Marzo Aprile 2021 - In depth review

Management of Primary Hyperoxaluria Type 1 in Italy

Abstract

Primary hyperoxaluria type 1 is a rare genetic disease; the onset of symptoms ranges from childhood to the sixth decade of life and the disease may go unrecognized for several years. There is an urgent need for drugs able to inhibit the liver production of oxalate and to prevent the disease progression; lumasiran, an innovative molecule based on RNAi interference, is one of the most promising drugs. A group of leading Italian experts on this disease met to respond to some unmet medical needs (early diagnosis, availability of genetic tests and dosage of plasma oxalate, timing of liver transplantation, need for etiologic treatment), based on the analysis of the main scientific evidence and their personal experience. Children showing the characteristic symptoms of the disease usually undergo a metabolic screening and obtain an early diagnosis, while the experience is very limited in adults and the diagnosis difficult. It is therefore essential to increase the knowledge around this disease and the importance of metabolic and genetic screening to define a checklist of shared clinical and laboratory criteria and to establish a multidisciplinary management of potential patients. Oxalate is the cause of the disease: it is crucial to reduce both oxaluria and oxalemia through appropriate therapeutic strategies, able to prevent and/or reduce renal and systemic complications of primary type 1 hyperoxaluria. Lumasiran allows to significantly reduce the levels of oxalate both in blood and in urine, halting the course of the disease and preventing serious renal and systemic complications, if the therapy is started at an early stage of the disease.

Keywords: primary hyperoxaluria type 1, hyperoxalemia, hyperoxaluria, lumasiran

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Introduzione

L’iperossaluria primitiva tipo 1 (PH1) è una malattia genetica autosomica recessiva ultra-rara, con una prevalenza stimata di 1-3 casi per milione di popolazione e un’incidenza di circa 1 caso ogni 120.000 nati in Europa, ed è responsabile dell’1-2% dei casi di insufficienza renale terminale (ESKD) pediatrici [12].

La PH1 è causata da mutazioni nel gene AGXT che codifica per l’enzima epatico L-alanina-gliossilato amino transferasi (AGT), il quale catalizza la conversione di gliossilato a glicina. Si tratta quindi di un difetto metabolico epatico. Quando l’attività della AGT è assente, il gliossilato viene trasformato in ossalato, la cui iperproduzione determina aumento dei livelli ematici di ossalato ed iperossaluria aumentando il rischio di nefrolitiasi (figura 1) [2].

Figura 1: Metabolismo del gliossilato
Figura 1: Metabolismo del gliossilato

Le manifestazioni iniziali sono principalmente legate all’urolitiasi, generalmente recidivante e bilaterale, e alle sue complicanze – ostruzione delle vie escretrici, infezioni delle vie urinarie – che possono determinare la riduzione della filtrazione renale. Anche i trattamenti urologici che si rendono necessari per la calcolosi e il danno cellulare tubulare dovuto all’iperossaluria e alla formazione intratubulare di cristalli di ossalato di calcio (per stress ossidativo, per attivazione dell’inflammasoma, etc.) [3] concorrono alla compromissione funzionale del rene. L’ossalato è un prodotto terminale del metabolismo che sostanzialmente riconosce nell’emuntorio renale l’unica via di eliminazione. Pertanto, con la compromissione della filtrazione glomerulare aumentano i livelli di ossalemia. Quando questa raggiunge livelli di sovra-saturazione per l’ossalato di calcio si verifica la precipitazione di cristalli insolubili nel rene (nefrocalcinosi) che compromette ulteriormente la capacità escretoria dell’ossalato in un circolo vizioso che determina la precipitazione dell’ossalato di calcio (ossalosi sistemica) in altri organi con insorgenza di manifestazioni diverse, tra cui atrofia ottica, aritmie, miocardite, compromissione della funzionalità del midollo osseo, neuropatia, artropatia e fratture. Pertanto, tale patologia è da considerarsi multisistemica. Il decesso avviene per ESKD e/o complicanze dell’ossalosi [12].

Il periodo di insorgenza dei sintomi varia dall’infanzia alla sesta decade di vita. Sebbene la malattia si manifesti tipicamente prima dei 5 anni, in base ai dati dell’International Primary Hyperoxaluria Registry, l’età mediana di insorgenza di ESKD è di 33 anni [4]. La tabella I riassume le principali caratteristiche della PH1.

Tabella I: Principali caratteristiche della PH1
Tabella I: Principali caratteristiche della PH1

Vista la rarità della patologia, la PH1 può non essere riconosciuta per diversi anni dopo l’esordio dei sintomi. La diagnosi di PH1 si basa sul riscontro di iperossaluria o iperossalemia, di sintomi a carico del rene (calcolosi, nefrocalcinosi, insufficienza renale) e sull’identificazione delle varianti bialleliche patogenetiche del gene AGXT al test di genetica molecolare [12].

Dal punto di vista terapeutico, ciascun paziente deve esser valutato singolarmente; i principali criteri che guidano la decisione di trattare i pazienti sono: velocità di deterioramento della funzionalità renale e di riduzione del GFR, ricorrenza di nefrolitiasi e presenza di nefrocalcinosi, coinvolgimento di altri organi e tessuti, livelli plasmatici e urinari di ossalato. In tabella II sono riportate le attuali opzioni terapeutiche, che risultano estremamente limitate.

Tabella II: Terapie disponibili per la PH1
Tabella II: Terapie disponibili per la PH1

Numerosi sono ancora gli unmet medical needs della PH1: la diagnosi precoce della patologia al fine di trattarla nelle sue fasi iniziali per evitarne la progressione, la disponibilità dei test genetici e del dosaggio dell’ossalato plasmatico, il timing del trapianto di fegato, un trattamento eziologico piuttosto che sintomatico al fine di prevenire la progressione a ESKD e il trapianto di fegato e rene.

 

Metodologia

Per rispondere a qualcuno di questi unmet medical needs, il 20 maggio 2020 i principali esperti italiani della patologia (tabella III) hanno partecipato via web a un Virtual Expert Insights Meeting sull’Iperossaluria primitiva tipo 1 organizzato da Alnylam Pharmaceuticals Italy. Gli obiettivi dell’Expert Insights Meeting erano:

  • fare una panoramica sull’attuale realtà italiana sia in ambito pediatrico che nell’età adulta individuandone criticità e modalità per la diagnosi precoce di PH1;
  • descrivere la transizione dall’età pediatrica all’età adulta;
  • individuare quali e a chi rivolgere le attività educazionali volte a migliorare la awareness della PH1;
  • infine, fare una rassegna delle prospettive terapeutiche più promettenti.
Tabella III: Membri del Board Scientifico
Tabella III: Membri del Board Scientifico

La metodologia adottata per la redazione dei risultati è stata il confronto tra esperti sulle base dei dati disponbili di letteratura. Sull’analisi dei principali lavori in letteratura sulla PH1 e dalla loro esperienza personale, gli esperti hanno discusso la situazione epidemiologica italiana dei pazienti pediatrici e adulti con PH1, puntualizzato alcuni aspetti diagnostici, analizzato i dati clinici e di tollerabilità di lumasiran e infine delineato quali siano i pazienti da considerare per il trattamento con questo farmaco innovativo. Inoltre, prima dell’Expert Insights Meeting è stata fatta una survey nei 5 centri clinici convolti nel progetto per definire la numerosità e il profilo dei pazienti italiani con PH1 e le attuali strategie diagnostiche e terapeutiche

Di seguito vengono riportati i principali risultati della discussione sui singoli punti. Le indicazioni qui riportate non sono il risultato di una formale riunione per la realizzazione di Linee Guida, poiché non sono state seguite le rigide e precise regole metodologiche necessarie allo scopo, ma sono l’espressione di un orientamento da parte di un gruppo indipendente di esperti.

 

Risultati

Panoramica sull’attuale realtà italiana e criticità per una diagnosi precoce

Pediatria

In Italia, è pratica comune che per pazienti in età pediatrica venga effettuato uno screening metabolico dopo un episodio di calcolosi; tra gli esami effettuati vi è la misurazione dell’ossalato urinario. Non è possibile stabilire il numero di bambini sottoposti a screening, poiché questa procedura viene eseguita generalmente in regime ambulatoriale, spesso anche in urologia; tuttavia, poiché le calcolosi in età pediatrica sono relativamente frequenti, si può ipotizzare che lo screening venga eseguito in un numero elevato di casi.

A fronte di un elevato numero di screening, i test genetici per PH1 sono ampiamente sottoutilizzati, e il numero di richieste in Italia è inferiore a 10 all’anno, anche se negli anni le richieste di test molecolari sono progressivamente aumentate. Le mutazioni identificate in Italia sono sovrapponibili a quelle osservate in Europa; la più frequente è la p.Gly170Arg, che ha maggiori probabilità di rispondere a dosi farmacologiche di piridossina [5].

L’esperienza dei nefrologi pediatri che hanno partecipato a questo meeting riporta anche alcuni casi pediatrici ad esordio molto precoce (<1 anno o nei primi anni di età) con un quadro clinico molto severo e generalmente rapidamente progressivo (spesso i bambini devono essere sottoposti a dialisi fin dai primi mesi di vita). In presenza di alcune manifestazioni caratteristiche (nefrocalcinosi, calcolosi renale e scarsa crescita), la diagnosi è piuttosto semplice e veloce. Viceversa, in assenza di questi sintomi, o nel caso in cui i pazienti non vengano visitati da un nefrologo pediatra, la diagnosi è ritardata fino a quando non si manifestano i sintomi caratteristici o fino all’insorgenza dell’insufficienza renale.

Altri pazienti hanno un esordio più tardivo, pur sempre in età pediatrica, presentando un quadro clinico a progressione meno rapida con manifestazioni meno severe (nefrolitiasi in particolare). Sono i casi che spesso progrediscono fino all’età adulta senza una diagnosi precisa.

Come tutte le patologie rare, la PH1 ha un’incidenza e una prevalenza estremamente bassa. Si stimano circa un centinaio di pazienti in Italia, con un esordio clinico per lo più caratterizzato da nefrolitiasi e nefrocalcinosi. La gestione terapeutica dei pazienti è variabile da caso a caso. In genere, la somministrazione di vitamina B6 rappresenta l’approccio terapeutico iniziale di questi pazienti, sebbene solo il 5% dei pazienti che riceve la vitamina B6 raggiunga una parziale riduzione di ossalato urinario [6]. Generalmente viene somministrato anche il citrato di potassio.

Molto spesso i pazienti vengono sottoposti a trapianto di fegato (o a trapianto combinato fegato e rene) anche in età molto precoce per evitare il danno renale. Tale approccio è gravato dalle potenziali complicanze, talora serie, della procedura di trapianto e della conseguente terapia immunosoppressiva, in particolare in pazienti in cui coesiste un grave danno vascolare per il deposito di ossalati di calcio nelle pareti vascolari.

Età adulta

La diagnosi di PH1 nell’adulto è spesso più difficoltosa, anche a causa della scarsa conoscenza di questa patologia estremamente rara. La maggior parte dei pazienti adulti proviene dalla nefrologia pediatrica, ed ha già una diagnosi di PH1 e un trattamento in corso. Sono però anche noti pazienti in cui la malattia, esprimendosi in forma meno severa, ha avuto una progressione più lenta con le prime manifestazioni di PH1 in età adolescenziale o, più raramente in età giovane adulta. Sono i casi di pazienti adulti che giungono all’osservazione del nefrologo o dell’urologo per nefrolitiasi o per insufficienza renale in diversi stadi.

Fortunatamente molto rari sono i pazienti in cui la diagnosi di PH1 viene posta soltanto dopo il trapianto di rene. Sono pazienti che non avevano una diagnosi eziologica di ESKD e che dopo una rapida ripresa post-trapianto della funzione renale, nel giro di poche settimane-mesi sviluppano un rapido peggioramento che generalmente viene interpretato come rigetto acuto. In questi casi la diagnosi emerge chiaramente se viene eseguita la biopsia renale. L’esame istologico mostra infatti la presenza di cristalli tubulari e interstiziali, inequivocabile segno della recidiva di nefrocalcinosi nel rene trapiantato.

Sospettare ed eseguire una corretta diagnosi di PH1 nei pazienti ad esordio in età adulta, possibilmente precoce prima che si siano instaurate le manifestazioni irreversibili della malattia, non è semplice. Un ruolo importante potrebbe essere svolto dagli urologi, gli specialisti che più frequentemente vedono per primi i pazienti adulti con calcolosi renali da iperossaluria. Frequentemente questi specialisti hanno scarse possibilità di approfondire gli aspetti metabolici sottostanti alla malattia calcolotica. D’altra parte, spesso nelle diverse realtà ospedaliere italiane, non è possibile quella collaborazione interdisciplinare urologo-nefrologo che consentirebbe di inviare a quest’ultimo i casi che necessitano degli approfondimenti diagnostici specifici: in particolare, tutte le forme a rischio di evoluzione verso l’insufficienza renale, e le forme recidivanti, in cui potrebbe essere presente una patologia genetica quale PH1. Il problema è acuito per la calcolosi da PH1 in quanto questa ad un primo esame può apparire come una “banale” calcolosi di ossalato di calcio, la forma più frequente di calcolosi nella popolazione generale [7]. Gli advisors hanno espresso un parere concorde sull’importanza di migliorare l’awareness degli urologi sulla PH1, in modo tale da individuare i casi sospetti da inviare ai centri specialistici per l’approfondimento diagnostico. È auspicabile una gestione multidisciplinare (urologo e nefrologo) per valutare i casi dubbi sulla base di alcuni aspetti caratteristici (ad esempio, età di insorgenza precoce, calcolosi recidivante, calcolosi associata a nefrocalcinosi, riduzione del GFR).

Nei casi sospetti vanno primariamente escluse le forme di iperossaluria secondarie, per cui è generalmente sufficiente escludere patologie malassorbitive. Le PH, cioè le forme primitive, classicamente venivano diagnosticate con test biochimici, dosando alcuni metaboliti delle vie dell’ossalato, e talvolta con indagini enzimatiche su biopsie epatiche. Oggi le indagini di genetica molecolare consentono di giungere alla diagnosi precisa delle diverse forme in quasi tutti i casi. Queste indagini hanno pertanto semplificato la diagnostica delle PH e vanno pertanto eseguite quando ve ne sia il sospetto, in particolare nei pazienti con calcolosi renale recidivante, nefrocalcinosi e decurtazione della funzione renale. La diagnosi precoce di tali patologie che altrimenti, per le fino ad oggi limitate possibilità terapeutiche, porterebbero a ESKD e ossalosi, è ora di vitale importanza in quanto l’uso precoce dei nuovi farmaci come lumasiran può prevenire le temibili complicanze di questa malattia.

Diagnosi di laboratorio della PH1 ed endpoint clinici

In generale, la diagnosi di PH1 è più semplice in età pediatrica, perché tutti i casi di insufficienza renale e di calcolosi vengono inviati ai centri specializzati di riferimento, dove viene fatto lo screening per ossaluria. Negli adulti la situazione è diversa perché, presentandosi la malattia in forma meno tipica, la nefrolitiasi anche se recidivante può essere scambiata per la ben più comune calcolosi ossalico-calcica idiopatica, e l’insufficienza renale può essere classificata tra le forme da causa non determinata, circa un quarto di tutti i casi di ESKD [8]. Perfino pazienti che hanno perso il rene trapiantato possono non essere mai correttamente diagnosticati se non viene eseguita la biopsia renale.

In tutti i pazienti con calcolosi recidivante andrebbe fatta sempre la raccolta e l’analisi delle urine delle 24 ore in particolare per la determinazione dell’ossaluria; purtroppo è difficile eseguire correttamente la raccolta delle urine delle 24 ore nei pazienti pediatrici perché si tratta di bambini anche molto piccoli. In essi si ovvia al problema determinando l’ossaluria su urine spot, sia correttamente rapportandola alla concentrazione sullo stesso campione della creatinina, sia considerando tout court la concentrazione dell’ossalato, sempre alterato in questi piccoli pazienti.

Le urine spot consentono anche di effettuare l’esame microscopico del sedimento che, nei casi di iperossaluria può mettere in luce sia un numero abnorme di cristalli spesso in microaggregati, sia tipici cristalli di ossalato di calcio monoidrato [9]. Si tratta di un esame molto semplice, disponibile ovunque che, se adeguatamente interpretato, può fornire importanti indizi dell’esistenza di una forma di iperossaluria.

La concentrazione urinaria e quella plasmatica dell’ossalato (ossaluria e ossalemia) sono entrambe rilevanti nei pazienti con PH1, anche se in maniera diversa. Mentre l’entità dell’ossaluria ha un impatto significativo sul rischio di formazione dei calcoli, i livelli di ossalemia superiori a 10,5 µmol/L secondo un recente studio sono predittivi di evoluzione in ESKD [10].

Nei pazienti con PH1, per il ruolo causale dell’ossaluria nella malattia, la sua riduzione può essere considerata ben più di un outcome surrogato della malattia. Questo è stato recentemente ribadito da Milliner e Coll. in un documento di consenso congiunto della Kidney Health Initiative e della Oxalosis and Hyperoxaluria Foundation [11]. Lo stesso documento conclude che anche la riduzione dell’ossalemia può essere considerata per le procedure accelerate di approvazione di un farmaco da parte delle agenzie del farmaco (FDA, EMA). Quindi, è di fondamentale importanza ridurre sia l’ossaluria che l’ossalemia mediante appropriate strategie terapeutiche, in grado di prevenire e/o ridurre le complicanze renali e sistemiche della PH1.

L’ossalemia plasmatica è un biomarcatore più importante per i pazienti con filtrato glomerulare <30 ml/min/1,73 m2. Infatti, nei pazienti con PH1 che conservano una buona funzionalità renale, i valori di ossalemia rimangono pressoché normali, pur con elevata ossaluria e proprio per questo. Con il progressivo ridursi della funzionalità renale, si riduce la capacità di escrezione renale dell’ossalato, l’ossaluria diminuisce e conseguentemente l’ossalemia aumenta. Nei pazienti PH1, dopo trapianto di fegato, corretto quindi il difetto enzimatico, l’ossalemia rimane elevata per un lungo periodo di tempo come conseguenza della lenta dismissione in circolo dell’ossalato che era precipitato nei tessuti prima del trapianto.

È stato dimostrato che anche nei pazienti con insufficienza renale cronica di stadio 2, i livelli di ossalemia sono predittivi del rischio di sviluppare ESKD [11].

Il corretto dosaggio dell’ossalato urinario richiede qualche accortezza soprattutto in fase preanalitica e non è universalmente disponibile [12]; inoltre in pochi laboratori è possibile effettuare il dosaggio plasmatico. Pertanto, il gruppo suggerisce che il dosaggio dell’ossaluria e in particolare dell’ossalemia siano effettuati solo in laboratori che adottino metodiche standardizzate per il dosaggio dell’ossalato urinario e plasmatico e preferibilmente con specifica expertise. Sebbene sia di notevole importanza il controllo di qualità di questi dosaggi, non risulta che alcuna iniziativa in tal senso sia attiva in Italia. È auspicabile che ciò venga attuato.

Infine, come evidenziato in precedenza, le richieste di test genetici per questa malattia in Italia sono limitate (circa 10/anno); purtroppo quando viene posta la diagnosi di PH1 circa metà dei pazienti ha già sviluppato un’insufficienza renale. Pertanto, anche per la diagnostica genetica molecolare, oltre a strumenti educazionali per aumentare la awareness dei clinici sulla patologia e favorire quindi diagnosi più precoci, è opportuno rivolgersi a centri con specifiche expertise per le analisi genetiche delle PH.

Transizione dall’età pediatrica all’età adulta

I centri specialistici di nefrologia pediatrica in Italia sono pochi e raccolgono pazienti da tutto il territorio nazionale. La transizione di pazienti di età pediatrica a centri per adulti dipende dall’organizzazione del centro pediatrico che segue il bambino, così come avviene anche per altre malattie.

Se il paziente rimane nella stessa regione, la transizione è meno problematica, perché i centri esperti/di riferimento, in grado di seguire pazienti con malattia rara, in genere collaborano tra di loro scambiandosi informazioni. Se la gestione del paziente viene trasferita ad un centro nefrologico per adulti di un’altra regione, la situazione è molto più complessa, specialmente se il paziente passa da un reparto ad elevata specializzazione come sono le Unità di Nefrologia pediatrica ad un reparto di nefrologia “generalista” che gestisce un elevato numero di pazienti.

La PH1 è una patologia particolare, sistemica quando avanzata e quindi di complessa gestione che richiede la collaborazione multidisciplinare di più specialisti e competenze difficilmente presenti nei centri periferici: pertanto, una transizione che offra al paziente la massima garanzia di trattamento e di monitoraggio è possibile solo quando i centri nefrologici per l’adulto sono di grandi dimensioni e siano dotati di un’equipe multidisciplinare (nefrologo, urologo, trapiantologo e non solo).

Attività educazionali sulla PH1

Il gruppo ritiene che sarebbe utile coinvolgere tutti gli specialisti del settore (nefrologi, urologi, trapiantologi) in un’azione educazionale non solo sull’iperossaluria e sulla PH1, che è una malattia rara, ma anche sulla gestione generale dei meccanismi metabolici che stanno alla base della calcolosi, per sensibilizzarli sui problemi correlati alla malattia renale.

Poiché alcuni pazienti vengono messi in lista di attesa per il trapianto renale senza una diagnosi certa di causa della ESKD, l’azione educazionale andrebbe implementata anche sui nefrologi e trapiantologi. Infatti, un paziente con PH1 accertata sottoposto a trapianto di rene ha un rischio di recidiva di malattia molto elevato. Uno screening pre-trapianto per ossaluria nei pazienti senza una diagnosi certa (circa un quarto dei pazienti sottoposti a trapianto renale), con priorità a quelli con storia di calcolosi non ulteriormente definita, potrebbe permettere di identificare pazienti con PH; l’indagine di screening potrebbe essere estesa anche ai familiari.

L’azione educazionale dovrebbe coinvolgere anche gli urologi, e dovrebbe essere mirata sia alla conoscenza della patologia che a favorire la collaborazione con i nefrologi possibilmente nell’ambito di un team multidisciplinare. A questo scopo, l’uso da parte degli urologi in ogni paziente calcolotico trattato di una checklist, che contenga i principali criteri clinici e laboratoristici per identificare i pazienti con calcolosi secondarie, incluse le forme ereditarie tra le quali PH1 (ad esempio, presenza di nefrolitiasi patologicamente attiva, forte familiarità, insorgenza in età giovanile, composizione del calcolo, etc.), potrebbe essere una soluzione a ridotto impegno ma efficiente nell’individuare ed inviare tempestivamente i casi ai nefrologi. Attualmente non è disponibile una checklist standardizzata a livello europeo o italiano, ma alcune di esse sono utilizzate in alcuni centri.

Le attività educazionali non dovrebbero limitarsi a sole pubblicazioni, spesso poco accessibili e scarsamente efficaci, ma dovrebbero basarsi su una diffusione capillare delle informazioni sulle calcolosi recidivanti e sulla PH attraverso presentazioni ai principali congressi di urologia e nefrologia dell’adulto e del pediatra o meeting locali.

Le prospettive terapeutiche

Sono attualmente in fase di studio nuove strategie terapeutiche, tra cui terapie che agiscono a livello intestinale attraverso la degradazione dell’ossalato (Oxalobacter formigenes, ossalato ossidasi, ossalato decarbossilasi), e terapie che mirano a ridurre la produzione epatica di ossalato (trasferimento genico di AGXT, chaperoning chimico, substrate reduction therapy come lumasiran) [13]. Quest’ultima ha ricevuto approvazione EMA in data 19 novembre 2020 [1415] e successivamente (23 novembre) anche da FDA [16].

Lumasiran è un farmaco che si basa sulla tecnologia dell’RNA interference (RNAi), un meccanismo cellulare naturale per la regolazione dell’espressione genica. Lumasiran è un RNAi che ha come target terapeutico specifico l’mRNA del gene HAO1 che codifica per la glicolato ossidasi (anche nota come idrossiacido ossidasi 1; figura 2).

Figura 2: Azione di lumasiran sul metabolismo del gliossilato
Figura 2: Azione di lumasiran sul metabolismo del gliossilato

Silenziando la trascrizione di HAO1 e riducendo la concentrazione dell’enzima glicolato ossidasi (GO), lumasiran inibisce la produzione di ossalato. Diversi studi sul modello animale hanno dimostrato che la somministrazione sottocutanea di lumasiran permette di ottenere un silenziamento potente, dose-dipendente e duraturo dell’mRNA della glicolato ossidasi, un aumento della concentrazione ematica e urinaria di glicolato e una riduzione dell’ossalato urinario. Studi di fase I/II hanno dimostrato un incoraggiante profilo di tollerabilità di lumasiran e una significativa riduzione dei livelli ematici e urinari di ossalato in volontari sani e in pazienti con PH1 [17]. Questi studi hanno portato al trial ILLUMINATE-A che ha dimostrato che l’impiego di lumasiran è in grado di ridurre in maniera significativa i livelli plasmatici di ossalato rispetto al placebo. Si trattava di uno studio internazionale di fase 3 multicentrico randomizzato in doppio cieco, controllato con placebo che ha valutato l’efficacia e la tollerabilità di lumasiran in 39 pazienti (adulti e bambini ≥6 anni) con una diagnosi documentata di PH1 (ossaluria ≥ 0,7 mmol/24 ore/1,73 m2 e mutazioni bialleliche di AGXT). I pazienti sono stati randomizzati a ricevere somministrazioni di lumasiran 3 mg/kg (n = 26) o di placebo (n = 13) una volta al mese per 3 mesi consecutivi (fase della dose di carico) seguite da una somministrazione una volta ogni 3 mesi (fase di mantenimento) a partire da 1 mese dopo l’ultima dose di carico. L’endpoint primario era la variazione percentuale dell’escrezione di ossalato urinario delle 24 ore dal basale al mese 6. I principali endpoint secondari erano: la variazione assoluta dell’escrezione di ossalato urinario delle 24 ore dal basale al mese 6, la variazione percentuale della ratio ossalato:creatinina urinari delle 24 ore dal basale al mese 6, la variazione percentuale dell’ossalato plasmatico dal basale al mese 6, la proporzione di pazienti con livelli di ossalato urinario delle 24 ore uguali o inferiori a 1,5 volte il limite superiore di normalità (ULN) al mese 6, la proporzione di pazienti con livelli di ossalato urinario delle 24 ore uguali o inferiori a 1xULN al mese 6, la variazione assoluta dell’ossalato plasmatico dal basale a mese 6, la variazione della velocità di filtrazione glomerulare (eGFR). Lumasiran ha raggiunto l’endpoint primario dello studio: infatti, l’uso di questo farmaco ha permesso di ottenere una riduzione media significativa del 65,4% dell’ossaluria rispetto al basale, con una differenza media relativa rispetto al placebo del 53,5% (p = 1.7 x 10-14) (figura 3). Inoltre, la superiorità di lumasiran rispetto al placebo è stata confermata per tutti gli endpoint secondari [18].

Lumasiran è stato ben tollerato: durante lo studio non sono stati osservati effetti collaterali gravi. Gli eventi avversi più comuni, tutti di grado lieve/moderato, sono stati: reazioni nel sito di iniezione, cefalea, rinite e infezioni delle vie aeree superiori. Non sono state riportate alterazioni rilevanti dei parametri di laboratorio (compresi i test di funzionalità epatica), dei parametri vitali e dei tracciati elettrocardiografici [18].

Figura 3: ILLUMINATE-A: effetto sull’endpoint primario: Variazione percentuale dell’escrezione di ossalato urinario delle 24 ore dal basale al mese 6. Modificato da [18]
Figura 3: ILLUMINATE-A: effetto sull’endpoint primario: Variazione percentuale dell’escrezione di ossalato urinario delle 24 ore dal basale al mese 6. Modificata su licenza da NEJM [18].

Conclusioni

La PH1 è una patologia metabolica rara considerata spesso solo come una malattia pediatrica. Se i bambini mostrano i sintomi caratteristici della malattia, come nefrocalcinosi, calcolosi renale e scarsa crescita, vengono in genere sottoposti a screening metabolico (dosaggio di ossalato urinario e plasmatico) e la diagnosi è precoce. In assenza di questi sintomi la diagnosi può essere errata o ritardata: nell’attuale situazione di awareness e di conoscenza della malattia, la diagnosi di PH1 viene spesso posta tardivamente, talvolta addirittura quando i pazienti hanno sviluppato insufficienza renale, soprattutto nel contesto della popolazione adulta. Inoltre, in Italia i test genetici per la diagnosi di PH1 sono ancora richiesti in modo sporadico. L’esperienza sui pazienti che sviluppano le manifestazioni della malattia in età adulta è molto limitata e la diagnosi difficoltosa.

Pertanto, è indispensabile diffondere, mediante attività educazionali appropriate, la conoscenza sulla patologia, così come sull’importanza dello screening metabolico e genetico, agli specialisti coinvolti nella gestione dei pazienti sia pediatrici che adulti, come i nefrologi e gli urologi. Per migliorare la diagnosi di PH1 da parte degli specialisti, sarebbe inoltre utile definire una checklist di criteri clinici e laboratoristici condivisi. Infine, è auspicabile una gestione multidisciplinare dei pazienti sospetti, sulla base di alcuni aspetti caratteristici (sintomatologia, parametri di laboratorio, familiarità o età di insorgenza).

Un altro punto da considerare è il ruolo dell’ossalato, il cui accumulo nell’organismo è responsabile dei danni osservati a livello renale (formazione dei calcoli e della nefrocalcinosi con conseguente insufficienza renale), osseo, oculare, cardiaco, ghiandolare, vascolare e del sistema nervoso. L’ossalato rappresenta quindi la causa della PH1 piuttosto che un semplice biomarcatore o un outcome surrogato di efficacia delle terapie utilizzate nella gestione della malattia. Sul piano clinico, è di fondamentale importanza ridurre sia l’ossaluria che l’ossalemia mediante appropriate strategie terapeutiche, in grado di prevenire e/o ridurre le complicanze renali e sistemiche della PH1.

Lumasiran è un nuovo farmaco innovativo basato sulla RNA interference, che riduce la concentrazione dell’enzima glicolato ossidasi e inibisce la produzione di ossalato. Questa nuova opzione terapeutica per i pazienti con PH1 viene considerata molto interessante perché ha permesso di ridurre in maniera significativa i livelli di ossalato nel sangue e nelle urine, rallentando il decorso della malattia e, se iniziata in fase precoce di malattia, prevenendo le gravi complicanze renali e sistemiche.

 

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