangono valide le raccomandazioni applicate alla popolazione generale di questi pazienti.

Trapianto di rene da donatore vivente consanguineo

Se un familiare di un paziente con ADPKD desidera donare un rene, deve prima essere esclusa la malattia renale policistica. I criteri d’età per la diagnosi o l’esclusione della malattia mediante ecografia furono inizialmente stabiliti per PKD1 [30]e sono stati poi ridefiniti per PKD2 e per gli adulti a rischio con mutazione genetica non nota [31] (full text).

In candidati alla donazione di età ≥ a 40 anni il valore predittivo dell’analisi ecografica è eccellente [31] (full text). L’osservazione di reni normali o di una singola cisti in ogni rene ha un valore predittivo negativo del 100% e consente la donazione. Per individui a rischio di età compresa tra i 30 e i 39 anni, l’analisi ecografica può fornire un risultato falsamente negativo nello 0.7% dei casi. Per escludere la malattia in questa fascia di età, un esito negativo all’analisi ecografica deve essere confermato dalla risonanza magnetica nucleare o dalla tomografia computerizzata, tenendo conto della possibilità di rilevare una semplice ciste (i.e., non causata da ADPKD). In individui di età inferiore a 30 anni, l’utilità dell’analisi ecografica per diagnosticare la malattia è più limitata. Se l’esito dell’analisi ecografica è negativo, devono essere eseguite una risonanza magnetica nucleare o una tomografia computerizzata con o senza mezzo di contrasto per diagnosticare cisti di piccole dimensioni [31] (full text). Nel caso in cui anche la risonanza magnetica o la tomografia computerizzata risultino negative o equivoche, bisognerebbe ricorrere alla diagnosi genetico-molecolare [32] (full text) [33] (full text) [34].

Il post-trapianto

Sopravvivenza del paziente e dell’organo dopo il trapianto

Nell’ADPKD le percentuali di sopravvivenza del paziente e dell’organo dopo il trapianto di rene sono paragonabili a quelle riportate in pazienti con altre nefropatie [26] (full text) [35] [36] [37] [38]. In particolare, uno studio non ha riscontrato differenze nella sopravvivenza del paziente e dell’organo a distanza di 5 anni dal trapianto di rene in 106 pazienti con ADPKD e nel gruppo di controllo di 106 pazienti con altre nefropatie, ma simili per genere, età, data del trapianto e terapia immunosoppressiva [35]. Risultati analoghi sono stati riportati in un altro studio in cui la sopravvivenza del paziente e dell’organo 5 anni dopo il trapianto di rene erano rispettivamente dell’81% e del 62% in pazienti con ADPKD, e dell’83% e del 61% in pazienti di controllo non diabetici [26] (full text). Inoltre, anche l’analisi dei dati del registro US Renal Data System ha confermato che la sopravvivenza dopo trapianto di rene era simile in pazienti con ADPKD e pazienti non diabetici [1].

Volume dei reni nativi

In genere nei pazienti con ADPKD il volume dei reni nativi diminuisce in modo significativo dopo trapianto di rene. In particolare, alcuni autori hanno documentato la riduzione di volume dei reni nativi in 32 dei 33 pazienti con ADPKD analizzati [11]. La riduzione media è stata del 38% dopo un anno e del 41% dopo 3 anni dal trapianto. Questi risultati supportano l’atteggiamento conservativo per quanto riguarda la nefrectomia prima del trapianto nei pazienti con ADPKD, poiché i disagi dovuti al volume dei reni nativi dovrebbero diminuire col tempo.

Complicanze renali

Diverse complicanze renali sono state documentate in pazienti con ADPKD sottoposti a trapianto di rene. In alcuni casi i reni nativi diventano sintomatici dopo il trapianto nonostante la riduzione di volume. Per esempio, in un gruppo di 83 pazienti che avevano mantenuto almeno un rene nativo al momento del trapianto, sono stati documentati 3 casi di ematuria e 4 casi di infezioni [35]. La diagnosi di infezioni delle cisti renali può essere difficoltosa poiché i sintomi sono spesso aspecifici e l’accuratezza diagnostica della tomografia computerizzata convenzionale è limitata. Negli ultimi anni è emerso che la tomografia a emissione di positroni con 18F-fluoro-desossi-glucosio combinata alla tomografia computerizzata è più sensibile rispetto alle tecniche radiologiche di imaging nell’identificare cisti renali infette [39] (full text). Anche tra i centri che adottano un atteggiamento conservativo riguardo alla nefrectomia pre-trapianto, nel 3-14% dei casi è stato necessario rimuovere i reni nativi dopo trapianto di rene a causa di infezioni, sanguinamenti, dolore o sospetto di neoplasia [26] (full text)  [35].

Complicanze extrarenali

Eventi cardiaci

L’ipertensione accompagna il decorso di ADPKD nel 50-70% dei pazienti. Anche la prevalenza di ipertrofia ventricolare sinistra è elevata in questi pazienti [40] (full text)  [41]. Tuttavia, la mortalità per scompenso cardiaco e infarto del miocardio in seguito a trapianto di rene è meno frequente nei pazienti con ADPKD rispetto ai controlli non diabetici [1]. Inoltre, l’ADPKD si associa ad anomalie delle valvole cardiache, tra cui il prolasso della valvola mitrale nel 15-30% dei pazienti, rigurgito aortico nel 10-20% dei pazienti e prolasso della valvola tricuspide nel 5% dei pazienti[42] [43]. Ciò nonostante, queste lesioni rimangono spesso asintomatiche e raramente richiedono la sostituzione delle valvole [44]. Uno studio non ha documentato alcuna anomalia delle valvole mitrale e aortica in 21 pazienti con trapianto di rene e ADPKD e nel gruppo di controllo di 21 pazienti con altre nefropatie [45].

Diabete

L’associazione tra ADPKD e rischio di diabete di nuova insorgenza dopo il trapianto (diabete mellito post-trapianto) è stata riportata per la prima volta in uno studio monocentrico [46] (full text). Analogamente, in una coorte di 135 pazienti con ADPKD il rischio di sviluppare diabete mellito durante il primo anno dal trapianto di rene era tre volte più elevato rispetto a quello riscontrato in un gruppo di controllo costituito da pazienti con altre nefropatie, ma comparabili per età, etnia e data del trapianto [47] (full text). In questo studio ADPKD si è confermata un fattore di rischio significativo per l’insorgenza di diabete mellito post-trapianto anche dopo aver corretto per diverse co-variabili, quali indice di massa corporea, obesità e ritardo nel ripristino della funzione renale dopo il trapianto [47] (full text). Anche in un’altra coorte di 429 pazienti con ADPKD, la malattia è stata identificata come fattore di rischio per lo sviluppo di diabete mellito post-trapianto [48]. Tuttavia, questa relazione non è stata confermata in studi più recenti [49] [50]. Inoltre, in 534 pazienti con ADPKD seguiti per 7 anni dal trapianto di rene, è stata riscontrata solo una tendenza non significativa all’aumento dell’incidenza di diabete mellito post-trapianto [12] (full text). Nell’insieme questi studi non permettono di giungere a conclusioni definitive sulla possibile associazione tra ADPKD e insorgenza di diabete mellito post-trapianto.

Diverticolosi

Dopo trapianto di rene aumentano l’incidenza di diverticolosi (3.5% nei pazienti con ADPKD rispetto a 0.9% in soggetti di controllo) [51] (full text) e di perforazione del colon (4.8% nei pazienti con ADPKD rispetto a 1.4% nei controlli) [52]. In uno studio osservazionale con un follow-up mediano di 5 anni dopo il trapianto di rene la malattia diverticolare, in alcuni casi complicata da perforazioni, è stata riscontrata nel 4% dei pazienti con ADPKD mentre non è stato riportato nessun caso nel gruppo di controllo non-ADPKD [26] (full text). Più recentemente, in uno studio condotto in 717 pazienti che avevano ricevuto un trapianto di rene tra il 2000 e il 2010, l’incidenza di perforazione del colon era dell’1.25% (da 10 giorni a 53 mesi dal trapianto), e in circa la metà dei casi ha riguardato pazienti con ADPKD [53]. Pertanto, in pazienti con ADPKD sottoposti a trapianto di rene che manifestano dolori addominali, la diverticolosi del colon va considerata nella diagnosi differenziale.

Tumori

Nel contesto del trapianto di rene in pazienti con ADPKD, è importante considerare la possibilità di sviluppo di tumori renali nei soggetti che non sono stati sottoposti a nefrectomia dei reni nativi. In uno studio condotto in 47 pazienti con ADPKD sottoposti a trapianto di rene senza nefrectomia preventiva dei reni nativi e in un gruppo di controllo di pazienti con altre nefropatie, non è stato riportato nessun caso di tumore renale dopo un periodo di osservazione medio di 66.5 mesi [54]. Altri autori non hanno documentato differenze nell’incidenza di tumori solidi (tra cui tumori renali) dopo trapianto di rene tra pazienti con ADPKD e quelli con altre nefropatie [12] (full text) [55] (full text). L’analisi dei dati del “Scientific Registry of Transplant Recipients” negli Stati Uniti ha inoltre mostrato che, dopo aver corretto per variabili multiple, l’incidenza globale di tumori dopo un trapianto di rene era inferiore nei pazienti con ADPKD (n=10,166) rispetto a quelli con altre nefropatie (n=107,339) [56] (full text). Tuttavia, due ampi studi retrospettivi di coorte hanno riportato un’incidenza più elevata di tumori cutanei non-melanoma in pazienti sottoposti a trapianto di rene con ADPKD rispetto a quelli con malattie glomerulari [57] (full text) [58]. Questi risultati sono stati confermati da uno studio monocentrico condotto in 156 pazienti con ADPKD seguiti per un periodo di 5 anni dopo il trapianto di rene[55] (full text). In questi pazienti il rischio relativo di sviluppare tumori cutanei non-melanoma, dopo aver corretto per età, genere, fenotipo cutaneo e terapia immunosoppressiva, era di 1.7 rispetto a soggetti con altre nefropatie [55] (full text). Al contrario, altri autori hanno riportato una prevalenza di tumore cutaneo non melanoma simile tra pazienti con ADPKD e un gruppo di controllo con altre nefropatie durante un periodo di osservazione di 7 anni dal trapianto [12] (full text). Poiché l’incidenza di questa complicanza aumenta con la durata del trapianto, sono necessari altri studi a lungo termine in ampie coorti di pazienti sottoposti a trapianto di rene per stabilire in modo definitivo l’eventuale associazione tra ADPKD e tumori cutanei non-melanoma.

Terapia immunosoppressiva

L’attivazione aberrante della via di trasduzione del segnale di mammalian Target of Rapamycin (mTOR) ha un ruolo nella cistogenesi [59] (full text). Era stato pertanto ipotizzato che nei pazienti con ADPKD la terapia con gli inibitori dell’enzima mTOR potesse ridurre il volume delle cisti. In due piccoli studi retrospettivi il volume delle cisti renali ed epatiche era diminuito maggiormente in pazienti con ADPKD sottoposti a trapianto di rene e trattati con inibitori mTOR rispetto a quelli che ricevevano inibitori della calcineurina come parte della terapia immunosoppressiva [59] (full text) [60] (full text). Tuttavia, i risultati dei trial clinici che prevedevano l’impiego degli inibitori mTOR sirolimus o everolimus in pazienti ADPKD non trapiantati con funzione renale normale o insufficienza renale moderata o severa sono stati deludenti [61][62] (full text) [63] (full text). Inoltre, in due pazienti che avevano inavvertitamente ricevuto un trapianto di rene dallo stesso donatore con ADPKD, la crescita delle cisti nell’organo trapiantato è stata simile dopo 5 anni di trattamento con sirolimus o tacrolimus [64] (full text). È probabile che le dosi convenzionali di sirolimus o everolimus impiegate nei pazienti con trapianto non siano sufficienti ad inibire la via di trasduzione del segnale mTOR nel tessuto renale cistico. Anche se studi futuri dovessero suggerire l’impiego degli inibitori mTOR nei pazienti con ADPKD sottoposti a trapianto di rene, è necessario considerare la tossicità sistemica di questi farmaci. Nel 40% dei pazienti con trapianto di rene la terapia con gli inibitori di mTOR deve infatti essere interrotta a causa di eventi avversi, tra cui dislipidemia, mucosite, linfoedema, polmonite interstiziale e proteinuria [65] (full text). Inoltre, gli inibitori mTOR possono danneggiare il glomerulo interferendo con la via metabolica che promuove l’integrità dei podociti. In conclusione, non ci sono evidenze che giustifichino l’uso preferenziale degli inibitori mTOR come parte della terapia immunosoppressiva dopo un trapianto di rene in pazienti con ADPKD.

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Insufficienza renale gestione dell’uremia e della terapia sostitutiva

Abstract

La terapia sostitutiva attuata attraverso trapianto renale è preferibile al trattamento dialitico anche nella popolazione uremica affetta da ADPKD . Nella preparazione al trapianto la nefrectomia è una procedura associata a morbidità e mortalità nel paziente affetto da ADPKD, deve essere eseguita sulla base di circostanziate indicazioni cliniche.

Quando il trapianto renale non è possibile il trattamento dialitico peritoneale in pazienti adeguati non è controindicato alla stregua del trattamento dialitico extracorporeo. I target terapeutici nel trattamento sostitutivo per quanto riguarda livelli pressori, lipidici, di emoglobina, regime anticoagulativo sono paragonabili alla restante popolazione uremica.

Parole chiave: adpkd, terapia sostitutiva, trapianto

 

Scelta ottimale per la terapia sostitutiva

La terapia sostitutiva attuata attraverso trapianto renale è preferibile al trattamento dialitico anche nella popolazione uremica affetta da ADPKD.

Quando il trapianto renale non è possibile il trattamento dialitico peritoneale non è controindicato in pazienti adeguati alla stregua del trattamento dialitico extracorporeo.

L’età media della popolazione in trattamento sostitutivo per ADPKD è tendenzialmente più bassa rispetto alla restante popolazione in trattamento sostitutivo non affetta da ADPKD. Il trapianto renale è la scelta ottimale per la terapia sostitutiva renale in ADPKD [1] (full text) [2] [3] [4] (full text)[5] (full text).

Analogamente a quanto osservato in riceventi affetti da altre patologie renali, il trapianto da vivente (eventualmente ‘preemptive’) è associato ad una migliore sopravvivenza [6] (full text). Tuttavia la donazione da vivente è complicata nelle famiglie ADPKD per il rischio di presenza della patologia in multipli soggetti e anche tra potenziali donatori. Una specifica consulenza genetica individuale e familiare deve essere resa disponibile per la definizione dei donatori adeguati e la individuazione di eventuali priorità tra i riceventi.

Quando il trapianto renale non è un’opzione adattabile al paziente, le scelte possibili sono la dialisi extracorporea o la peritoneale. Attualmente, non ci sono dati sufficienti che permettano di preferire a-priori una metodica piuttosto che l’altra.

Infatti, contrariamente a quanto ritenuto in passato, la dialisi peritoneale non è controindicata in ADPKD [7] (full text) [8] [8] ed è stato dimostrato che non esistono differenze significative in termini di tasso di mortalità, sopravvivenza ed efficacia della metodica e tasso di peritoniti (nonostante in passato si ritenesse che la patologia diverticolare potesse aumentare il rischio di peritoniti da Gram negativi), tra pazienti ADPKD in PD e pazienti non diabetici con reni piccoli in PD. Altri studi avrebbero anche suggerito che la dialisi peritoneale possa essere associata ad una migliore sopravvivenza [9]. Comunque in pazienti con reni molto voluminosi che impegnano lo scavo pelvico non è agevole il posizionamento del catetere peritoneale e non è possibile l’introduzione di un volume di liquido adeguato allo scambio. In questi pazienti inoltre il rischio di ernia inguinale ed idrotorace è aumentato, e risulta quindi preferibile il trattamento con la dialisi extracorporea [10], mentre non vi sarebbe associazione con la comparsa di leakage (correlata, invece ad elevato BMI e ad età avanzata) [11].

Per contro, sul versante dell’emodialisi, uno studio cross-sectional [12] ed uno retrospettivo [13], hanno dimostrato una maggiore incidenza di aneurismi a livello delle fistole artero-venose in pazienti ADPKD emodializzati, rispetto agli altri, soprattutto se trattati con metodiche dialitiche ad alto flusso o con alti flussi ematici.

Trapianto renale

Preparazione al trapianto

Raccomandazione

La nefrectomia è una procedura associata a morbidità e mortalità nel paziente affetto da ADPKD, deve essere eseguita sulla base di circostanziate indicazioni cliniche.

La nefrectomia è una procedura significativamente associata a morbilità e mortalità in ADPKD[14] (full text) [15] (full text) [16] [17]. Il trapianto non richiede una routinaria rimozione del rene. Esistono però indicazioni cliniche alla nefrectomia. Le indicazioni alla nefrectomia sono dolore/disagio addominale, ematuria, infezioni e nefrolitiasi ricorrenti, sazietà precoce, neoplasia. Queste complessivamente non si differenziano nel periodo pre e post trapianto. L’unica eccezione di sola pertinenza del periodo pretrapianto è la necessità di creare spazio sufficiente al fine di alloggiare il rene trapiantato. Al fine di una adeguata valutazione pre-trapianto, potrebbe essere utile considerare la massima lunghezza del rene, normalizzandola per altezza, peso corporeo e indice di massa corporea del paziente, al fine di essere guidati nella scelta [18]. Tuttavia bisogna tenere presente che le dimensioni nel rene nativo possono ridursi considerevolmente dopo il trapianto e che pertanto può non essere necessario eseguire la nefrectomia per far spazio al graft [19].

Inoltre, non sono neanche conclusivi i dati riguardo il vantaggio di eseguire una bi-nefrectomia piuttosto che una mono-nefrectomia. Esiste uno studio al riguardo, che non ha evidenziato differenze in termini di out come del graft, mentre a dispetto di un più lungo decorso post-operatorio ed un più alto tasso di complicanze chirurgiche, la bi-nefrectomia si associava ad un miglior controllo dell’ipertensione e ad una minor incidenza di infezioni delle vie urinarie[20] (full text).

Sono descritti in letteratura sia l’approccio con nefrectomia e trapianto renale eseguiti in due tempi, sia quello simultaneo, ma non è disponibile nessuno studio che abbia confrontato i due approcci ed i dati disponibili sono discordanti e non conclusivi [21] [22]. La laparoscopia assistita con la mano è la procedura di nefrectomia meglio tollerata [23] [24] [25]. L’embolizzazione arteriosa è stata descritta come approccio alternativo alla nefrectomia per la riduzione del volume renale in preparazione al trapianto renale [26] (full text).

Generalmente viene consigliato uno screening per aneurismi cerebrali nei pazienti in lista per trapianto renale, ma non esistono studi che abbiano avvalorato questa indicazione.

Complicazioni post trapianto

Alcuni dati suggeriscono una migliore soppravvivenza del trapianto renale in ADPKD [27] (full text) [28] rispetto ad altri riceventi non diabetici. Alcune complicanze sembrano essere specifiche dei riceventi ADPKD : una maggiore incidenza di diabete è stato descritto da alcuni gruppi[27] (full text) [29] (full text) ma smentito da altri [30]. Altre complicazioni riscontrate con maggiore incidenza nella popolazione ADPKD riguardano: complicazioni gastrointestinali [28], eritrocitosi ed ipertensione [27] (full text), infezioni del tratto urinario [27] (full text) [31], complicazioni tromboemboliche [27] (full text) ed eventi emorragici cerebrali [32].

Insufficienza renale

Target terapeutici in ADPKD in trattamento dialitico

Raccomandazione

I target terapeutici nel trattamento sostitutivo per quanto riguarda livelli pressori,lipidici, di emoglobina, regime anticoagulativo sono paragonabili alla restante popolazione uremica

Non esistono studi che suggeriscano target pressori, livelli lipidici, livelli di emoglobina e regimi di anticoagulazione differenti rispetti a quelli della popolazione generale in trattamento dialitico. La popolazione ADPKD tende ad avere livelli di emoglobina lievemente più alti ed in alcuni casi può risultare non necessario il trattamento con stimolatori dell’eritropoiesi [33] (full text).

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Trattamento della malattia policistica autosomica dominante del rene (ADPKD) – Tolvaptan

Abstract

La European Medicines Agency approva tolvaptan per rallentare sviluppo di cisti e progressione insufficienza renale in adulti con ADPKD,filtrazione glomerulare ≥60 mL/min x 1.73 m2 e malattia rapidamente progressiva. In multicentrico triennale su 1.445 pazienti con ADPKD non-genotipizzata, età 18-50 anni, creatinina clearance predetta ≥60 mL/min e volume totale renale ≥750 mL, tolvaptan rallentava progressione insufficienza renale (-23%-46% a seconda dell’obiettivo), riduceva incremento volume renale e dolore senza effetti su ipertensione ed albuminuria. Nel 4% dei pazienti, trattamento induceva epatopatia idiosincrasica reversibile (1% nel placebo). Tolvaptan antagonizza effetti ADH, riduce generazione AMP ciclico nel nefrone distale ed induce diuresi acquosa. Ha elevato legame proteico ed emivita di 8 ore. Il dosaggio è 60-120 mg/dì in due dosi diseguali (ad esempio 45/15 oppure 60/30 mg). Trattamento inizia con dose minore e si titola alla dose maggiore con cautela. Insufficienti i dati in epatopatie o nefropatie severe. Non esistono antidoti contro sovradosaggio. Si assume che dialisi non rimuova il tolvaptan. Effetti acquaretici impongono elevato introito di liquidi per evitare disidratazione. Trattamento va ridotto o sospeso se inadeguata assunzione liquidi o disidratazione. Peso, sodiemia ed osmolalità plasmatica informano su rischio disidratazione. Non investigata efficacia su insufficienza renale terminale, patologie non-renali ADPKD-correlate e mortalità.

Parole chiave: creatinina, rene policistico, tolvaptan, volume renale

 

Raccomandazioni

La European Medicines Agency ha approvato l’indicazione all’uso del tolvaptan per rallentare la crescita del volume dei reni ed il declino della funzione renale negli adulti con forma autosomica dominante di rene policistico (ADPKD).

La European Medicines Agency suggerisce che la prescrizione del tolvaptan per questa indicazione sia limitata a specialisti con esperienza nella ADPKD e sia legata ad un’accurata registrazione degli effetti indesiderati con particolare attenzione alla comparsa di danno epatico idiosincrasico.

Il tolvaptan nella terapia del ADPKD

Nel febbraio 2015 la EUROPEAN MEDICINES AGENCY (EMA) ha reso pubblica la notizia che il Committee for Medicinal Products for Human Use ha approvato l’uso del tolvaptan come terapia per l’ADPKD [1]. La specifica indicazione all’uso del tolvaptan è il rallentamento dello sviluppo delle cisti e della progressione dell’insufficienza renale in persone con ADPKD che, prima del trattamento, hanno età adulta, malattia renale cronica grado 1-2 (cioè con velocità di filtrazione glomerulare misurata o stimata ≥ 60 mL/min x 1.73 m2) e segni di malattia rapidamente progressiva. Il tolvaptan è un antagonista recettoriale dell’ormone antidiuretico (ADH) che riduce gli effetti dell’ADH sul recettore V2 del nefrone distale e, in particolare, riduce la generazione di AMP ciclico indotta dall’ADH inducendo così una diuresi acquosa (effetto acquaretico). Gli effetti favorevoli del tolvaptan nell’ADPKD sarebbero spiegati dalla riduzione della generazione di AMP ciclico, molecola che stimolerebbe la proliferazione delle cellule epiteliali delle cisti e la secrezione di fluido nelle cisti. Altri meccanismi non possono essere esclusi. Ad oggi, le modalità previste dall’EMA prevedono per il tolvaptan una prescrivibilità controllata ed un monitoraggio aggiuntivo centrato sulla necessità di acquisire ulteriori informazioni relative alla sicurezza del farmaco. Il dosaggio giornaliero totale dovrà essere 60-120 mg/dì refratti in due dosi diseguali: ad esempio 45 e 15 mg, oppure 60 e 30 mg, oppure 90 e 30 mg. La prima dose, più abbondante, andrà presa al mattino almeno 30 min prima di colazione; la seconda dose, meno abbondante, andrà presa con o senza cibo circa 8 ore dopo la dose del mattino. Il trattamento dovrà essere iniziato partendo dalla dose più bassa, cioè i 60 mg/dì (somministrati come 45+15 mg) e poi, se tollerato, titolato con intervalli almeno settimanali prima alla dose intermedia di 90 mg/dì (60+30 mg) e poi alla dose massima permessa di 120 mg/dì (90+30 mg). La titolazione alla dose maggiore andrà effettuata con cautela cercando di mantenere il paziente in trattamento con la dose più alta possibile ma, al tempo stesso, informando i pazienti sulla possibilità di ridurre il dosaggio in base alla tollerabilità del trattamento. In assenza di altri effetti indesiderati, gli effetti acquaretici del tolvaptan hanno un ruolo chiave nel ricercare e definire la tollerabilità del trattamento. Gli effetti acquaretici del farmaco, inoltre, impongono che i pazienti trattati aumentino sostanzialmente l’introito di liquidi. La disidratazione è una conseguenza inevitabile del trattamento efficace con tolvaptan se l’introito di liquidi non è aumentato in misura adeguata a compensare gli effetti acquaretici del farmaco. I Il monitoraggio di peso, sodiemia ed osmolalità plasmatica, sia misurata che stimata, dà informazioni utili per valutare il rischio di disidratazione. Una riduzione nel peso corporeo e/o un aumento di sodiemia o osmolalità plasmatica vanno considerati come indici di rischio o presenza di disidratazione. Il trattamento va ridotto o sospeso se si sospetta che il paziente non assuma la necessaria quantità di liquidi. Il monitoraggio dell’osmolalità urinaria, e in particolare l’evidenza di bassa osmolalità urinaria, dà invece informazioni utili alla valutazione dell’adeguatezza della dose utilizzata per antagonizzare gli effetti renali dell’ADH.

Il tolvpatan ha un elevato legame alle proteine del plasma (>95%) e, dopo la somministrazione orale, ha un’emivita di 8 ore circa. È intensamente metabolizzato nel fegato. I metaboliti hanno scarsa attività e sono eliminati più con le feci che con le urine (rispettivamente 60% e 40%). L’età e l’epatopatia lieve-media (classi Child-Pugh A e B) non influenzano significativamente i parametri farmacocinetici. I pochi ed insufficienti dati disponibili indicano che i livelli plasmatici del farmaco aumentano in presenza di epatopatia più severa o di insufficienza renale con filtrazione glomerulare < 60 mL/min x 1.73 m2.

Efficacia

I dati principali di efficacia del tolvaptan nell’ADPKD derivano da uno studio multicentrico i cui criteri di selezione, oltre alla diagnosi di ADPKD, erano un’età di 18-50 anni, un volume totale del rene (TKV) ≥ 750 mL ed una creatinina clearance stimata con l’equazione di Cockcroft & Gault ≥ 60 mL/min [2] (full text). Lo studio non prevedeva genotipizzazione dei pazienti ed arruolò un totale di 1.445 pazienti randomizzati con rapporto 2:1 in un braccio tolvaptan ed un braccio placebo (n = 961 e 484), per un trattamento della durata di 3 anni con la dose massima tollerabile dal paziente ma comunque non superiore ai 120 mg/dì. Rispetto al braccio placebo, il trattamento con tolvaptan dimezzava circa la velocità di incremento del TKV, riduceva il peggioramento di funzione renale e sintomatologia dolorosa senza effetti su variazioni di pressione arteriosa ed albuminuria. I risultati dello studio erano coerenti con e senza normalizzazione del TKV per altezza, con espressione come modifiche assolute e percentuali rispetto ai valori pre-trattamento, con calcolo della creatinina clearance stimata sulla base del peso ideale [3] (full text), con esclusione dell’errore dell’equazione MDRD negli stadi della malattia renale cronica oggetto dello studio [4], con e senza esclusione del possibile effetto confondente della possibile disidratazione indotta dal trattamento.

Gli effetti favorevoli del tolvaptan sulla funzione renale nell’ADPKD consistevano in una riduzione della velocità di peggioramento della funzione renale oscillante da un minimo del 23% ad un massimo del 46% a seconda dell’obiettivo utilizzato nell’analisi come indice di progressione dell’insufficienza renale. Resta da stabilire l’efficacia su end-point veri quali insufficienza renale terminale (necessità di dialisi o trapianto di rene), patologie non-renali ADPKD-correlate e mortalità. Infine, i risultati dello studio non supportano il modello ipotetico secondo il quale gli effetti di un trattamento sull’albuminuria siano un affidabile endpoint surrogato per prevedere gli effetti di quel trattamento su un endpoint vero come la progressione dell’insufficienza renale.

I dati principali relativi alla sicurezza del tolvaptan nell’ADPKD derivano dallo stesso studio sopra descritto per l’efficacia. I più comuni effetti indesiderati del trattamento con tolvaptan erano i disturbi urinari legati all’azione acquaretica del farmaco. Poliuria, nicturia, pollachiuria e sete si osservano in almeno il 20% dei pazienti e spesso provocano l’abbandono del trattamento. Un effetto più raro dell’azione acquaretica è la ritenzione urinaria acuta che può presentarsi in caso di patologie ostruttive della via urinaria. In caso di introito di liquidi inferiore alle necessità, un effetto indesiderato più importante è la disidratazione con possibile secondario peggioramento della funzione renale, di solito reversibile. In tali casi è necessario aumentare l’introito di liquidi e/o ridurre o interrompere il trattamento. Per la disidratazione e le sue conseguenze sono a rischio elevato i pazienti con malattie che compromettono l’assunzione di liquidi o che comportano la perdita di liquidi (sudorazione profusa, vomito, diarrea, ecc.). Sintomi quali bocca secca, vertigini, svenimenti, palpitazioni, confusione, debolezza, deambulazione difficoltosa, iper-reflessia, convulsioni ed ottundimento sono suggestivi di rischio o presenza di disidratazione o di squilibri elettrolitici la cui esistenza va ricercata con la misura degli elettroliti sierici almeno ogni 3 mesi. Il trattamento può aggravare il grado di iperglicemia nel diabete tipo II non-controllato e può indurre iperuricemia > 10 mg/dL o, più raramente, attacchi di gotta. Questi effetti metabolici sono attribuiti alla disidratazione e ad una riduzione dell’escrezione renale di acido urico, non impongono l’interruzione del trattamento ma sottolineano la necessità della valutazione dei valori di glicemia ed uricemia prima e durante il trattamento.

È stata evidenziata la possibilità di danno epatico idiosincrasico in corso di trattamento con tolvaptan. Tale danno si evidenzia come ipertransaminasemia e, più raramente, iperbilirubinemia totale. Ipertransaminasemia con valori almeno tre volte superiori al limite superiore normale (3xlsn) è stata osservata nel 4% circa dei pazienti trattati con tolvaptan rispetto all’1% circa del gruppo placebo. Meno del 10% dei casi con ipertransaminasemia 3xlsn aveva anche iperbilirubinemia con valori due superiori al limite superiore normale (2xlsn). I segni di danno epatico comparivano dopo trattamento di durata variabile da 3 a 14 mesi e regredivano dopo 1-4 mesi di sospensione del trattamento. Nella casistica disponibile per il tolvaptan nella ADPKD, il danno epatico è stato sempre reversibile ma, per altri farmaci, segni simili di danno epatico sono stati talvolta associati a danni epatici irreversibili e pericolosi per la vita. In conseguenza di queste evidenze, il medico deve misurare transaminasemia e bilirubinemia prima di iniziare il trattamento, ripetere queste misurazioni ogni mese nei primi 18 mesi di trattamento, ogni tre mesi dal 19° mese in poi, e deve inoltre monitorare segni clinici suggestivi di danno epatico. Se compare ipertransaminasemia severa (>3xln) e/o iperbilirubinemia severa (>2xlsn), il trattamento va subito interrotto, le analisi vanno ripetute entro 48-72 ore e poi con frequenza fino alla risoluzione o stabilizzazione dell’alterazione. Se compare ipertransaminasemia non severa (<3xln) e/o iperbilirubinemia non severa (<2xlsn), il trattamento può essere continuato ma la frequenza delle analisi di controllo deve essere maggiore di quella su indicata per verificare la normalizzazione dei valori. Il trattamento va poi interrotto se se ipertransaminasemia e/o iperbilirubinemia persistono o peggiorano.

Non esistono antidoti in caso di sovradosaggio di tolvaptan che può essere sospettato in presenza di intensificazione degli effetti indotti dal tolvaptan (poliuria, ipersodiemia, ecc.). Se si sospetta sovradosaggio vanno monitorati i segni vitali, gli elettroliti sierici, l’ECG, e lo stato di idratazione. Si assume che la dialisi non riduca i livelli di tolvaptan dato l’elevato legame del farmaco alle proteine del plasma. Un’elencazione completa degli effetti collaterali è presente nel sito dell’EMA [1].

Dati i significativi effetti acquaretici del tolvaptan, va evitato l’uso di farmaci o integratori che possano causare o favorire lo sviluppo di ipersodiemia. Non sono disponibili dati adeguati sull’uso di diuretici insieme al tolvaptan. In caso di disidratazione, anche solo sospettata, la somministrazione di diuretici e/o tolvaptan va sospesa. In assenza di dati relativi agli effetti del tolvaptan sulla pressione arteriosa in ortostatismo, non è possibile escludere sinergismi tra tolvaptan ed anti-ipertensivi non diuretici che determinino o favoriscano lo sviluppo di ipotensione ortostatica. Il tolvaptan, in quanto antagonista recettoriale dell’ADH, potrebbe ridurre il rilascio di fattori coagulativi indotto dalla desmospressina o altri analoghi dell’ADH che è talvolta utilizzato nella diagnostica e nella terapia di alcuni disordini coagulativi (ad es. malattia di Von Willebrand).

Poiché il tolvaptan è intensamente metabolizzato dal sistema CYP3A, le sue concentrazioni plasmatiche in corso di trattamento sono aumentate dall’uso contemporaneo di inibitori del citocromo P450 e viceversa diminuite dall’uso contemporaneo di induttori del citocromo P450. Pertanto, la dose di tolvaptan va ridotta in caso di uso di inibitori del citocromo P450 ed aumentata in caso di uso di induttori del citocromo P450 (rifampicina, rifabutin, rifapentin, fenitoina, carbamazepina). Identica interazione esiste con il succo di pompelmo che è un potente inibitore del citocromo 450. I dati disponibili non indicano effetti significativi del tolvaptan sui livelli plasmatici di warfarin o amiodarone ma non si esclude che il farmaco possa aumentare le concentrazioni di altri substrati del CYP3A. Aumenti del 20-30% nei livelli di digossinemia sono stati osservati durante trattamento con tolvaptan. Effetti simili potrebbero esistere per altri substrati P-gp come il dabigatran. Non sono state indagate le possibili interazioni tra tolvaptan ed alcool o fumo.

L’uso del tolvaptan è controindicato nelle condizioni elencate nella Tabella 1. Per quel che riguarda l’uso in sottogruppi particolari, non sono disponibili dati in pazienti con età > 50 anni. Nei pazienti con epatopatia non severa, cioè con ipertransaminasemia <3xlsn e/o iperbilirubinemia <2xlsn, il trattamento può essere iniziato se, d’accordo con un epatologo, i potenziali benefici superano chiaramente i potenziali rischi. La frequenza delle analisi di controllo in questi pazienti deve essere però maggiore di quella su indicata. Infine, al momento, la lista degli eccipienti fornita dal produttore non evidenzia componenti che potrebbero controindicare l’uso delle compresse di tolvaptan nella malattia celiaca.

Bibliografia

[1] www.ema.europa.eu

[2] Torres VE, Chapman AB, Devuyst O et al. Tolvaptan in patients with autosomal dominant polycystic kidney disease. The New England journal of medicine 2012 Dec 20;367(25):2407-18 (full text)

[3] Cirillo M, Anastasio P, De Santo NG et al. Relationship of gender, age, and body mass index to errors in predicted kidney function. Nephrology, dialysis, transplantation : official publication of the European Dialysis and Transplant Association – European Renal Association 2005 Sep;20(9):1791-8 (full text)

[4] Stevens LA, Coresh J, Greene T et al. Assessing kidney function–measured and estimated glomerular filtration rate. The New England journal of medicine 2006 Jun 8;354(23):2473-83

Tabella 1
Tolvaptan in ADPKD: controindicazioni e relative cause

Controindicazione Causa della controindicazione
malattia renale cronica stadio 5
(filtrazione glomerulare misurata o stimata < 15 mL/min x 1.73 m2)
dati mancanti e sospetto di danni epatici più frequenti
trattamento dialitico cronico dati mancanti e sospetto di danni epatici più frequenti
assenza o riduzione del senso di sete rischio elevato di disidratazione
ipovolemia, ipersodiemia, ipo- e pseudo-iposodiemia
(iperglicemia severa)
rischio elevato di peggioramento squilibrio idro-elettrolitico
danno epatico severo
(ipertransaminasemia >3xlsn o iperbilirubinemia >2xlsn)
rischio elevato di peggioramento del danno epatico
ipersensibilità o reazioni anafilattiche a tolvaptan o eccipienti
(amido di mais, idrossipropilcellulosa, lattosio, stearato di magnesio, cellulosa microcristallina, indigo carminio, alluminio)
rischio elevato di reazioni allergiche
disordini metabolismo di lattosio o galattosio rischio di tossicità (lattosio negli eccipienti)
Gravidanza dati assenti
Allattamento dati assenti
età pediatrica dati assenti

Trattamento della malattia policistica autosomica dominanate del rene (ADPKD): analoghi della somatostatina e inibitori mTOR

Abstract

Il recente miglioramento delle conoscenze dei meccanismi molecolari che sottendono la malattia policistica autosomica dominante del rene (ADPKD) ha fornito il razionale per lo sviluppo di diversi trattamenti volti ad arrestare o rallentare la progressione della malattia. In particolare, trial clinici hanno mostrato che l’impiego degli analoghi della somatostatina in pazienti con ADPKD è in grado di rallentare l’aumento di volume totale del rene così come il progressivo declino della funzione renale nel lungo periodo. Il trattamento con questi farmaci è generalmente ben tollerato e permette inoltre di controllare la crescita delle cisti nel fegato in pazienti con questa manifestazione extra-renale della malattia. Al contrario, gli inibitori dell’enzima mammalian target of rapamycin (mTOR), pur risultando promettenti in diversi modelli sperimentali di malattia del rene e del fegato, nella maggior parte degli studi clinici non sono stati efficaci nel rallentare la crescita del rene policistico e/o migliorare la perdita progressiva di funzione renale nei pazienti con ADPKD. La terapia con inibitori mTOR trova una limitazione importante anche a causa dell’elevata incidenza di eventi avversi, che richiedono frequentemente l’interruzione del trattamento o la riduzione del dosaggio del farmaco, vanificando l’eventuale effetto renoprotettivo.

Parole chiave: adpkd, analoghi della somatostatina, funzione renale, inibitori mTOR, volume renale

 

Introduzione

Il trattamento dei pazienti con ADPKD è mirato a ridurre la morbilità e la mortalità dovute alle complicazioni della malattia. In particolare, la sorveglianza clinica è indirizzata al controllo dell’ipertensione arteriosa e di altri fattori di rischio cardiovascolari, alla prevenzione delle infezioni e della formazione di calcoli renali. Tuttavia, nell’ultimo decennio il miglioramento delle conoscenze dei meccanismi molecolari alla base della ADPKD ha consentito lo sviluppo di una serie di trattamenti disegnati con l’obiettivo di arrestare o rallentare la progressione della malattia.

Raccomandazioni

In pazienti con ADPKD e funzione renale normale o lieve/moderata insufficienza renale (GFR > 40 mL/min/1.73m2) il trattamento prolungato con analoghi a lento rilascio della somatostatina rappresenta una terapia innovativa efficace perché è in grado di rallentare in modo significativo la crescita del volume totale delle cisti e dei reni e la perdita progressiva della funzione renale.

Il trattamento con gli inibitori di mTOR, pur risultando promettente in diversi modelli sperimentali di malattia policistica del rene e del fegato, nella maggior parte degli studi clinici non si è dimostrato efficace nel rallentare la crescita del rene e/o migliorare la perdita progressiva di funzione renale nei pazienti con ADPKD probabilmente a causa dell’impiego di dosi di sirolimus o everolimus insufficienti ad inibire l’attività dell’enzima mTOR.

La terapia con inibitori mTOR trova una limitazione importante nell’elevata incidenza di eventi avversi, anche seri, responsabili della frequente interruzione del trattamento, o nel migliore dei casi della necessità di ridurre significativamente il dosaggio del farmaco, vanificando l’eventuale effetto renoprotettivo.

Gli studi clinici disponibili sconsigliano l’impiego degli inibitori mTOR per rallentare la progressione della malattia renale in pazienti con ADPKD a causa dell’elevato rischio di tossicità e della relativa inefficacia anche a dosaggi relativamente elevati.

Trattamento con gli analoghi della somatostatina

Studi sperimentali hanno dimostrato che il deficit di policistica 1 o 2 nelle cellule tubulari renali comporta una riduzione delle concentrazioni di calcio intracellulare ed il conseguente aumento dei livelli di adenosina monofosfato ciclico (cyclic adenosine monophosphate, cAMP) [1] [2] (full text)[3] (full text). Elevate concentrazioni di cAMP a loro volta stimolano la secrezione di ioni cloro da parte del canale CFTR e la proliferazione cellulare, due processi alla base della formazione e della successiva crescita delle cisti [4] (full text) [5] (full text).

La somatostatina è un peptide endogeno secreto dalle isole pancreatiche (cellule D), dal tratto gastrointestinale, dall’ipotalamo e dalla tiroide [6]. Mediante l’interazione con recettori accoppiati a proteine G (SSTRs 1-5), la somatostatina inibisce l’attività dell’enzima adenilato ciclasi, la proliferazione cellulare, la secrezione di numerosi ormoni (e.g., ormone della crescita, insulina, glucagone, gastrina, colecistochina) e di fattori di crescita (e.g., fattore di crescita simil-insulinico 1 e fattore di crescita dell’endotelio vascolare) [7] [8] (full text). Tutti i recettori della somatostatina sono espressi dalle cellule epiteliali tubulari e dai colangiociti. In particolare, SSTR1 e -2 sono espressi nel tratto ascendente dell’ansa di Henle, nel tubulo distale e nel dotto collettore, mentre SSTR3, -4 e -5 sono espressi nel tubulo prossimale [9] (full text) [10] (full text) [11][12]. La somatostatina inibisce selettivamente la sintesi di cAMP nelle cellule epiteliali dei tubuli distali e dei dotti collettori sia in vitro che in vivo [13] (full text) [14], e nei colangiociti [15]. Poiché l’emivita plasmatica della somatostatina nativa è molto breve (1-3 minuti), sono stati prodotti degli analoghi sintetici più stabili per l’impiego nella pratica clinica: octreotide, lanreotide e pasireotide. Questi composti differiscono per stabilità ed affinità recettoriale. In particolare, octreotide e lanreotide hanno un’emivita di 2 ore e presentano elevata affinità per SSTR2 e SSTR3 e moderata affinità per SST5. Pasireotide invece ha elevata affinità per tutti i recettori della somatostaitna, ad eccezione di SSTR4, e la sua emivita plasmatica è di circa 12 ore [16]. Sono state introdotte nella pratica clinica formulazioni di octreotide e lanreotide a lento rilascio (Long Acting Release, LAR) che consentono la somministrazione ogni 28 giorni per via intramuscolare o intradermica profonda.

Evidenze in modelli sperimentali di PKD

Gli studi sperimentali con analoghi della somatostatina in modelli di malattia policistica del rene e del fegato sono stati ispirati da un iniziale studio clinico pilota in 13 pazienti che ne aveva dimostrato la potenziale efficacia nel rallentare la crescita del volume totale del rene (TKV) e della relativa sicurezza del trattamento [17] (full text).

Numerosi studi preclinici hanno poi confermato l’efficacia del trattamento con gli analoghi della somatostatina nell’inibire la crescita delle cisti renali ed epatiche [18]. Nel 2013 Tietz Bogert et al. hanno sviluppato un modello di zebrafish che consente di testare la possibile efficacia di composti nell’inibire la cistogenesi epatorenale. L’esposizione di embrioni di zebrafish a pasireotide riduceva significativamente l’area delle cisti [19]. Uno studio recente ha inoltre valutato l’efficacia di pasireotide e tolvaptan (un antagonista del recettore V2 della vasopressina) in un modello murino di ADPKD con fenotipo isomorfico della policistina 1. Il trattamento con pasireotide o tolvaptan singolarmente ha ridotto notevolmente la crescita delle cisti, e l’effetto è risultato ancora più marcato combinando i due farmaci [20] (full text).

Evidenza in pazienti con ADPKD

Finora sono stati pubblicati sei studi clinici sull’efficacia e la tollerabilità del trattamento con gli analoghi della somatostatina in pazienti con ADPKD. Nel 2005 un primo studio randomizzato con disegno crossover ha confrontato gli effetti di 6 mesi di trattamento con octreotide-LAR (40 mg per via intramuscolare ogni 28 giorni) o placebo in 14 pazienti con ADPKD ed insufficienza renale lieve, moderata o severa (velocità di filtrazione glomerulare media al basale: 57.1 mL/min, range 24.4-95.3 mL/min). Nonostante il volume totale del rene fosse aumentato durante entrambi i periodi di studio, la percentuale di aumento risultò significativamente inferiore durante il trattamento con octreotide-LAR rispetto al placebo (2.2 ± 3.7% versus 5.9 ± 5.4%, rispettivamente; P<0.05). La velocità di filtrazione glomerulare (GFR), misurata mediate la tecnica della clearance plasmatica dello ioexolo [21] (full text), non si modificò durante i due periodi di trattamento [17] (full text). Un’analisi post hoc dello stesso studio ha mostrato che il volume del fegato diminuiva significativamente con octreotide-LAR (da 1595 ± 478 mL a 1524 ± 453 mL) senza alcun cambiamento apprezzabile durante il trattamento con placebo [22] (full text). La terapia con octreotide-LAR fu ben tollerata da tutti i pazienti. Tuttavia, in tre pazienti comparve diarrea acquosa, risolta poi spontaneamente, durante il primo mese di trattamento con octreotide-LAR. In due pazienti i livelli plasmatici di alanina aminotransferasi aumentarono transitoriamente e marginalmente durante il trattamento con octreotide-LAR, e in un paziente durante la somministrazione del placebo, ma queste anomalie scomparvero spontaneamente entro 1-2 mesi [17] (full text).

Successivamente un altro studio randomizzato ha confrontato gli effetti di 6 mesi di trattamento con lanreotide (120 mg per via sottocutanea ogni 28 giorni) o placebo in 54 pazienti con malattia policistica del fegato, di cui 32 con ADPKD ed i rimanenti con malattia epatica policistica isolata (Isolated Polycystic Liver Disease, PCLD) [23]. Il volume medio del fegato diminuì del 2.9% nei pazienti trattati con lanreotide (da 4606 mL a 4471 mL) mentre aumentò dell’1.6% nel gruppo placebo (da 4689 mL a 4895 mL) (P<0.01). Stratificando i pazienti in base alla causa della malattia (ADPKD e PCLD), la percentuale di riduzione del volume del fegato era significativamente più elevata con lanreotide rispetto al placebo (P<0.01 per entrambe le malattie). Inoltre, nei pazienti con ADPKD il volume totale medio del rene si ridusse dell’1.5% dopo trattamento con lanreotide (da 1000 mL a 983 mL) mentre aumentò del 3.4% nel gruppo placebo (da 1115 mL a 1165 mL) (P=0.02) [23]. Dopo sei mesi di trattamento con lanreotide anche la percezione dei pazienti riguardo al loro stato di salute era migliorata significativamente. Non si riscontrarono eventi avversi severi riconducibili al farmaco in studio. I principali parametri di laboratorio ed il peso corporeo non presentarono alterazioni clinicamente rilevanti. L’effetto collaterale più comune fu l’emissione di feci liquide (19 pazienti). In sei di questi pazienti il trattamento con enzimi pancreatici risolse prontamente i sintomi. In tredici pazienti del gruppo lanreotide (48%) si osservò la formazione di noduli nel sito di iniezione [23]. In uno studio successivo di estensione in aperto i pazienti che avevano partecipato al trial iniziale furono riarruolati per completare un periodo di trattamento di 12 mesi con lanreotide [24] (full text). Il volume del fegato diminuì del 4% dopo 12 mesi di trattamento con lanreotide, con l’effetto maggiore riscontrato durante i primi 6 mesi. Nei 25 soggetti con ADPKD il volume totale del rene rimase stabile al termine dei 12 mesi di terapia con lanreotide. Inoltre, in 15 pazienti con ADPKD venne ripetuta una tomografia computerizzata del rene 6 mesi dopo la conclusione del trattamento con lanreotide. In questo sottogruppo, il volume totale del rene rimase stabile durante i 12 mesi di trattamento con lanreotide, riprese ad aumentare dopo la sospensione del farmaco, con un aumento del 2% nei 6 mesi di follow-up. Per quanto riguarda la tollerabilità, il trattamento venne interrotto in 5 pazienti (12%) a causa di steatorrea (n=1), trapianto di fegato (n=2), perdita di capelli (n=1) e timore riguardo alla progressione della malattia (n=1) [24] (full text).

In un trial pubblicato nel 2010, 42 pazienti con malattia policistica del fegato, di cui 34 con ADPKD, sono stati randomizzati a 12 mesi di trattamento con octreotide-LAR (40 mg per via intramuscolare ogni 28 giorni) o placebo [25] (full text). Il volume totale del fegato si ridusse del 4.9% nel braccio di trattamento con octreotide-LAR ma aumentò dello 0.9% nel gruppo placebo (P=0.048). Nei pazienti con ADPKD (e funzione renale al basale normale o lievemente ridotta) il volume totale del rene rimase invariato nel gruppo octreotide-LAR (+0.25%) ma aumentò dell’8.6% nel gruppo placebo (P=0.045). Anche la funzione renale, valutata come GFR misurato mediante la clearance plasmatica dello iotalamato, si ridusse numericamente meno in pazienti trattati con octreotide-LAR (5.1% vs basale), rispetto a quelli che avevano ricevuto placebo (7.2%), sebbene la differenza non raggiunse la significatività statistica (P=0.98). L’effetto collaterale più comune fu il dolore nel sito di iniezione, riportato nel 75% dei pazienti trattati con octreotide-LAR e nel 21% dei pazienti del gruppo placebo. Diarrea lieve venne documentata nel 61% dei pazienti trattati con octreotide e nel 28 % di quelli assegnati al gruppo placebo. Dolori addominali e gonfiore vennero registrati nel 50% dei pazienti trattati con octreotide-LAR e nel 21% con placebo. Rispetto ai valori basali, i livelli ematici di glucosio aumentarono in entrambi i casi, del 10% e del 2% rispettivamente nel gruppo octrotide-LAR e nel gruppo controllo (P=0.02), senza tuttavia sviluppare diabete mellito (P=0.02) [25] (full text). Anche questo studio proseguì in aperto per altri 12 mesi [26] (full text). Nel gruppo inizialmente randomizzato ad octreotide-LAR, la riduzione di volume del fegato rimase evidente fino al termine del secondo anno di trattamento (-5.95% rispetto al basale), sebbene l’effetto non risultò significativo durante il secondo anno di trattamento (-0.77% rispetto al primo anno). Nel gruppo originariamente randomizzato a placebo che ha poi proseguito con octreotide-LAR, il volume totale del fegato diminuì significativamente dopo un anno di trattamento con il farmaco (-7.66%, P=0.011). Nella coorte di pazienti con ADPKD inizialmente randomizzati ad octreotide-LAR, l’inibizione della crescita del rene osservata durante il primo anno non si mantenne nel secondo anno di studio mentre in quelli originariamente randomizzati a placebo il volume totale del rene rimase invariato dopo un anno di trattamento con octreotide-LAR. Dopo due anni di terapia con questo analogo della somatostatina alcuni aspetti della qualità di vita migliorarono significativamente rispetto al basale. La somministrazione ripetuta di octreotide-LAR risultò ben tollerata. Un solo paziente interruppe lo studio dopo un anno a causa di streatorrea e perdita di peso ritenuti riconducibili al farmaco. Anche durante il secondo anno l’evento avverso più comune fu la diarrea (28%) [26] (full text).

Più recentemente nello studio multicentrico ALADIN condotto in Italia, 79 pazienti con ADPKD e GFR stimato > 40 mL/min/1.73m2 sono stati randomizzati a tre anni di trattamento con octreotide-LAR (40 mg per via intramuscolare ogni 28 giorni, n=40) o placebo (una soluzione di cloruro di sodio allo 0.9%, n=39) [27]. Si tratta dello studio con il più lungo follow-up di pazienti con ADPKD trattati con un analogo della somatostatina. Lo studio ALADIN è stato disegnato con l’obiettivo primario di valutare l’efficacia di octreotide-LAR nel rallentare o arrestare la crescita del volume totale del rene. Dopo un anno, l’aumento medio del volume totale del rene è stato significativamente inferiore nei pazienti trattati con octreotide-LAR rispetto a quelli a cui era stato somministrato il placebo (46.2 mL versus 143.7 mL, P=0.032). Al terzo anno l’aumento medio del volume totale del rene nel braccio di trattamento con octreotide-LAR risultò numericamente inferiore rispetto al gruppo placebo, senza tuttavia raggiungere la significatività statistica (220.1 mL versus 454.3 mL, P=0.25). Tuttavia, la percentuale di aumento del volume totale del rene risultò significativamente minore nel braccio di trattamento con octreotide-LAR rispetto a quello con placebo sia al primo (0.7% versus 6.7%, rispettivamente; P=0.0018) sia al terzo anno di studio (10.9% versus 19.9%, rispettivamente; P=0.0416). Durante l’intero periodo di studio, la riduzione annuale di GFR (misurato con la clearance plasmatica di ioexolo) è stata tendenzialmente inferiore nel gruppo octreotide-LAR rispetto al gruppo placebo (3.85 mL/min/1.73m2/anno versus 4.95 mL/min/1.73m2/anno, P=0.25), sebbene la differenza non abbia raggiunto la significatività statistica. Tuttavia un’ulteriore analisi ha documentato che mentre la riduzione di GFR dopo un anno era comparabile nei due gruppi, successivamente la perdita cronica di funzione renale tra il primo ed il terzo anno era significativamente più lenta nel braccio di trattamento con octreotide-LAR rispetto al gruppo placebo, con una differenza di circa il 50% (2.28 mL/min/1.73m2/anno versus 4.32 mL/min/1.73m2/anno, P=0.03) [27]. Nel gruppo octreotide-LAR, dopo un’iniziale riduzione il GFR si è pressoché stabilizzato fino al termine dello studio, indicando che nel lungo periodo il trattamento con questo farmaco può rallentare il progressivo declino della funzione renale verso l’insufficienza renale cronica terminale. E’ noto che octreotide-LAR causa riduzione acuta del GFR in individui sani e in pazienti con diabete mellito di tipo 1 o cirrosi epatica, mediante meccanismi emodinamici probabilmente legati all’inibizione della secrezione dell’ormone della crescita [28] (full text). Pertanto, in pazienti con ADPKD questo effetto potrebbe contribuire ad attenuare l’iperfiltrazione compensatoria dei glomeruli che sopravvivono all’effetto distruttivo della crescita incontrollata delle cisti [29] (full text). Questa osservazione potrebbe avere importanti implicazioni cliniche poiché l’iperfiltrazione glomerulare a lungo termine può causare la prematura senescenza dei glomeruli con peggioramento della proteinuria, la riduzione della capacità filtrante e in ultima analisi glomerulosclerosi [30] [31], eventi che quasi invariabilmente accompagnano il corso della ADPKD, in particolare negli stadi più avanzati della malattia caratterizzati da un’accelerazione del declino della funzione renale. Il trattamento con octreotide-LAR potrebbe quindi essere renoprotettivo in pazienti con ADPKD, non solo prevenendo la crescita delle cisti ma anche inibendo eventi di adattamento che contribuiscono alla progressiva perdita dei nefroni. Trentasette partecipanti del gruppo octreotide-LAR (92.5%) e 32 (82.1%) di quelli del gruppo placebo hanno sviluppato almeno un evento avverso nel corso dello studio (P=0.163). Anche la proporzione di pazienti con almeno un evento avverso severo è stata simile nei due gruppi di trattamento. Tuttavia, quattro casi di calcolosi biliare o colecistite acuta che si sono verificati nel gruppo octreotide-LAR erano probabilmente associati al trattamento. Inoltre, in cinque pazienti trattati con octreotide-LAR si è osservata la formazione di un leiomioma uterino. Si tratta di un evento avverso inaspettato e probabilmente dovuto al caso, poiché lo sviluppo di leiomiomi non è mai stato riportato come un possibile effetto associato al trattamento con octreotide-LAR, e la somatostatina è una delle terapie impiegate per questa condizione [32]. In due pazienti trattati con octreotide-LAR sono stati riportati episodi di ipoglicemia facilmente controllati; in un paziente l’assunzione di octreotide è stata interrotta dopo 6 mesi dalla randomizzazione a causa di ipoglicemia persistente. Tutti gli altri partecipanti hanno assunto octreotide-LAR a dose piena per l’intera durata dello studio, ad eccezione di un paziente in cui la dose è stata dimezzata dal sesto mese dalla randomizzazione a causa della comparsa di tremore ad un arto [27].

Uno studio clinico in aperto più recente ha valutato l’efficacia di 6 mesi di trattamento con lanreotide (120 mg per via sottocutanea ogni 4 settimane) in 43 pazienti con malattia policistica sintomatica del fegato e ADPKD (GFR stimato > 30 mL/min/1.73m2) [33]. Rispetto ai valori basali, la mediana del volume del fegato è diminuita significativamente da 4859 mL a 4595 mL (3.1%, P<0.001) come pure quella del rene da 1023 mL a 1012 mL (1.7%, P=0.006). La funzione renale stimata con la formula Modification of Diet in Renal Disease (MDRD) è diminuita del 3.5% dopo la prima somministrazione di lanreotide, ma successivamente è rimasta stabile fino al termine dello studio. Il trattamento con lanreotide ha migliorato significativamente alcuni sintomi, in particolare sazietà precoce, distensione addominale e dispnea. Gli eventi avversi più comuni sono stati diarrea, emissione di feci molli e crampi addominali; si sono verificati principalmente dopo la prima somministrazione di lanreotide ed erano autolimitanti [33].

Una recente meta-analisi ha confermato l’efficacia degli analoghi della somatostatina nel rallentare l’aumento progressivo del volume del rene, in media con una riduzione del 9% rispetto alla crescita osservata in pazienti trattati con placebo o terapie convenzionali (P<0.001). Il trattamento con analoghi della somatostatina non ha effetti rilevanti sul GFR stimato [34]. Tuttavia uno studio recente ha dimostrato che in pazienti con ADPKD, la valutazione della funzione renale con formule che predicono la stima di GFR introduce un errore significativo di sottostima o sovrastima rispetto alla misura diretta di GFR con metodica standard di riferimento, quale la clearance plasmatica di ioexolo [35] (full text). Questa osservazione mette in discussione i risultati ottenuti finora sugli effetti degli analoghi della somatostatina sulla funzione renale valutata come GFR stimato in pazienti con ADPKD.

Raccomandazioni all’impiego degli analoghi della somatostatina 

Gli studi clinici che hanno valutato gli effetti degli analoghi della somatostatina in pazienti con ADPKD hanno mostrato risultati comparabili. In particolare, il progressivo aumento del volume renale si arresta durante il primo anno di trattamento per poi riprendere, probabilmente con un tasso di crescita inferiore rispetto a quello riportato con le terapie convenzionali. Il volume del fegato diminuisce del 4-6% durante il primo anno di trattamento e questa riduzione si mantiene durante il secondo anno. Inoltre, il trattamento prolungato con gli analoghi della somatostatina rallenta la progressiva riduzione della funzione renale nel lungo periodo [27].

Recentemente l’European Medicines Agency (EMA) ha attribuito all’analogo della somatostatina lanreotide la designazione di Farmaco Orfano per il trattamento di ADPKD (Tabella 1). Diversamente da tolvaptan, il cui effetto è probabilmente limitato alle cellule del tubulo distale e dotto collettore, gli analoghi della somatostatina, i cui recettori sono localizzati anche in altri segmenti del nefrone,come il tubulo prossimale dove si possono formare le cisti renali, possono essere efficaci su uno spettro più ampio di cisti [36].

La terapia con gli analoghi della somatostatina negli studi clinici è stata generalmente ben tollerata senza particolari problemi rispetto alla qualità di vita dei pazienti. Diversi studi hanno dimostrato che la formazione di cisti epatiche è una manifestazione extra-renale comune della ADPKD, e che il trattamento con gli analoghi della somatostatina migliora il fenotipo epatico[22] (full text) [23] [24] (full text) [25] (full text) [26] (full text) [33].

Al contrario tolvaptan non è in grado di rallentare la crescita delle cisti in questo tessuto.

Complessivamente, queste osservazioni indicano che l’impiego degli analoghi della somatostatina è promettente nel rallentare il decorso della malattia renale in pazienti con ADPKD, comporta pochi effetti collaterali e contemporaneamente permette di controllare la crescita delle cisti nel fegato in pazienti con questa manifestazione extra-renale della malattia.

Trattamento con gli inibitori dell’enzima mTOR

La serina/treonina chinasi mammalian Target of Rapamycin (mTOR) è un enzima che svolge un ruolo critico nella proliferazione e nella crescita cellulare [37]. La policistina-1, formando un complesso con la tuberina (la proteina la cui mutazione causa la sclerosi multipla), agisce come inibitore endogeno di mTOR. Il deficit genetico o di funzione di policistina 1 nella ADPKD comporta un’attivazione aberrante di questo enzima nelle cellule epiteliali delle cisti renali[38] (full text). Sulla base di questi dati è stato suggerito un possibile ruolo terapeutico degli inibitori di mTOR nella ADPKD.

Sirolimus, un lattone macrociclico prodotto per fermentazione da Streptomyces hygroscopicus, esercita potenti effetti antiproliferativi e antifibrotici mediate l’inibizione del segnale intracellulare mediato da mTOR. Sirolimus ed il suo derivato everolimus, utilizzati nella terapia immunosoppressiva di mantenimento in pazienti sottoposti a trapianto di rene, sono stati perciò proposti come potenziali nuovi farmaci per rallentare la crescita delle cisti e la progressione della malattia policistica del rene e del fegato verso l’insufficienza renale terminale [39].

Evidenze in modelli sperimentali di PKD

Gli effetti del trattamento con gli inibitori di mTOR sono stati valutati in diversi modelli sperimentali di malattia policistica del rene [40] (full text) [41] (full text) [42] [43] (full text). Un primo studio ha dimostrato che in ratti Han:SPRD la somministrazione di sirolimus per 5 settimane riduceva significativamente la proliferazione delle cellule tubulari, inibiva la cistogenesi e la crescita del rene, e preservava la funzione renale [44] (full text). Più recentemente si è osservato che il trattamento prolungato con sirolimus nello stesso modello sperimentale normalizza il volume del rene, la funzione renale e la pressione arteriosa [45] (full text). Altri ricercatori hanno documentato che in un modello murino knock out condizionale per il gene PKD1, la somministrazione di sirolimus inibiva la crescita delle cisti renali e la fibrosi renale preservando al contempo la funzione renale [40] (full text).

Nell’insieme, questi studi sperimentali hanno documentato che l’iperattivazione di mTOR svolge un ruolo chiave nella patogenesi della malattia renale policistica e hanno fornito il razionale per il disegno di diversi trial clinici prospettici volti a verificare l’efficacia del trattamento con gli inibitori di mTOR in pazienti con ADPKD.

Evidenze in pazienti con ADPKD

Finora sono stati pubblicati cinque studi clinici prospettici di efficacia e tollerabilità degli inibitori dell’enzima mTOR in pazienti con ADPKD. Un primo studio randomizzato in doppio cieco ha confrontato gli effetti di 2 anni di trattamento con everolimus (5 mg/giorno) o placebo in 433 pazienti con ADPKD e GFR >30 mL/min/1.73m2 [46] (full text). Nel primo anno di studio l’incremento di volume totale del rene è risultato significativamente minore nel braccio di trattamento con everolimus rispetto al gruppo placebo (102 mL versus 157 mL, P=0.02), effetto non confermato al termine del secondo anno (P=0.06). Inoltre, l’iniziale efficacia di everolimus nel rallentare la crescita del rene non si è tradotta in un miglioramento della funzione renale stimata con la formula MDRD. Infatti, dopo 2 anni di studio la riduzione di GFR è risultata numericamente superiore nei pazienti trattati con everolimus rispetto a quelli a cui era stato somministrato il placebo (8.9 mL/min/1.73m2 versus 7.7 mL/min/1.73m2, rispettivamente; P=0.15). Va anche segnalata l’elevata percentuale di pazienti che ha interrotto lo studio nel gruppo everolimus rispetto al gruppo placebo a dimostrazione della scarsa tollerabilità del trattamento con l’inibitore mTOR (32.7% versus 14.7%, rispettivamente). L’escrezione urinaria di proteine è aumentata significativamente nel braccio di trattamento con everolimus mentre non ha subito cambiamenti apprezzabili nel gruppo placebo. Complessivamente l’incidenza di eventi avversi è risultata più elevata nel gruppo everolimus, con iperlipidemia, leucopenia, trombocitopenia, acne, stomatite ed edema periferico tra le manifestazioni più rilevanti [46] (full text).

Lo studio SWISS, pubblicato in concomitanza con lo studio precedente, ha confrontato gli effetti del trattamento per 18 mesi con sirolimus (2 mg/giorno) o con terapia convenzionale in 100 pazienti con ADPKD e GFR ≥ 70 mL/min/1.73m2 [47] (full text). L’aumento mediano del volume totale del rene è stato comparabile, 99 mL nel braccio di trattamento con sirolimus e 97 mL nel gruppo di controllo. Nel corso dell’intero periodo di studio il GFR stimato è risultato simile tra i due gruppi. Tuttavia, al diciottesimo mese l’escrezione urinaria di albumina era significativamente più elevata nei pazienti trattati con sirolimus rispetto a quelli del gruppo di controllo. La percentuale di pazienti in cui sono comparsi effetti collaterali gastrointestinali è stata superiore nel braccio di trattamento con sirolimus (94%) rispetto al gruppo di controllo (52%). L’edema periferico si è osservato nel 16% dei pazienti in trattamento con sirolimus, ma in nessun paziente del gruppo di controllo [47] (full text).

Lo studio randomizzato SIRENA (con disegno crossover) ha confrontato gli effetti del trattamento con sirolimus o con la sola terapia convenzionale per 6 mesi in 21 pazienti con ADPKD e GFR ≥ 40 mL/min/1.73m2 [48] (full text) . Il trattamento con sirolimus si è associato ad un minore aumento del volume totale del rene rispetto alla terapia convenzionale, sebbene la differenza non abbia raggiunto significatività statistica (46 ± 81 mL versus 70 ± 72 mL, rispettivamente; P=0.45). Inoltre, sirolimus ha bloccato la crescita delle cisti, il cui volume è invece aumentato durante i 6 mesi di terapia convenzionale (P=0.013). Non si sono osservate variazioni apprezzabili di GFR misurato in corso di trattamento con sirolimus o terapia convenzionale. Sei pazienti hanno interrotto prematuramente lo studio, tre dei quali per eventi avversi associati al farmaco in esame (un caso di eritema nodulare e due casi di trombocitopenia) che si sono completamente risolti dopo la sospensione del trattamento. Inoltre, in 10 dei 15 pazienti che hanno completato lo studio, la terapia con sirolimus si è complicata con la comparsa di afte nella maggior parte dei casi controllate con un trattamento topico. L’escrezione urinaria di proteine e di albumina ed i livelli ematici di colesterolo totale sono aumentati significativamente durante il trattamento con sirolimus mentre non hanno subito cambiamenti apprezzabili con la terapia convenzionale [48] (full text).

In un successivo studio in aperto, 55 pazienti con ADPKD ed insufficienza renale lieve o moderata sono stati randomizzati a 24 mesi di trattamento con ramipril (gruppo di controllo), ramipril in combinazione ad alte dosi di sirolimus (livelli ematici target 6-8 ng/mL) o ramipril in combinazione a basse dosi di sirolimus (livelli ematici target 2-4 ng/mL) [49] (full text). Rispetto ai valori basali, il volume totale delle cisti è diminuito significativamente in entrambi i bracci di trattamento con sirolimus, mentre è aumentato nel gruppo di controllo. In parallelo, la funzione renale (GFR stimato) è rimasta relativamente stabile in entrambi i gruppi di trattamento con sirolimus, ma è peggiorata nel gruppo controllo. Tuttavia, al termine dei 2 anni di trattamento l’escrezione urinaria di proteine e l’incidenza di iperlipidemia erano significativamente più elevate nei pazienti trattati con alte dosi di sirolimus rispetto al gruppo di controllo [49] (full text).

In un studio pilota più recente 30 pazienti con ADPKD e GFR misurato ≥ 25 mL/min/1.73m2 sono stati randomizzati a ricevere per 12 mesi basse dosi di sirolimus (livelli ematici target 2-5 ng/mL), dosi standard di sirolimus (livelli ematici target > 5-8 ng/mL) o terapia convenzionale [50] (full text). Il volume totale del rene non si è modificato in modo significativo nei due gruppi di trattamento con sirolimus, ma neppure in quello con terapia convenzionale, rendendo difficile documentare un eventuale effetto protettivo della terapia con l’inibitore mTOR. L’interpretazione di questi risultati è ancora più complicata dall’osservazione che la funzione renale è migliorata (GFR misurato mediante clearance plasmatica dello iotalamato) con basse dosi di sirolimus, ma non con le dosi standard del farmaco. Tre pazienti hanno interrotto lo studio per eventi avversi seri: uno nel braccio di trattamento con basse dosi di sirolimus (per embolia polmonare), e due nel braccio di trattamento con dosi standard di sirolimus (un caso di polmonite ed un caso di proteinuria nel range nefrosico) [50] (full text).

Raccomandazioni all’impiego degli inibitori mTOR

Il trattamento con gli inibitori di mTOR, pur risultando promettente in diversi modelli sperimentali di malattia del rene e del fegato, nella maggior parte degli studi clinici non si è dimostrato efficace nel rallentare la crescita del rene e/o migliorare la perdita progressiva di funzione renale nei pazienti con ADPKD. Sono state formulate diverse ipotesi per spiegare le discrepanze tra i risultati ottenuti negli studi sperimentali e in quelli clinici. E’ possibile che le dosi di sirolimus o everolimus utilizzate nei trial clinici non fossero sufficienti ad inibire l’attività dell’enzima mTOR nelle cellule renali tubulari [51] (full text) o che il trattamento sia iniziato in uno stadio troppo avanzato della malattia per ottenere un miglioramento della funzione renale [52]. Questa possibilità è sostenuta da evidenze sperimentali in un modello di malattia policistica del rene in cui dosi elevate di sirolimus (livelli ematici target 30-60 ng/mL) ma non basse dosi del farmaco (3 ng/mL), somministrate in una fase precoce della malattia sono in grado di rallentare il processo di cistogenesi [53] (full text). Va infatti considerato che i livelli ematici di sirolimus raggiunti negli animali PKD che avevano ricevuto alte dosi del farmaco erano 10-20 volte più elevati di quelli raggiunti in pazienti con ADPKD che avevano partecipato ai diversi trial clinici menzionati in precedenza [53] (full text).

Oltre alla mancata/ridotta efficacia, la terapia con inibitori mTOR trova una limitazione importante nell’elevata incidenza di eventi avversi, anche seri, che comunque sono responsabili della frequente interruzione del trattamento, o nel migliore dei casi della necessità di ridurre significativamente il dosaggio del farmaco, vanificando l’eventuale effetto renoprotettivo. Ad esempio, nello studio SWISS le dosi di sirolimus utilizzate sono state del 25% inferiori rispetto a quelle previste dal protocollo clinico, principalmente per gli effetti collaterali dose-dipendenti associati al trattamento [47] (full text). Inoltre, la percentuale di pazienti che ha interrotto lo studio a causa di eventi avversi riconducibili agli inibitori di mTOR è stata del 25% nel trial condotto dal gruppo di Walz [46] (full text) e del 29% nello studio SIRENA [48] (full text). I risultati di una recente meta-analisi hanno infatti documentato che la somministrazione degli inibitori di mTOR rispetto a placebo o a trattamenti convenzionali in pazienti con ADPKD aumenta significativamente il rischio di eventi avversi tra cui stomatite, acne, infezioni, diarrea, edemi periferici, tutti elementi che compromettono in modo importante la qualità di vita, oltre ad anemia e dislipidemia [34]. Va anche considerato che spesso il trattamento con inibitori mTOR si associa alla comparsa di proteinuria [46] (full text) [47] (full text) [48] (full text) [49] (full text), un fattore che contribuisce al danno renale cronico. A lungo termine, il danno secondario alla proteinuria persistente neutralizzerebbe ogni eventuale effetto renoprotettivo degli inibitori mTOR attribuibile alla loro azione sulla crescita delle cisti.

In conclusione, gli studi clinici disponibili sconsigliano l’impiego degli inibitori mTOR per rallentare la progressione della malattia renale in pazienti con ADPKD, soprattutto per l’elevato rischio di tossicità e la relativa inefficacia anche a dosaggi relativamente elevati.

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Tabella 1
Analoghi della somatostatina e tolvaptan nel trattamento di ADPKD
Analoghi della somatostatina Tolvaptan
Meccanismo d’azione Mediante l’interazione con recettori accoppiati a proteine G (SSTR 1-5), inibiscono la formazione di cAMP Bloccando in modo selettivo il recettore V2 della vasopressina localizzato principalmente nel dotto collettore, riduce il riassorbimento di acqua e inibisce la formazione di cAMP intracellulare
Vie di somministrazione per il trattamento di ADPKD Sottocutanea, Intramuscolare Orale
Segmenti del nefrone su cui agiscono i farmaci Tubulo contorto prossimale, tubulo contorto distale e dotto collettore Tubulo contorto distale e dotto collettore
Efficacia nel trattamento della malattia policistica del fegato No
Principali effetti collaterali Crampi addominali, diarrea, formazione di noduli nel sito di iniezione, calcolosi biliare, steatorrea e perdita di peso Eventi avversi riconducibili all’aumento dell’acquaresi (sete, poliuria, polidipsia, nicturia), disidratazione, ipotensione, possibile peggioramento acuto (reversibile) della funzione renale e tossicità epatica (aumento transaminasi, iperbilirubinemia)
Approvazione da parte delle agenzie regolatorie Nell’agosto 2015 l’EMA ha attribuito a lanreotide la designazione di farmaco orfano per il trattamento di ADPKD E’ stato approvato in Giappone nel marzo 2014, in Canada nel febbraio 2015 e dall’EMA nel maggio 2015 per il trattamento di ADPKD

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ADPKD: fattori di progressione della Malattia Renale

Abstract

I fattori che predicono una rapida progressione della malattia renale possono essere distinti in genetici (non modificabili) e clinici (modificabili). I pazienti con mutazioni di PKD1, in particolare se troncanti, hanno una forma più grave di ADPKD. I fattori clinici predittori di outcome renale sfavorevole includono diminuzione di funzione e flusso ematico renale in giovane età, elevato volume totale renale, ipertensione e complicanze urologiche <35 anni, proteinuria. La malattia è più severa nei maschi e nei soggetti con storia familiare di ESRD < 55 anni. In questi anni, due modelli di progressione sono comparsi in letteratura: il modello della Mayo, basato su volume renale totale, età ed eGFR, ed il modello di Brest, basato su gene mutato, tipo di mutazione, sesso, precoce esordio di ipertensione, complicanze urologiche. Questi due modelli non devono essere considerati alternativi, ma strumenti complementari. Pur essendo i modelli di progressione di indubbia utilità nella selezione dei pazienti a rapida progressione, trasferire nel singolo individuo la predizione ricavata da modelli di progressione è complicato per la ampia eterogeneità clinica della malattia. Pertanto, l’impiego di modelli predittivi dell’outcome a lungo termine dovrebbero essere visti come complementari e non sostitutivi della valutazione clinica.

Parole chiave: insufficienza renale cronica terminale, ipertensione, mutazione genetica, rene policistico autosomico dominante, volume totale renale

 

Introduzione

Con l’avvento di nuove potenziali terapie in grado di modificare la storia naturale della malattia renale in corso di ADPKD, diventa di fondamentale importanza identificare i pazienti a rischio di sviluppare una malattia renale terminale. Poiché è ipotizzabile che il beneficio di una eventuale terapia sia tanto maggiore quanto più precocemente viene iniziata, l’identificazione dei fattori di rischio di progressione potrebbe risultare utile nella selezione dei pazienti da avviare al trattamento. Nonostante ciò, ad oggi, non esistono linee-guida condivise e raccomandazioni pratiche relative alla identificazione dei pazienti con ADPKD ad elevato rischio di progressione. Questo è in buona parte imputabile al fatto che la definizione di progressione in un singolo paziente è ostacolata dalla elevata eterogeneità della malattia.

I fattori che predicono una rapida progressione della malattia renale possono essere distinti in genetici, demografici/familiari, clinici ed ambientali. Alcuni di questi fattori sono modificabili (clinici ed ambientali); altri non sono modificabili (genetici) [1] (full text) [2] [3] [4] (full text).

Fattori genetici

Eterogeneità di locus

I pazienti con mutazioni nel gene PKD1 hanno una forma più grave di ADPKD rispetto ai pazienti con mutazioni nel gene PKD2, con una più giovane età al momento della diagnosi, un numero maggiore di cisti, un più precoce esordio di ipertensione ed una più rapida progressione verso l’ESRD, che viene raggiunta ad una età media di 53 anni nel PKD1 e di 69 anni nel PKD2 [5] [6] (full text).

Eterogeneità allelica

Mutazioni troncanti di PKD1 sono associate con un’età media di sviluppo di ESRD significativamente più bassa rispetto alle mutazioni non-troncanti (55 e 65 anni rispettivamente)[7] (full text).

Alleli Ipomorfi

In alcune famiglie con malattia lieve o atipica, le variazioni di sequenza funzionano come alleli ipomorfi, non determinano cioè un fenotipo completo quando presenti come unica anomalia genetica nei soggetti eterozigoti. Tuttavia, queste varianti sono in grado di causare una severa malattia quando presenti in forma omozigote, o quando presenti unitamente ad una mutazione troncante sul secondo allele [1] (full text) [2].

Geni Modificatori

La variabilità intrafamiliare, caratteristica dell’ADPKD, è determinata da altri geni, diversi da quelli causali (PKD1 e PKD2), che sono in grado di modificare la severità della malattia; questi geni sono detti geni modificatori. Polimorfismi genetici a carico dei geni ACE e ENOS sono stati associati con l’età di esordio dell’ESRD. Tuttavia questi reports, basati su piccole popolazioni, non sono conclusivi. Ulteriori elementi di conoscenza circa l’identità dei geni modificatori sarà fornito dai risultati degli studi di associazione sull’intero genoma (GWAS) attualmente in corso[1] (full text) [2] [3].

In conclusione, in base al genotipo, i pazienti possono essere stratificati in tre gruppi a rischio: pazienti con mutazioni PKD2, che hanno la prognosi migliore; quelli con mutazioni PKD1 non-troncante, che hanno una prognosi intermedia; pazienti con mutazioni di PKD1 troncante, che hanno la prognosi peggiore. Soprattutto i pazienti più giovani (<30 anni) possono beneficiare in misura importante delle informazioni derivanti dal genotipo; tuttavia, il genotipo da solo non è in grado di spiegare la variabilità individuale o intrafamiliare; l’intervento dei geni modificatori gioca un ruolo importante nel determinare il fenotipo, ed anche fattori ambientali possono essere coinvolti nella progressione. Un modello prognostico di progressione basato su un algoritmo comprendente i dati genetici integrati con i dati clinici è stato proposto dal gruppo di Brest. L’analisi multivariata di sopravvivenza condotta nella vasta coorte Genkyst ha identificato 4 variabili statisticamente associate con l’età di sviluppo di ESRD, e cioè sesso maschile, ipertensione esordita in età <35 anni, prima complicanza urologica in età <35 anni, mutazione genetica. È stato sviluppato un sistema di punteggio da 0-9 come segue: essere di sesso maschile: 1 punto; ipertensione <35 anni: 2 punti; prima manifestazione urologica <35 anni: 2 punti; mutazione di PKD2: 0 Punti; mutazione di PKD1 non-troncante: 2 punti; mutazione di PKD1 troncante: 4 punti. Sono state successivamente definite tre categorie di rischio: basso rischio (0-3 punti), rischio intermedio (4-6 punti), ed alto rischio (7-9 punti) di progressione ad ESRD, con corrispondente età media di insorgenza di ESRD a 70, 56, e 49 anni, rispettivamente. Un punteggio <3 escludeva l’evoluzione ad ESRD prima dei 60 anni di età, con un valore predittivo negativo del 81%; un punteggio >6 prevedeva l’esordio di ESRD prima dei 60 anni di età, con un valore predittivo positivo del 90%. Questo score prognostico era pertanto in grado di predire con buona accuratezza l’outcome renale. Tuttavia, pochi pazienti vengono sottoposti ad indagine genetica, i cui costi restano elevati; inoltre, l’indagine genetica è negativa nel 7-10% dei pedigree, rendendo inapplicabile l’algoritmo a questa tipologia di pazienti [2] [7] (full text) [8].

Fattori demografici e familiari

Sesso

Diversi studi, non conclusivi, hanno riportato una malattia più severa nei maschi, con più precoce insorgenza di ESRD (2). Un recente studio francese (coorte Genkyst) ha confermato questo dato nei pazienti con mutazioni in PKD1; non vi erano invece differenze nel gruppo (meno numeroso) di soggetti con PKD2 [7] (full text).

Storia familiare di sviluppo di ESRD

Uno studio ha esaminato se la storia familiare di ESRD era in grado di predire il gene mutato e quindi il rischio di progressione della malattia. Lo studio ha documentato che la presenza di membri familiari affetti che hanno sviluppato ESRD ad una età ≤55 anni era altamente predittiva del genotipo PKD1. Al contrario, la presenza di membri familiari affetti che avevano una funzione renale conservata o che avevano sviluppato ESRD ad una età ≥70 anni era altamente predittiva del genotipo PKD2. Lo studio, pur con i limiti del modesto sample-size, ha fornito uno strumento semplice di prognosi indagando la funzione renale nei pedigree [9] (full text).

Fattori clinici

I fattori clinici che predicono la progressione della malattia sono numerosi e comprendono funzione renale, volume totale del rene, ipertensione, iperfiltrazione, macroematuria, infezioni del tratto urinario, rottura delle cisti, gravidanza, riduzione del flusso ematico renale, proteinuria/microalbuminuria, livelli circolanti di copeptina [1] (full text) [2] [3] [4] (full text).

Funzione Renale

La funzione renale, soprattutto quando sono disponibili le modificazioni nel corso del tempo, sopravanza il ruolo degli altri indicatori prognostici. In corso di ADPKD, analogamente a quanto avviene nelle altre nefropatie, la funzione renale può mantenersi inalterata per varie decadi, nonostante il progressivo incremento del numero e delle dimensioni delle cisti. Questo è dovuto all’iperfiltrazione glomerulare compensatoria nei glomeruli intatti, che mantiene la funzione renale entro i valori di normalità. Solo quando la maggior parte dei nefroni sono stati distrutti, la funzione renale diminuisce, usualmente dopo i 40 anni, fino al raggiungimento dell’ESRD. Pertanto, specie negli stadi precoci della malattia, l’andamento nel tempo della velocità di filtrazione glomerulare (GFR) non può essere considerato adeguatamente informativo sulla evolutività della malattia. Per la stessa ragione, molti autori considerano poco realistico impiegare il GFR come misura di outcome nei trial che includano pazienti in stadio iniziale, perché richiederebbe periodi di follow-up troppo lunghi. Nella gestione clinica routinaria dei pazienti ADPKD, la valutazione della funzione renale usualmente impiega la stima del GFR stimato (e-GFR) ottenuta con l’equazione CKD-EPI o MDRD; la misurazione del GFR (m-GFR; clearance dello iotalamato o dello ioexolo), è più accurata ma costosa, ed è raccomandata solo in casi specifici. Resta oggetto di discussione se l’uso dell’e-GFR sia adeguato anche nei trial clinici, dopo che uno studio ha messo in discussione l’attendibilità dell’e-GFR (MDRD e CKD-EPI) nel riflettere i valori reali del GFR, suggerendo che l’uso dell’e-GFR possa non essere in grado di individuare le variazioni della funzionalità renale nel tempo. Nonostante l’uso del m-GFR (misurato) sia preferibile, l’impiego dell’e-GFR è pratica generalmente accettata per i trials clinici, anche perché l’impiego di m-GFR è più complicato, associato a costi considerevoli e difficilmente praticabile nel corso di trial clinici multicentrici [1] (full text) [2] [3] [4] (full text) [10].

Volume renale totale (TKV)

Secondo gli studi longitudinali del Consorzio per Studi Radiologici di Imaging nel Rene Policistico (CRISP), il TKV è una misura precoce ed accurata del sovvertimento cistico renale e dell’andamento della curva di crescita del rene nella fase in cui l’e-GFR è ancora ben conservato (>60 ml/min). Nella storia naturale della malattia, il TKV è associato a comparsa di dolore, ipertensione, macro-ematuria, proteinuria/albuminuria, e alla perdita della funzione renale. Il TKV aumenta in modo esponenziale in tutti i pazienti ADPKD, con un aumento medio nell’adulto di circa il 5% all’anno. Un elevato TKV, se valutato congiuntamente con età e funzione renale, è in grado di identificare individui a rischio di progredire verso l’ESRD. Il TKV può essere misurato impiegando ultrasonografia (US), TAC, RM. L’US è metodica meno costosa ma operatore-dipendente, e può sovrastimare il TKV rispetto a RM e TAC. La misurazione con US del TKV può essere calcolata utilizzando l’equazione ellissoide (π/6xLxWxD), basata su lunghezza ortogonale massima, ampiezza e profondità del rene. Misure più precise del TKV possono essere ottenute tramite valutazione planimetrica o stereologica delle immagini RM o TAC. L’equazione ellissoide può anche essere applicata alle immagini RM/TAC per un rapido calcolo del TKV. La TAC è associata ad esposizione a radiazioni. Le immagini RM T-2 pesate offrono informazioni riguardo il volume totale delle cisti e non richiedono gadolinio, eliminando il rischio di fibrosi sistemica nefrogenica.

I dati dello studio CRISP suggeriscono inoltre che un TKV aggiustato per l’altezza (ht/TKV) ≥ 600 cm3/m sia in grado di predire la progressione allo stadio 3 della CKD entro 8 anni, con sensibilità del 74% e specificità del 75%. Sulla base di questi risultati, il tasso di variazione del TKV è stato adottato come endpoint surrogato per il declino dell’e-GFR e come misura di outcome primario in diversi importanti studi clinici, anche se non tutte le agenzie regolatorie hanno accettato questa proposta. Uno recente studio sempre del gruppo CRISP ha mostrato una importante correlazione tra US e RM nella determinazione dei volumi renali, ed ha suggerito che, in alternativa alla misurazione del TKV, la lunghezza del rene (KL, kidney lenght) misurata con US o RM, maggiore di 16,5 cm possa essere considerata il cut point in grado di predire lo sviluppo di CKD stadio 3. Il parametro della KL da sola, sarebbe pertanto sufficiente per stratificare il rischio di progressione dell’ADPKD, e può essere ottenuta con US, metodica di basso costo, priva di esposizione a radiazioni e disponibile in tutti i centri medici. Tuttavia, prima che le misurazioni del TKV e della KL diventino parte della gestione clinica routinaria, è necessario sviluppare un protocollo condiviso, standardizzato, rapido e semiautomatico, da adottare a livello internazionale [1] (full text) [2] [10] [11] (full text) [12] (full text) [13].

Il gruppo della Mayo Clinic ha recentemente proposto un modello di progressione basato su una semplice stima del TKV ottenuto con RM o TAC per selezionare i pazienti da arruolare negli studi clinici o da avviare ad eventuali trattamenti. Questo modello di progressione è in grado di predire la velocità di declino dell’e-GFR in qualsiasi momento, inserendo nel modello TKV, sesso, età e creatinina basali. Il TKV basale è stato misurato impiegando l’equazione ellissoide, da cui veniva ricavato l’Ht/TKV (volume rapportato all’altezza). L’e-GFR è stato calcolato utilizzando la formula CKD-EPI. In accordo con range di Ht/TKV specifici per età delineati nello studio CRISP, i pazienti sono stati divisi in 5 sottoclassi di velocità di crescita stimata del rene (1A: <1.5%; 1B: 1.5-3.0%; 1C: 3.0- 4.5%; 1D: 4.5-6.0%; 1E:>6,0%). L’analisi ha rivelato che il declino dell’e-GFR nel corso degli anni dopo la misurazione iniziale del TKV era significativamente differente tra tutte e 5 le sottoclassi di pazienti, e che quelli di sottoclasse 1E avevano il più rapido declino [14] (full text). Tuttavia, questa equazione non è ben performante nei pazienti con e-GFR conservato, non è sufficientemente sensibile nel misurare le variazioni longitudinali del TKV, e non può essere applicata a pazienti con una forma atipica di ADPKD.

Iperfiltrazione nell’infanzia

I bambini con ADPKD che presentano iperfiltrazione glomerulare (GFR ≥140 ml/min/1,73 m2) mostrano un più alto tasso di crescita del TKV ed un calo più rapido della funzione renale [1] (full text) [2] [10].

Macroematuria

I pazienti con uno o più episodi di macroematuria mostrano reni significativamente più grandi, hanno una funzione renale più ridotta e sono più spesso ipertesi rispetto ai pazienti senza episodi di macroematuria. La comparsa di macroematuria (e/o di altre complicanze urologiche, quali emorragia cistica sintomatica, infezione delle cisti, dolore renale secondario a cisti) ad un’età <35 anni è associata a prognosi renale peggiore. Questi studi, benchè retrospettivi, indicano che la macroematuria è associata ad una malattia più severa [1] (full text) [2] [3] [10].

Infezioni multiple del tratto urinario

Studi retrospettivi in corso di ADPKD hanno suggerito che multipli episodi di infezione delle vie urinarie (IVU) sono associati a più rapido declino della funzione renale. Tuttavia, visto il carattere degli studi, resta incerto se gli episodi di IVU svolgano un ruolo significativo nella perdita della funzione renale [1] (full text) [2] [10].

Rottura delle cisti

La rottura delle cisti sembra verificarsi in pazienti con un più elevato valore di volume renale totale (total kidney volume-TKV-) e con un maggiore numero di sintomi (dolore al fianco, macroematuria, infezione, ipertensione), suggerendo che la rottura delle cisti sia un marker di malattia più severa [1] (full text) [2] [10].

Ipertensione

L’ipertensione si manifesta in più dell’80% dei pazienti ADPKD prima di una significativa perdita della funzione renale e sembra essere sia un marker di malattia più severa che un fattore aggiuntivo importante nel determinare la perdita della funzione renale. Il volume renale è significativamente maggiore nei pazienti ADPKD con ipertensione; inoltre, la severità dell’ipertensione è associata a diminuzione del GFR; infine, l’insorgenza precoce di ipertensione (< 35 anni) è stata descritta essere associata ad un esordio più precoce di ESRD [1] (full text) [2] [3][4] (full text) [10].

Gravidanza

Non esistono studi prospettici relativi agli effetti della gravidanza sulla prognosi renale in corso di ADPKD. Dati storici hanno segnalato che la gravidanza non sembra influire sulla funzione renale nelle donne normotese; le donne ipertese tuttavia, con più di tre gravidanze, mostrano una funzione renale significativamente peggiore rispetto alle donne di uguale età con un minor numero di gravidanze [1] (full text).

Riduzione del flusso ematico renale

Nello studio CRISP, il flusso ematico renale medio (RBF) misurato con risonanza magnetica (RM) si riduceva progressivamente e precedeva il calo del GFR. Un basso valore di RBF in condizioni basali era associato ad un maggior incremento del TKV e ad un declino del GFR misurato. All’analisi multivariata, RBF era predittore indipendente di progressione della malattia sia sul piano strutturale che funzionale renale [1] (full text) [2] [10].

Proteinuria e Microalbuminuria

Presenza e livello di proteinuria si associano a maggior TKV, a più veloce declino della funzione renale ed a più precoce raggiungimento dell’ESRD. Tra i 1044 adulti partecipanti agli studi HALT PKD, in condizioni basali l’escrezione urinaria di albumina era positivamente correlata con il TKV e negativamente correlata con l’e-GFR [1] (full text) [2] [10].

I livelli sierici di Copeptina

La copeptina può essere utilizzata come affidabile surrogato dei livelli circolanti di arginina-vasopressina. Poiché la vasopressina induce la produzione di cAMP, potente stimolatore della formazione e crescita delle cisti, elevati livelli di copeptina possono essere un marker e/o un agonista di rapida progressione. Livelli più elevati di copeptina in condizioni basali sono infatti associati a maggiori incrementi di TKV e a riduzione di GFR nel corso di ADPKD. Sono necessari altri studi per confermare il potenziale valore predittivo del livello sierico di copeptina [1] (full text)[2] [10].

Conclusioni

In sintesi, le evidenze più robuste disponibili in letteratura permettono di identificare un elevato TKV, mutazioni in PKD1 (in particolare se troncanti), precoce ipertensione, episodi precoci e multipli di macroematuria, diminuzione di RBF o di GFR in giovane età come i predittori più affidabili di una rapida progressione della malattia renale.

I due modelli di progressione presentati (Mayo, basato sull’imaging e Brest, basato sui dati genetici) non dovrebbero essere considerati alternativi, ma strumenti diversi e complementari. Inoltre, la valutazione del rischio fornita dai modelli non deve precludere il classico approccio al follow-up, in particolare il monitoraggio nel tempo della funzione renale. L’osservazione di un declino più veloce del previsto dell’e-GFR in un paziente appartenente ad una categoria a basso rischio, deve ovviamente portare ad una riconsiderazione della valutazione dei rischi ed alle successive decisioni terapeutiche. Benchè i modelli di progressione abbiano una indubbia utilità, è importante ricordare che trasferire nel singolo individuo la predizione ricavata da modelli di progressione è complicata per la nota eterogeneità clinica della malattia, e che l’impiego di differenti parametri al basale possono esitare in una variabile valutazione della prognosi. Pertanto, l’impiego di modelli predittivi dell’outcome a lungo termine dovrebbero essere visti come complementari e non sostitutivi alla valutazione clinica. Infine, è verosimile che l’approccio più accurato per predire l’outcome a lungo termine dell’ADPKD possa essere rappresentato da uno score di rischio individuale in grado di combinare congiuntamente informazioni genetiche, imaging e dati clinici [1] (full text) [2] [3] [4] (full text) [10] [11] (full text) [12] (full text)[13] [14] (full text).

Raccomandazioni

  1. L’identificazione dei pazienti a rischio di rapida progressione diventa un obiettivo sempre più importante nei pazienti in corso di ADPKD. Da un lato, i pazienti vogliono conoscere la loro prognosi ed i medici vorrebbero poterla fornire in modo adeguato; dall’altro, in previsione della immissione sul mercato di nuovi farmaci per il trattamento della malattia, è ragionevole pensare che l’efficacia di una terapia sia tanto maggiore quanto più precocemente viene iniziata, e che debba essere impiegata solo nei pazienti con elevato rischio di progressione, per garantire un favorevole rapporto rischi/benefici.
  2. Ad oggi, non esiste una definizione comunemente accettata di malattia rapidamente progressiva, e non vi è un consenso relativamente al ruolo degli indicatori prognostici. Tuttavia, il TKV è attualmente il più forte predittore di sviluppo di insufficienza renale in corso di ADPKD, ed è certamente uno strumento importante nel predire l’outcome renale.
  3. Ad oggi, l’applicazione di TKV come marcatore prognostico per il declino dell’e-GFR è limitato da due fattori: la scarsa disponibilità e l’alto costo della RM o TC e la competenza e il tempo necessario per calcolare il TKV per stereologia. L’impiego della equazione ellissoide e dell’US potrebbe superare questi problemi.
  4. È necessario uno sforzo della comunità nefrologica per identificare i criteri con cui definire i fast progressors, identificando le metodiche di imaging da impiegare con i relativi protocolli e le necessarie integrazioni con gli altri dati clinici e genetici. È infine necessario trasferire nella pratica clinica i due modelli di progressione presentati (ed altri modelli in preparazione) per una loro effettiva validazione.

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La clinica della Malattia Policistica Autosomico Dominante (ADPKD)

Abstract

La Malattia Policistica autosomico dominante (ADPKD) è una patologia sistemica associata a numerose manifestazioni extrarenali, compresa la malattia policistica del fegato (PCLD) e altre manifestazioni gastrointestinali (cisti pancreatiche, diverticoli intestinali, ernie addominali) che condizionano in modo significativo la qualità di vita dei pazienti soprattutto nelle fasi avanzate di malattia. La storia naturale della ADPKD è caratterizzata nella maggior parte dei casi da un lungo periodo di stabilità seguito da un progressivo declino della funzionalità renale. La coesistenza di ipertensione arteriosa, infezioni delle cisti e nefrolitiasi può condizionare ed accelerare l’avanzamento della malattia renale. Fondamentale risulta la diagnosi precoce e la prevenzione di queste patologie. Altre condizioni cliniche che il nefrologo deve saper riconoscere e gestire in corso di Rene Policistico sono ematuria, carcinoma renale ed aneurismi cerebrali (ICA).

Indice delle sezioni

SEZIONE 1: Manifestazioni gastrointestinali in ADPKD
SEZIONE 2: Gestione delle cisti pancreatiche e delle loro complicanze
SEZIONE 3: Gestione dei diverticoli intestinali e delle loro complicanze
SEZIONE 4: Gestione delle ernie addominali
SEZIONE 5: Gestione dell’ipertensione arteriosa nei pazienti affetti da ADPKD
SEZIONE 6: Gestione e trattamento delle infezioni delle cisti renali nei pazienti ADPKD
SEZIONE 7: Nefrolitiasi
SEZIONE 8: Gestione del paziente ADPKD con ematuria
SEZIONE 9: Carcinoma renale
SEZIONE 10: Aneurismi intracranici

Parole chiave: aneurismi intracranici, carcinoma renale, ematuria, infezioni delle cisti, ipertensione, Malattia policistica del fegato, nefrolitiaisi

ADPKD: diagnosi molecolare

Abstract

La maggior parte dei pazienti ADPKD non necessitano di test genetico. Quando indicato, la tecnica più utilizzata è il sequenziamento secondo Sanger. Se non è identificata una mutazione patogenetica con Sanger, deve essere eseguita la multiplex ligation-dependent probe amplification analysis (MLPA), per rilevare riarrangiamenti genici (inserzione/ delezione). Le nuove tecniche di next generation sequencing (NGS), in grado di produrre un output molto elevato di sequenze, garantiscono uno screening molecolare più rapido e meno costoso. Infine, in futuro, il sequenziamento dell’esoma (WES) o il sequenziamento di pannelli di geni (targeted sequencing, TS) avranno probabilmente un ruolo importante nella diagnostica molecolare di ADPKD. Il test genetico è indicato in diverse condizioni: storia familiare negativa; imaging renale equivoco/atipico; fenotipo renale discordante all’interno della famiglia; precoce e grave PKD; consulenza riproduttiva e diagnosi genetica pre-impianto; trapianto da donatore vivente consanguineo.

Parole chiave: metodo Sanger, Next Generation Sequencing (NGS), rene policistico autosomico dominante, test genetico

 

Raccomandazioni

  1. Il metodo per l’esecuzione del test genetico più largamente impiegato oggi è l’analisi mutazionale secondo Sanger. È prevedibile nei prossimi anni una notevole estensione dell’impiego delle metodiche di NGS nell’ambito della diagnostica molecolare dell’ADPKD, che renderà più agevole, sensibile e meno costoso lo screening mutazionale (ungraded).
  2. Il test genetico, costoso e laborioso, non si rende necessario nella maggior parte dei pazienti con ADPKD, che mostrano una storia familiare ed una presentazione clinica e strumentale tipica della malattia. (ungraded).
  3. Il test genetico è raccomandato nelle seguenti condizioni:
  • A. trapianto da donatore vivente consanguineo
  • B. Assenza di familiarità, specie se imaging equivoco ed atipica presentazione della malattia
  • C. Soggetti ad esordio di malattia cistica renale molto precoce
  • D. Diagnosi genetica pre-natale o pre-impianto

1. Metodi di Indagine Molecolare

I metodi impiegati per l’esecuzione del test genetico sono tre: analisi di linkage; analisi mutazionale tramite sequenziamento genico diretto secondo Sanger; analisi mutazionale mediante sequenziamento massivo parallelo ad alta processività (Next Generation Sequencing; NGS).

Analisi di Linkage

Storicamente, l’analisi di linkage, che risulta essere accurata, è stata la prima ad essere impiegata, utilizzando marcatori polimorfici altamente informativi (microsatelliti) localizzati in prossimità dei due geni-malattia [1]. Una volta identificato l’aplotipo di rischio all’interno di una famiglia, gli individui a rischio possono essere analizzati ricercando la presenza/assenza di quell’aplotipo. Il principale limite dell’analisi di linkage è che, per essere informativa (cioè stabilire all’interno della singola famiglia quale dei due geni è responsabile della malattia), richiede almeno 4 familiari affetti disponibili all’esecuzione del test; pertanto solo famiglie numerose possono essere avviate a questo test per confermare il linkage a uno dei due geni. L’analisi di linkage richiede inoltre una accurata diagnosi clinica di ADPKD e la conoscenza dei legami di parentela fra i membri affetti. Questi limiti rendono possibile l’esecuzione dell’analisi di linkage in meno del 50% delle famiglie. Poiché i risultati dell’analisi di linkage sono indiretti, l’interpretazione dei risultati appare inoltre inficiata in presenza di mutazione de novo, di ricombinazione, di mosaicismo (presenza di più di una linea cellulare geneticamente distinta in un individuo), di alleli isomorfici (variante del DNA che riduce la quantità di prodotto genico e/o la sua qualità funzionale) e di malattia “bi-lineal” (presenza di malattia sia nel ramo paterno che materno della famiglia) e/o di un modello di ereditarietà oligogenica(coesistenza, oltre alla mutazione a carico dei geni PKD1 o PKD2, di mutazioni in altri cistogeni) [2] (full text) [3] [4] [5] (full text) [6] (full text)Per [7] (full text)queste motivazioni, l’analisi di linkage è oggi raramente effettuata, eccetto che per lo screening degli embrioni nell’ambito della Diagnosi Genetica Preimpianto (PGD), tecnica utilizzata per selezionare embrioni sani prodotti tramite fecondazione in vitro per l’impianto. L’impiego della PGD è influenzato da valori etici, da costi economici, da severità della malattia e da differenti modalità regolatorie vigenti nei vari paesi. L’identificazione di embrioni portatori di una mutazione patogenetica richiede la biopsia. L’approccio più frequente consiste nella biopsia dell’embrione allo stadio di clivaggio (6-8 cellule), in cui un blastomero viene rimosso dall’embrione al 3° giorno di sviluppo. L’amplificazione del DNA da singola cellula espone al richio di “drop-out allelico”, con amplificazione di uno solo dei due alleli presenti nella cellula, che potrebbe esitare in una diagnosi errata. L’impiego dell’analisi di linkage può fornire garanzie contro questo problema ed è stato applicato con successo nei soggetti con ADPKD. Un metodo bioptico alternativo (biopsia della blastocisti) ha come bersaglio il trofoblasto al 5° giorno di sviluppo. Questo approccio rimuove numerose cellule per l’analisi, senza sacrificare nessuna parte dell’embrioblasto. La maggiore disponibilità di DNA confrontata con il metodo del singolo blastomero, facilita la diagnosi molecolare. In genere è combinato alla criopreservazione e al trasferimento di embrioni congelati per consentire più tempo per le analisi genetiche [8] (full text) [9] [10] (full text) [11].

Analisi mutazionale mediante sequenziamento genico diretto secondo Sanger

L’analisi mutazionale con metodo Sanger di tutti gli esoni e delle giunzioni di splicing dei geni PKD1 e PKD2 è il metodo oggi correntemente impiegato dalla maggior parte dei laboratori per la diagnosi molecolare di ADPKD [12] (full text). Mentre il gene PKD2 è un gene a singola copia sensibile allo screening mutazionale, il gene PKD1 è un gene di grandi dimensioni, molto complesso; i primi 33 esoni sono duplicati in sei pseudo-geni (PKD1P1-PKD1P6), caratterizzati da elevata identità di sequenza. Questo rende lo screening mutazionale di PKD1 estremamente laborioso e costoso [13]. Inoltre, il sequenziamento diretto dei geni PKD1 e PKD2 è in parte ostacolato dalla presenza di eterogeneità allelica. Ad oggi, più di 1272 mutazioni patogenetiche sono state riportate per PKD1 e 202 per PKD2 (http://pkdb.mayo.edu). Questi risultati indicano una vasta eterogeneità allelica, in assenza di hot-spot mutazionali o di frequenti mutazioni ricorrenti. L’attribuzione di un ruolo patogenetico ad una mutazione identificata può costituire una ulteriore difficoltà interpretativa dei risultati del test, poiché la maggior parte delle varianti sono uniche (“private”), e le varianti missenso nel gene PKD1 rappresentano circa un terzo di tutte le mutazioni. Il sequenziamento genico diretto è associato con una detection rate di mutazione variabile dall’85 al 90% dei casi; pertanto, circa il 10-15% dei pazienti con sospetto di ADPKD non ha mutazioni identificate, malgrado venga effettuata una analisi mutazionale completa. In questi casi, è sempre indicato cercare la presenza di ampi riarrangiamenti genici (delezioni o inserzioni di multipli esoni), non identificabili tramite Sanger per la loro estensione, ma diagnosticabili tramite l’impiego di una metodica quantitativa innovativa (Multiplex Ligation Probe Amplification; MLPA) che permette di osservare un difetto di “dose”, suggestivo della presenza di una delezione o di una duplicazione. La tecnica MLPA identifica alterazioni in circa il 4% dei soggetti affetti da ADPKD e nel 30% dei soggetti con ADPKD senza mutazione causativa identificata con il test genetico standard [14] (full text). Alcuni altri pazienti con ADPKD e test genetico standard negativo possono presentare un mosaicismo somatico, causa nota di espressività variabile di malattia in corso di ADPKD, difficile da diagnosticare con il sequenziamento di Sanger [15]. È utile tuttavia ricordare che il sequenziamento di Sanger applicato a un discendente affetto di un mosaico può consentire la scoperta della mutazione patogenetica; in questo caso, infatti, il discendente, usualmente affetto in maniera piu’ severa, ha ricevuto una cellula germinale con l’allele mutante e presenta tale anomalia in ogni cellula.

Analisi mutazionale mediante Next Generation Sequencing (NGS)

Rispetto alla tradizionale tecnologia di sequenziamento Sanger, le nuove piattaforme di sequenziamento NGS producono un output molto più elevato di sequenze, impiegando tempi minori e riducendo i costi. I primi studi disponibili mostrano risultati confortanti, con una sensibilità variabile da 78 a 83% a 99%, ed una specificità del 100% [16] (full text) [17] (full text)[18] (full text). È prevedibile che l’estensione dell’impiego delle metodiche di NGS alla diagnostica molecolare dell’ADPKD renderà più agevole lo screening mutazionale, permettendo la caratterizzazione di ampie coorti di soggetti con ADPKD. Inoltre, l’impiego di pannelli genici in grado di eseguire l’analisi mutazionale completa di PKD1 e PKD2 e di altri cistogeni (PKHD1, HNF1β) o il sequenziamento dell’intero esoma potrebbero permettere di identificare interazioni alleliche e geniche in grado di modulare la severità della malattia renale, ampliando le conoscenze su correlazione genotipo-fenotipo e prognosi dell’ADPKD.

2. Test Genetico: Indicazioni

Il metodo di scelta per eseguire l’analisi genetica di PKD1 e PKD2 è l’analisi mutazionale mediante sequenziamento genico diretto secondo Sanger, seguita dall’MLPA per la ricerca di riarrangiamento genico nei casi risultati negativi al test standard. Tuttavia, il test è costoso e laborioso, e non viene eseguito nella maggior parte dei pazienti che manifestano una presentazione tipica di ADPKD. Questo approccio limitativo alla esecuzione del test genetico deriva sia dalla conoscenza di ampia variabilità fenotipica inter/intra-familiare che dalla tradizionale mancanza di stretta correlazione genotipo-fenotipo. Tuttavia, è stata recentemente documentata in un’ampia coorte di soggetti con ADPKD una forte, insospettata correlazione genotipo-fenotipo: soggetti che albergavano mutazioni troncanti di PKD1 presentavano una prognosi più grave quando confrontati con soggetti con mutazioni non-troncanti di PKD1 [19] (full text). È pertanto verosimile che il test genetico in futuro possa assumere anche un valore prognostico, ampliando in modo significativo l’indicazione alla sua esecuzione. Ad oggi, il test genetico dovrebbe essere preso in considerazione nelle seguenti condizioni [20] [21]:

  1. quando l’imaging renale è equivoco e non permette di chiarire in maniera definitiva la diagnosi, specie in soggetti con età < 30 anni
  2. in un potenziale donatore di rene da vivente all’interno di una famiglia affetta, con imaging dubbio, in cui è richiesta una diagnosi definitiva
  3. in soggetti con storia familiare negativa per ADPKD, specie se esistono elementi che pongano in diagnosi differenziale l’ADPKD con altre malattie cistiche renali
  4. in presenza di una forma atipica di PKD, come nei casi di PKD ad esordio precoce e severo, condizione in cui possono giocare un ruolo determinante alleli ipomorfi o una eredità oligogenica; in presenza di un PKD con marcata asimmetria renale; in presenza di una insufficienza renale senza un significativo ingrandimento renale; in presenza di una notevole e discordante variabilità fenotipica della malattia all’interno della stessa famiglia
  5. nell’infanzia, in cui la malattia policistica renale può essere secondaria, oltre cha ad ADPKD, a rene policistico aurosomico recessivo (ARPKD) o ad altre rare malattie genetiche con fenotipo cistico renale (in genere altre ciliopatie) associato a caratteristiche sindromiche
  6. in pazienti che necessitino di counselling genetico prenatale e/o in coppie che richiedano una diagnosi genetica pre-impianto (PGD) per selezionare embrioni sani prodotti tramite fecondazione in vitro per l’impianto.

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Diagnosi di malattia policistica

Abstract

La diagnosi di ADPKD dovrebbe essere basata su approfondita valutazione della storia familiare, studio radiologico e quando indicato studio genetico. La definizione anamnestica di ‘storia familiare negativa’ dovrebbe essere accettata solo dopo una completa valutazione clinico- strumentale dei parenti prossimi del soggetto in studio. La diagnostica ecografica è la modalità diagnostica di elezione in soggetti a rischio con storia familiare positiva per ADPKD. In alcuni scenari clinici (screening in donazione renale, pianificazione familiare e altri) l’errore diagnostico basato sui criteri morfologici può essere troppo elevato. Per questo motivo non si consiglia di usare l’ecografia renale per escludere la diagnosi in pazienti con età inferiore uguale a 40 anni. In situazioni con storia familiare positiva in cui l’ecografia renale non abbia potuto sciogliere la diagnosi, sia nella conferma che nella esclusione di patologia, la risonanza magnetica è indicata in considerazione dell’aumentata sensibilità e specificità della tecnologia. L’analisi genetico molecolare può aiutare a definire la diagnosi. In situazioni con storia familiare negativa è necessario valutare la presenza di elementi sindromici non caratteristici di ADPKD. In presenza di questi elementi è consigliato inviare il paziente ad un centro di terzo livello per una diagnosi differenziale su base clinica e molecolare.

Parole chiave: ADPKD, Diagnosi, Ecografia, test genetico

 

Introduzione

Si consiglia di definire la diagnosi sulla base dei tre seguenti elementi:approfondita valutazione della storia familiare, studio radiologico ecografico e risonanza magnetica nucleare (la RMN quando indicato), studio genetico (quando indicato). Infine il processo diagnostico dovrà essere modulato sulla base del quesito diagnostico incontrato. In particolare dovrà essere valutato differentamente la definizione della diagnosi a scopo di prevenzione secondaria o terziaria del paziente in preparazione a consulenza genetica per pianificazione familiare, in preparazione a consulenza genetica per valutazione di donazione renale da vivente. Operativamente il percorso diagnostico ha modalità diverse a seconda della presenza o assenza di storia familiare che è quindi il primo elemento da vagliare nel processo diagnostico in ADPKD. Un paziente con familiari di primo grado con diagnosi non dubbia di ADPKD ha una probabilità estremamente elevata rispetto alla popolazione generale di essere affetto a sua volta da ADPKD (pre test probability). Questo elevato rischio pre test ci consente un ridotto errore diagnostico anche con l’ausilio di un ridotto numero di elementi diagnostici (in pratica è quasi sempre sufficiente una semplice ecografia renale). Un paziente senza storia familiare di ADPKD ha un rischio relativamente ridotto di essere affetto ADPKD, sebbene questa rimanga la malattia cistica più comune. In questo scenario altre patologie a fenotipo cistico devono essere attentamente messe in diagnosi differenziale (Tabella 1).

Definizione di condizione familiare di malattia

Raccomandazione

La definizione anamnestica di ‘storia familiare negativa’ deve essere accettata solo dopo una completa valutazione clinico- strumentale dei parenti prossimi del soggetto in studio (valutazione delle ecografie renali dei parenti di I grado).

ADPKD è una condizione autosomica dominante in cui i soggetti a rischio di malattia hanno normalmente uno dei genitori affetti, inoltre la valutazione dell’albero genealogico può mettere in evidenza altri soggetti della famiglia portatori della malattia. Sebbene la modalità di trasmissione autosomica dominante preveda la trasmissione di malattia senza salto generazionale (presente invece nelle forme recessive) e senza preferenza di genere (presente invece nelle forme X linked), la possibilità di penetranza incompleta della malattia, di studio fenotipico non approfondito dei parenti e la possibilità di mosaicismo e mutazioni ‘de novo’ possono mascherare la classica modalità di trasmissione autosomica dominante.

I soggetti possono avere sviluppato una mutazione ‘de novo’ e quindi lo studio radiologico e molecolare dei genitori non individuerà alcun segno di malattia. È stato descritto che il 20-40% dei soggetti non presentano una storia familiare [1]. La condizione di assenza di storia familiare deve essere accettata solo dopo un approfondito studio: completa raccolta della storia familiare (possibilmente delineando l’albero genealogico) e solo dopo la valutazione di esami ecografici eseguiti nei parenti di 1° grado del soggetto (genitori, fratelli e sorelle). Infatti una approfondita valutazione diagnostica strumentale nei genitori ha evidenziato la presenza di malattia nel 17% dei soggetti che ad una prima valutazione erano stati considerati soggetti con storia familiare negativa [2].

La successiva procedura diagnostica ha percorsi diversi nei pazienti con storia familiare positiva o negativa.

Diagnosi in soggetti con storia familire positiva

Raccomandazione

La diagnostica ecografica è la modalità diagnostica di elezione in soggetti a rischio con storia familiare positiva per ADPKD. Criteri diagnostici appropriati devono essere utilizzati in relazione allo specifico quesito clinico (accettabilità di risultati falsamente positivi o falsamente negativi).


La diagnosi in soggetti con storia familiare positiva si basa sulla valutazione ecografica addominale. Approfondimenti con Risonanza Magnetica Nucleare e/o test genetico possono essere indicati laddove l’esame ecografico non sia informativo (scarsa qualità ecografica in pazienti obesi) e in particolari condizioni cliniche in cui la valutazione ecografica è dubbia e che richiedono una estrema performance diagnostica (diagnosi in donatori di trapianto da vivente, pianificazione familiare) [3] (full text).

Diagnosi ecografica

Raccomandazione

In alcuni scenari clinici (screening in donazione renale, pianificazione familiare) l’errore diagnostico nella esclusione della diagnosi può essere non accettabile in classe di età giovani. Per questo motivo non si consiglia di usare l’ecografia renale per escludere la diagnosi in pazienti con età inferiore uguale a 40 anni in questi scenari clinici.

I criteri ecografici consigliati sono stati estrapolati da Pei Y. et al. [4] (full text), noti come ‘unified criteria’ in quanto applicabili ad una popolazione generale senza precedente assunzione di genotipo PKD1 o PKD2. I criteri diagnostici sono differenziati in classi di età. La performance diagnostica è ecellente nei soggetti con età superiore a 40 anni, ma può essere subottimale in soggetti di età inferiore a 30 anni [3] (full text) [4] (full text). È importante sottolineare che i criteri per la diagnosi di patologia sono diversi dai criteri per esclusione di patologia (Tabella 3).

Diagnosi in Risonanza Magnetica

Raccomandazione:

In situazioni con storia familiare positiva in cui l’ecografia renale non abbia potuto sciogliere la diagnosi sia nella conferma che nella esclusione di patologia la risonanza magnetica è indicata in considerazione dell’aumentata sensibilità e specificità della tecnologia.

Nel caso in cui la diagnosi ecografica non sia conclusiva (qualità tecnica dell’esame non soddisfacente – per esempio in soggetti obesi-, soggetti a rischio con poche cisti ai limiti dei criteri ecografici o senza cisti) si può approfondire la valutazione in risonanza magnetica [3] (full text).

criteri di diagnosi

In soggetti di età tra i 16-40 anni >10 cisti sono sufficienti per confermare la diagnosi (sensibilita e valore predittivo positivo del 100%).

criteri di esclusione

in soggetti di età tra i 16-40 anni < 5 cisti sono sufficienti ad escludere la diagnosi (valore predittivo negativo del 100%).

Nei rari casi in cui il soggetto esaminato abbia un numero di cisti intermedio (5-10 cisti) non sufficiente ad una definizione diagnostica un approfondimento con test genetico può dare informazioni ulteriori. Bisogna però ricordare che un test genetico con diagnosi molecolare positiva dà una relativa certezza sullo stato di malattia, ma un test negativo può comunque sottintendere una condizione di falso negativo in numero significtivo di casi (fino al 15-20%) [5].

Diagnosi in soggetti con storia familiare negativa

Raccomandazione

In situazioni con storia familiare negativa è necessario valutare la presenza di elementi sindromici non caratteristici di ADPKD. In questo caso è consigliato inviare il paziente ad un centro di terzo livello per una diagnosi differenziale su baseclinica e molecolare.

I criteri diagnostici ecografici o in RMN sono stati sviluppati in casistiche di pazienti con storia familiare per cui non esistono criteri diagnostici morfologici in pazienti senza una evidente storia familiare. È importante accertare in modo approfondito l’assenza di storia familiare (vedi paragrafo:’ Definizione di condizione familiare di malattia’).

In una appurata condizione di assenza di storia familiare la presenza di cisti renali, reni ingranditi senza altri elementi clinici che indirizzino verso una patologia o sindrome di natura diversa (vedi Tabella 2) permettono di concludere per una diagnosi clinica di ADPKD. Prima però di ogni conclusione diagnostica in assenza di una storia familiare è bene rivalutare possibili fenotipi associati ad altre patologie cistiche. Se il fenotipo del paziente presenta elementi anomali del corteo sindromico clinico caratteristico di ADPKD ed eventualmente compatibile al corteo sindromico di altre malattie cistiche è necessario considerare una diagnosi differenziale con altra condizione clinica a fenotipo cistico (Tabella 1). In caso di dubbio diagnostico è indicata una consulenza genetica ed un approfondimento con test diagnostico molecolare per chiarire in modo conclusivo la diagnosi di malattia.

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Tabella 1
Trasmissione e caratteristiche cliniche delle malattie

Malattia Trasmissione Caratteristiche cliniche
Rene Policistico Autosomico Recessivo (ARPKD) Autosomica recessiva Morte neonatale nel 30% dei casi con fenotipo Potter di tipo I. Fibrosi epatica
Cisti Renali e Diabete

(RCAD, MODY5, HNF-1B)

Autosomica dominante Caratteristiche primarie: cisti renali o anomalie anatomiche nel 90% dei casi, diabete mellito nel 45% dei casi.

Caratteristiche cliniche secondarie: ipomagnesemia nel 40% dei casi, anomalie del tratta genitale nel 20% dei casi, iperuricemia nel 20% dei casi, enzimi epatici elevati nel 15% dei casi, insufficienza pancreatica.

Tubero Sclerosi Autosomica dominante Malattia gravemente debilitante associata ad amartomi (tumori benigni) nell’encefalo, rene, polmoni, e pelle.Ritardo mentale, epilessia, angiofibromi del viso, angiomiolipomi renali
Complesso PKD1-TSC Autosomica dominante Sindrome determianta dalla ampia delezione della regione PKD1-TSC2 che determina una aggressiva malattia cistica renale a sviluppo molto precoce ed una sovrapposta sindrome tuberosa.
Malattia di Von Hippel Lindau Autosomica dominante Sindrome multi sistemica caratterizzata da neoplasie multiple: hemangioblastomi, angiomi della retina, tumori delle cisterne linfatiche, carcinoma renale a cellule chiare, cistoadenomi sierosi del pancreas, tumori neuroendocrini, feocromocitoma etc.
Malattia midollare cistica (UMOD – MUC1) Autosomica dominante Reni piccoli o normali con alcune cisti. Le cisti sono meno comuni nelle forme da UMOD che invece si caratterizzano per iperuricemia familiare e gotta.
Rene a Spugna midollare Non chiara trasmissione genetica (malattia dello sviluppo) Disturbo dello sviluppo: cisti renali, ematuria, calcoli di ossalato di calcio, Nefrocalcinosi midollare, immagini radiologiche suggestive
Cisti renali semplici acquisita Cisti semplici che si sviluppano nell’invecchiamento (numero limitato in relazione all’età, rare prima dei 30 anni)
Cisti renali acquisite acquisita Cisti semplici che si sviluppano in conseguenza del trattamento sostitutivo, reni di dimensioni normali o ridotti.
Sindrome oro-faciale-digitale di tipo 1 (OFD1) X linked Letale nei maschi, anomalie della bocca (frenulo iperplastico, palatoschisi, labbro leporino, schisi della lingua, malposizione dentale); anomalie della faccia (radice larga del naso con ipoplasia delle cartilagini alari e processo zigomatico), anomalie digitali
Complesso della Nefronoftisi Autosomica Recessiva È deteminata da oltre 20 geni in continuo aggiornamento. É la causa più comune di insufficienza renale su base genetica in bambini e giovani adulti. Poliuria, polidipsia, anemia. Reni normali-piccoli, ipercogeni senza differenziazione cortico midollare. Le cisti renali compaiono tardivamente con la presenza di IRC, si localizzano alla giunzione cortico-midollare
Tabella 2
Criteri di diagnosi

Età Criterio Valore Predittivo Positivo (PPV) senza precedente conoscenza del genotipo (PKD1 o PKD2) Sensibilità senza precedente conoscenza del genotipo (PKD1 o PKD2)
15-29 ≥ 3 cisti complessive unilateralmente o bilateralemente 100% 81,7%
30-39 ≥ 3 cisti complessive unilateralmente o bilateralemente 100% 95.5%
40-59 ≥ 2 cisti in ciascun rene 100% 90%
Tabella 3
Criteri di esclusione

Età Criterio Valore Predittivo Negativo (PPV) senza precedente conoscenza del genotipo (PKD1 o PKD2) Sensibilità senza precedente conoscenza del genotipo (PKD1 o PDK2)
15-29 Nessuna cisti renale 90,8% 97,1%
30-39 Nessuna cisti renale 98,3% 94,8%
40-59 Nessuna cisti renale 100% 93,9%