A. xylosoxidans and R. radiobacter-Induced Polimicrobic Peritonitis in Peritoneal Dialysis: A Case Report

Abstract

Rhizobium radiobacter and Achromobacter xylosoxidans are two Gram-negative microorganisms found in soil. They are only rarely pathogenic to humans. There have been few cases reported of human infections, and even fewer cases of peritonitis in peritoneal dialysis. However, there is a higher risk in immunocompromised individuals. These microorganisms have the ability to form biofilms, leading to catheter-related infections, and possess intrinsic antibiotic resistance properties that are not well understood, making it challenging to identify specific therapies. We present a clinical case of a 61-year-old man undergoing automated peritoneal dialysis (APD) for end-stage renal disease due to light chain deposition disease in multiple myeloma. He was admitted to our department just over a month after starting replacement therapy due to a positive combur test and turbid fluid. The subsequent diagnosis was polymicrobial peritonitis caused by R. radiobacter and A. xylosoxidans. Despite initial empirical intraperitoneal antibiotic therapy with cefazolin and tobramycin, the treatment was optimized by introducing cefepime both intravenously and intraperitoneally, but without significant improvement. Given the diagnosis of refractory polymicrobial peritonitis, removal of the peritoneal catheter was necessary, resulting in drop-out from peritoneal dialysis. Although the outcome was unfavorable for the dialytic method, the purpose of our case report is to describe the first Italian case of peritonitis in peritoneal dialysis caused by these atypical pathogens in an immunocompromised patient. We hope this information will assist clinicians in their practice, as the available literature helped us in our diagnostic and therapeutic approach for this patient.

Keywords: Peritonitis, End-stage Renal Disease, Peritoneal Dialysis, R. radiobacter, A. xylosoxidans, Polymicrobial Peritonitis

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Introduzione

La dialisi peritoneale (DP) è una tecnica di terapia renale sostitutiva rivolta ai pazienti affetti da malattia renale cronica terminale (End-Stage Renal Disease, ESRD). Nonostante spesso garantisca una buona qualità della vita, soprattutto in termini di autogestione del proprio tempo, richiede, tuttavia, la messa in pratica di rigorose norme igieniche finalizzate a evitare la prima e più frequente complicanza infettiva del trattamento: la peritonite. Quest’ultima si associa ad aumento dei tassi di ospedalizzazione, mortalità e fallimento della metodica dialitica con drop-out [1]. A. xylosoxidans e R. radiobacter, due batteri Gram-negativi, sono microrganismi atipici che raramente sono causa di peritonite in dialisi peritoneale e di cui sono segnalati solo pochi casi al mondo, ma il cui decorso clinico è spesso gravato da antibiotico-resistenze multiple e conseguente difficoltà di trattamento. Di seguito, riportiamo il caso clinico di un paziente affetto da peritonite polimicrobica da A. xylosoxidans e R. radiobacter.

 

Presentazione del caso

Presentiamo il caso di un uomo di 61 anni, con recente diagnosi di uremia terminale da malattia da depositi di catene leggere (Light Chain Deposit Disease, LCDD) in mieloma multiplo a restrizione monotipica kappa (posto in trattamento chemioterapico e candidato ad autotrapianto di midollo osseo), necessitante avvio del trattamento dialitico sostitutivo.

Previo posizionamento di catetere peritoneale (CP) di Tenckhoff  avviava da fine ottobre 2023 trattamento dialitico con metodica APD standard.

A inizio dicembre, per riscontro di combur test positivo al domicilio, veniva valutato presso il nostro reparto: il paziente si presentava in buone condizioni cliniche generali, apiretico e asintomatico, i parametri vitali risultavano nella norma, l’obiettività addominale negativa, l’exit-site del CP in ordine. Il paziente negava inoltre alterazioni dell’alvo in senso diarroico o disattenzioni nell’esecuzione degli scambi.

Per conferma di positività del combur test con liquido di scarico torbido, veniva avviato al ricovero.

Gli esami di laboratorio mostravano solo modesto rialzo degli indici di flogosi con proteina C reattiva 1,59 mg/dL, procalcitonina 0,56 µg/L, in assenza di leucocitosi; la conta dei globuli bianchi (conta GB) su liquido peritoneale risultava francamente patologica con 11840 cell/µL di cui il 92% polimorfonucleati.

Inoltre, agli esami ematici, in noto quadro di uremia terminale, non si rilevavano franche disionie, con riscontro di noto modesto iperparatirodismo secondario con calcemia e fosforemia nella norma, lieve anemia cronica normocitica iporigenerativa, indici di funzione epatica, colestasi e coagulazione nella norma.

Confermato il sospetto clinico di peritonite, veniva impostata terapia antibiotica empirica come da nostro protocollo con cefazolina e tobramicina intraperitoneali (IP) associate a profilassi antifungina con fluconazolo per os, con contestuale shift di metodica da APD a CAPD con 4 scambi giornalieri di soluzioni isotoniche.

Nei giorni successivi si assisteva tuttavia a solo parziale e transitorio miglioramento clinico e laboratoristico (Tabella 1).

 

Tabella 1.  Andamento dei valori degli esami ematochimici e su liquido peritoneale; conta GB: conta globuli bianchi su liquido peritoneale; PMN: polimorfonucleati su liquido peritoneale; PCR: proteina C reattiva; PCT: procalcitonina.

In seconda giornata perveniva un primo isolamento colturale su liquido peritoneale, positivo per Rhizobium radiobacter, per il quale tuttavia non è stato possibile interpretare la sensibilità alla terapia antibiotica in quanto non disponibile metodica approvata dal laboratorio (Figura 1). Dopo discussione del caso con specialista infettivologo, si sostituiva la cefazolina in corso con cefepime intraperitoneale, senza tuttavia significativa risposta.

MIC concentrazione minima inibente espressa in µg/mL
Figura 1. MIC: concentrazione minima inibente espressa in µg/mL. La sensibilità del microrganismo non è stata determinata in quanto non disponibile una metodica approvata dal nostro laboratorio.

In settima giornata, visto il mancato miglioramento clinico e laboratoristico, si ampliava la copertura antibiotica associando a quella IP già in corso (tobramicina + cefepime) anche copertura sistemica endovenosa con cefepime in associazione a daptomicina (quest’ultima a copertura di possibile sovrainfezione di germi Gram-positivi, successivamente esclusa). Perveniva contestualmente isolamento su liquido peritoneale di un secondo germe, Achromobacter xylosoxidans (Figura 2), mentre risultavano negativi i colturali su sangue, il tampone nasofaringeo di screening per S. aureus meticillino-resistente e la ricerca di miceti e micobatteri su liquido peritoneale.

Figura 2. Antibiogramma di A xylosoxidans. MIC concentrazione minima inibente espressa in µg/mL
Figura 2. Antibiogramma di A. xylosoxidans. MIC: concentrazione minima inibente espressa in µg/mL. S: sensibile in regime di dosaggio standard.

In ottava giornata di terapia, in considerazione dell’isolamento di più patogeni e della non responsività alla terapia antibiotica (persistenza di liquido torbido, combur test positivo e conta GB > 3000 cell/µL, seppur in paziente asintomatico), si poneva indicazione alla rimozione del catetere peritoneale. L’intervento, privo di complicanze, veniva eseguito in corso di copertura antibiotica sistemica con daptomicina (sospesa in terza giornata post-operatoria vista l’assenza di isolamenti di Gram-positivi) e cefepime, mantenuta invece fino alla quattordicesima giornata post-operatoria, con progressiva negativizzazione degli indici di flogosi (Tabella 1).

All’esame colturale della punta del CP rimosso, veniva confermato isolamento del solo Achromobacter xylosoxidans.

Dopo la rimozione del CP, in assenza di urgenze dialitiche (non disionie, buon equilibrio acido-base e ottimo compenso idrosalino grazie a valida diuresi residua con creatinina clearance 14 mL/min, urea clearance 7,5 mL/min), si decideva di sospendere temporaneamente il trattamento sostitutivo.  Il paziente veniva sottoposto ad allestimento di fistola artero-venosa radio-cefalica sinistra e successivamente a trapianto autologo di midollo, mantenendo in programma successivo avvio di emodialisi.

 

Discussione

R. radiobacter, precedentemente noto come Agrobacterium radiobacter, è un bacillo Gram-negativo aerobio presente nel suolo. La sua funzione principale è quella di batterio diazotrofo simbiotico, ovvero è in grado di fissare l’azoto atmosferico aumentandone la disponibilità per le piante, con le quali instaura un meccanismo di simbiosi legandosi alle radici nel terreno e formando biofilm [2]. Nel 1980 è stata segnalata la prima infezione umana in un paziente portatore di valvola aortica protesica affetto da endocardite, e da allora è nota la sua capacità di agente opportunista nei confronti dell’uomo. Proprio per la sua capacità di formare biofilm, nelle infezioni umane si associa frequentemente alla presenza di device, soprattutto cateteri infusionali, risultando patogeno in particolar modo in condizioni di immunosoppressione specifica come nei pazienti affetti da neoplasie solide, ematologiche e in generale nei pazienti sottoposti a trattamenti chemioterapici [3]. Dal 1990 al 2019 sono stati 16 i casi segnalati di peritonite da R. radiobacter, molti dei quali associati ad anamnesi positiva per contaminazione con il suolo. I trattamenti riportati in letteratura comprendono principalmente cefalosporine, soprattutto ceftazidime, oltre a meropenem, piperacillina/tazobactam e ciprofloxacina [46].

A. xylosoxidans è un bacillo Gram-negativo che risiede in ambienti umidi o acquatici, raro ma noto patogeno di infezioni nosocomiali o comunitarie come otiti, polmoniti, faringiti, osteomieliti, endocarditi e infezioni del tratto urinario [7]. Fattori di rischio per lo sviluppo di infezione sono l’immunodepressione, le neoplasie solide o ematologiche e la fibrosi cistica [8, 9]. Dal 1980 al 2018 sono stati riportati in letteratura 17 casi di peritonite da A. xylosoxidans [10, 11]. La capacità del batterio di formare biofilm rende difficoltosa l’eradicazione nelle infezioni catetere-relate, così come i meccanismi intriseci ed acquisiti di antibiotico-resistenza tipici di questo organismo, frequentemente espressi come resistenza alle cefalosporine e aminoglicosidi, mentre è dimostrata la maggiore suscettibilità a carbapenemici e piperacillina [12].

Nella metà dei casi di peritonite da R. radiobacter e in oltre la metà per i casi di peritonite causata da A. xylosoxidans riportati in letteratura è stata necessaria la rimozione del catetere peritoneale [5, 10].

 

Conclusioni

La peritonite causata sia da R. radiobacter che da A. xylosoxidans è una complicanza rara ma clinicamente significativa che può verificarsi nei pazienti in DP, con particolare richiamo ai malati con condizione di immunosoppressione. L’infezione, in entrambi i casi, si associa ad alti tassi di drop-out dalla metodica, di ospedalizzazione e mortalità, verosimilmente da ricondurre all’antibiotico-resistenza, alla ridotta esperienza in merito a trattamenti specifici e alle comorbidità dei pazienti affetti da ESRD. Scopo del nostro case-report è segnalare il primo caso italiano di peritonite causata da questi rari patogeni che, nel contesto specifico, sono stati riscontrati insieme in una condizione di peritonite polimicrobica in un paziente immunodepresso. Inoltre, è nostro proposito, tramite questo lavoro, che tali microrganismi atipici vengano riconosciuti come possibile causa di peritonite, al fine di aiutare i clinici a orientarsi nella propria pratica, così come la letteratura disponibile ha aiutato noi nel definire l’iter diagnostico-terapeutico del nostro paziente.

 

Bibliografia

  1. «ISPD Guidelines», International Society for Peritoneal Dialysis. Consultato: 26 aprile 2024. [Online]. Disponibile su: https://ispd.org/guidelines/.
  2. C.-C. Lai et al., «Clinical and Microbiological Characteristics of Rhizobium radiobacter Infections», Clin. Infect. Dis., vol. 38, fasc. 1, pp. 149–153, gen. 2004, https://doi.org/10.1086/380463.
  3. C.-Y. Chen, K. S. Hansen, e L. K. Hansen, «Rhizobium radiobacter as an opportunistic pathogen in central venous catheter-associated bloodstream infection: case report and review», J. Hosp. Infect., vol. 68, fasc. 3, pp. 203–207, mar. 2008, https://doi.org/10.1016/j.jhin.2007.11.021.
  4. T. V. Levitski-Heikkila e M. E. Ullian, «Peritonitis With Multiple Rare Environmental Bacteria in a Patient Receiving Long-Term Peritoneal Dialysis», Am. J. Kidney Dis., vol. 46, fasc. 6, pp. e119–e124, dic. 2005, https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2005.08.021.
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