New Perspectives in Post-Surgical Acute Kidney Injury During Sepsis

Abstract

Postoperative acute kidney injury (PO-AKI) is a common complication of major surgery that is strongly associated with short-term surgical complications and long-term adverse outcomes. Risk factors for PO-AKI include older age and comorbid diseases such as chronic kidney disease and diabetes mellitus.  Sepsis is a common complication in patients undergoing surgery and is a major risk factor for the development of acute kidney injury (SA-AKI). Prevention of AKI in surgery patients is largely based on identification of high baseline risk, monitoring, and reduction of nephrotoxic insults. Early identification of patients at risk of AKI, or at risk of progressing to severe and/or persistent AKI, is crucial to the timely initiation of adequate supportive measures, including limiting further insults to the kidney. Although specific therapeutic options are limited, several clinical trials have evaluated the use of care bundles and extracorporeal techniques as potential therapeutic approaches.

Keywords: AKI, PO-AKI, sepsis, biomarkers, extracorporeal treatment

 

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Introduzione

Il danno renale acuto post-chirurgico (PO-AKI) è associato ad un rischio elevato di mortalità e di sviluppo di altre complicanze post-operatorie [1].

La definizione adottata è sostanzialmente quella di danno renale acuto secondo le linee guida KDIGO 2012 (aumento della creatinina sierica di 0,3 mg/dl in 48 ore oppure di 1,5 volte rispetto al basale, oppure output urinario < 0,5 ml/kg/h per almeno sei ore), che si manifesta entro 7 giorni dall’intervento chirurgico [1].

L’obiettivo di questa revisione è quello di sintetizzare i dati presenti in letteratura e fornire una visione complessiva riguardo al danno renale acuto che si manifesta nel periodo post-chirurgico, soprattutto nei casi complicati da un evento infettivo, co-fattore nello sviluppo e nel mantenimento del danno renale.

STADIO Misure del danno renale acuto
Aumento della creatinina sierica Riduzione della diuresi
1 ≥ 0,3 mg/dl (26,52 micromol/l) o 1,5-1,9 volte il basale < 0,5 ml/kg/h per 6-12 h
2 2-2,9 volte il valore basale < 0,5 ml/kg/ora per ≥ 12 h
3 ≥ 4,0 mg/dl (353,60 micromol/l) o ≥ 3 volte il basale < 0,3 ml/kg/h per ≥ 24 h o anuria per ≥ 12 h
Tabella 1: Criteri di stadiazione del danno renale acuto (KDIGO, Kidney Disease Improving Global Outcomes 2012 [2]).

 

Epidemiologia

Va segnalato, però, che nell’immediato periodo post-chirurgico si può assistere ad una riduzione dell’output urinario, sebbene transitoria, come adattamento fisiologico allo stato di ipovolemia relativa, alla vasodilatazione o al rilascio di arginina-vasopressina in risposta all’insulto tissutale [3].

L’incidenza di AKI post-chirurgica varia dal 25% nella chirurgia traumatologica al 50% nella chirurgia dell’aorta o nel trapianto di fegato [4]. I pazienti più a rischio sono quelli con malattia renale cronica (proteinuria o alterazione della funzione renale), di sesso maschile, età > 50 anni, diabete, comorbidità cardiovascolari, elevato BMI [1].

 

Fisiopatologia

Danno renale acuto post-chirurgico
I meccanismi fisiopatologici alla base del PO-AKI non sono stati ancora del tutto chiariti; sicuramente l’eziologia del danno renale è complessa e multifattoriale.

Figura 1: L’eziologia del PO-AKI è multi-fattoriale – il danno renale è spesso dato dalla combinazione dei fattori pre-operatori e degli eventi intra- e post-operatori [1] (reprinted with permission).
Figura 1: L’eziologia del PO-AKI è multi-fattoriale – il danno renale è spesso dato dalla combinazione dei fattori pre-operatori e degli eventi intra- e post-operatori [1] (reprinted with permission).
Tra i principali fattori implicati vi sono l’insulto ischemia-riperfusione, nefrotossine endogene o esogene, fattori infiammatori, vasocostrizione e stress-ossidativo. Anche le tecniche anestesiologiche possono avere un ruolo, in quanto possono determinare vasodilatazione e ipotensione. Anche le tempistiche e il distretto coinvolto possono influire sul rischio, maggiore per gli interventi eseguiti in regime d’urgenza e per quelli eseguiti sul distretto cardiovascolare e intraperitoneale [1].

Nel 2019 ha avuto luogo una Consensus Conference con il fine di analizzare e valutare le evidenze scientifiche presenti riguardo il danno renale acuto in seguito ad interventi chirurgici (escludendo l’ambito cardiochirurgico). Di seguito sono riportati i punti salienti in merito ai meccanismi fisiopatologici ed epidemiologici.

EPIDEMIOLOGIA E PATOFISIOLOGIA DEL PO-AKI SECONDO IL “The Acute Disease Quality Initiative (ADQI)-24 and the PeriOperative Quality Initiative (POQI)-7 Conference”
Consensus Statement 1a: Il PO-AKI è una sindrome piuttosto che una singola patologia. Nella maggior parte dei casi l’eziologia è multifattoriale (ungraded).
Consensus Statement 1b: L’incidenza del PO-AKI (definita sulla base dell’aumento della creatinina) varia in base alle caratteristiche e al timing dell’intervento chiurgico.  L’incidenza del danno renale acuto in seguito ad interventi in regime ambulatoriale è incerta (ungraded).
Consensus Statement 1c: Il danno renale acuto definito da una condizione transitoria di oliguria è più comune nel periodo intra- e post-operatorio rispetto al danno renale acuto definito dall’aumento della creatinina sierica. L’oliguria severa e l’anuria, anche in assenza di un aumento della creatinina sierica si associano ad un rischio aumentato di morbidità e mortalità (ungraded).
Consensus Statement 1d: La maggioranza degli studi osservazionali si focalizzano sul danno renale acuto nell’immediato periodo post-operatorio. Minori sono le evidenze disponibili riguardo all’epidemiologia del danno renale acuto trascorsi i 7 giorni dall’intervento chiurgico (AKD) (ungraded).
Consensus Statement 1e: I fattori di rischio per il PO-AKI includono un’età > 50 anni, sesso maschile, tasso di filtrazione glomerulare < 60 ml/min/1,73 m2, diabete mellito, scompenso cardiaco, ascite, impertensione, interventi chirurgici in regime di emergenza, interventi intraperitoneali, numero di farmaci, utilizzo di ACEi o ARBs, high American Society of Anesthesiology Physical Status classification score e albuminuria. I pazienti con malattia renale cronica e/o diabete sono da considerarsi particolarmente a rischio di danno renale acuto (ungraded).
Tabella 2: Epidemiologia e patofisiologia del PO-AKI [1] (reprinted with permission).

Se in questo setting delicato si aggiungono il ricovero in terapia intensiva (dai dati presenti in letteratura, il danno renale acuto è presente in oltre il 50% dei pazienti ricoverati in terapia intensiva nel post-operatorio [5]), l’utilizzo di farmaci nefrotossici/mezzo di contrasto, sepsi e shock, il rischio di danno renale incrementa notevolmente [6].

Tra tutti questi fattori, quello più rilevante è la sepsi, intesa come una disfunzione d’organo dovuta a una risposta disregolata dell’ospite rispetto ad un evento infettivo [7], che rappresenta il 45-70% di tutte le cause di AKI nei pazienti critici [8].

Danno renale acuto associato alla sepsi

La sepsis-associated-AKI (SA-AKI) viene definita come una sindrome eterogenea che si instaura come conseguenza di meccanismi direttamente legati all’infezione o alla risposta messa in atto dall’ospite, oppure di meccanismi indiretti che sono conseguiti alla sepsi (es. antibiotici nefrotossici o la “abdominal compartment syndrome”) [8]. Il rischio è maggiore in presenza di shock settico che si esprime come quadro di sepsi severa che si associa a ipotensione refrattaria al riempimento volemico, con necessità di impiego di amine vasoattive per mantenere la pressione arteriosa media sopra i 65 mmHg e una concentrazione di lattati < 2 mmol/l [7], utilizzo di vasopressori o ventilazione meccanica, batteriemia sostenuta da germi gram-negativi [8].

I meccanismi che contribuiscono allo sviluppo di danno renale associato a sepsi sono molteplici, tra questi l’infiammazione sistemica e renale, l’attivazione del complemento, la disregolazione del sistema RAAS, la disfunzione mitocondriale e del microcircolo [8]. Anche per quanto riguarda la SA-AKI, vi è stata di recente una Consensus Conference con l’obiettivo di identificare i gap conoscitivi nella popolazione adulta, fornire raccomandazioni per la pratica clinica e sviluppare una struttura comune per la ricerca futura. Riassumiamo di seguito le principali dichiarazioni per quanto riguarda i meccanismi patofisiologici.

PATOFISIOLOGIA DEL SA-AKI SECONDO IL “Conference Chairs of the 28th ADQI consensus committee (L.G.F., A.Z., M.K.N. and C.R.)”
Consensus statement 2°: Il SA-AKI è una sindrome eterogenea in quanto molteplici meccanismi contribuiscono al danno renale con varia intensità nei pazienti in corso di sepsi (not graded).
Consensus statement 2b: Il contributo relativo di uno o più meccanismi specifici che determinano il danno renale definiscono distinti endotipi di danno renale acuto associato a sepsi (not graded).
Consensus statement 2c: Fattori modificabili e non conferiscono suscettibilità allo sviluppo di SA-AKI e determinano la severità del quadro e le possibilità di recupero (not graded).
Consensus statement 2d: L’integrazione di biomarcatori specifici con la clinica permetterà l’identificazione degli endotipi specifici di SA-AKI (not graded).
Consensus statement 2e: L’identificazione dei distinti endotipi di SA-AKI potrebbe fornire informazioni prognostiche cruciali, aiutare a definire la risposta al trattameto e arricchire la popolazione dei trial clinici (not graded).
Tabella 3: Patofisiologia del SA-AKI [8] (reprinted with permission).

Sebbene la sepsi si accompagni a uno stato di instabilità emodinamica e di bassa portata, in recenti studi su modelli animali e umani, in particolare nei pazienti con batteriemia da GRAM-, si è osservato, nella fase iniziale della sepsi, un incremento del flusso plasmatico renale rispetto ai controlli (fase iperdinamica, legata alla vasodilatazione sistemica), diversamente da quanto tradizionalmente concepito. Il declino del GFR in questi pazienti sarebbe quindi disgiunto dalle modifiche del flusso plasmatico renale e attribuibile invece ad altri fattori, quali la disfunzione endoteliale, le alterazioni del microcircolo e delle cellule epiteliali tubulari indotte dall’attivazione della cascata citochinica e coagulativa [9].

Figura 2: Alterazione del microcircolo e delle cellule epitaliali tubulare indotte dall’infiammazione [10] (reprinted with permission).
Figura 2: Alterazione del microcircolo e delle cellule epitaliali tubulare indotte dall’infiammazione [10] (reprinted with permission).
Gli antigeni esposti dal patogeno (PAMPs) e dalle cellule danneggiate dell’ospite (DAMPs) nel corso di un evento infettivo si legano ai recettori per l’antigene (TLRs o NODs) delle cellule circolanti del sistema immunitario e delle cellule epiteliali tubulari (TEC). Tale legame favorisce la produzione di citochine (mediatori infiammatori di peso molecolare < 40 kDa quali IL1-IL6-IL17-TNFalfa), radicali liberi (ROS), stress ossidativo e attivazione endoteliale. L’attivazione endoteliale promuove il rolling e l’adesione dei leucociti e piastrine, con aumentato rischio di formazione di microtrombi capillari [10].

Come già accennato, anche la nefrotossicità da antibiotici (in primis glicopeptidi e aminoglicosidi, con meccanismo dose-dipendente) svolge un ruolo fondamentale nell’eziopatogenesi dell’AKI nei pazienti settici. Vancomicina e gentamicina, impiegate rispettivamente nelle infezioni da batteri GRAM+ e GRAM-, agiscono sulle TEC attivando la produzione di ROS e di specifiche caspasi pro-apoptotiche; la vancomicina è associata anche alla formazione di cilindri tubulari ostruenti (tubular casts) e a un danno da ipersensibilità ritardata [11].

 

Fattori di rischio: il danno renale acuto nel post-operatorio degli interventi di artroprotesi d’anca

Nella nostra pratica clinica, abbiamo osservato come il danno renale acuto sia stato una complicanza relativamente frequente degli interventi di artroprotesi d’anca nei pazienti con sepsi/infezioni protesiche.

Oltre ai noti e già citati fattori di rischio di danno renale acuto post-operatorio, sono implicati nell’incidenza di AKI le procedure bilaterali, specie se sincrone (rispetto a quelle ravvicinate < 7gg o differite) [12], le revisioni di protesi, l’uso di ACE-inibitori, bassi valori di ematocrito e di albumina pre-operatori; i pazienti con albuminemia ridotta, rispetto ai controlli, sono infatti a maggior rischio di sviluppo di complicanze (infezioni, polmoniti, sepsi, infarto miocardico) a 30 giorni dall’intervento [1214].

I foci infettivi più frequenti sono rappresentati dalle infezioni delle vie urinarie (1/3 dei casi probabilmente legati alle manovre di cateterismo vescicale), infezioni del sito chirurgico (1/4), le polmoniti nosocomiali (1/7) [15], ma anche le infezioni periprotesiche (periprosthetic joint infection, PJI) di anca e ginocchio, la cui incidenza è in progressivo aumento (attualmente circa il 2%).

Oltre all’impatto clinico sul paziente (in termini di quantità e qualità della vita), le complicanze infettive determinano un significativo incremento dei costi della sanità: sulla base dei dati dei ricoveri ospedalieri nei primi 5 anni da una sostituzione totale di anca il costo di una revisione della protesi per infezione è 5 volte più alto di quello richiesto da una revisione per altre cause. Si stima che negli USA il costo delle cure ospedaliere per artroprotesi infette (anca e ginocchio) raggiungerà gli 1.85 miliardi entro il 2030.

I batteri aerobi GRAM+ (S. aureus, stafilococchi coagulasi negativi, Streptococchi ed Enterococchi) sono stati identificati quali principali agenti microbici nelle infezioni periprotesiche (82% dei casi); i batteri GRAM- contribuiscono per l’11% mentre i funghi per il 3%.

 

Early-onset

(< 3 mesi)

Delayed-onset

(3-12 mesi)

Late-onset

(> 12 mesi)

Sintomi locali e sistemici

Necrosi della ferita chirurgica, segni di flogosi locali (dolore, calore, eritema, tumefazione), deiscenza.

Febbre

Dolore persistente

Fistola cutanea

Mobilizzazione protesi

Segni di flogosi locali

Febbre

Patogeni S. aureus, GRAM-, polimicrobica Stafilococchi coagulasi-negativi (Staphylococcus lugdunensis), enterococchi, Propionibacterium S. aureus, GRAM-, streptococchi beta-emolitici
Tabella 4: Clinica e principali microrganismi coinvolti nelle infezioni periprotesiche, raggruppati in base al tempo di insorgenza.

 

Strategie terapeutiche

Tecniche di prevenzione e nuovi scenari farmacologici

La gestione e la terapia dei pazienti sottoposti a intervento chirurgico con sepsi che hanno sviluppato danno renale acuto non sono del tutto state definite in quanto, in letteratura, mancano precise linee guida o trial clinici randomizzati.

Sicuramente le prime misure da adottare sono la sospensione di tutti gli agenti nefrotossici e l’ottimizzazione del profilo emodinamico [1], in associazione alla somministrazione di una terapia antibiotica adeguata per risolvere l’infezione. Nel caso specifico dell’infezione periprotesica è raccomandata la rimozione della stessa. Di seguito è riportato un esempio di protocollo che può essere adottato nelle fasi peri-operatorie dell’intervento di artroprotesi d’anca per ridurre lo sviluppo di danno renale acuto [16], che può essere applicato anche per le altre tipologie di interventi chirurgici in elezione.

Figura 3: Protocollo peri-operatorio per la prevenzione del danno renale acuto [16] (reprinted with permission).
Figura 3: Protocollo peri-operatorio per la prevenzione del danno renale acuto [16] (reprinted with permission).
Per quanto riguarda terapie specifiche nel trattamento del danno renale acuto, sono in corso degli studi che prevedono l’impiego di agenti farmacologici che agiscono sui meccanismi implicati nella sepsi: ad esempio l’utilizzo di desametasone è stato associato a una minore necessità di intraprendere la terapia sostitutiva nei pazienti sottoposti ad intervento cardiochirurgico [17]; un trial di fase 2 ha dimostrato i benefici a lungo termine sulla funzione renale e la minore mortalità nei pazienti trattati con la fosfatasi alcalina ricombinante umana nei pazienti con sepsi [18]; anche il levosimendan potrebbe avere un ruolo di protezione sulla funzione renale nei pazienti con AKI sottoposti ad intervento cardiochirurgico [19].

In considerazione del fatto che le strategie terapeutiche a disposizione restano limitate, è fondamentale identificare i pazienti a rischio prima dell’intervento e mettere in atto strategie preventive: è ragionevole sospendere ace-inibitori e sartani almeno 24 ore prima dell’intervento [1], ridurre l’utilizzo dei FANS e in generale di evitare farmaci nefrotossici (es. la gentamicina utilizzata in profilassi in caso di interventi ortopedici si associa ad aumento rischio di PO-AKI [20]).

Occorre però precisare che ad oggi non vi sono dati significativi a supporto di queste teorie [23], né è stato stabilito il timing per la ripresa di ace-inibitori e sartani nel post-operatorio.

Un altro aspetto importante è assicurare al paziente uno stato euvolemico, evitare l’iperglicemia e correggere i valori di emoglobina/ematocrito e albumina sia prima dell’intervento che nell’immediato post-operatorio [1].

Tecniche sostitutive dialitiche

Nel caso in cui l’adozione delle misure sopracitate non abbiano apportato un beneficio in termini di recupero della funzione renale, le tecniche di dialisi extracorporee (possibilmente in ambiente intensivo) rimangono l’opzione migliore non solo per contrastare il sovraccarico idrico e mantenere un buon controllo dell’equilibrio acido-base e degli elettroliti, ma anche per offrire un’ulteriore strategia di trattamento in corso di sepsi grazie alla rimozione di endotossine, citochine, patogeni e altri fattori pro-infiammatori circolanti [8].

Tra le tecniche più utilizzate vi sono l’emofiltrazione e l’emoadsorbimento; quest’ultima si basa sull’ipotesi del picco di concentrazione, cioè il meccanismo d’azione è quello di rimozione dei soluti con più alta concentrazione nel sangue. Per un funzionamento ottimale, è necessario l’utilizzo di membrane specifiche: nuove resine di polimeri sintetici dotate di elevata biocompatibilità sono state messe a punto per favorire l’emoadsorbimento di DAMPS e altri mediatori, la cui concentrazione è appunto elevata in corso di sepsi [8]. Di seguito sono rappresentate le caratteristiche dei trattamenti extracorporei utilizzati in corso di SA-AKI [8].

Figura 4: Caratteristiche dei trattamenti extracorporei disponibili per pazienti con sepsi e SA-AKI [8] (printed with permission).
Figura 4: Caratteristiche dei trattamenti extracorporei disponibili per pazienti con sepsi e SA-AKI [8] (printed with permission).
I trattamenti utilizzati sono l’emodialisi in continuo (CVVHD) con membrane ad alto cut-off efficaci nella rimozione dei mediatori pro-infiammatori (EMIC2 Fresenius Medical Care, cut-off 40 kDa, dimensione pori 10 millimicron, durata filtro 72h) ed emodialfiltrazione continua (CVVHDF) con l’aggiunta della cartuccia sorbente Cytosorb (AFERETICA – max 24 ore di utilizzo), che agisce su sostanze prevalentemente idrofobe, a basso e medio peso molecolare, in funzione della concentrazione plasmatica.

Si consideri inoltre l’utilizzo di filtri attivi verso batteri, virus e funghi quali Seraph 100 Microbind Affinity adsorber (Exthera Medical, CA, USA), (durata trattamento 4±1 ore) in grado di legare i patogeni circolanti nel circolo ematico, mimando la naturale superficie delle cellule endoteliali mediante la presenza di un glicocalice contenente eparan solfato [21].

Figura 5: Caratteristiche della superficie del filtro Seraph 100 confrontata con una cellula epiteliale con in superficie il glicocalice contenente eparan solfato (da scheda tecnica SERAPH 100, EXTERA MEDICAL).
Figura 5: Caratteristiche della superficie del filtro Seraph 100 confrontata con una cellula epiteliale con in superficie il glicocalice contenente eparan solfato (da scheda tecnica SERAPH 100, EXTERA MEDICAL).

Il timing con cui va iniziato il trattamento dialitico rimane tutt’ora controverso; sicuramente un aspetto importante da considerare sono le condizioni cliniche generali e la prognosi dei pazienti.

In un trial randomizzato controllato su coorte francese con shock settico e AKI severa (Failure sec-RIFLE, AKI stadio III sec-KDIGO), non è stato riscontrato beneficio in termini di mortalità nell’inizio precoce (entro 12h dall’esordio) del trattamento sostitutivo emodialitico rispetto al braccio di pazienti sottoposti a dialisi dopo 48h [22]. Nessun vantaggio sulla sopravvivenza del paziente è stato inoltre dimostrato con l’incremento della dose dialitica > 20/25 ml/kg/h raccomandata nel paziente critico [23].

Di seguito sono sintetizzate le informazioni emerse dalla recentissima Consensus Conference sulla SA-AKI per quanto riguarda le tecniche di trattamento extracoporeo.

Terapie extracorporee e nuove strategie nella SA-AKI
Consensus statement 5a: Tecniche extracorporee di purificazione del sangue (EBP) possono essere utilizzate per la rimozione di patogeni, tossine microbiche, mediatori infiammatori e metaboliti tossici (grade 1A). Consensus statement 5d: L’inizio di EBP in corso di sepsi può essere considerato a scopo di supporto immuno-modulatorio nei pazienti che rispettano i criteri clinici e/o biologici, come la concentrazione di DAMPS e PAMPS, o di altri componenti dell’infiammazione sistemica (not graded).
Consensus statement 5b: Le terpapie sostitutive della funzione renale supportano la funzione dell’organo mediante il controllo dei soluti, la rimozione delle tossine ematiche e il bilancio dei fludi tramite i meccanismi di diffusione, convezione e adsorbimento. La dialisi peritoneale potrebbe essere utilizzata quando le tecniche extracorporee non sono disponibili (grade 1A). Consensus statement 5e: L’ottimizzazione del trattamento extracorporeo è determinata da fattori quali l’inizo tempestivo e in sicurezza, la durata del trattamento, l’utilizzo di un accesso vascolare appropriato, la dose dialitica personalizzata per il singolo paziente, la corretta strategia di anticoagulazione, il corretto utilizzo di farmaci concomitanti (antibiotici, vasopressori, …) e nutrienti, una giusta prescrizione del trattamento e della quota di ultrafiltrazione (not graded).
Consensus statement 5c: Le indicazioni sull’inizio del trattamento sostitutivo nel corso di SA-AKI non differiscono rispetto a quelle per il trattamento del danno renale acuto in generale (grade 1A). Consensus statement 5f: Trattamenti sicuri ed efficacy richiedono marcatori oggettivi di risposta al trattamento, che possono essere valutati durante il corso del trattamento, con focus sugli obiettivi di cura “patient-centred” (grade 1B).
Tabella 5: Terapie extracorporee e nuove strategie nella SA-AKI [8].

 

Utilizzo di nuovi marcatori

Negli anni si è tentato di mettere a punto una serie di score in associazione all’uso di marcatori per stimare il rischio di sviluppo di danno renale acuto nei pazienti da sottoporre ad intervento chirurgico.

Ad esempio, è raccomandato l’utilizzo del risk-based kidney health assessment (KHA) nel periodo pre- e post-operatorio: si tratta di una valutazione che include la storia nefrologica del paziente, la terapia, le comorbidità cardiovascolari, lo stato emodinamico e i marcatori di danno renale (es. creatininemia, proteinuria) [1].

Altri studi hanno validato score prognostici che possono essere presi in considerazione per stratificare il rischio di danno renale acuto post-TJA secondo un sistema di calcolo; il “web-based risk assessment system” si basa ad esempio sulla classe ASA, sesso del paziente, valori di creatininemia pre-operatori, tipo di anestesia, uso di RAASi e di acido tranexamico peri-operatorio [24]; un Norton scale score basso (ampiamente utilizzato in ortopedia per la stratificazione del rischio di sviluppo di ulcere da pressione, che tiene in considerazione fattori fisici, mentali, il grado di attività, mobilità e incontinenza) è risultato un fattore predittivo di AKI post-artroplastica totale di anca (THA) [25].

In tale ambito il riconoscimento precoce dell’AKI è fondamentale per fornire un trattamento ottimale ed evitare ulteriori lesioni renali.

Allo stesso modo, il rilevamento di AKI nel contesto dell’infezione è fondamentale perché può definire la sepsi in un determinato paziente [26].

Figura 6: Decorso clinico e prognosi nei pazienti con SA-AKI [10] (printed with permission).
Figura 6: Decorso clinico e prognosi nei pazienti con SA-AKI [10] (printed with permission).
Biomarker Sede di ricerca Sede di rilascio tubulare Funzione fisiologica Utilizzo
NGAL Plasma e urine Tratto spesso ansa di Henle e dotto collettore Proteina antinfiammatoria e antiapoptotica che è coinvolta nella sintesi e nel trasporto del ferro nell’epitelio tubulare renale. NGAL conferisce un effetto batteriostatico limitando l’assorbimento batterico del ferro. L’NGAL urinario è più specifico dell’NGAL plasmatico. Tuttavia, è stato dimostrato che l’NGAL plasmatico predice il recupero di S-AKI
KIM-1

 

Plasma e urine Tubulo prossimale Glicoproteina transmembrana di tipo 1 che ha un effetto antinfiammatorio sul rene. Partecipa al recupero renale e alla rigenerazione tubulare KIM-1 nelle prime 24 ore dopo il ricovero presenta una AUC di 0,91 per la diagnosi di S-AKI.
L-FABP

 

Urine Tubulo prossimale Della famiglia delle lipocaline, coinvolte nel legame e nel trasporto degli acidi grassi a catena lunga ai perossisomi e ai mitocondri da metabolizzare. Svolge un ruolo antiossidante riducendo lo stress ossidativo cellulare dovuto al legame dei prodotti di ossidazione degli acidi grassi i livelli urinari di L-FABP al momento del ricovero sono solitamente più alti nei non sopravvissuti con S-AKI e avevano un punteggio AUC più alto rispetto al punteggio APACHE II e SOFA.93 Ha anche dimostrato di essere un predittore di mortalità nei bambini settici.
TIMP 2- IGFBP7

 

Urine Tubulo prossimale Entrambe le proteine regolano la crescita cellulare e l’apoptosi. In presenza di danno cellulare, TIMP 2 e IGFBP7 sono sovraregolati e possono portare all’arresto del ciclo cellulare G1 attraverso l’induzione di p27 e p21, rispettivamente.

Biomarcatore approvato dalla FDA per lo strumento di valutazione del rischio di AKI nella sepsi. L’urina TIMP2/IGFBP7 ha la più alta specificità per il danno renale, in quanto vi è un’elevazione minima in presenza di altre lesioni d’organo. Alti livelli di TIMP2 e IGFBP7 nella fase iniziale dello shock settico sono fattori di rischio indipendenti per la progressione verso l’AKI grave nelle successive 24 ore.

Angiopoietina

 

Plasma Fattori angiogenici per lo sviluppo vascolare; Ang-1 è stato trovato per essere protettivo stabilizzando l’endotelio, mentre Ang-2 promuove la perdita vascolare, che può peggiorare la sepsi Nei pazienti con S-AKI, l’Ang-1 plasmatico è significativamente inferiore rispetto ai pazienti con sepsi ma senza AKI. Livelli più elevati di Ang-1 sono associati a un minor rischio di AKI e livelli più elevati di Ang-2 erano associati a un rischio più elevato di AKI e sono un predittore indipendente di mortalità a 28 giorni nei pazienti in terapia intensiva con AKI che richiedevano RRT
VE-cadherin

 

Plasma Una glicoproteina transmembrana endoteliale che forma giunzioni aderenti Il livello plasmatico di VE-caderina al momento dell’arruolamento è stato associato a AKI grave che richiede RRT (OR: 6,44 per log di aumento del VE-cadhe plasmatico)
Soluble
thrombomodulin
 
Plasma La trombomodulina è un recettore della trombina che viene espresso sulla superficie delle cellule endoteliali e viene rilasciato nel flusso sanguigno quando vengono attivate le cellule endoteliali. La trombomodulina PSoluble in un paziente con sepsi al ricovero in terapia intensiva è un predittore indipendente per S-AKI con AUC di 0,758
Interleukina-6 Plasma Una citochina con una vasta

gamma di attività biologiche; aiuta a controllare l’induzione della risposta di fase acuta; un mediatore per il cambio di classe delle immunoglobuline

 

L’interleuchina-6 al basale al momento del ricovero ha previsto l’AKI nei pazienti con sepsi grave
sTREM-1

 

Urine/

plasma

TREM-1 è un recettore attivante espresso selettivamente sulla superficie dei neutrofili e dei monociti e associato alla risposta infiammatoria innescata dall’infezione batterica. (È quasi non rilevabile nell’infiammazione non infettiva). sTREM-1 può essere prodotto localmente dalle cellule endoteliali, dalle cellule epiteliali tubulari o dalle cellule infiammatorie infiltranti durante la necrosi tubulare acuta.105,106 Nei pazienti con sepsi, sTREM-1 nelle urine al ricovero in terapia intensiva ha previsto AKI a 48 h con AUC di 0,922,107 Valore diagnostico per S-AKI: AUC di 0,794 per il plasma e 0,707 per le urine; valore predittivo 24 ore prima della diagnosi di S-AKI: AUC di 0,746 per il plasma e 0,778 per l’urina
 Tabella 6: Biomarcatori studiati in S-AKI [10].

A tal riguardo l’uso di marcatori e del loro andamento nel contesto della AKI può fornire ulteriori fondamentali informazioni utili a una diagnosi precoce di danno renale.

In futuro, il dosaggio dei nuovi biomarcatori di danno renale, ad oggi non ancora routinario, potrebbe essere utilizzato per stimare la progressione del danno renale; tra questi si citano il tissue inhibitor of metalloproteinases 2 (TIMP2) e l’insulin-like growth factor binding protein 7 (IGFBP7) urinari, dei quali è stato studiato il rapporto maggiore di 2 [26].

Figura 7: Andamento nel tempo dei biomarkers rispetto all’evento acuto. Clin J Am Soc Nephrol 10: 147–155, 2015 [28].
Figura 7: Andamento nel tempo dei biomarkers rispetto all’evento acuto. Clin J Am Soc Nephrol 10: 147–155, 2015 [28].
Figura 8: Sede di produzione di biomarkers in vari setting di danno tubulare [27].
Figura 8: Sede di produzione di biomarkers in vari setting di danno tubulare [27].
 

Conclusioni

In conclusione, il PO-AKI è una complicanza comune degli interventi di chirurgia maggiore che si associa ad una prognosi peggiore nel lungo termine, per la maggiore insorgenza di malattia renale cronica, eventi cardiovascolari e morte. Se nel post-operatorio il paziente va incontro a sepsi, il rischio di danno renale acuto incrementa notevolmente (SA-AKI). La prevenzione del danno renale acuto nel contesto peri-operatorio si basa sull’identificazione dei pazienti a rischio di AKI, nella riduzione degli agenti nefrotossici e nel trattamento delle cause sottostanti. Nel contesto del SA-AKI vi è la possibilità di utilizzare trattamenti extracorporei, che oltre ad una funzione di supporto della funzione renale facilitano la risoluzione del quadro.

Le prospettive prognostiche del paziente che nel post-operatorio sviluppa sepsi con danno renale acuto dipendono dalla tempestiva messa in atto di misure terapeutiche e dalla personalizzazione del trattamento.

 

Bibliografia

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