Marzo Aprile 2023 - In depth review

Acute kidney injury in severely burned patient: prevention and treatment

Abstract

Acute Kidney Injury (AKI) is associated with a great increase in morbidity and mortality in severely burned patients and occurs as a complication in more than 25% of these cases. The onset of ARF may be early or late. Early AKI depends mainly on reduced cardiac output resulting from fluid loss, rhabdomyolysis, or hemolysis. Late AKI, instead, is usually a consequence of sepsis and is often associated with multiorgan failure (MOF).

The first sign of AKI is the contraction of diuresis despite adequate volemic filling, which is followed by elevation of serum urea and creatinine. Fluid therapy is the main treatment in the burned victim: in the first few hours after injury, it aims to avoid hypovolemic shock and the possible related MOF, while later it becomes the cornerstone of treatment, besides antibiotic therapy in the case of sepsis onset. Particular care must also be taken in the choice of administered drugs in order to avoid possible nephrotoxic damage in addition to burning injury. Hemodialytic renal replacement therapy is used both for water balance management in patients requiring massive fluid infusions and for blood purification purposes to control the metabolic state, acid-base balance, and electrolytes abnormality. Our team has been collaborating for over 25 years in the management of severely burned patients admitted to the Centro Grandi Ustionati at the Bufalini Hospital in Cesena.

Keywords: Acute Kidney Injury (AKI), burn, sepsis, Continuous Renal Replacement Therapy (CRRT)

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Introduzione

Il danno renale acuto (Acute Kidney Injury AKI) è un evento che si verifica in più del 25% dei pazienti grandi ustionati e si associa a un tasso di mortalità elevato, di circa il 35% [1].

Si può presentare immediatamente dopo l’ustione oppure più tardivamente a seguito dello shock settico, nel contesto di insufficienza multiorgano (MOF) [2].

Solo una piccola percentuale degli ustionati affetti da AKI necessita del trattamento sostitutivo emodialitico (3% secondo una metanalisi del 2010, 8% secondo uno Studio del 2021), ma tra questi pazienti la mortalità è molto più elevata (65%-80%) [1, 3].  

La terapia con fluidi, il riconoscimento e il trattamento precoce della sepsi sono fondamentali per prevenire il danno renale acuto secondario a ustione [4].

 

Classificazione e alterazioni fisiopatologiche indotte dall’ustione

L’ustione è una patologia traumatica acuta che provoca un danno sia alla cute sia alle strutture sottostanti con conseguente perdita della funzione di barriera, con un meccanismo che può essere termico, chimico, elettrico, radiante o combinato. Anche se le ustioni e gli incendi causano oltre 300.000 morti ogni anno in tutto il mondo, la maggioranza delle ustioni non sono fatali [5].

Un’accurata valutazione dell’estensione e della profondità dell’ustione è necessaria per la corretta stima della gravità e della prognosi. Dal punto di vista clinico-assistenziale e prognostico le ustioni possono essere suddivise in minori, intermedie e maggiori in base alla superficie cutanea coinvolta e all’estensione in profondità dell’ustione; le caratteristiche di ciascun gruppo sono riportate in Tabella 1.

Ustioni minori Ustioni intermedie Ustioni maggiori
Superficie cutanea totale

< 15% (adulto)

< 10% (bambino e anziano)

15-25% (adulto)

10-20% (bambini)

>25% (adulti)

>20% (bambini)

Superficie cutanea totale, ustioni di terzo grado < 2% senza coinvolgere aree critiche (mani piedi viso perineo) < 10% >10% o tutte le ustioni di terzo grado di aree critiche
Tabella 1: Classificazione dell’ustione in base alla superficie cutanea coinvolta.

Per quanto riguarda l’estensione percentuale rispetto alla superficie corporea totale, si assume che l’area corrispondente alla superficie palmare del paziente, dita comprese, corrisponda approssimativamente all’1% della superficie cutanea totale. Questo permette una rapida stima dell’estensione percentuale nelle ustioni di piccola taglia. Negli altri casi la “regola del nove” di Wallace (capo 9%; arto superiore 9%; arto inferiore 18%; tronco 36%, genitali 1%), rappresentata in Figura 1, consente agevolmente un calcolo approssimativo dell’estensione. Schemi figurativi specialistici consentono una valutazione più accurata dell’estensione complessiva di ustioni multifocali, anche grazie alla considerazione di fattori di correzione per l’età pediatrica [6].

Figura 1: “Regola del nove” di Wallace.
Figura 1: “Regola del nove” di Wallace

È raro che una lesione da ustione sia uniforme in profondità, sono invece comuni ustioni miste o eterogenee [7]. La profondità di un’ustione può modificarsi fino a 7-10 giorni dal trauma [8].

Le ustioni si distinguono tradizionalmente, in base all’estensione in profondità, in ustioni di 1°, 2°, 3° e 4° grado [9, 10] come descritto in Tabella 2.

Ustione Caratteristiche
1° grado

Ustione Epidermica

Danni solo all’epidermide con risparmio della giunzione dermo-epidermica

2° grado

Ustione dermica

– Superficiale: Coinvolge epidermide e parte del derma papillare

– Intermedia: danni all’epidermide, derma papillare e parte del derma reticolare

– Profonda: interessa epidermide, derma papillare e buona parte del derma reticolare. Coinvolgimento delle strutture nervose superficiali

3° grado

Ustione a tutto spessore

Coinvolge epidermide, derma papillare e reticolare (inclusi follicoli piliferi, ghiandole sudoripare e terminazioni nervose). Può coinvolgere il tessuto sottocutaneo e le strutture sottostanti

4° grado Coinvolgimento delle strutture osteotendinee con carbonizzazione
Tabella 2: Classificazione dell’ustione in base all’estensione in profondità.

I meccanismi fisiopatologici conseguenti a un’ustione originano dal danno che il calore provoca a carico delle proteine cellulari che vanno incontro a necrosi coagulativa e alla liberazione di numerose sostanze pro-infiammatorie. In generale, la risposta locale tissutale è improntata alla vasodilatazione e all’aumento della permeabilità vasale. Ciò determina il passaggio di liquidi e proteine dal compartimento vascolare a quello extravascolare, e favorisce il rilascio di peptidi e sostanze a basso peso molecolare con attivazione della cascata coagulativa. A causa delle alte concentrazioni di peptidi vasoattivi, dell’ipoproteinemia sistemica e dei mediatori dell’infiammazione che determinano un’aumentata permeabilità generalizzata del microcircolo, nelle ustioni estese ad oltre il 20% della superficie corporea totale si sviluppa la malattia da ustione. Questa entità clinica si caratterizza per edema diffuso anche ai tessuti non ustionati che può persistere per alcuni giorni, con conseguente ipoperfusione di vari organi, quali reni e tratto intestinale, fino all’induzione di uno stato di shock ipovolemico, ipotensione e acidosi metabolica, emoconcentrazione e diselettrolitemia [11, 12].

Durante la fase acuta si osservano comunemente iperkaliemia per la necrosi cellulare e iponatriemia dovuta sia al passaggio di sodio a livello interstiziale sia al blocco dell’attività transmembrana sodio-ATPasica che determina un aumento del sodio intracellulare. Alla fase di vasodilatazione segue una vasocostrizione compensatoria, soprattutto renale e cutanea, che può comportare un’insufficienza renale acuta [9, 12]. La riduzione della gittata cardiaca è un segno distintivo della fase iniziale post-ustione. Anche se il suo meccanismo preciso non è chiaro, gli studi suggeriscono che la compromissione della contrattilità miocardica intrinseca sia probabilmente causata da mediatori circolanti. Da un punto di vista clinico, la riduzione della gittata cardiaca è il risultato combinato della diminuzione del volume plasmatico, dell’aumento del post-carico e della diminuzione della contrattilità [11]. Inoltre i mediatori chimici liberati favoriscono l’instaurarsi di un progressivo stato di immunodepressione e le catecolamine circolanti, il cortisolo, il glucagone ed altri mediatori, determinano uno stato di ipermetabolismo caratterizzato da ipercatabolismo proteico, lipolisi, gluconeogenesi e ureogenesi epatica [12].

 

Fisiopatologia del danno renale

Il danno renale acuto è una condizione patologica caratterizzata da un’improvvisa riduzione della funzione renale. Esistono diversi criteri per definirla, tra questi KDIGO, AKIN e RIFLE  [13].

Secondo le linee guida KDIGO per la diagnosi di AKI, illustrate in Tabella 3, esistono tre stadi di danno renale, definiti in base ai livelli di creatinina sierica e/o all’output urinario; molteplici studi ne hanno dimostrato la validità nella diagnosi precoce di AKI [3].

Stadio sCreat/GFR Output Urinario
1

Aumento di 1,5 – 1,9 volte il basale, o

Aumento ≥ 0,3 mg/dl in 48 ore

< 0,5 ml/kg/h per 6 – 12 ore
2 Aumento di 2,0 – 2,9 volte il basale < 0,5 ml/kg/h per ≥ 12 ore
3

Aumento di 3,0 volte il basale, o

Creat ≥ 4,0 mg/dl, o

Inizio del trattamento emodialitico, o

In pazienti di età < 18 anni, GFR < 35 ml/min

< 0.3 ml/kg/h per ≥ 24 ore, o

Anuria per ≥ 12 ore

Tabella 3: Linee Guida KDIGO per la diagnosi di AKI.

La creatinina sierica è un marker direttamente proporzionale alle masse muscolari e inversamente proporzionale al filtrato glomerulare; fino a quando le masse muscolari sono conservate, può essere considerata un affidabile indicatore del eGFR [1, 13]. Nel paziente gravemente ustionato però la rabdomiolisi, il depauperamento muscolare e le possibili amputazioni, rendono la creatinina un indicatore non sempre accurato della funzione renale residua.

Il diminuito output urinario è un evento fisiologico nei pazienti ustionati e non è quindi affidabile per definirne la funzione renale residua, anche perché, in caso di mantenuto output urinario, questo deve essere comunque rapportato alla terapia in corso basata sul riempimento volemico.

La fisiopatologia del danno renale acuto nel paziente ustionato è multifattoriale e può essere suddivisa in 3 fasi [1]:

  1. Fase “tossica”: è la fase immediatamente successiva all’ustione, caratterizzata da severa ipovolemia e conseguente ipoperfusione renale.  In questa fase è necessario garantire al paziente un riempimento volemico adeguato a ripristinare una corretta perfusione di tutti gli organi. Tuttavia l’eccesso di fluidi può determinare sovraccarico idrico, con le complicanze ad esso relate (sindrome addominale compartimentale, congestione venosa addominale e renale, aumento del postcarico renale) che concorrono ad accelerare la progressione di AKI [1, 14].
    La sindrome compartimentale addominale è una complicanza dell’aumento della pressione intraddominale (Increased intra-Abdominal Pressure – IAP) [15].
    Nei pazienti grandi ustionati gli elementi che tipicamente possono favorire l’aumento della pressione intraddominale sono rappresentati dal danno termico a carico dell’addome, dalla fuoriuscita di liquidi dal letto capillare in corso di risposta infiammatoria sistemica, e dall’ importante riempimento volemico.
    L’IAP inoltre provoca aumento della pressione intratoracica per sopraelevazione del diaframma, compressione del cuore, ridotto ritorno venoso  e conseguente ridotta gittata cardiaca [15].
    Il rene, organo che riceve il 25% della gittata cardiaca, risente quindi sia della riduzione della gittata, sia della congestione venosa che ne aumenta il postcarico [16].
  2. Fase “infiammatoria”: inizia circa 48 ore dopo l’insulto ed è caratterizzata da alterazioni del microcircolo renale: rilascio di citochine che richiamano le cellule infiammatorie nel parenchima e l’inibitore dell’attivatore del plasminogeno tipo 1 che causa trombosi intraglomerulare e coagulazione intravascolare disseminata. Le cellule apoptotiche circolanti possono inoltre causare ostruzione tubulare [1].
  3. Fase “tardiva”: in questa fase il danno renale acuto non si presenta come evento isolato, ma come parte della disfunzione multiorgano, e si associa talvolta a ipercalcemia tardiva [1].

Correlando il tempo di insorgenza dell’AKI con il meccanismo fisiopatologico sottostante, si distinguono due fasi [2]:

  • Early AKI: insorge nei primi 0-3 giorni dall’ustione ed è causato da ridotta perfusione renale conseguente alla riduzione della gittata cardiaca. Si associa a inadeguato riempimento volemico nelle prime fasi dello shock. Possibili fattori concorrenti, oltre all’attivazione dei mediatori pro-infiammatori, l’ipovolemia, la rabdomiolisi, l’ipoprotidemia e la riduzione della gittata cardiaca, sono anche il rilascio di DAMPs, l’ipossia con necessità di ventilazione invasiva, eventuali farmaci nefrotossici già in essere al momento dell’ustione o introdotti a seguito del trauma (es: FANS, Vancomicina, RAASi) [2].
  • Late AKI: insorge dopo il terzo giorno dall’ustione, è indotta dallo shock settico che si sviluppa tardivamente in questi pazienti e che può essere secondario sia alla perdita dell’integrità della barriera cutanea, sia a infezione dai device o da altre fonti.

Dal punto di vista etiologico l’AKI può essere secondario alla perdita della filtrazione glomerulare, a una necrosi tubulare acuta o ad entrambe.

 

Prevenzione e trattamento

Nella gestione del paziente grande ustionato, la prevenzione e il trattamento del danno renale acuto vanno di pari passo e si basano sui seguenti provvedimenti:

  1. Fluidoterapia
    Deve essere mirata a un rapido ripristino della volemia ma bilanciata in modo da evitare l’iperidratazione [11, 17].Attualmente le formule comunemente utilizzate per la fluidoterapia della fase rianimatoria sono la formula del Parkland Hospital (Baxter) e la formula di Brooke modificata, consistenti rispettivamente nell’infusione di Ringer Lattato a 4 ml/kg di peso corporeo per % di superficie ustionata e 2 ml/kg/% di superficie ustionata durante le prime 24 ore dall’ustione. In ognuna delle due formule la metà del volume totale calcolato viene somministrato entro le prime 8 ore, il rimanente nelle successive 16 ore [11]. Pertanto, la fluidoterapia rianimatoria impiegata nelle prime 24 ore dopo un’ustione nel paziente adulto è 2-4 ml di Ringer Lattato × il peso corporeo in kg × la percentuale della superficie corporea ustionata [17, 18]. La velocità di infusione viene regolata circa ad ogni ora non in base alla formula ma in modo da assicurare un flusso urinario approssimativamente di 0,5-1,0 ml/kg/h negli adulti (30-50 ml/h) e 1,0-1,5 ml/kg/h nei bambini [11]. Se la diuresi è < 0,5 ml/kg/ora si aumentano i liquidi per via endovenosa di 1/3. Se la diuresi è > 1 ml/h per gli adulti o > 2 ml/kg/h per i bambini, si diminuisce la quantità di liquidi per via endovenosa di 1/3 [8].Solo alcuni sottogruppi specifici di pazienti richiedono un aumento del volume di fluidi, in particolare i pazienti con ustioni più profonde, o con lesioni da inalazione, o  in condizioni in cui vi è stato un ritardo nella rianimazione [11]. I pazienti con lesioni elettriche ad alto voltaggio, con lesioni ai tessuti molli dovute a traumi meccanici e le ustioni molto profonde possono presentare quantità significative di mioglobina ed emoglobina nelle urine; in tali pazienti viene aumentata la dose di fluidi somministrati e viene somministrato sodio bicarbonato EV (44mEq di bicarbonato di sodio viene aggiunto per ogni litro di Ringer Lattato fino a quando il pH dell’urina sia > 6,0)  al fine di mantenere una diuresi oraria pari a 1,0-1,5 ml per kg all’ora nell’adulto e di alcalinizzare le urine per garantire la clearance della mioglobina ed evitare la sua precipitazione a livello tubulare [18].In merito alla tipologia di fluidi impiegati nel paziente grande ustionato al momento non ci sono evidenze che la fluidoterapia in fase rianimatoria precoce con i colloidi riduca il rischio di morte rispetto all’uso di cristalloidi [19]. I livelli sierici di albumina vengono ripristinati solitamente in seconda giornata (cercando di mantenere un target di albuminemia di 2,5 g/l), anche se colloidi possono essere infusi già dopo le prime 8 ore [5, 20].
  2. Gestione dei farmaci potenzialmente nefrotossici
    Tenendo conto che i pazienti con cui spesso ci interfacciamo sono anziani, pluricomorbidi e in politerapia farmacologica, nel trattamento dell’ustione ha un ruolo fondamentale la scelta dei farmaci da somministrare, evitando o monitorando l’esposizione a quelli potenzialmente nefrotossici come RAASi, FANS o alcuni antibiotici.Per quanto riguarda questi ultimi, la scelta va concordata con i colleghi infettivologi e il dosaggio deve essere rapportato al eGFR del paziente; a tal fine è utile anche il monitoraggio dei livelli ematici del farmaco.
  3. Trattamento sostitutivo emodialitico
    Nel grande ustionato il trattamento emodialitico deve essere iniziato precocemente anche nel caso in cui non siano soddisfatti tutti i criteri di AKI; l’obiettivo del trattamento sostitutivo è quello di gestire più agevolmente il bilancio idrico e nutrizionale parenterale, oltre che correggere le alterazioni bioumorali proprie dell’uremia (acidosi metabolica, iperazotemia, diselettrolitismi) molto marcate in questi pazienti ipercatabolici [4].
    Storicamente, nel Centro Grandi Ustionati dell’Ospedale Bufalini di Cesena, i pazienti ustionati che sviluppavano un danno renale acuto venivano trattati con l’emodialisi intermittente (IHD). Si trattava di una necessità anche logistica in quanto il paziente grande ustionato trascorre la degenza in un box chiuso al fine di prevenire le infezioni, e la gestione di eventuali allarmi del monitor di dialisi era prerogativa dell’infermiere di dialisi, il quale doveva garantire la propria presenza nella stanza del paziente per tutta la durata del trattamento.
    Per minimizzare il rischio di clotting di filtro e linee durante il trattamento emodialitico intermittente utilizziamo diverse strategie: filtri a bassa trombogenicità, emodiafiltrazione (HDF) in pre-diluizione e lavaggi periodici con boli di soluzione fisiologica. In caso di effettiva necessità somministriamo microboli (1000 UI) di eparina sodica preferibile all’eparina a basso peso molecolare per la sua breve emivita.
    L’esperienza delle terapie intensive con la Continuous Renal Replacement Therapy (CRRT) è stata trasmessa solo in un secondo momento al Centro Ustioni, quando il supporto tecnologico (visualizzazione dell’allarme della macchina attraverso un computer posto in una guardiola distaccata, allarmi visivi e acustici del monitor traslati dal box ad altro dispositivo, gestione degli allarmi da remoto) ha consentito una gestione sicura del trattamento dialitico in continuo.
    Sebbene in alcuni studi non sia segnalata una differenza in termini di outcome tra IHD e CRRT [4] quest’ultima è da preferire in quanto, oltre alla stabilità emodinamica, garantisce un miglior controllo del bilancio idrico. Altri studi hanno dimostrato che, soprattutto nei pazienti critici che richiedono il supporto aminico, la Continuous Venovenous Hemofiltration (CVVH) determina un miglioramento della sopravvivenza [21, 22].
    Nel paziente grande ustionato anche il posizionamento dell’accesso vascolare può rappresentare un problema, in relazione alla sede dell’ustione. Se è possibile si preferisce il posizionamento del CVC in sede giugulare, che presenta un minor rischio di infezioni; nei casi in cui questo accesso vascolare non sia approcciabile, per esempio nei pazienti con gravi ustioni localizzate nella metà superiore del corpo, il CVC dovrà necessariamente essere posizionato in vena femorale e richiederà uno stretto monitoraggio dell’exit-site per una rilevazione precoce di eventuali segni di infezione [21].
    Il metodo di anticoagulazione di prima scelta nella CRRT è l’anticoagulazione regionale con citrato (RCA) [23]. A differenza dell’eparina non frazionata, infatti, la RCA può essere utilizzata con un basso flusso sanguigno e una più alta frazione di filtrazione, il che è vantaggioso nei pazienti ustionati che spesso  hanno un flusso ematico più basso a causa di un accesso vascolare precario [1].
    Inoltre, l’anticoagulazione con citrato non si associa a piastrinopenia e presenta un più basso rischio di sanguinamento poiché l’effetto scoagulante si esplica solo sul circuito e non sul sistema vascolare del paziente [23]. In questo modo le numerose procedure chirurgiche (innesti cutanei) e i cambi di medicazione necessari per la cura delle ustioni, possono essere eseguiti con maggior sicurezza.
    Fondamentali al fine di garantire una dialisi efficace, sono la buona pervietà dell’accesso vascolare e la riduzione al minimo delle interruzioni del trattamento con tutte quelle manovre e procedure di cui il paziente gravemente ustionato tuttavia necessita: cure igieniche, medicazione delle ferite, procedure di imaging e interventi chirurgici frequenti [1].
    Il processo di guarigione delle ferite, l’attecchimento degli innesti cutanei, il recupero delle funzioni d’organo in pazienti gravemente ustionati dipendono in larga misura da un apporto nutrizionale adeguato. Un apporto energetico inferiore a 30 kcal/kg è stato associato a una significativa perdita di peso e a una riduzione dei livelli di pre-albumina [1]. La CRRT grazie all’ ultrafiltrazione consente di aumentare il volume di nutrizione secondo le esigenze del paziente senza incorrere in un eccessivo carico di liquidi.

 

Esiti e follow-up post-danno renale acuto in caso di ustione

 La sopravvivenza d’organo (rene) dopo l’episodio acuto è associata al recupero della funzione renale e, in assenza di lesioni distruttive a carico dei reni, i sopravvissuti a traumi o ustioni hanno un’incidenza bassa, ma non trascurabile, di End stage Renal Disease (ESRD) nel lungo termine [1].

Questi pazienti hanno un aumentato rischio di sviluppare malattia renale cronica rispetto alla popolazione generale [24] e una più elevate mortalità cardiovascolare correlata.

Un recente studio ha mostrato che tra i pazienti che hanno sviluppato AKI secondario a ustione con necessità di trattamento dialitico, il 25% ha proseguito l’emodialisi per un breve periodo, mentre il 10,8% ha proseguito il trattamento sostitutivo in cronico (per più di 6 mesi dalla dimissione dal Centro Ustioni) [3].

È raccomandato che tutti i pazienti ustionati si sottopongano a una valutazione nefrologica 3 mesi dopo la dimissione dall’ospedale. Inoltre è consigliabile un follow-up a lungo termine almeno nei pazienti che hanno presentato un danno renale severo, tenendo conto della difficoltà di valutarne la funzione renale residua in maniera accurata. La creatinina sierica infatti, non è un marker valido e affidabile di funzione renale quando le masse muscolari sono fortemente depauperate a seguito delle ustioni, dell’allettamento prolungato e di eventuali amputazioni [1]. Altri markers per stimare la funzionalità renale, come la Cistatina C, non sono disponibili nel nostro laboratorio analisi.

 

Conclusioni

Nel trattamento del paziente grande ustionato è fondamentale la prevenzione del danno renale acuto; la fluidoterapia dovrà essere adeguata a garantire il supporto emodinamico necessario alla perfusione di tutti gli organi, evitando un altrettanto dannoso sovraccarico idrico.

Non meno importante è la selezione della tipologia di farmaci da utilizzare, evitando se possibile quelli potenzialmente nefrotossici, ed adeguandone opportunamente la posologia in base al eGFR del paziente, facendosi guidare anche dal dosaggio ematico degli stessi.

Il trattamento sostitutivo dialitico che vede nella CRRT la tecnica di scelta, trova indicazione sia nei pazienti con funzione renale ancora conservata, per garantire una migliore gestione della fluidoterapia e della terapia nutrizionale evitando un eventuale sovraccarico, sia nei casi conclamati di insufficienza renale acuta per il controllo del quadro metabolico, elettrolitico ed acido-base.

La mortalità dei pazienti che necessitano di trattamento emodialitico rimane tuttora elevata.

Vista la complessità clinica del quadro descritto, la collaborazione multidisciplinare tra nefrologi, ustionologi, infettivologi ed intensivisti è fondamentale al fine di massimizzare la qualità delle cure.

 

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