Luglio Agosto 2024 - Nefrologo in corsia

Lactobacillemia: A Rare Entity in Immunocompromised Patients. Description of a Clinical Case and Literature Review

Abstract

Bacteremia caused by Lactobacillus is rare, data on its clinical significance are based only on case reports and a limited number of studies, often difficult to interpret.
Lactobacillus species is a commensal colonizer of the mouth, gastrointestinal and genitourinary tract. Its significance as a pathogen is overlooked frequently.  The diagnosis of these infections requires a mutual relationship between the physician and the microbiologist to rule out contamination risk.
Most patients with Lactobacillus bacteremia are immunosuppressed or patients at increased risk of symptomatic bacteremia with comorbidities, treated with broad-spectrum antibiotics and have indwelling venous catheters.
Risk factors related to Lactobacillus bacteremia include impaired host defenses and severe underlying diseases, as well as prior surgery and prolonged antibiotic therapy ineffective for lactobacilli.
We describe an unusual case of a woman, on chronic hemodialysis treatment, with a sepsis due to Lactobacillus casei and review the literature.

Keywords: Lactobacillus, bacteremia, hemodialysis, immunocompromised patients

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Introduzione

Il Lactobacillus è un batterio gram-positivo, anaerobico facoltativo, a forma di bastoncello. È un comune commensale dei tessuti della mucosa umana (cavità orale, tratto gastrointestinale e tratto genitale femminile) e non fa parte della flora cutanea. È ampiamente distribuito anche nell’acqua, nelle acque reflue e negli alimenti quali latticini, carne, pesce e cereali. La sua presenza, come commensale del tratto gastrointestinale, è associata alla protezione contro gli agenti patogeni e alla stimolazione del sistema immunitario. Per questo è utilizzato in tutto il mondo come probiotico [1, 2].

La batteriemia causata da lattobacilli è rara e i dati sul suo significato clinico si basano solo su casi clinici e su un numero limitato di studi [3, 4].

Essendo i lattobacilli comuni commensali è verosimile che l’incidenza reale possa essere sottostimata e, talora, può essere difficile interpretarne la presenza in sedi abitualmente sterili. Pertanto, il significato clinico è ancora argomento di discussione. Infatti alcuni Autori [5] ritengono che questo batterio non dovrebbe mai essere considerato un contaminante, mentre altri Autori [6] lo considerano un contaminante occasionale.

Sebbene quindi generalmente considerato un microrganismo non patogeno, il Lactobacillus può essere responsabile di vari tipi di infezioni prevalentemente nei pazienti immunocompromessi [1, 7]. I fattori di rischio per lo sviluppo della lattobacillemia sembrano essere prevalentemente condizioni di immunosoppressione, neutropenia persistente e prolungata grave malattia di base, ospedalizzazioni prolungate e uso di antibiotici ad ampio spettro.

Il Lactobacillus Casei è il ceppo più frequentemente isolato, sebbene se ne rinvengano altri, tra cui L. Paracasei e L. Rhamnosus [1].

Riportiamo un’insolito caso clinico di una donna in trattamento emodialitico, affetta da sepsi da Lactobacillus casei, a probabile partenza dal tratto gastrointestinale.

Il nostro caso si aggiunge ai dati di letteratura individuati su motori di ricerca come Google Scholar e PubMed e fornisce un importante esempio di come normali ceppi di probiotici non patogeni possano causare vere e proprie infezioni in pazienti fragili e vulnerabili quali gli emodializzati.

 

Caso clinico

Descriviamo la storia di una donna di 74 anni affetta da ipertensione arteriosa, broncopneumopatia ostruttiva con componente asmatiforme, obesità, fibrillazione atriale parossistica, ipotiroidismo e malattia renale cronica. Nel 2016 viene sottoposta a sostituzione valvolare per stenosi aortica grave con successivo impianto di pacemaker per blocco atrioventricolare completo. La paziente iniziava trattamento emodialitico il 13/9/16, previo posizionamento di un catetere venoso centrale (CVC) temporaneo in vena giugulare interna destra, trasformato successivamente in CVC long-term e successivo passaggio in dialisi peritoneale nel giugno 2017. Nel settembre 2019 per esaurimento della metodica dialitica peritoneale, riprendeva l’emodialisi dopo posizionamento di un CVC long-term in Vena succlavia sinistra poiché le vene giugulare e la vena succlavia destra erano trombizzate e il patrimonio vascolare di entrambi gli arti superiori non era adeguato al confezionamento di un accesso vascolare nativo e/o protesico.

Nel novembre 2020, in seguito a comparsa di febbricola, astenia e malessere generalizzato, venivano effettuate emocolture sia dal CVC che dalla vena periferica, che mostravano una infezione da Lactobacillus Casei non correlata al CVC: emocolture da CVC negative ed emocoltura da vena periferica positiva (Tabella 1). Sulla scorta dell’antibiogramma veniva somministrata Eritromicina (500 mg/die per via orale per 20 giorni) con apparente risoluzione del quadro clinico.

origine dell’infezione
Tabella 1. Le colture sono state eseguite con prelievo dai due rami del catetere venoso centrale e contemporaneamente dalla vena periferica. Come si vede, i tempi di positività non consentono una sempre facile e precisa determinazione dell’origine dell’infezione.

Nell’aprile 2021 al ripresentarsi della stessa sintomatologia, venivano eseguite emocolture dal CVC e dalla vena periferica, con nuovo riscontro di una infezione da Lactobacillus Casei probabilmente correlata al CVC: tempi di positivizzazione delle colture da CVC e da vena periferica sovrapponibili (Tabella 1). La paziente rifiutava la rimozione del CVC. Veniva somministrata Clindamicina sulla scorta dell’antibiogramma (per via orale 600 mg × 4/die per 3 settimane) e posizionato nelle branche del CVC Taurolidina al 2%.

Nel novembre 2021, ricompariva astenia e febbricola ed era nuovamente rilevata un’infezione da Lactobacillus Casei. Le emocolture, di non facile lettura, sembravano mostrare un’infezione probabilmente non correlata al CVC (Tabella 1). La paziente veniva ricoverata e, sulla scorta dell’antibiogramma, era somministrata Clindamicina (600 mg/giorno) per via endovenosa.

Venivano eseguiti ecocardiogramma e TC del torace e dell’addome che risultavano negativi, mentre la PET total body mostrava un iperaccumulo a livello della protesi valvolare aortica, mascella, sterno, milza, ghiandole surrenali, passaggio gastroduodenale. L’esofagogastroduodenoscopia mostrava una gastropatia antrale. L’ecocardiogramma transesofageo non metteva in evidenza focolai infettivi, mentre alla valutazione odontoiatrica si evidenziava una grave malattia parodontale e tale patologia veniva considerata alla base dell’origine dell’infezione. Veniva eseguita una completa bonifica del cavo orale con scomparsa della febbre e normalizzazione di PCR e procalcitonina. Le colture da CVC risultavano negative ma una emocoltura dal sangue periferico risultava positiva dopo 58 ore, evidenziando nuovamente la presenza del Lactobacillus Casei. L’infettivologo consigliava di mantenere la Taurolidina al 2% per il CVC e di ripetere le colture periferiche prima della dimissione, che risultavano successivamente negative.

La paziente continuava un attento follow-up da dicembre 2021 a giugno 2022, rimanendo asintomatica, con negatività delle colture da CVC e da vena periferica, eseguite inizialmente ogni mese e poi ogni due mesi.

Nel maggio 2022 la paziente veniva sottoposta ad angioplastica per ischemia critica dell’arto inferiore destro.

Nel giugno 2022 ricomparsa di febbricola, astenia e vomito. Il risultato delle emocolture eseguite da vena periferica e da CVC non era di nuovo, di facile lettura (Tabella 1). Si decideva comunque di rimuovere il CVC, di posizionare un CVC temporaneo, di effettuare trattamento antibiotico con Clindamicina e di utilizzare Taurolidina al 2% per il CVC. La coltura della punta del catetere long-term risultava però negativa. Un mese dopo, il CVC temporaneo era sostituito con un CVC long-term e la paziente rimaneva asintomatica per alcuni mesi, ma a settembre 2022, era riscontrata una nuova infezione da Lactobacillus Casei non correlata al CVC (Tabella 1). Veniva nuovamente trattata con Claritromicina con scomparsa della sintomatologia. Il Gastroenterologo suggeriva un trattamento con Rifaximina (200 mg due volte al giorno, ogni 10 giorni al mese) e monitoraggio con prelievo di colture da CVC e vena periferica ogni prima dialisi del mese.

Nei mesi successivi, la paziente andava incontro a un progressivo, ulteriore peggioramento delle condizioni cliniche, fino al suo decesso nell’ottobre 2022 pur in assenza di esami colturali positivi.

 

Discussione

I Lattobacilli sono ampiamente diffusi e si possono trovare nel cavo orale, nel tratto gastrointestinale e nella vagina, mentre non fanno parte della flora cutanea. Sono tradizionalmente utilizzati negli alimenti fermentati e nei probiotici, si trovano anche nelle verdure, nel latte e in altri alimenti refrigerati [1].

In letteratura sono segnalati diversi casi di batteriemia da Lactobacillus associati a endocardite, frequentemente in presenza di una cardiopatia sottostante [1, 8, 11]. Le cause che sembrano predisporre la localizzazione dei lactobacilli a livello valvolare sono alcune caratteristiche patogene riscontrate in specifiche specie di tali microorganismi: la capacità di stimolare l’aggregazione piastrinica, di legarsi alla fibronectina, al fibrinogeno e al collagene, di produrre enzimi che consentono la scomposizione delle glicoproteine umane e la sintesi di coaguli di fibrina umana. Tutte queste caratteristiche possono favorire la loro sopravvivenza, colonizzando la superficie vascolare con possibile formazione di biofilm [1].

Inoltre, i lattobacilli producono glicosidasi e proteasi che potrebbero essere associate alla capacità di crescere in vivo e/o essere un fattore nella patogenesi dell’endocardite; con produzione combinata di beta-N acetile-D-glucosaminidasi e alfa-D-galattosidasi, con attivazione della proteina C, del fattore X, del fattore di Hageman e di enzimi simili alla callicreina e alla chimotripsina [5, 6].

Russo et al. [1] hanno descritto una dissezione aortica secondaria alla penetrazione ematogena di Lactobacillus attraverso i difetti della parete aortica, Wood et al. [12] hanno riportato un caso di polmonite associata all’uso del ventilatore, Jones et al. [13] un caso di polmonite trasmessa dal polmone trapiantato; Namnyak et al. [14] un caso di ascesso polmonare.

In altri casi, il Lactobacillus è stato coinvolto in polmoniti, empiemi, infezioni del tratto urinario, nella corioamnionite, endometrite, meningite, ascessi intra-addominali, nella carie e nella malattia di Fournier [2, 7, 14, 29].

Le infezioni dovute a Lactobacillus sono rare tra le persone immunocompetenti senza fattori di rischio, mentre nei pazienti immunocompromessi possono essere associate a una significativa morbilità e mortalità [1].

Salminen et al. [30] hanno, infatti, presentato dati clinici su 89 pazienti con batteriemia da Lactobacillus e hanno riportato una mortalità del 26% a 1 mese e del 48% a 1 anno, mentre un altro studio ha mostrato una mortalità del 69% a 1 anno [31].

Diverse specie di lactobacilli sono responsabili dei casi riportati in letteratura. In particolare, Campagne J [8] segnala che la specie più isolata nelle endocarditi è il Lactobacillus rhamnosus (24%) seguita da L. acidophilus (18%), L. paracasei (12%) e L. casei (12%). Anche nei casi di polmonite [2] le specie documentate erano L. casei ssp. rhamnosus, L. rhamnosus e L. casei. Invece Lactobacillus Delbrueckii e L. Gasseri sono raramente identificati come agenti causali dell’infezione.

I fattori di rischio per la batteriemia comprendono gravi comorbilità sottostanti, terapia immunosoppressiva, precedente terapia antimicrobica inefficace contro i lattobacilli, diabete mellito, AIDS, cancro, intubazione, supporto ventilatorio, precedente intervento chirurgico o endoscopico, impianto di materiale protesico, valvulopatia, trapianto di midollo osseo [1, 32, 34] e non sempre è possibile stabilire la via di ingresso [24, 34, 39].

Esiste una certa preoccupazione circa la sicurezza del Lactobacillus utilizzato come probiotico. Doern et al. [15] nel 2014 hanno riportato un caso clinico di polmonite in un paziente immunocompromesso e hanno fornito prove sia cliniche che microbiologiche sul fatto che la causa della malattia era un ceppo probiotico; in altri casi, il Lactobacillus infettante isolato è stato confermato mediante tipizzazione del ceppo risultato identico al ceppo probiotico utilizzato dal paziente [1, 25, 30, 40, 42].

Neef et al. [42] descrivono il primo caso di peritonite correlata alla dialisi peritoneale ambulatoriale continua (CAPD) dovuta a Lactobacillus paracasei. Gli autori concludono che l’infezione da L. paracasei deve essere presa in considerazione nella diagnosi differenziale dei patogeni nella peritonite correlata alla CAPD, soprattutto dopo un trattamento prolungato con vancomicina o glicopeptidi. Infatti il paziente a causa di episodi ricorrenti di peritonite era stato trattato con un ciclo prolungato di vancomicina intraperitoneale. Inoltre gli Autori ribadiscono che il Lactobacillus può essere difficile da identificare, come nel nostro caso.

Invece Lee et al. [43], esaminando retrospettivamente le cartelle cliniche per Lactobacillus spp. isolato dal liquido peritoneale dal luglio 1998 al gennaio 2002 presso il Chang-Gung Memorial Hospital, Taipei, Taiwan, hanno descritto la presenza di Lactobacillus spp. nel liquido peritoneale come conseguenza della fuoriuscita della flora normale da un organo cavo intraddominale perforato.

Tuttavia, è importante sottolineare che l’incidenza di malattie gravi dovute ai lattobacilli è allo stato attuale estremamente bassa anche nei pazienti fragili.

Il trattamento più comunemente usato, riportato in letteratura, è rappresentato da penicilline e aminoglicosidi [30, 34, 44]. Tuttavia, Swenson et al. [45] hanno riportato un’elevata sensibilità ad eritromicina, clindamicina, gentamicina, tobramicina e cloramfenicolo e una ridotta sensibilità a ciprofloxacina e trimetoprim-sulfametossazolo. Hanno inoltre dimostrato una ridotta sensibilità a beta-lattamici, penicillina, ampicillina, cefalotina e ceftriaxone e hanno ipotizzato che la ragione sia la capacità dei lattobacilli di produrre acido lattico che abbassa il pH. L’attività battericida dei ß-lattamici è infatti dovuta a un enzima autolitico, la cui attività diminuisce quando il pH si abbassa. Il Lactobacillus sembra essere resistente alla vancomicina; il meccanismo di resistenza alla vancomicina non è chiaro. Anche l’imipenem è molto efficace [32, 34, 42, 46].

Il caso clinico descritto focalizza l’attenzione sulla notevole difficoltà nell’identificare la sede di origine dell’infezione nella nostra paziente in  emodialisi cronica.

Come riportato in letteratura, anche nella nostra paziente, l’infezione si manifesta in modo indolente con astenia progressiva e febbre che non supera mai i 38,5°C.

La tabella 2 mostra che i risultati di laboratorio non sono specifici. La paziente era un’utilizzatrice moderata di probiotici che sono stati immediatamente interrotti.

Tabella 2. Esami di laboratorio eseguiti durante il periodo di follow-up.
Tabella 2. Esami di laboratorio eseguiti durante il periodo di follow-up.

La paziente è una donna immunocompromessa con una storia di malattia valvolare cardiaca. Come riportato, queste sono due importanti condizioni che predispongono all’infezione da lattobacilli.

L’ecografia cardiaca, sia convenzionale che transesofagea, non è riuscita a dimostrare la presenza di endocardite. La PET Total body ha mostrato un intenso iperaccumulo del tracciante in più siti, non specifico. La TC del torace e dell’addome sono risultate negative, così come l’endoscopia digestiva. Le emocolture non sono sempre state in grado di fornire o negare una diagnosi di infezione CVC correlata (Tabella 1) e comunque, quando il catetere è stato rimosso, la coltura della punta è risultata negativa. Nonostante le cure odontoiatriche e parodontali, l’infezione si è nuovamente ripresentata, negando indirettamente l’origine dell’infezione dal cavo orale.

Purtroppo non è stato possibile identificare con precisione la sede dell’infezione, anche se è probabile che la fonte sia il tratto gastrointestinale. Seguendo il consiglio del gastroenterologo, la paziente è stata trattata con rifampicina; le colture da CVC sono rimaste negative per 4 mesi fino alla sua morte, e quindi non abbiamo la certezza di aver ottenuto l’eradicazione dell’infezione e quanto la terapia con Rifaximina avrebbe potuto svolgere un ruolo determinante nella risoluzione definitiva dell’infezione.

 

Conclusioni

Sebbene i dati clinici supportino l’efficacia dei lattobacilli per il trattamento di varie condizioni patologiche, compresa la malattia renale cronica [47] il loro uso a lungo termine può indurre cambiamenti nell’ecosistema microbico del tratto gastrointestinale. Il significato clinico dei lactobacilli isolati da siti normalmente sterili è ancora oggi oggetto di dibattito.

Il nostro caso clinico sottolinea l’enorme difficoltà nell’identificare il focolaio infettivo in un paziente portatore di un CVC con colture che a causa della lenta crescita del microorganismo, non sempre permettevano di escluderne la localizzazione in tale sede, dilatando i tempi di una corretta identificazione della sede di origine dell’infezione e nell’impostare la terapia appropriata.

 

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