Novembre Dicembre 2024 - Position Paper

Management of Dialysis Patients During Unpredictable Catastrophic Events

Abstract

Natural emergencies represent unpredictable events which, due to their intensity, can determine multiple effects on the healthcare system with increased pressure on the hospital network.  The purpose of this article is to focus attention on dialysis patients and provide a quick overview of the possible complications that can occur following emergency events, also suggesting a working scheme to deal with them in the nephrology field. Both the preventive and operational procedures to be implemented to ensure the safety of patients undergoing dialysis treatment will therefore be discussed, focusing on the need to set up a working group to make the territorial response homogeneous.

Keywords: Natural Risks, Emergency Dialysis, Emergency Procedures, Shared Organizational Models

Sorry, this entry is only available in Italiano.

Introduzione

La maggiore vulnerabilità dei pazienti cronici in corso di eventi emergenziali naturali imprevedibili come terremoti o alluvioni, pur essendo nota da tempo, è divenuta evidente come problema organizzativo solamente in tempi relativamente recenti. Il termine “disastro renale” volto a definire la correlazione tra eventi catastrofici naturali e l’insorgenza di AKI divenne universalmente noto in seguito al terremoto che ha colpito la città armena di Spitak nel 1989 [1].

Tuttavia, solo a partire dal 2005, in seguito ai devastanti uragani che hanno colpito gli stati centro-meridionali degli Stati Uniti d’America, è stata evidenziata una carenza di risposte strutturali e organizzative da parte della rete assistenziale in caso di sfollamenti di massa e la necessità di affrontare in modo organico tali sfide [2]. Ulteriori contributi alla gestione di questa problematica, sono stati forniti dai Paesi del Sud-Est asiatico, dal Giappone e dalla Corea del Sud, che solitamente sono soggetti sia a terremoti devastanti che a maremoti [35]. Anche in Italia, Paese storicamente esposto a rovinosi eventi sismici e alluvionali, i primi studi volti a migliorare la gestione emergenziale, al fine di ridurre il loro impatto sul paziente, furono eseguiti nella seconda metà degli anni Ottanta in seguito al terremoto dell’Irpinia [6], mentre le recenti emergenze che hanno coinvolto negli anni la città di L’Aquila, l’Umbria, le Marche e l’Emilia-Romagna hanno riproposto l’attenzione su questa tematica [7, 8].

Gli eventi naturali che possono determinare quadri catastrofici sono classicamente distinti in tre macroaree di rischio: idrico, geologico e sismico, a cui in alcuni Paesi può essere aggiunto quello vulcanico. Attraverso l’articolo analizzeremo nel dettaglio le principali classi di rischio, fornendo le principali strategie preventive e organizzative elaborate per minimizzare gli effetti sulla popolazione nefropatica e in particolare quella dialitica. L’obiettivo di questi spunti di riflessione, pertanto, non è quello di fornire un esaustivo percorso procedurale da attuarsi in caso di emergenza, ma quello di stimolare una discussione a vari livelli per individuare ed elaborare un percorso gestionale condiviso. In considerazione di quanto affermato, le nostre considerazioni non vanno intese come indicazioni cui fare riferimento ma come considerazioni del tutto personali avvalorate dalla letteratura scientifica, ove disponibile, e per tale motivo sono suscettibili di modifiche, aggiornamenti e integrazioni.

 

Rischio idrico e geologico

Il rischio idro-geologico, definito come il prodotto tra la pericolosità legata a un evento idrogeologico e i potenziali danni che può determinare a infrastrutture e persone, determina il rischio secondario all’instabilità dei versanti dovuto a particolari aspetti geomorfologici del territorio, al superamento dei livelli pluviometrici critici, dei livelli idrometrici dei corsi d’acqua della rete idrografica e dallo smaltimento delle acque piovane. Come riportato dall’ISTAT nel documento “Mappa dei rischi dei comuni italiani”, nel nostro Paese le aree a elevata pericolosità idraulica risultano pari a 12.405 km2, mentre quelle a elevato rischio franoso interessano un’area di 23.700 km2 ovvero circa il 7,9% del territorio nazionale [9] (Figura 1).
Figura 1. Aree a elevato rischio idro geologico

Figura 1. Aree a elevato rischio idro geologico [9].

Alla base di questo rischio coesistono sia fenomeni franosi che fenomeni alluvionali. Analizzando esclusivamente il rischio idrico è possibile individuare tre livelli di probabilità alluvionale:

  • High Probability Hazard: HPH – elevata probabilità di alluvioni;
  • Medium Probability Hazard: MPH – media probabilità di alluvioni;
  • Low Probability Hazard: LPH – bassa probabilità di alluvioni.

Sulla base di questa suddivisione è possibile affermare che circa il 5,4% del territorio nazionale ricade in aree a elevata pericolosità (HPH) (Figura 2) e tale percentuale si incrementa al 10,0% se si includono anche le aree a rischio intermedio (MPH). Come evidenziato nella figura sottostante, le aree maggiormente a rischio si osservano principalmente in Emilia-Romagna, coste venete, bassa Toscana e Calabria, e in generale in tutte le zone poste in prossimità dei principali tratti fluviali.

Figura 2. Aree a elevato rischio alluvionale (scenario HPH).
Figura 2. Aree a elevato rischio alluvionale (scenario HPH).

 

Rischio sismico

Nel nostro Paese le aree a elevato rischio sismico ammontano a 130.000 km2, ovvero circa il 45% del territorio nazionale, e interessano principalmente la dorsale appenninica e il versante alpino orientale, aree storicamente note per eventi sismici catastrofici.

Sulla base dell’intensità dei terremoti che possono verificarsi, il territorio nazionale è stato suddiviso in quattro categorie (Figura 3).

Nella categoria I sono incluse le aree in cui possono verificarsi terremoti a elevata intensità con una forte probabilità.

Nella II categoria sono inclusi quei territori in cui possono verificarsi eventi di forte intensità con un rischio inferiore alla precedente classe ma comunque elevato.

Nella III categoria il rischio sismico è basso sebbene possano comunque verificarsi eventi caratterizzati da scuotimenti modesti.

Nella IV categoria il rischio sismico è molto basso e in generale l’intensità dell’evento è modesta.

Figura 3. Rischio sismico sul territorio nazionale.
Figura 3. Rischio sismico sul territorio nazionale.

Il rischio di essere coinvolti in un evento sismico risulta quindi particolarmente elevato, pertanto è necessario approntare dei piani emergenziali da attuarsi in caso di calamità.  In seguito a un sisma si dovrebbe considerare che, oltre ai danni strutturali riportati dagli edifici e alla conseguente inagibilità degli stessi, potrebbe verificarsi il malfunzionamento dell’impianto di dialisi secondario sia alla presenza di danni agli impianti di osmosi che all’impossibilità di ricevere acqua dalla rete idrica a causa di eventuali cedimenti della stessa o ricevere acqua non idonea in seguito alla contaminazione dell’acqua di rete. Spesso sono presenti danni delle strutture elettriche di emergenza e alle apparecchiature medicali, tali inconvenienti, tuttavia, risultano meno impattanti a livello ospedaliero per la presenza di gruppi elettrogeni, volti a garantire il funzionamento degli impianti almeno nell’immediato. Oltre alle emergenze dovute alle inevitabili ripercussioni secondarie ai danni strutturali che si realizzano nei complessi ospedalieri, in seguito a eventi sismici, va considerato il possibile incremento di AKI secondarie a rabdomiolisi [10, 11] e in generale a sindromi da schiacciamento con la conseguenza diretta della necessità di un numero maggiore di emodialisi da garantire al fine di evitare danni renali acuti [1214]. Un aspetto da tenere presente è rappresentato dal fatto che, a causa delle condizioni cliniche generali e delle gravi alterazioni in cui possono versare i pazienti, sono spesso necessarie metodiche emodialitiche continue (CVVH, CVVHD, SLED) che richiedono grandi volumi di acqua non sempre disponibili in condizioni critiche [1], mentre le condizioni igieniche non ottimali rappresentano un problema non indifferente per i pazienti in trattamento dialitico peritoneale [15].

 

Rischio vulcanico

Come noto, nel nostro Paese sussiste anche un non trascurabile rischio derivante dalla presenza di vulcani.

Sulla base dell’ultima attività eruttiva è possibile distinguere:

Vulcani estinti, ovvero quelli in cui l’ultima eruzione è stimata per tempi superiori a 10.000 anni. Rientrano in questo gruppo il monte Amiata, l’area dei monti Cimini, gli attuali laghi di Bolsena, di Vico e di Bracciano, Roccamonfina e il Vulture.

Vulcani quiescenti, che hanno prodotto eruzioni in un periodo di tempo inferiore a 10.000 anni e che attualmente si trovano in una fase di riposo. Appartengono a questa classe le aree dei Colli Albani, i Campi Flegrei, Ischia, le isole Eolie, Pantelleria e il Vesuvio.

Vulcani attivi, di cui è nota l’attività eruttiva che si è manifestata in tempi recenti. I principali vulcani italiani che possono essere inclusi in questa classe sono l’Etna e lo Stromboli [16].

Rientrano nel rischio vulcanico anche i fenomeni associati al cosiddetto vulcanismo secondario determinato dalla permanenza di magma residuo che interagisce con elementi circostanti come falde acquifere e in grado di determinare lo sviluppo di geyser, fumarole e sorgenti termali.

Un fenomeno di vulcanismo secondario particolarmente importante in Italia, specie nella zona di Pozzuoli, è rappresentato dal bradisismo che determina variazioni nell’ordine di centimetri nell’altezza del suolo con possibili ripercussioni sulla staticità degli edifici [17].

 

Panoramica organizzativa generale

L’organizzazione generale, volta a contenere gli effetti di un disastro naturale sulla popolazione dializzata, è stata affrontata dal sistema Medicare statunitense che ha stilato specifiche norme comportamentali destinate a questa particolare classe di pazienti che necessitano di piani di emergenza personalizzati nell’approccio alle catastrofi [18, 19].  Similmente anche l’ESRD Network ha preparato un documento di valutazione dei bisogni volto a fornire delle indicazioni agli operatori per stabilire i piani di evacuazione dei singoli pazienti [20].

Nel nostro Paese non esistono normative specifiche rivolte alla gestione dei pazienti cronici in caso di calamità e le principali raccomandazioni attualmente vigenti derivano principalmente dal D.lgs. n. 112 del 31 marzo 1998, dal decreto Ministeriale del 13 febbraio 2001 e dalle successive leggi integrative [21, 22].

Il D.lgs. n. 112 del 31 marzo 1998 dal titolo “conferimento di funzioni dello Stato alle regioni e agli enti locali” stabilisce al capo VIII del titolo III la titolarità tra stato e regioni delle competenze emergenziali definendo i limiti di competenza degli enti.

Il successivo Decreto Ministeriale (DM) del 13 febbraio 2001 definisce i “principi generali” di gestione dei quadri emergenziali tramite la “mobilitazione di tutte le componenti del servizio nazionale di protezione civile, attraverso la disponibilità di risorse istituzionali sia centrali che periferiche eventualmente associando aiuti forniti da organizzazioni di volontariato o private, e se necessario, tramite la richiesta di assistenza a Paesi esteri”. Il decreto recepisce in massima parte le disposizioni del Dlgs.112 del 1998 definendo i compiti e le funzioni ascrivibili agli enti locali (Regioni, Province e Comuni) e conferisce alla centrale operativa sanitaria del 118 il ruolo di ‘interlocutore privilegiato’ in campo sanitario. Nel caso di catastrofi che travalichino le potenzialità di risposta delle strutture locali, il DM fornisce delle indicazioni precise sulle azioni da intraprendersi per fronteggiare la fase emergenziale. Nelle prime ore successive al disastro le risorse saranno rivolte all’acquisizione di informazioni, le più precise possibili, focalizzando l’attività sull’allertamento delle varie strutture, il potenziamento delle capacità della centrale operativa 118 e l’implementazione dei mezzi di soccorso. Seguirà una fase valutativa e di ricognizione propedeutica alla allocazione delle risorse.  La Centrale Operativa 118 sulla base delle informazioni ricevute fornirà istruzioni circa l’attuazione del piano di soccorso.

La catena dei soccorsi sanitari verrà dapprima allestita secondo le modalità previste per catastrofi limitate e successivamente integrata da altre strutture come le Unità Mobili Medico-chirurgiche (UMMC) e gli ospedali da campo.

L’UMMC viene approntata in prima istanza nel caso di un vasto interessamento del territoriale con coinvolgimento delle strutture ospedaliere locali. Generalmente è dotata di: area di triage, sala operatoria, PS, e astanteria, al fine di garantire un’autosufficienza sanitaria e logistica per almeno 48 ore nell’attesa che siano approntati ospedali da campo.

Sulla base delle indicazioni fornite dal DM del 13/02/2001, qualsiasi piano emergenziale aziendale e di reparto dovrebbe articolarsi su tre fasi distinte: preparatoria, emergenziale e risolutiva.

 

Fase preparatoria

Il rischio di malfunzionamento del centro dialisi può essere ridotto al minimo attraverso l’educazione alle problematiche secondarie alle catastrofi che deve essere rivolta sia agli operatori sanitari che ai pazienti. Rientra nella fase preparatoria l’organizzazione di corsi o seminari che affrontino la tematica emergenziale che dovrebbero essere gestiti dalle Aziende Sanitarie Territoriali con la collaborazione di più figure professionali (Nefrologi, Urgentisti, Medici esperti nella medicina dei disastri ecc.).

Il nefrologo e il responsabile dello staff infermieristico devono fornire a tutti i pazienti e al personale del centro un resoconto dei preparativi almeno una volta all’anno.

Dovranno essere stabilite misure specifiche volte a minimizzare il rischio per la vita e a consentire la prevenzione e/o la riduzione dei danni con l’obiettivo di riprendere rapidamente le operazioni, utilizzando il più possibile risorse e competenze interne.

Un piano emergenziale, pertanto, dovrebbe includere disposizioni per:

  • garantire la sicurezza di dipendenti e pazienti;
  • formare tutti i dipendenti e i pazienti a reagire adeguatamente in caso di emergenza;
  • accelerare la ripresa delle operazioni di dialisi;
  • incoraggiare la pianificazione e la condivisione delle risorse con altre strutture di assistenza medica dell’area sia durante che dopo un’emergenza;
  • rivedere e apportare, ove possibile, modifiche necessarie agli edifici ospedalieri, ai sistemi e alle attrezzature per garantire l’integrità delle strutture e dei servizi (efficientazione degli edifici).

È raccomandabile che i pazienti posseggano un elenco aggiornato dei farmaci domiciliari assunti, inoltre è doveroso aggiornare periodicamente la scheda di trattamento emodialitico e fornirne copia al paziente. Sulla scheda dovranno essere indicati:

  • modalità e durata del trattamento;
  • composizione del bagno dialisi;
  • marker virali recenti (< 6 mesi dalla data di compilazione);
  • eventuali problematiche intradialitiche ricorrenti (es: ipotensione);
  • eventuali allergie farmacologiche;
  • gruppo sanguigno (se possibile allegare referto del SIT);
  • informazioni anagrafiche e recapiti del paziente e di persone di fiducia.

Andranno fornite anche informazioni aggiornate sulle modalità di trasporto dal domicilio al centro e viceversa, poiché queste informazioni dovranno sempre essere reperibili in caso di mal funzionamento delle strumentazioni informatiche. Riportiamo nella Figura 4 un esempio di scheda informativa dialitica che viene proposto dal CMS (center for Medicare and Medicaid Service) statunitense che potrebbe essere utilizzata a modello.

Scheda informativa statunitense

Figura 4. Scheda informativa statunitense [23].

 

Fase emergenziale

Rappresenta il fulcro dell’azione. In questa fase oltre a essere avviate le normali procedure di soccorso atte sia ridurre il numero delle vittime che a fornire cure iniziali, dovranno essere avviate anche le procedure organizzative volte al trasferimento dei pazienti nei centri più vicini.

In generale bisogna dapprima valutare l’agibilità del centro e in caso di impossibilità si dovranno porre in essere tutte le procedure volte a traferire i pazienti in centri vicini. Dovranno essere coinvolte le autorità competenti al fine anche di favorire uno spostamento il più possibile vicino alla residenza del paziente.

I pazienti dializzati risultano essere particolarmente vulnerabili sia per la necessità di eseguire il trattamento più volte nella settimana che per l’instabilità clinica derivante dalle rapide alterazioni dell’equilibrio idroelettrolitico e acido-base cui possono andare incontro. Inizialmente si provvederà a fornire farmaci chelanti, in particolar modo quelli del potassio (sodio polistirensolfonato e sodio zirconio ciclosilicato) che si renderanno necessari soprattutto in caso di prolungamento dell’intervallo del periodo interdialitico.

Particolare attenzione dovrà essere posta nella valutazione dei pazienti. Si dovrà procedere dando priorità nei trasferimenti presso altre strutture dialitiche a coloro che si trovano nel cosiddetto intervallo lungo, e tra questi andranno favoriti i pazienti con patologie cardiovascolari invalidanti o rapidamente progressive e gli anurici.

I pazienti che presentano ancora una diuresi relativamente valida (> 500 ml/die) o che eseguono un trattamento emodialitico con ritmo bisettimanale dovrebbero essere pesati quotidianamente al fine di valutare variazioni di peso, e dovrebbero essere riforniti di chelanti del potassio da assumere in caso in cui si renda necessario un prolungamento dei tempi di intervallo dialitico.

Nelle aree colpite, se il trasporto dei pazienti presso altre strutture risulta impossibile, è possibile allestire centri dialitici di emergenza sfruttando macchine portatili più piccole che, riducendo al minimo i problemi di trasporto, possono essere trasportate più facilmente nell’area interessata.

I sistemi assorbenti che consentono una rigenerazione del dializzato (“REcirculating DialYsis” REDY) offrono l’opportunità di effettuare il trattamento emodialitico utilizzando dosi molto ridotte di bagno di dialisi (circa 6 L).

Alla base di queste metodiche vi è la possibilità di rigenerare il dializzato: la macchina, anziché drenare l’effluente, è in grado attraverso una colonna assorbente di scambiare ioni in modo tale che all’uscita dalla colonna emerga una soluzione di acqua ultrapura che può essere riutilizzata. L’effetto finale è quello di utilizzare un piccolo volume d’acqua che può ricircolare fino all’esaurimento della colonna con notevole risparmio di acqua [23].Figura 5. Funzionamento di un sistema assorbente

Figura 5. Funzionamento di un sistema assorbente [24].

In un sistema assorbente (Figura 5), il dializzato effluente viene presentato alla cartuccia assorbente dove viene fatto passare attraverso diversi strati contigui.

Il primo strato è costituito da carbone attivo, un materiale con una superficie particolarmente elevata, infatti un singolo grammo possiede una superficie di circa 500 m2, essendo particolarmente microporoso. Questo strato è in grado di assorbire qualsiasi metallo pesante dializzato, ossidanti, clorammine, creatinina, acido urico e una varietà di molecole intermedie, tra cui la microglobulina B2, e altre sostanze organiche.

Il secondo strato contiene l’ureasi, un enzima che catalizza l’idrolisi dell’urea in anidride carbonica e ammoniaca (mediante) la reazione:

Tutto il carbonato di ammonio rilasciato da questo strato viene trasferito dal flusso di fluido in avanti al terzo strato. Qui, il dializzato effluente viene fatto passare sopra il fosfato di zirconio adsorbente che possiede un elevato numero di ioni Na+ e H+ sulla sua superficie. Questi ioni si scambiano preferibilmente con K+, Ca++, Mg++, altri cationi, metalli e, cosa importante, ammonio adsorbiti. Quindi, l’ammonio creato nel secondo strato viene rimosso dal terzo in cambio di Na+ e H+.

Nel quarto strato, una combinazione di ossido di zirconio e carbonato di zirconio assorbe PO4, fluoro e metalli pesanti, scambiandoli con Na+, HCO3e una piccola quantità di acetato.

Al termine di questo percorso, il dializzato effluente emergente dal dializzatore ha trasferito efficacemente tutto il soluto contenuto rimosso dal sangue durante il passaggio dialitico. Il fluido emergente dalla colonna finale è ora una soluzione composta da acqua purificata, Na+, H+, HCO3e una piccola quantità di acetato.

Un importante vantaggio fornito da questa metodica è rappresentato dal fatto che la cartuccia funziona anche da filtro batterico e da adsorbente per endotossine e citochine [25, 26]. Le conte batteriche <1 cfu/mL e di endotossine <0,3 EU/mL che vengono riscontrate con questa metodica, si avvicinano entrambe ai livelli richiesti per l’acqua ultrapura [27].

L’utilizzo della dialisi con sorbente è tuttavia associato a progressivo incremento del sodio nel dializzato durante la dialisi, poiché viene aggiunto come ione scambiabile dalla colonna adsorbente al dializzato. Tale inconveniente, derivante dalla stessa metodica, può essere risolto attraverso una precisa titolazione della natriemia durante il trattamento dialitico [28].

Oltre a questa soluzione, è possibile l’utilizzo di apparecchiature osmotiche trasportabili che consentendo il trattamento di elevati volumi di acqua permettono la realizzazione di centri temporanei appositi [29].

Per i pazienti in trattamento dialitico peritoneale, il problema principale è rappresentato dalla mancanza di materiale per la dialisi a causa di problemi di trasporto [30] che possono verificarsi per la difficoltà al percorrimento delle strade. Per tale motivo, al fine di limitare il più possibile il ricorso al trasporto del materiale e per il possibile sovraccarico o malfunzionamento delle linee elettriche, è preferibile utilizzare metodiche di trattamento manuale (CAPD) rispetto a quelle automatiche (APD) [31]. Generalmente a differenza dei pazienti in trattamento emodialitico, nei pazienti in trattamento peritoneale sono stati segnalati minori problemi, sebbene sia stato riportato un incremento del rischio infettivo (exit-site, tratto sottocutaneo tunnellizzato, peritoniti) [32]. Sulla base dell’esperienza maturata sul campo, Tamura e colleghi [33] hanno stilato alcune raccomandazioni applicabili ai pazienti in dialisi peritonale che riportiamo brevemente:

  • prediligere la CAPD;
  • garantire una fornitura per due settimane di dialisato e materiali di consumo relativi alla PD necessari per la CAPD;
  • stabilire un elenco di ospedali in grado di gestire il paziente e garantire una rete di supporto;
  • collaborare con gli ospedali comunitari.

 

Fase di risoluzione

La fase di risoluzione rappresenta la risposta a lungo termine che si sviluppa nelle settimane successive all’evento, preparando il graduale ritorno alla normalità. La durata di questa fase varia in base a molteplici fattori, ma generalmente ha una durata piuttosto lunga (anche di diversi anni) e dipende principalmente dai danni presenti nel territorio colpito e dai tempi necessari per la ricostruzione.

Strutture provvisorie per il trattamento emodialitico

Figura 6. Strutture provvisorie per il trattamento emodialitico [34, 35].

Una volta affrontata la fase emergenziale, i pazienti dovranno essere progressivamente riassorbiti, utilizzando inizialmente strutture provvisorie (container, Figura 6) fino al ripristino delle strutture precedenti o alla creazione di nuove. Come evidenziato in letteratura, dovrà essere posta attenzione anche in ambito psicologico al fine di evitare l’insorgenza di patologie legate allo stress derivante dal trauma, pertanto appare utile ricercare una valida collaborazione con altre figure professionali specifiche nel trattamento di questi disturbi (psichiatri, psicologi).

 

Modello lavorativo proposto

Sulla base dei modelli organizzativi valutati, il nostro centro ha elaborato uno schema di lavoro da attuarsi in caso di emergenza volto a ridurre le conseguenze dell’evento.

Innanzitutto, in via preventiva generale, il turno dialitico dovrebbe essere organizzato considerando lo stato generale dei pazienti e le loro condizioni cliniche, suddividendo i pazienti sulla base della mobilità. Come evidenziato nella Tabella 1, il turno dialitico dovrebbe includere 1/3 di pazienti con mobilità autonoma (V: verticali), 1/3 con modalità ridotta (S: seduti) e 1/3 non autosufficienti (O: orizzontali) che necessitano di assistenza nei movimenti. Il rispetto di questi valori è particolarmente importante poiché influisce direttamente sulla celerità delle operazioni e sul successo delle operazioni di soccorso.

1. Organizzazione del turno dialitico in base alle condizioni del paziente:

• 1/3 dei pazienti autosufficiente (V, capace di muoversi in modo indipendente), 1/3 seduto (S trasportabile in carrozzella) 1/3 non autosufficiente (O, necessita di essere barellato)

• Considerare le caratteristiche cliniche del paziente, come stabilità emodinamica e tipo di accesso vascolare

2. Preparazione della sala dialisi per l’evacuazione:

• Assicurarsi che le vie di evacuazione siano segnalate e accessibili.

• Spegnere le pompe, procedura di stacco d’urgenza del paziente, prima i pazienti V poi S ed infine O, disconnettere le apparecchiature.

3. Gestione del paziente autosufficiente: instradare il paziente verso l’uscita più vicina.
4. Gestione del paziente seduto: utilizzare una carrozzella per trasportare il paziente verso l’uscita più vicina. Un operatore sanitario impegnato.
5. Gestione del paziente barellato: mobilitare una barella per il trasporto del paziente orizzontale. Coinvolti due o più operatori sanitari per sollevare e trasferire il paziente in modo sicuro e stabile e trasportarlo lungo le vie di fuga.
Tabella 1. Schema gestionale e organizzativo proposto.

Durante la fase di emergenza dovranno essere adottate delle misure atte a limitare il rischio per i singoli pazienti (Figura 7). Innanzitutto, verrà fatta assumere una posizione di sicurezza, ovvero ciascun paziente dovrà per prima cosa coprirsi la testa, chinandola lateralmente verso il braccio della fistola che deve rimanere disteso mentre l’arto controlaterale fungerà eventualmente da protezione.  I portatori del CVC giugulare, invece, dovranno girare la testa dalla stessa parte del catetere ed eseguire la medesima procedura dei pazienti con FAV.

 Figura 7. Fasi procedurali nell’urgenza.
Figura 7. Fasi procedurali nell’urgenza.

Le procedure di disconnessione urgente dovranno avvenire sulla base delle categorie di pazienti, suddivisi in base al grado di collaborazione e di autonomia. Dapprima verranno disconnessi i pazienti collaboranti (V) che comprendendo meglio le istruzioni impartite, assumono facilmente la posizione di sicurezza e possono lasciare la sala dialisi velocemente non rappresentando un ostacolo se eseguono correttamente le indicazioni dei sanitari. Successivamente si provvederà a disconnettere i pazienti seduti (S) e per ultimi i pazienti orizzontali (O). I motivi di questo ordine derivano dalle necessità di reperire una barella e un accompagnatore per i primi e una barella e tre operatori contemporaneamente per i secondi.

Le procedure di disconnessione non variano particolarmente sulla base dell’accesso vascolare (FAV o CVC); in entrambi i casi, infatti, la procedura essendo di carattere emergenziale si limita sostanzialmente alla semplice disconnessione del paziente dalla macchina di dialisi e alla messa in sicurezza dell’accesso vascolare (Figura 8).

Figura 8. Modalità procedurale di disconnessione sulla base dell’accesso vascolare.
Figura 8. Modalità procedurale di disconnessione sulla base dell’accesso vascolare.

Particolarmente importanti sono i tempi di disconnessione che dovrebbero essere rispettati il più possibile per ogni categoria di paziente. Nella Tabella 2 riportiamo i tempi medi stimati per nove pazienti. La rapidità della disconnessione risulta l’elemento fondamentale nella gestione dell’emergenza e incrementa significativamente le possibilità di sopravvivenza. Si riporta a titolo di esempio un turno dialitico costituito da 9 pazienti.

3 pazienti categoria V

(autonomi)

Tempo di disconnessione stimato 1 minuto per paziente
3 pazienti categoria S

(parzialmente autonomi)

Tempo di disconnessione 2 minuti per paziente
3 pazienti categoria O

(non autonomi)

Tempo di disconnessione 3 minuti a paziente
Tabella 2. Composizione turno dialitico suddiviso per categoria.

Considerando che ogni infermiere gestisce tre pazienti, saranno presenti in sala tre infermieri e generalmente un OSS. In questo scenario, suddividendo equamente il carico di intensità lavorativa per singolo operatore (un infermiere gestisce un paziente per categoria), è possibile stimare che le procedure di stacco dalle macchine e allontanamento dalla sala dialisi richiederanno in media un tempo compreso tra i 10 e i 15 minuti.

Ovviamente i tempi medi di disconnessione possono variare sulla base di diversi fattori come: numero di pazienti e di operatori presenti, prevalenza e tipo di accessi vascolari, reperibilità di strumenti atti a rapidi spostamenti (barelle, carrozzine) ed eventuali danni strutturali all’interno del centro. La presenza di un addestramento mirato può pertanto risultare fondamentale per mantenere una certa celerità nelle operazioni.

Procedure di disconnessione

Prendendo a modello quanto riportato dalle linee guida del Medicare statunitense, riportiamo le procedure da attuarsi per ottenere una disconnessione dalla macchina di dialisi in sicurezza:

  • verificare sempre la tenuta delle Clamp sia per i CVC che di ago fistola;
  • gli aghi dell’accesso devono lasciati in posizione fino a quando il paziente non avrà raggiunto un luogo sicuro in cui si procederà alla rimozione;
  • tagliare le linee dialitiche circa 7-8 cm al di sotto dei raccordi, si può evitare la perdita di sangue semplicemente ripiegando le linee su sé stesse e applicando un cerotto;
  • stabilizzare gli aghi tramite l’utilizzo di cerotti che potranno essere applicati sulla superficie volare dell’avambraccio o assicurati al torace nel caso di CVC (Figura 9A-9B);
  • mai tagliare tra la clamp e l’accesso, altrimenti sarà possibile lo sviluppo di sanguinamento massivo.
Figura 9A-9B. Sedi di applicazione dei cerotti.
Figura 9A-9B. Sedi di applicazione dei cerotti.

I pazienti verranno quindi instradati o accompagnati all’ uscita di emergenza più vicina. Una volta raggiunta la zona di sicurezza si provvederà alla rimozione degli aghi fistola o al lock del CVC. In tutti i casi il sangue presente nelle linee non potrà essere reinfuso al paziente.

Emergency pack: kit per accesso vascolare

In considerazione del fatto che un evento emergenziale è per definizione imprevedibile, proponiamo nella Tabella 3 il cosiddetto “emergency pack” ovvero un kit di emergenza che dovrebbe essere sempre a disposizione del centro dialisi in caso di necessità.

Tabella 3. Composizione dell’emergency pack.

L’emergency pack deve poter garantire una disconnessione dei pazienti in completa sicurezza e in tempi compatibili con un quadro emergenziale. Tale dispositivo, dovrebbe entrare di diritto tra quelli presenti nel centro dialisi e la sua funzionalità andrebbe verificata periodicamente con eventuale sostituzione di farmaci o presidi scaduti. È importante adeguare la consistenza delle scorte al numero di pazienti presenti nel centro includendo nel calcolo delle scorte anche eventuali pazienti acuti o vacanzieri (almeno due pazienti in più rispetto a quelli afferenti routinariamente al centro). Questo kit potrebbe essere allocato in punti del centro facilmente accessibili al personale e protetti da eventuali crolli (es: al di sotto travi o vicino muri portanti) e dovrebbe essere contenuto in borsoni specifici per l’emergenza. Come per le altre strumentazioni emergenziali normalmente presenti nei centri dialisi (es: carrello per emergenze o elettrocardiografo) anche per la gestione dell’emergency pack dovrebbe essere delegato un infermiere che ne verifichi mensilmente l’integrità e il funzionamento, andando a sostituire o integrare farmaci e/o presidi eventualmente scaduti o non più idonei.

È importante tenere presente che le procedure specifiche possono variare in base al contesto e alle risorse disponibili. A livello organizzativo locale deve essere chiaramente identificato un responsabile in grado di gestire la situazione e che agisca come leader; inoltre vanno stabiliti contatti con il personale di nefrologia di altri ospedali di zona, in modo da trasferire nel minor tempo possibile i pazienti che presentano necessità dialitiche maggiori (trisettimanali e sull’intervallo “lungo”). A livello organizzativo generale, la dialisi deve essere considerata come un servizio di emergenza e per tale motivo si dovrà dare priorità alle unità di dialisi nel ripristino delle utenze.

 

Conclusioni

Emerge la necessità di un piano il più possibile unico e condiviso che, affiancandosi alle linee guida nazionali per la protezione civile e la prevenzione dei disastri, sia rivolto in modo specifico ai centri dialisi. Attraverso il lavoro congiunto delle società scientifiche, delle associazioni di soccorso e delle realtà territoriali, potrebbero essere redatte delle linee guida per la nefrologia d’emergenza con l’obiettivo di standardizzare la gestione del paziente nefropatico in caso di calamità maggiore.

Ogni centro dialitico sul territorio dovrebbe, in base alle proprie caratteristiche strutturali (localizzazione e tipo di fabbricato), organizzative e operative, redigere un programma operativo da utilizzare in situazioni di emergenza, in conformità con le raccomandazioni nazionali e, ove disponibili, quelle regionali e aziendali. Tale piano dovrebbe considerare la realtà locale con le proprie problematiche gestionali e organizzative al fine di ricercare soluzioni per ogni problematica specifica anche attraverso la collaborazione con le autorità. Il coinvolgimento degli organi amministrativi (Regione, Provincia e Comune) e di governo (Prefettura) appare particolarmente utile anche per stabilire l’esatta gestione degli interventi di soccorso e le singole competenze degli enti e dei soccorritori.

Questo sforzo, da attuarsi per la realtà nefrologica italiana, appare più che giustificato dal fatto che la letteratura scientifica attualmente disponibile è abbastanza limitata e sovente, non del tutto adattabile alla realtà nazionale poiché derivante da linee guida e raccomandazioni prodotte da organizzazioni sanitarie giapponesi o statunitensi, ovvero realtà sanitarie molto differenti dalla nostra. Appare quindi necessario uno sforzo comune per individuare le principali criticità nel nostro Paese e i possibili rischi da esse derivanti. Inoltre le procedure da applicarsi al centro dialitico in caso di emergenza maggiore non devono essere considerate come sostituti delle principali raccomandazioni relative alla sicurezza nei luoghi di lavoro, ma semplicemente come raccomandazioni specifiche, rivolte a una particolare classe di pazienti e operatori, da integrare in un più vasto piano di sicurezza generale.

 

Ringraziamenti

Si ringrazia l’Associazione Malati di Reni per la collaborazione.

 

Bibliografia

  1. Solez K, Bihari D,  Collins AJ, et al. International dialysis aid in earthquakes and other disasters. Kidney Int, 1993, vol. 44 (pg. 479-483). https://doi.org/10.1038/ki.1993.271.
  2. Kopp JB, Ball LK, Cohen A, Kenney RJ, Lempert KD, Miller PE, Muntner P, Qureshi N, Yelton SA. Kidney patient care in disasters: Learning lessons from the hurricanes and earthquake of 2005. Clin J Am Soc Nephrol2 :814– 824,2007. https://doi.org/10.2215/CJN.03481006.
  3. Feehally J. Japan: crisis and recovery. Kidney Int. 2011 Jun;79(11):1155. https://doi.org/10.1038/ki.2011.111. PMID: 21471952.
  4. Yoo KD, Kim HJ, Kim Y, Park JY, Shin SJ, Han SH, Kim DK, Lim CS, Kim YS. Disaster preparedness for earthquakes in hemodialysis units in Gyeongju and Pohang, South Korea. Kidney Res Clin Pract. 2019 Mar 31;38(1):15-24. https://doi.org/10.23876/j.krcp.18.0058. PMID: 30776874; PMCID: PMC6481979.
  5. Gray NA, Wolley M, Liew A, Nakayama M. Natural disasters and dialysis care in the Asia-Pacific. Nephrology (Carlton). 2015 Dec;20(12):873-80. https://doi.org/10.1111/nep.12522. PMID: 26032113.
  6. Santangelo ML, Usberti M, Di Salvo E, Belli G, Romano G, Sassaroli C, Zotti G. A study of the pathology of the crush syndrome. Surg Gynecol Obstet. 1982 Mar;154(3):372-4. PMID: 7064074.
  7. Raymond Vanholder, Stefano Stuard, Mario Bonomini, Mehmet Sukru Sever, Renal disaster relief in Europe: the experience at L’Aquila, Italy, in April 2009, Nephrology Dialysis Transplantation, Volume 24, Issue 10, October 2009, Pages 3251–3255, https://doi.org/10.1093/ndt/gfp335.
  8. Buscaroli A, Righini M. [[L’alluvione in Romagna: l’impatto sulle attivitá nefrologiche], [i provvedimenti organizzativi e la lezione da imparare]]. G Ital Nefrol. 2023 Jun 29;40(3):2023-vol3. Italian. PMID: 37427897.
  9. https://www.istat.it/it/mappa-rischi.
  10. The Japanese Society for Dialysis Therapy Great East Japan Earthquake Academic Research Working Group (ed). The Great East Japan Earthquake academic investigation report: Recommendations for dialysis deployment in disaster situations. Tokyo: Igakutoshoshuppan Kabushikigaisha, 2013. https://doi.org/10.1186/s41100-016-0060-0.
  11. Hwang S-J, Shu K-H, Lain J-D, Yang W-C. Renal replacement therapy at the time of the Taiwan Chi-Chi earthquake. Nephrol. Dial. Transplant. 2001; 16 (Suppl 5): 78–82.
  12. Ekrem Erek, Mehmet Sükrü Sever, Kamil Serdengecti, et al. An overview of morbidity and mortality in patients with acute renal failure due to crush syndrome: the Marmara earthquake experience, Nephrology Dialysis Transplantation, Volume 17, Issue 1, January 2002, Pages 33–40, https://doi.org/10.1093/ndt/17.1.33.
  13. Better OS. Rescue and salvage of casualties suffering from the crush syndrome after mass disasters. Mil Med. 1999 May;164(5):366-9. PMID: 10332179.
  14. Sarı H, Özel M, Akkoç MF, Şen A. First-Week Analysis after the Turkey Earthquakes: Demographic and Clinical Outcomes of Victims. Prehosp Disaster Med. 2023 Jun;38(3):294-300. https://doi.org/10.1017/S1049023X23000493. Epub 2023 May 11. PMID: 37165847; PMCID: PMC10267724.
  15. Sever MS, Erek E, Vanholder R, Yurugen B, Kantarci G, Yavuz M, Ergin H, Bozfakioglu S, Dalmak S, Tulbek MY, Kiper H, Lameire N. Renal replacement therapies in the aftermath of the catastrophic Marmara earthquake. Kidney Int. 2002 Dec;62(6):2264-71. https://doi.org/10.1046/j.1523-1755.2002.00669.x. PMID: 12427155.
  16. https://rischi.protezionecivile.gov.it/it/vulcanico/vulcani-italia.
  17. https://www.ov.ingv.it/index.php/il-bradisismo.
  18. Irvine J, Buttimore A, Eastwood D, Kendrick-Jones J. The Christchurch earthquake: dialysis experience and emergency planning. Nephrology (Carlton). 2014 May;19(5):296-303. https://doi.org/10.1111/nep.12222. PMID: 24750479.
  19. End-stage renal disease conditions for coverage. Health and Human Services Centers for Medicare and Medicaid Services. Subpart U—Conditions for coverage of ESRD services; 405.2140 Condition:physical environment d)1–5. https://www.federalregister.gov/documents/2005/02/04/05-1622/medicare-program-conditions-for-coverage-for-end-stage-renal-disease-facilitie.
  20. https://esrd.ipro.org/wp-content/uploads/2023/03/CMSPreparingforEmergencies_508-compliant-_updated-3.2023.pdf.
  21. https://www.protezionecivile.gov.it/static/ef607bf684989575e3d49def66060408/dlgs1121998.pdf.
  22. https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2001/04/06/001A3709/sg.
  23. Centers for Medicare and Medicaid Services (2011). Disaster Preparedness: A Guide for Chronic Dialysis Facilities. Second Edition.
  24. Agar JW. Review: understanding sorbent dialysis systems. Nephrology (Carlton). 2010 Jun;15(4):406-11. https://doi.org/10.1111/j.1440-1797.2010.01321.x. PMID: 20609091.
  25. Yushin G, Hoffman EN, Barsoum NW et al. Mesoporous carbide-derived carbon with porosity tuned for efficient removal of cytokines. Biomaterials 2006; 27: 5755–62. https://doi.org/10.1016/j.biomaterials.2006.07.019.
  26. Tetta C, Cavaillon JM, Schulze M et al. Removal of cytokines and activated complement components in an experimental model of continuous filtration coupled with sorbent adsorption. Dial. Transplant. 1998; 13: 1458–64. https://doi.org/10.1093/ndt/13.6.1458.
  27. McGill RL, Bakos JR, Ko T, Sandroni SE, Marcus RJ. Sorbent hemodialysis: Clinical experience with new sorbent cartridges and hemodialyzers. J. 2008; 54: 618–2. https://doi.org/10.1097/MAT.0b013e318185e66a.
  28. Rosenbaum BP, Ash SR, Carr DJ. Predicting dialysate sodium composition in sorbent dialysis using single point and multiple-dilution conductivity measurement. ASAIO J. 2005 Nov-Dec;51(6):754-60. https://doi.org/10.1097/01.mat.0000188704.73669.f1. PMID: 16340363.
  29. Stuard S. Gestione emergenza emodialisi post-terremoto di L’Aquila:14 mesi di attività 444 POD https://giornaleitalianodinefrologia.it/wp-content/uploads/sites/3/pdf/storico/2010/S-51/S124-S125.pdf?x85047.
  30. China S. Management of continuous ambulatory peritoneal dialysis patients in a disaster: the Japanese experience during the Kobe Earthquake. Ren Fail 1997; 19: 687–692. https://doi.org/10.3109/08860229709109034.
  31. Masakane, I., Akatsuka, T., Yamakawa, T. et al. Survey of dialysis therapy during the Great East Japan Earthquake Disaster and recommendations for dialysis therapy preparation in case of future disasters. Ren Replace Ther 2, 48 (2016). https://doi.org/10.1186/s41100-016-0060-0.
  32. Sever, L., Pehlivan, G., Canpolat, N. et al. Management of pediatric dialysis and kidney transplant patients after natural or man-made disasters. Pediatr Nephrol 38, 315–325 (2023). https://doi.org/10.1007/s00467-022-05734-8.
  33. Tamura H, Kuraoka S, Hidaka Y, Nagata H, Nakazato H. Pediatric Peritoneal Dialysis During the Recent Earthquakes in Japan and Recommendations for Future Disaster Preparation. Kidney Int Rep. 2020 Apr 11;5(7):1061-1065. https://doi.org/10.1016/j.ekir.2020.03.028. PMID: 32647763; PMCID: PMC7335970.
  34. http://www.malatidireni.it/dialisi%20l%27aquila.htm.
  35. https://www.modular-building.com/it/referenze/ospedali/ospedale-de-l-aquila.