Novembre Dicembre 2021 - Editorial

Physical exercise in chronic kidney disease: an empty narrative or an effective intervention?

Abstract

Chronic kidney disease (CKD) is growing worldwide, with increasing numbers of patients facing end-stage renal disease, high cardiovascular risk, disability and mortality. Early recognition of CKD and improvements in lifestyle are crucial for maintaining or recovering both physical function and quality of life.

It is well known that reducing sedentariness, increasing physical activity and initiating exercise programs counteract cardiovascular risk and frailty, limit deconditioning and sarcopenia, and improve mobility, without side-effects. However, these interventions, often requested by CKD patients themselves, are scarcely available. Indeed, it is necessary to identify and train specialists on exercise in CKD and to sensitize doctors and health personnel, so that they can direct patients towards an active lifestyle. On the other hand, effective and sustainable interventions, capable of overcoming patients’ barriers to exercise, remain unexplored.

Scientific societies, international research teams and administrators need to work together to avoid that exercise in nephrology remains an empty narrative, a niche interest without any translations into clinical practice, with no benefit to the physical and mental health of CKD patients.

Keywords: chronic kidney disease; physical activity; exercise; quality of life; sarcopenia; disability; physical function; barriers.

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Introduzione

La malattia renale cronica (MRC) è una delle principali patologie endemiche non trasmissibili in continua crescita [1]: circa il 10% della popolazione mondiale ne risulta affetto, ed è associata ad un elevato rischio di morbilità e mortalità [2]. Attualmente la MRC determina circa 1,2 milioni di decessi all’anno [3,4] e si stima che entro il 2040 diventi la quinta causa più frequente di morte al livello globale [4]. Le più frequenti cause identificate di MRC sono l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, le glomerulonefriti e le malattie cistiche [5], anche se alcune malattie genetiche rare, tra cui la malattia di Anderson-Fabry, si stanno riscontrando con una maggiore frequenza rispetto a quella attesa [6].
La prevalenza delle differenti eziologie varia tra le aree geografiche del globo ed in una percentuale ancora troppo elevata, pari al 20% dei casi, l’origine del danno renale cronico risulta sconosciuto [7]. I pazienti affetti da MRC spesso rimangono asintomatici fino a valori ridotti di filtrato glomerulare, quindi solo tardivamente si manifestano i segni e sintomi del danno renale, quali anemia, sovraccarico di volume, anomalie elettrolitiche e disturbi del metabolismo osseo. Tuttavia, una volta instauratosi il danno renale, la velocità di progressione dello stesso dipende non solo dall’eziologia ma anche dalla durata di esposizione al fattore causale ed alla tempestività del trattamento [8].

Alla luce di queste conoscenze risulta chiaro ormai che la precoce identificazione di persone affette da MRC è di primaria importanza per ridurre l’esponenziale incidenza di questa patologia e le sue complicanze spesso mortali. Da circa 15 anni un programma di informazione e screening in ambito nefrologico su scala globale, la Giornata Mondiale del Rene, è organizzato ogni anno in numerosi paesi, tra cui l’Italia [9]. La Società Italiana di Nefrologia e la Fondazione Italiana del Rene promuovono questo evento mediante numerosi progetti svolti nelle piazze e nelle scuole superiori italiane. Le persone sottoposte a screening compilano un questionario per la raccolta dei dati anamnestici e per la valutazione della conoscenza di alcuni termini utilizzati in ambito nefrologico, tra i quali proteinuria. Inoltre, è eseguito un esame standard urine mediante dipstick e una misurazione della pressione arteriosa [10,11]. Dai dati italiani pubblicati si evidenzia l’efficacia di questo strumento, dato che i valori di pressione arteriosa e l’esame delle urine sono risultati alterati rispettivamente nel 23% e nel 5% della popolazione adulta “sana” sottoposta a screening [12]. Negli studenti degli ultimi anni di scuola superiore, la proteinuria era addirittura riscontrata in circa il 15% del campione totale ed elevati valori di pressione arteriosa sistolica e/o diastolica nel 11% dello stesso [13]. Tuttavia, il rapporto costo/beneficio per uno screening sistematico di tutta la popolazione risulta ancora controverso, mentre è fortemente raccomandato un regolare controllo di albuminuria e filtrato glomerulare in popolazioni ad alto rischio (es. obesi, diabetici, ipertesi) [14].

Un ulteriore elemento fondamentale per ridurre il rischio di sviluppo e di rapida progressione del danno renale verso gli stadi avanzati che richiedono un trattamento sostitutivo, è l’adozione di uno stile di vita sano costituito da una ridotta assunzione di alcool, dall’abolizione del fumo, da una alimentazione con elementi ricchi di potassio e a basso contenuto di sodio, dallo svolgimento di un’adeguata attività fisica, dallo stretto controllo del peso corporeo, della pressione arteriosa e della glicemia [1518].

Sebbene siano state proposte numerose strategie per favorire uno stile di vita sano, ad oggi non esistono trials randomizzati controllati (RCT) che valutino l’impatto di questo stile di vita sulla prevenzione primaria e secondaria della malattia renale cronica. Infatti, per condurre un valido RCT si dovrebbero affrontate notevoli problematiche spesso di difficile soluzione, quali la durata elevata dello studio, la consistenza ampia del campione, l’influenza dei fattori confondenti e l’idoneo disegno di studio [19]. Dati i limiti nel produrre livelli superiori di evidenza, le consistenti associazioni tra MRC e fattori di rischio dimostrate negli studi osservazionali possono essere considerate una base scientifica solida su cui impostare programmi di sanità pubblica per prevenire l’ulteriore dilagare della MRC [20]. Di conseguenza, l’obiettivo da raggiungere per la MRC in prevenzione primaria consiste nel controllo dei principali fattori di rischio: fumo, alcool, ipertensione arteriosa, iperglicemia, obesità e ridotta attività fisica; in prevenzione secondaria e terziaria, l’obiettivo prefissato risulta il rallentamento della progressione del danno renale che dipende non solo dall’eziologia e dallo stadio della malattia, ma anche dall’apporto di adeguati approcci dietetici, farmacologici e sullo stile di vita [21].

 

Esercizio fisico e malattia renale cronica

L’attività fisica e più ancora l’esercizio fisico sono elementi potenzialmente efficaci nel ridurre il rischio di sviluppare patologie cardiache e vascolari periferiche con outcomes sfavorevoli [2,22,23].

Per questo motivo, negli anni, si sono succeduti indicazioni e inviti ad utilizzare l’esercizio fisico nella gestione del paziente con MRC [2427]. L’interesse scientifico sul tema è progressivamente incrementato, con un numero di pubblicazioni più che triplicato negli ultimi 10 anni (Figura 1), ma l’impiego dell’esercizio nella MRC rimane limitato a fronte di certezze ma anche di dubbi e criticità tuttora presenti (Tabella I).

Figura 1: Numero di pubblicazioni indicizzate su Pubmed inerenti esercizio/attività fisica e malattia renale cronica negli ultimi 20 anni
Figura 1: Numero di pubblicazioni indicizzate su Pubmed inerenti esercizio/attività fisica e malattia renale cronica negli ultimi 20 anni
Certezze Dubbi Criticità
↑ Qualità della vita

↑ Mobilità e capacità funzionale

↑ Mood / outcome psicosociali

Assenza di effetti collaterali

Interesse prioritario da parte dei pazienti

Interesse scientifico “di nicchia”

Modalità e gestione degli interventi (intensità, sede, operatori)

Identificazione di programmi ideali

Benefici sulla funzionalità renale

Benefici sull’efficienza dialitica

Empowerment del paziente in preparazione alla dialisi e/o al trapianto renale

Necessità di trials clinici con adeguato numero di pazienti

Evidenze scientifiche ancora frammentarie specifiche per singoli outcomes

Barriere alla partecipazione da parte di pazienti

Condivisione da parte degli operatori sanitari

Lenta traslazione operativa delle evidenze scientifiche

Tabella I: Stato dell’arte sul tema dell’esercizio fisico nella malattia renale cronica

Una certezza è che lo stile di vita attivo e l’esercizio fisico possono impattare contemporaneamente su rischio cardio-vascolare, disabilità e qualità della vita nella MRC [2830]. A questi aspetti è infatti strettamente connessa sia in termini di causa che di effetto la sedentarietà del paziente, testimoniata da valori di attività fisica oggettiva o autoriportata inferiore a quella della popolazione anziana [3134]. A ridotta attività fisica si associano bassi livelli di funzione fisica e di fitness cardiorespiratorio ed outcomes sfavorevoli in tutte le popolazioni affette da MRC, e in particolare negli stadi finali della patologia [30]. All’inattività fisica può inoltre seguire un progressivo decondizionamento, caratterizzato da ridotta efficienza vascolare e cardiovascolare, mancato controllo dei fattori di rischio e riduzione della massa muscolare. Si acuiscono inoltre il senso di fatica e il rischio di depressione, lo stato di fragilità e il rischio di disabilità [3537]. In questo quadro l’esercizio, senza alcun effetto miracolistico ma in assenza di effetti collaterali [38], può contribuire a disinnescare il circolo vizioso perverso [35], invertendo gli effetti dell’inattività e determinando adattamenti fisiologici positivi riguardo capacità funzionale e qualità della vita [28,32,36,3941]. Inoltre, anche se non vi è evidenza che l’esercizio possa ridurre il rate di mortalità del paziente, è vero che studi osservazionali che includevano pazienti con MRC hanno riportato una maggiore sopravvivenza, così come un minor numero di ospedalizzazioni, in funzione di livelli maggiori di attività fisica [30,42,43]. Tra le certezze va poi considerato l’elemento più importante, ovvero l’interesse manifestato dalle persone con MRC che, tra le proprie priorità, indicano il bisogno di attività riabilitative mirate a recuperare la funzione fisica per favorire attività quotidiane lavorative, viaggi e attività sociali [44,45].

La mancanza di alcune evidenze alimenta però dubbi o incertezze che rallentano il pieno sfruttamento delle potenzialità, anche ecologiche, derivanti dall’utilizzo costante dell’esercizio nella MRC [34]. Se l’interesse scientifico sui temi legati all’esercizio è cresciuto, l’attività scientifica appare in parte frammentaria, relativamente carente di trials randomizzati controllati, con limiti metodologici [30,44]. Rimane infatti da definire il possibile effetto dell’esercizio fisico sulla progressione della MRC nei pazienti critici [46], con possibile rallentamento dell’ingresso in dialisi o sull’efficienza del trattamento dialitico [34,4749]. È inoltre da studiare se l’esercizio possa avere un ruolo chiave nell’empowerment della persona che si avvicina al trattamento dialitico ma anche in lista di attesa per un trapianto renale [50], considerando gli outcome sfavorevoli che si registrano nei primi mesi di terapia sostitutiva della funzionalità renale [51]. Tra i programmi di esercizio proposti, in supervisione in struttura o senza supervisione a domicilio, svolti al cicloergometro, o camminando, o contro-resistenza [2830,5254], restano da identificare quelli associati ad un maggior impatto sui diversi outcomes, pur in presenza di una generale risposta efficace in ogni forma [55].

La fattibilità dei diversi programmi su larga scala, il loro gradimento da parte dei pazienti e la possibilità che la scelta tra diversi programmi di rieducazione disponibili possa portare a una maggiore adesione all’esercizio da parte dei pazienti [56] devono essere verificati. Un ulteriore aspetto da definire è la dose ottimale da somministrare, in termini di frequenza, volume e intensità di esercizio. Se una frequenza superiore a un solo stimolo settimanale si è associata a una mortalità ridotta [57], miglioramenti aerobici sono riportati con maggiore efficacia a seguito di esercizio ad alta intensità [28], ma anche dopo esercizio a bassa intensità [53,58]. Anche a fronte di prescrizioni inferiori alla dose raccomandata dalle linee guida [44], programmi sostenibili modificati secondo le necessità individuali possono essere una chiave per introdurre in sicurezza e continuità all’esercizio pazienti fragili limitati dalla fatica.

 

Conclusioni

Gli aspetti precedentemente riportati, unitamente alla formazione di specialisti dell’esercizio fisico nelle malattie renali, potrebbero portare a un superamento delle note barriere all’esercizio [5962]. Le resistenze nel personale sanitario devono invece essere superate attraverso la diffusione delle conoscenze relative ai benefici derivanti dall’esercizio e la chiara definizione dei compiti, come avviene per altre malattie croniche.

Poco però è cambiato in questi anni, nonostante gli appelli dei ricercatori e le indicazioni allo svolgimento dell’esercizio fisico presenti nelle linee guida [30,63]. Programmi per i dializzati, e ancor meno per i malati renali non dializzati, sono disponibili in pochi centri nazionali e internazionali [44]; bassa è l’attività di counseling all’esercizio del nefrologo e del personale sanitario, in genere troppo impegnato in attività specialistiche [64,65]. Infine, le recenti linee di indirizzo sull’attività fisica, che includono le raccomandazioni per specifiche patologie croniche, non menzionano la MRC [66].

L’impegno delle società scientifiche internazionali e nazionali e dei relativi gruppi dedicati all’esercizio fisico, l’azione di gruppi internazionali di ricercatori [44,61], le pressioni dei pazienti e la diversa sensibilità verso temi ecologici [34,45] possono spingere amministratori, sponsor e personale sanitario a sostenere la transizione dei pazienti con MRC verso uno stile di vita attivo. È necessario evitare che l’esercizio in ambito nefrologico continui a rappresentare un interesse di nicchia, senza traslazione nella pratica quotidiana, come spesso avviene [67]. È necessario fare sì che anni di studio sull’argomento non rimangano una vecchia storia da raccontare, ma diventino una fonte efficace per promuovere ed attuare concreti interventi nella pratica clinica quotidiana.

 

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