Maggio Giugno 2024 - Nefrologo in corsia

COVID-19 and Lupus Nephritis Flares in Unvaccinated Patients: A Case Report and Literature Review

Abstract

Viral infections are one of the most common triggers of Systemic Lupus Nephritis (SLE) flare-ups. COVID-19 pneumonia can be severe in patients affected by SLE representing a risk factor for lupus nephritis flare. We report the case of a 28-year-old woman with a history of lupus nephritis (LN), who relapsed with severe nephritic-nephritic syndrome after the resolution of COVID-19 pneumonia.

In addition, we conducted a literature review to analyze all described cases of LN, vaccinated and unvaccinated, in COVID-19 showing that the course of COVID-19 is more severe in SLE patients with renal involvement, especially in those who have not been vaccinated. Vaccination is the most important measure for preventing COVID-19 in people with rheumatic diseases such as SLE.

The case and data we present suggests that LN relapses can occur even after the infection has resolved and illustrates the benefit of vaccination, the role of modulation of immunosuppression during COVID-19 and the specific risk of disease relapse during SARS-CoV-2 infection.

Keywords: SARS-CoV-2, SLE, flare, lupus nephritis, vaccination, COVID-19

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Introduzione

La nefrite lupica rappresenta una delle manifestazioni più severe del Lupus Eritematoso Sistemico (LES) e colpisce circa il 35-60% dei pazienti a seconda del sesso, dell’etnia e dell’età di insorgenza della malattia [1]. Sulla base della classificazione ISN/RPS [2, 3], la nefrite lupica viene classificata in sei classi istologiche, in cui il rischio di morte per causa renale diventa particolarmente significativo per le classi di tipo proliferativo (classe III, IV e V). Le classi III e IV, infatti, sono associate a prognosi peggiore, con un maggior rischio di progressione verso l’End-Stage Kidney Disease (ESKD) che si manifesta nel 10% dei pazienti.

In questo contesto i flare renali costituiscono una delle principali cause di perdita dei nefroni e pertanto della progressione della funzione renale verso l’ESKD [1, 4]. Per “flare” o recidiva di malattia si intende un incremento di attività della stessa che richiede rimodulazioni terapeutiche. I flare possono essere classificati in nefritici e proteinurici, lievi, moderati o severi. In particolare, si definiscono nefritiche le recidive in cui vi è un aumento riproducibile della creatinina sierica ≥30% (o, una diminuzione del GFR di >10%) e un sedimento urinario attivo con aumento dell’ematuria glomerulare di ≥10 globuli rossi per campo, indipendentemente dalla presenza o meno di proteinuria. I flare nefrosici, invece, sono definiti dal raddoppio riproducibile del rapporto proteine urinarie/creatininuria (UPCR) a >100 mg/mmol dopo una risposta completa o il raddoppio riproducibile dell’UPCR a >200 mg/mmol dopo una risposta parziale [4, 5].

Le infezioni virali, inclusa l’infezione da SARS-CoV-2, rappresentano un possibile trigger delle malattie autoimmuni come il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) e di flare nei pazienti con impegno renale [6].

Una possibile associazione tra l’insorgenza della malattia COVID-19 e le malattie autoimmuni è stata ben descritta [6, 8] e si caratterizza per un duplice aspetto; da una parte i pazienti in trattamento immunosoppressivo presentano un maggior rischio di sviluppare un decorso più severo della malattia COVID-19, dall’altra l’infezione da SARS-CoV-2 può costituire un trigger capace di indurre riacutizzazioni di una nefropatia pre-esistente, complicandone il decorso clinico sia durante che dopo la risoluzione del COVID-19 [9, 12]. Le due patologie condividono, infatti, diversi aspetti patogenetici, che rendono complessa la gestione dei pazienti con LES che contraggono il COVID-19. Ad oggi, inoltre, mancano studi che permettano di definire e standardizzare l’approccio ottimale per questi pazienti, sia per quanto riguarda l’applicazione di protocolli del trattamento immunosoppressivo durante le fasi più severe della malattia COVID-19, che per la gestione delle riacutizzazioni che intervengono a seguito dell’infezione da SARS-CoV-2.

Descriviamo il caso di una paziente affetta da LES con nefrite lupica (classe IV G-cronico) riacutizzata dopo risoluzione di una polmonite COVID-19, descrivendone la rimodulazione della terapia immunosoppressiva durante l’infezione, le caratteristiche del flare e lo stato vaccinale, in associazione ad una revisione della letteratura, comprensiva di pazienti non vaccinati e vaccinati per COVID-19.

 

Caso clinico

La paziente è una donna di 28 anni, affetta da nefrite lupica allo stadio IV G-cronico, che durante un periodo di quiescenza della malattia è andata incontro ad un flare nefritico/nefrosico, manifestatosi a circa due settimane di distanza dalla guarigione dell’infezione da SARS-Cov-2.

In anamnesi: esordio del LES all’età di 3 anni con prevalente manifestazione ematologica (anemia emolitica autoimmune), successivamente complicata da nefrite lupica esordita con un quadro nefritico/nefrosico (funzionalità renale nella norma, proteinuria 3 g/die, presenza di microematuria con acantociti rilevati all’analisi del sedimento). In seguito alla scarsa risposta clinica, all’età di 14 anni (2007) veniva eseguita una biopsia renale che poneva diagnosi di nefrite lupica classe IV-A.   Negli anni la paziente è andata incontro a molteplici flare di malattia a prevalente manifestazione renale, che hanno richiesto numerosi tentativi terapeutici che comprendevano corticosteroidi, mantenuti quasi costantemente, inibitori del RAAS, micofenolato mofetile (MMF), tacrolimus, ciclosporina, rituximab, ciclofosfamide, azatioprina e infusione di cellule mesenchimali. Nel corso di una di queste recidive nefritico-nefrosiche, la paziente veniva sottoposta a una seconda biopsia renale (maggio 2010) con evidenza di una glomerulonefrite membrano-proliferativa attiva senza importanti esiti sclerotici (stadio IV-A). Buona parte di queste terapie sono state effettuate presso la nefrologia pediatrica. La transizione presso la nostra Struttura è avvenuta a circa 20 anni (nel 2013). Al momento della presa in cura la paziente presentava funzionalità renale nella norma (creatinina 0,75 mg/dl), proteinuria nefrosica, ANA e anti-DNA a basso titolo e C3 e C4 nella norma. Veniva avviata triplice terapia con steroide, MMF, tacrolimus e veniva introdotta idrossiclorochina garantendo una stabilità della malattia fino a dicembre 2017, momento in cui si assisteva ad un nuovo flare nefrosico, trattato con boli di metilprednisolone, seguiti poi da steroide per os e progressivo potenziamento del mofetile micofenolato, ottenendo una risposta clinica e laboratoristica.

A settembre 2019 si assisteva ad un nuovo peggioramento della funzione renale e della proteinuria, con consumo di C3, per cui la paziente veniva sottoposta ad una terza biopsia renale che dimostrava una glomerulonefrite a pattern membrano-proliferativo/mesangiocapillare in fase di cronicizzazione (stadio IV-G cronico). In tal occasione è stata anche valutata l’attività del complemento in vitro, che è risultata nella norma su siero, mentre l’attività su cellule endoteliali è risultata ai limiti superiori della norma; l’analisi genetica non ha identificato varianti patogenetiche per glomerulonefrite membranoproliferativa/glomerulopatia a depositi di C3 nei geni indagati (CFH, MCP, CFI, C3, CFB, THBD, DGKE, C5, CFHR1-5, MMACHC, ADATMTS13). Si avviava, pertanto, un nuovo ciclo di induzione con micofenolato mofetile, tacrolimus e prednisone, ottenendo una remissione fino a luglio 2020 (creatinina 1,3 mg/dL; proteinuria 0,8 g/24h).

Nel luglio 2020 si documentava un ulteriore flare nefritico/nefrosico (creatinina 2,8 mg/dL; proteinuria 16 g/24h) per cui si rendeva necessario impostare un trattamento aggressivo della recidiva (boli endovena di metilprednisolone associati ad un potenziamento della terapia con tacrolimus e mofetile micofenolato), ottenendo una remissione parziale nell’ottobre 2020 (creatinina 1,6 mg/dL, proteinuria 2,8 g/24h).

Tuttavia, a fine ottobre 2020 la paziente incorreva in un’infezione da SARS-CoV-2, lamentando febbre, tosse, astenia e dolori retrosternali. Nei giorni successivi, vista la persistenza della sintomatologia e la comparsa di diarrea, la paziente si recava in Pronto Soccorso, dove veniva riscontrata una lieve insufficienza respiratoria all’emogas arterioso. All’ecoscopia veniva segnalata la presenza di linee B diffuse bilateralmente e di lieve versamento pleurico, per cui si richiedeva un RX del torace con evidenza di chiazzette addensative bilaterali (Figura 1). La paziente veniva, quindi, ricoverata presso il reparto di Malattie Infettive per gli accertamenti e le cure del caso.

Agli esami ematochimici si evidenziava una AKI 3 con creatinina 1.87 mg/dl, urea 141 mg/dL, PCR 21 mg/L, globuli bianchi 9380/µL, Hb 9,3 g/dl, piastrine 183.000/µL, ferritina 209 µL/L, IL-6 122 pg/mL. Il SLE-DAS calcolato era pari a 27. Eseguiti coprocoltura e parassitologico che risultavano negativi. Si avviava terapia antibiotica con amoxicillina/clavulanato e claritromicina e si potenziava la terapia steroidea. Si proseguiva la terapia con tacrolimus, sospeso solo per qualche giorno per il riscontro di elevati livelli di tacrolemia. Veniva, invece, sospesa la terapia con mofetile micofenolato, senza che la paziente venisse nuovamente rivalutata dal nefrologo. Durante il ricovero si assisteva ad un ulteriore peggioramento della funzione renale e della proteinuria (2 g/24 ore). La paziente veniva dimessa dopo circa una settimana, con tampone molecolare ancora positivo, asintomatica, con programma di follow-up presso il nostro Day Hospital nefrologico (Tabella 1).

RX torace. Addensamenti parenchimali bilaterali
Fig.1: RX torace. Addensamenti parenchimali bilaterali; a sinistra è possibile notare una piccola cavitazione.
Cronologia del decorso della malattia in base ai giorni dalla presentazione iniziale della malattia
Tabella 1. Cronologia del decorso della malattia in base ai giorni dalla presentazione iniziale della malattia e ai giorni dal ricovero in ospedale. + significa che il paziente risulta positivo al SARS-CoV-2. – significa che il paziente risulta negativo al SARS-CoV-2. X indica che la radiografia toracica è stata effettuata in quel giorno.

Alla dimissione la creatinina era pari a 1,60 mg/dL, la proteinuria delle 24 ore era di 2,4 g/die, con un valore di eritrociti nelle urine paria a 5/µL.

A circa un mese dalla dimissione e a due settimane dalla negativizzazione del tampone per COVID-19, la paziente si presenta alla nostra attenzione per severa astenia, ipertensione mal controllata e sindrome edemigena scarsamente responsiva alla terapia diuretica. Veniva effettuato un tampone per SARS-Cov-2 che risultava negativo. Agli esami di laboratorio si riscontravano valori di creatinina in progressivo peggioramento fino al valore massimo di 2,52 mg/dL, proteinuria 5,8 g/24 ore, albumina 2,88 g/dL, sedimento urinario attivo (eritrociti 611/µL, globuli bianchi 19 µ/L), indici di flogosi spenti, C3 e C4 consumati, anti n-DNA, ANA e anticorpi anti-fosfolipidi assenti. È stata esclusa la microangiopatia trombotica. Nel sospetto di un flare nefritico/nefrosico secondario alla recente infezione da SARS-CoV-2, si proponeva alla paziente l’esecuzione di una nuova biopsia renale, che tuttavia rifiutava.

La paziente veniva ricoverata qualche giorno presso il nostro reparto di Nefrologia e Dialisi, per avviare un ciclo di induzione con bolo di metilprednisolone e tacrolimus. Veniva reintrodotto il micofenolato mofetile (sospeso in ambiente internistico e mantenuto sospeso alla dimissione senza richiedere una rivalutazione nefrologica), ottenendo una remissione iniziale.  Veniva, inoltre, ottimizzata la terapia antipertensiva con un discreto miglioramento dei valori pressori.  Veniva eseguito un eco-color-doppler del circolo renale in cui venivano esclusi segni di trombosi delle vene renali e di stenosi delle arterie renali.

A marzo 2021 si avviava trattamento con belimumab endovena a dosaggio di 640 mg/mese, ben tollerato dalla paziente, che ha determinato un ulteriore miglioramento della funzione renale e una riduzione della proteinuria (1,4 g/24h, valore pre-trattamento 5 g/24h).

Nei mesi successivi, la paziente ha ottenuto una remissione stabile con passaggio a terapia di mantenimento (prednisone 5 mg, micofenolato mofetile 500 mg 2 volte al giorno e tacrolimus 1 mg 2 volte al giorno) con prosecuzione del trattamento con belimumab mediante somministrazione mensile endovena (Figura 2). A gennaio 2022 la paziente veniva sottoposta per la prima volta a vaccinazione anti-COVID19 con vaccino Moderna.

A febbraio 2022 la paziente incorreva in una reinfezione da SARS-CoV-2, con manifestazioni cliniche minori e senza complicanze renali, che è stata gestita con una momentanea sospensione del MMF e con un aumento della dose di steroide, mantenendo invariata la restante terapia in atto.

Ad oggi la paziente non ha più manifestato flare di malattia, mantenendo una stabilità clinica e laboratoristica e un’adeguata risposta anticorpale al vaccino.

Figura 2. Andamento dei valori di creatinina e di proteinuria in relazione al trattamento farmacologico applicato.
Figura 2. Andamento dei valori di creatinina e di proteinuria in relazione al trattamento farmacologico applicato.

 

Casi di flare post-Covid in pazienti con LES non vaccinati: revisione della letteratura

Per poter individuare eventuali fattori predisponenti l’insorgenza di flare, abbiamo effettuato una revisione della letteratura disponibile, avvalendoci dell’uso di PubMed, dei casi descritti di COVID-19 in pazienti affetti da nefrite lupica, dall’inizio della pandemia a dicembre 2022 (Tabella 2). In tabella sono riportati i casi di COVID-19 in pazienti non vaccinati per SARS-CoV-2 e affetti da nefrite lupica. È stata individuata una casistica di 19 pazienti. In 13 pazienti su 19 (68,4%) l’infezione da SARS-CoV-2 ha avuto un decorso severo/critico e in 6 di questi pazienti si è osservato un flare renale (31,5%).

In 8 casi (47%) non è stato riportato l’andamento della malattia renale in corso di infezione. Solo per 5 pazienti (29,4%) il decorso del COVID-19 è risultato lieve-moderato, con nessun flare descritto di tipo renale.

Sono emerse delle differenze nel decorso della malattia virale probabilmente associate al tipo di terapia immunosoppressiva. In particolare, i pazienti della casistica in terapia con prednisone e ciclofosfamide (5 pazienti, 29%) hanno avuto un decorso clinico più frequentemente severo, rispetto al gruppo di pazienti in trattamento con idrossiclorochina e belimumab, dove l’andamento della malattia virale e i flare renali sono apparsi più lievi.

Le forme più severe sono risultate associate a un’età mediana di 45 anni, a una durata della malattia più lunga e a una classe istologica di tipo proliferativo, quest’ultima presente in 5 casi. In base ai dati disponibili, in 2 pazienti si è registrato una riduzione dei livelli del complemento e un aumento dei livelli anticorpali di anti-dsDNA.

Durante l’infezione da SARS-CoV-2 la terapia immunosoppressiva è stata sospesa in 3 casi, dei quali uno solo ha manifestato un flare di malattia renale.

Abbiamo, inoltre, esaminato la casistica pubblicata più recentemente da un gruppo indiano [13], che comprendeva 16 pazienti con nefrite lupica, affetti da SARS-CoV-2, non vaccinati, afferiti al Sri Padmavathi Medical College Hospital dall’inizio della pandemia a dicembre 2021. La maggior parte era composta da donne, con un’età mediana di 29 anni. Dieci pazienti presentavano una nefrite lupica classe IV (62%), 4 pazienti la classe III+IV (25%) e i rimanenti una classe V. Di questi 16 pazienti, 8 risultavano in terapia di induzione data la recente diagnosi di nefrite lupica, mentre altri 9 erano in terapia di mantenimento con prednisone, MMF e azatioprina. L’andamento del COVID-19 si è rilevato più severo e mortale nei pazienti in terapia di induzione (50%), che hanno necessitato, inoltre, di trattamento emodialitico. Tutti questi pazienti presentavano all’ingresso livelli di creatinina più elevati rispetto al resto dei casi, con titoli anticorpali anti-dsDNA e complementemia sovrapponibili agli altri pazienti. A differenza della nostra casistica, i pazienti che sono andati incontro a una prognosi infausta erano più giovani, con un’età mediana di 20 anni. In una paziente di 17 anni, affetta da nefrite lupica classe IV, è stato registrato un flare nefritico secondario all’infezione da SARS-CoV-2, con necessità di avviare trattamento emodialitico e non responsivo alla rimodulazione della terapia immunosoppressiva.

 

Discussione

Il COVID-19, conosciuto anche come malattia respiratoria acuta da SARS-CoV-2, è una malattia respiratoria infettiva causata dal nuovo ceppo di coronavirus SARS-CoV-2 identificato per la prima volta a Wuhan, in Cina, nel 2019.  Nella maggior parte dei casi si manifesta in forma asintomatica o paucisintomatica, con sintomi simil influenzali, come febbre, astenia, tosse secca, mialgie, anosmia e disturbi gastrointestinali, come la diarrea. In un numero minore di casi, tuttavia, i pazienti affetti possono incorrere in manifestazioni cliniche più severe, caratterizzate da polmonite bilaterale, con dispnea, fino al distress respiratorio acuto, che possono evolvere rapidamente verso lo shock settico e l’insufficienza multiorgano [12]. I pazienti maggiormente a rischio di evolvere verso forme più severe di malattia sono quelli più anziani e fragili, come i pazienti affetti da patologie autoimmuni o con uno stato immunitario compromesso.

Il Lupus Eritematoso Sistemico è una malattia infiammatoria cronica, autoimmune, in cui vi è un’aberrante risposta immunitaria che espone i pazienti affetti ad essere più suscettibili alle infezioni, suscettibilità che aumenta anche a causa dell’uso di corticosteroidi sistemici e di farmaci immunosoppressori [14].

La nostra paziente ha sviluppato un’infezione da SARS-CoV-2 in un periodo di immunosoppressione importante, dato il recente flare di nefrite lupica. Questo aspetto suggerisce come i flare debbano essere considerati dei potenziali fattori di rischio per l’insorgenza di COVID-19 nei pazienti affetti da LES in particolare nella fase iniziale di trattamento quando è richiesto un incremento dell’immunosoppressione. Nella casistica indiana [13] il 50% dei pazienti era in terapia di induzione e ha sviluppato un decorso clinico severo del COVID-19 e un peggioramento significativo della malattia renale, tanto da necessitare di trattamento emodialitico sostitutivo.

Nella nostra revisione, la maggior parte dei casi descritti risultava in terapia di mantenimento, mentre una sola paziente era in terapia di induzione e ha manifestato un andamento severo non solo del COVID-19, ma anche della malattia renale. Dei 19 casi raccolti, 5 hanno manifestato un andamento lieve/moderato della malattia pur non sospendo la terapia immunosoppressiva. Dei restanti casi con andamento clinico severo, in 2 è stato sospeso il micofenolato mofetile alla diagnosi di COVID-19.

Il LES e il COVID-19 condividono alcuni meccanismi patogenetici che possono aiutare a comprendere meglio la suscettibilità nel contrarre infezioni nei pazienti affetti da LES, e il maggior rischio di slatentizzazione o peggioramento clinico della malattia autoimmune che può verificarsi in seguito a un’infezione, come quella da SARS-CoV-2 (Figura 3).

Figura 3. Meccanismi patogenetici condivisi nel LES e nel COVID-19.
Figura 3. Meccanismi patogenetici condivisi nel LES e nel COVID-19.

Una delle caratteristiche più comuni del LES è la linfopenia, dovuta ad una citotossicità mediata dall’attività del complemento o degli autoanticorpi, ad un’eccessiva apoptosi e ad una diminuita linfopoiesi [14]. Inoltre, risulta deficitaria l’attività delle cellule T CD8+. Una linfopenia, generalmente reversibile, è stata osservata anche nei pazienti affetti da COVID-19, soprattutto tra quelli con le forme più severe. Anche la risposta umorale risulta essere compromessa, tant’è che è associata a una prognosi peggiore, similmente a quanto accade nel LES. La nostra paziente non ha mostrato una significativa linfopenia, ma è andata incontro a una riduzione dei livelli di complemento (C3 71 mg/dL, C4 9 mg/dL), elemento suggestivo di riattivazione della malattia lupica. Nella nostra casistica, 4 pazienti hanno manifestato un’ipocomplementemia in seguito all’infezione da SARS-CoV-2.

Nei pazienti affetti da forme severe di SARS-CoV-2 l’attività del complemento è stata associata a una risposta immunitaria abnorme con conseguente danno tissutale, principalmente di natura microvascolare [14]. Nel nostro caso, infatti, la paziente non aveva segni di microangiopatia trombotica ma ha presentato una grave forma di riacutizzazione a impegno glomerulare severo (nefritico/nefrosico) nel contesto di un’importante risposta infiammatoria.

Un altro aspetto importante nella patogenesi delle due malattie è il ruolo dell’INF di tipo I. Nei pazienti affetti da LES si trovano generalmente elevati livelli di INF di tipo I, che ha proprietà antivirali e che inibisce la replicazione virale [15]. A tal proposito, si è visto che i pazienti con manifestazioni cliniche gravi di COVID-19, presentano una risposta meno efficiente da parte di INF di tipo I e presentano livelli plasmatici elevati di TNF-a e IL6, citochine pro-infiammatorie. Studi più recenti hanno, inoltre, dimostrato come via sia una variazione temporale nella risposta citochinica dei pazienti affetti da COVID19, con un’iniziale risposta condotta da INF di tipo I seguita da una risposta pro-infiammatoria nelle fasi più tardive della malattia.  L’eccessiva produzione e il conseguente rilascio di citochine e chemochine, come IL-2, IL-6, IL-10, IL-8, IL-17, possono causare danni tissutali severi, così come si verifica in alcune malattie autoimmuni [16]. I livelli di IL-6 della nostra paziente hanno raggiunto il valore massimo di 122 pg/mL, mentre non erano disponibili i dosaggi delle altre interleuchine.

La risposta infiammatoria di INF di tipo I nel LES è anche favorita dalla presenza di trappole extracellulari di neutrofili (NETs). Le NETs sono fibre di cromatina con proteine ad attività battericida e opsonica, che vengono rilasciate dai neutrofili nell’ambiente extracellulare in risposta a stimoli infiammatori e infettivi. Diversi studi hanno dimostrato la presenza di NETs nel siero dei pazienti affetti da COVID-19. In questi pazienti è stato riscontrato un progressivo aumento della neutrofilia, con disfunzione endoteliale e trombosi disseminate [16, 17].

Le due malattie, inoltre, sono accomunate dal riscontro di autoanticorpi, come gli ANA, il lupus anticoaugulans e gli anti-Ro/SSA [12]. Il virus, infatti, oltre ad indurre un’iperstimolazione del sistema immunitario, favorisce la formazione di autoanticorpi grazie al meccanismo del mimetismo molecolare. Si è visto che i pazienti affetti da COVID-19, in cui si riscontrava la presenza di uno o più autoanticorpi, tendono ad avere una prognosi peggiore. La presenza di anticorpi antifosfolipidi sembra essere associata ad uno stato iperinfiammatorio, caratterizzato da elevati livelli di ferritina, di PCR e IL-6, oltre che da un aumentato rischio di tromboembolismo polmonare. Sono stati descritti casi di sindrome di Guillan Barrè, porpora trombotica trombocitopenica, tiroiditi, cerebriti comparsi dopo l’infezione da COVID-19 [18].

Nella casistica da noi riportata, in 4 casi si sono registrati livelli anticorpali aumentati. In tutti e 4 i casi l’andamento del COVID-19 risultava severo e solo in uno era stata sospesa momentaneamente la terapia immunosoppressiva. Tra i pazienti raccolti dal gruppo indiano non si sono registrate differenze significative nel titolo anticorpale prima e durante l’infezione da COVID-19.

Nelle casistiche esaminate, nessun paziente risultava vaccinato. Nel nostro caso, la paziente non risultava vaccinata per motivi temporali e ha sviluppato una forma grave di flare, risoltasi definitivamente dopo l’introduzione del belimumab, mai somministrato in precedenza. La paziente è stata vaccinata la prima volta a gennaio 2022.

In uno studio retrospettivo di coorte [19], recentemente pubblicato da un gruppo canadese, sono stati individuati durante il periodo pandemico 1105 pazienti affetti da glomerulonefrite, di cui 142 risultavano affetti da nefrite lupica, prevalentemente di classe III e IV. Tutti i pazienti erano stati sottoposti ad almeno una vaccinazione, mentre l’89% a due dosi. Si è visto che dei 142 pazienti affetti da nefrite lupica, 30 pazienti (il 21%) hanno manifestato un flare di malattia dopo la prima vaccinazione, mentre dopo due-tre dosi di vaccino solo il 12% ha avuto una riacutizzazione della nefrite lupica, intesa come peggioramento di funzione renale e della proteinuria. Una piccolissima quota di pazienti, il 5%, ha sviluppato un flare di malattia relato alla somministrazione del vaccino, indipendentemente dal tipo di vaccino. Ciò che emerge è che il 78% dei pazienti dopo la prima dose non è incorso in riacutizzazioni di malattia lupica, manifestando un decorso clinico lieve del COVID-19. Tale percentuale aumenta dopo due-tre dosi, a dimostrazione dell’effetto protettivo della vaccinazione, non solo verso l’infezione da SARS-CoV-2, ma anche verso i flare.  La nostra paziente, infatti, dopo la terza dose, è incorsa in una reinfezione da COVID-19, con andamento paucisintomatico, che non ha determinato riacutizzazioni della nefrite suggerendo il ruolo centrale della vaccinazione in questi pazienti nel ridurre la gravità delle infezioni SARS-CoV-2, e conseguentemente il rischio di riacutizzazioni di nefrite lupica post COVID-19.

Sebbene i pazienti affetti da LES siano esposti a un maggior rischio di contrarre infezioni, sia per la disregolazione del sistema immunitario che per l’impiego di numerosi farmaci immunosoppressori, le attuali evidenze suggeriscono che la terapia abituale non dovrebbe essere sospesa, al fine di evitare anche eventuali “flare” di malattia, seppur questo punto richieda ulteriori dimostrazioni [20, 21]. Inoltre, l’uso di farmaci antireumatici modificanti la malattia (DMARDs) come l’idrossiclorochina, il micofenolato mofetile, l’azatioprina o il metotrexate, non sembrano peggiorare l’outcome dei pazienti che contraggono il COVID-19. Nella nostra revisione, solo una paziente è deceduta, e risultava affetta da una nefrite lupica classe V da 23 anni. Nella casistica indiana [13] 7 pazienti su 16 sono deceduti ed erano tutti in terapia di induzione, che non è stata rimodulata né sospesa durante l’infezione da Sars-CoV-2.

Il nostro caso mette in evidenza come una prolungata sospensione dei farmaci possa essere dannosa in questo gruppo di pazienti ed esporre a gravi recidive di nefrite lupica, così come descritto nella nostra revisione. Tra il gruppo di pazienti indiani, 9 erano in terapia di mantenimento e solo in due casi (22%) si è assistito a flare di malattia renale.

Al momento del primo flare di malattia della nostra paziente, non vi erano raccomandazioni concordanti sulla gestione e sulla modulazione della terapia immunosoppressiva. A tal proposito, le linee guida EULAR [22], aggiornate a novembre 2021, suggeriscono di continuare ad assumere la terapia steroidea, anche se si contrae il COVID-19. Tuttavia, le indicazioni a non sospendere il resto della terapia immunosoppressiva in corso di COVID-19 non sono espresse in maniera in letteratura, e la qualità delle evidenze disponibili non è sufficiente a porre una raccomandazione generale.

Appare, quindi, evidente la necessità di creare dei protocolli concordati sulla gestione della terapia immunosoppressiva nei pazienti affetti da LES che contraggono il COVID-19, soprattutto per non incorrere in riacutizzazioni di malattia.

Sicuramente esse risultano favorite dalla riduzione o dalla sospensione della terapia immunosoppressiva effettuate per gestire la fase acuta dell’infezione. Tuttavia, riconoscere e trattare un flare di LES in un paziente con infezione da SARS-CoV-2, o recentemente guarito dalla stessa, può risultare complesso in quanto le ricadute di malattia si manifestano da un lato con una sintomatologia simile alle forme paucisintomiche di COVID-19, quali febbre, mialgie, astenia, dall’altro con casi di riacutizzazione di nefrite lupica e di citopenie ematologiche severe.

Nel caso della nostra paziente, oltre ad aumentare la posologia della terapia steroidea, proseguendo la restante terapia in atto con micofenolato e tacrolimus, è stato aggiunto il belimumab al dosaggio di 640 mg/mese. Il belimumab è un anticorpo monoclonale totalmente umanizzato, che lega lo stimolatore dei linfociti B (BlyS), generalmente overespresso nei pazienti con LES.  Le concentrazioni di BlyS sono associate a variazioni nell’attività della malattia e al titolo anticorpale degli anticorpi anti-dsDNA. Il belimumab inibisce l’attività biologica di BlyS, riducendo i linfociti B CD20+ circolanti e il titolo anticorpale [23, 24]. L’uso di belimumab, in diversi studi, ha dimostrato la possibilità di ridurre il dosaggio del prednisone, riducendo gli effetti avversi a medio e lungo termine, così come il rischio di infezioni [25, 27].

Nel nostro caso la paziente ha ottenuto una buona risposta clinica e laboratoristica, con remissione parziale della riacutizzazione. Lo stesso schema terapeutico è stato adottato anche in corso di reinfezione senza condizionare la severità della infezione da SARS-COv-2. È importante sottolineare come tra la prima e la seconda infezione, la paziente sia stata sottoposta a vaccinazione con vaccino COVID-19 mRNA BNT162b2 (Comirnaty), noto come Pfizer-BioNTech, ottenendo una buona risposta anticorpale. Nella reinfezione i sintomi sono stati lievi, perciò è stato possibile proseguire il trattamento immunosoppressivo, in accordo con quanto indicato dalle linee guida internazionali. Lo stesso si è visto nella casistica canadese dove i 142 pazienti affetti da nefrite lupica, vaccinati con vaccini a mRNA (Pfizer- BioNTech e Moderna), hanno potuto proseguire la loro terapia immunosoppressiva.

Le attuali linee guida EULAR raccomandano fortemente la vaccinazione contro COVID-19 nei pazienti affetti da malattie reumatiche [22], preferibilmente con vaccini a RNA messaggero (Moderna, Pfizer) [26, 27]. In particolare, nei pazienti non ancora sottoposti a terapia immunomodulatoria o immunosoppressiva, si raccomanda di effettuare prima la vaccinazione. Le linee guida EULAR supportano, inoltre, l’impiego della terza dose e di una dose booster, sia perché alcuni pazienti non rispondono in maniera ottimale alla vaccinazione, sia perché la protezione data dai vaccini contro COVID-19 decresce gradualmente nel tempo [22].

Appare, quindi, centrale come la gestione del paziente affetto da malattia autoimmune sia estremamente complessa, sia per quanto concerne la modulazione della terapia in corso di infezione da SARS-CoV-2, sia per quanto attiene la prevenzione della stessa. Per tale motivo è importante che il percorso diagnostico-terapeutico sia effettuato in un contesto multidisciplinare.

AGE, SEX DISEASE DURATION SLE SYSTEM INVOLVEMENT SLE MEDICATIONS SEVERITY OF COVID-19 DIALYSIS

 

DISCONTINUATION OF IMMUNE SUPPRESSIVE MEDICATIONS RENAL INVOLVEMENT (FLARE) OUTCOME REFERENCES
28, W NA Renal HCQ, MA Critical Yes (patient already on hemodialysis)

 

No Yes (C3 and C4 reduced, anti-dsDNA increased) Improve [28]
39, W 2 months Renal, hematological

 

HCQ, cyclophoshamide Severe No No Lupus de novo (lupus nephritis class I) Improve [29]
32, W NA Renal HCQ, prednisolone, MMF Critical Yes No NA Improve [30]
29, W NA Renal HCQ, azathioprine, prednisolone

 

Severe No No (increased prednisolone) NA Improve [30]
39, W 15 years Renal, musculoskeletal, hematological HCQ, prednisolone, MMF Severe No No Worsening of kidney function

 

Improve [31]
27, W 17 months Renal, hematological, APS Oral corticosteroids, HCQ, cyclophosphamide Critical No No NA NA [32]
40, W 9 years Renal Oral corticosteroids, HCQ Critical No No NA NA [32]
52, W 21 years Renal, musculoskeletal, hematological MP, HCQ, MMF Severe No No No Improve [33]
28, W 2 years Renal, musculoskeletal, hematological MP, HCQ Mild to moderate No No No Improve [33]
28, W 15 years Renal, CV, hematological, APS HCQ, oral steroids, sekulimumab (for Hidradenitis suppurativa)

 

Mild to moderate No Sekulimumab No Improve [34]
63, M 23 years Renal (lupus nephritis class V) MMF, cyclophosphamide Critical No No No Death [35]
42, W 10 years Renal (chronic renal failure and nephrotic syndrome) Azathioprine, cyclophosphamide Critical No No NA Improve [36]
49, M NA Renal (lupus nephritis class III/V) Prednisone, MMF Mild to moderate Yes No NA Improve [37]
23, W 2 months Renal (lupus nephritis class IV) MP, MMF, HCQ Mild to moderate No No NA Improve [38]
25, W 1 year Renal (lupus nephritis class III) MMF, prednisone Mild to moderate No Temporarily held off on the day of diagnosis with COVID-19 NA Improve [39]
27, W NA Renal (end-stage renal disease on haemodialysis) MMF, HCQ, oral prednisone Severe Yes MMF was withdrawn at COVID-19 diagnosis NA Improve [40]

 

30, W NA Renal HCQ, MMF Severe No MMF was withdrawn at COVID-19 diagnosis

 

Nephrotic range proteinuria, hypoalbuminemia, hypocomplementemia and high titre of ANA

 

Improve [41]
51, W NA Renal (lupus nephritis class III) Azathioprine, MP Non severe No No Bilateral leg edema, Proteinuria, hypocomplementemia and high titre of anti-dsDNA

 

Improve [41]
53, W NA Renal (lupus nephritis class III) MP, cyclophosphamide, MMF Severe Yes No Worsening renal function, proteinuria, microhematuria, hypocomplementemia and high titre of anti-dsDNA Improve [41]
29.3, Case series (14 W, 2 M) NA Renal lupus nephritis class (10 class IV, 4 class III+IV, 2 class V) MP, cyclophosphamide (8 patients), Azathioprine, MP, MMF (8 patients) Critical (8 patients)

Severe (8 patients)

Yes (8 patients) No Worsening renal function, proteinuria, hypocomplementemia and high titre of anti-dsDNA Death (8 patients)

Improve 8 patients)

[13]
Tabella 2. Revisione della letteratura sui casi di LES con coinvolgimento renale e diagnosi confermata di COVID. NA: Not available; HCQ: Idrossiclorochina; MA: Acido micofenolico; MMF: micofenolato mofetile; MP: Metilprednisolone; APS: Sindrome da anticorpi antifosfolipidi.

 

Conclusioni

Il COVID-19 può avere un decorso grave nei pazienti con LES a coinvolgimento renale e condizionare l’andamento della nefrite lupica. Nel nostro caso la necessità di potenziare la terapia immunosoppressiva per il trattamento di un flare lupico ha esposto la paziente a un rischio aumentato di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2, che si è concretizzato nello sviluppo di una polmonite COVID-19 in un periodo in cui non era ancora disponibile il vaccino. Dall’altra parte, la sospensione della terapia durante il ricovero per COVID-19 ha implicato la riacutizzazione della nefrite lupica, mostrando come la modulazione della terapia di questi pazienti nel corso di una malattia COVID-19 risulti particolarmente complessa. Anche i casi descritti in letteratura e da noi rivisti mostrano decorsi clinici in linea con questa osservazione, particolarmente in soggetti non vaccinati. Nel rimodulare la terapia immunosoppressiva in pazienti affetti da LES e malattia COVID-19, pertanto, va tenuto in considerazione il rischio di relapse di nefrite lupica che può avvenire anche dopo risoluzione della malattia COVID-19. L’utilizzo del Belimumab, nel nostro caso, ha permesso di ottenere un buon risultato terapeutico. Il decorso clinico del COVID-19 appare più grave nei pazienti con LES a coinvolgimento renale, soprattutto se non vaccinati, pertanto, la vaccinazione deve essere considerata come strategia preventiva al fine di ridurre la comparsa di infezione da SARS-CoV-2 in individui suscettibili.

 

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