Marzo Aprile 2019 - Dal corso educazionale AKI del 59° Congresso SIN 2018

The management of antibiotic therapy in critically ill patients with AKI: between underdosing and toxicity

Abstract

Changes in microbiology and dialysis techniques in intensive care have made the use of antibiotics on nephropathic patients more complex. Several recent studies have modified our knowledge about the use of antibiotics in the care of critically ill patients, highlighting the frequency of their inappropriate use: both underdosing, risking low efficacy, and overdosing, with an increase in toxicity. Kidneys, organs devoted to excretion and metabolism, are a potential target of pharmacological toxicity. Extracorporeal replacement therapy is also a possible drug elimination route. What we call nefropharmacology represents a complex, tangled and rapidly evolving subject of multi-specialist interest. We have reviewed here most of the recent literature dealing with the appropriateness of antibiotic use, focusing on the most interesting contributions from a nephrological perspective.

Keywords: AKI, antibiotics, CRRT, pharmacokinetic

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Introduzione

Il nefrologo ha quotidiana esperienza della difficoltà di prescrizione dei farmaci ai nefropatici. I reni rappresentano un a via privilegiata di eliminazione dei farmaci e nello stesso tempo sono un frequente bersaglio di tossicità. I problemi legati ai farmaci sono differenti nei diversi contesti clinici e le precauzioni, ormai codificate, che utilizziamo nella prescrizione dei farmaci nel danno renale cronico (CKD) stabilizzato non sono valide nei pazienti con una nefropatia acuta (AKD) [1], caratterizzata invece dall’evolutività, con una prima fase di danno renale in progressione (AKI) seguita o meno da un recupero funzionale e dal coinvolgimento frequente di altri organi ed apparati.

Nel contesto dell’AKD i pazienti critici sono sicuramente i più complessi, anche dal punto di vista della corretta scelta e somministrazione dei farmaci, non solo per la gravità della patologia, per la variabilità anche rapida delle condizioni funzionali e metaboliche degli organi, ma anche per le specifiche variazioni della farmacocinetica (PKC) e farmacodinamica (PKD), e per la politerapia somministrata. Tra i fattori legati al paziente, oltre alla clinica, anche la variabilità genetica, che determina le vie metabolico-enzimatiche epatiche e renali, il legame proteico e i trasportatori cellulari dei farmaci è un aspetto (non modificabile) della farmacologia.

Dal punto di vista nefrologico, i farmaci a rischio di dosaggio inappropriato, sia di sottodosaggio ed inefficacia terapeutica, sia di sovradosaggio con tossicità, hanno alcune caratteristiche fondamentali [2]:

  • escrezione renale prevalente e/o eliminazione dialitica;
  • capacità di alterare la dinamica funzionale renale;
  • potenziale nefrotossicità;
  • alterazioni del loro metabolismo durante AKD con possibilità di sottodosaggio o accumulo e tossicità non renale.

Nell’ultimo decennio l’aumento dei germi multiresistenti (MDR), è stato percepito anche a livello politico e mediatico come un’emergenza globale. L’Italia purtroppo è uno dei paesi con la maggior presenza di MDR al mondo. Secondo l’Annual report of the European Antimicrobial Resistance Surveillance Network 2017, in Italia tra il 25 e il 50% dei ceppi invasivi di klebsiella pneumoniae sono resistenti agli aminoglcosidi, più del 50% alle cefalosporine di 3° generazione, e dal 25 al 50% ai carbapenemi. Lo pseudomonas aeruginosa è resistente agli aminoglicosidi e ai carbapenemi tra il 10 e il 25% dei casi. I ceppi di stafilococchi MRSA lo sono tra il 25 e il 50%. (3)

Anche per questo tra i farmaci utilizzati in terapia intensiva gli antibiotici hanno una rilevanza assoluta per la sopravvivenza dei pazienti. La loro gestione è particolarmente difficile sia per le caratteristiche farmacodinamiche (efficacia e tossicità non immediatamente rilevabili) che per la complessità della PKC. Il nefrologo è spesso coinvolto insieme all’intensivista e all’infettivologo, nella definizione della terapia antibiotica dei pazienti con problemi renali e in trattamento sostitutivo (RRT). Applicare i principi di farmacologia alla situazione clinica contingente è l’unico mezzo per ridurre il rischio di somministrare una terapia inadeguata o potenzialmente tossica [4].

 

La farmacocinetica e farmacodinamica in terapia intensiva

I parametri farmacocinetici nei pazienti critici sono alterati sia per le condizioni fisiopatologiche che determinano  alterazioni dell’emodinamica e della funzione degli organi, tra cui è fondamentale quella dei reni, sia per la presenza di supporti meccanici alla loro funzione (ventilatore, RRT, ECMO). A ciò si aggiunga l’utilizzo di farmaci che contribuiscono anch’essi alle alterazioni della perfusione degli organi (Figura 1).

La farmacocinetica (PKC) è definibile come l’effetto dell’organismo sul farmaco o il rapporto tra concentrazione e tempo. La curva concentrazione/tempo identifica i parametri fondamentali dell’attività farmacologica di una sostanza: la concentrazione massima (Cmax), la concentrazione minima (Cmin), l’area sotto la curva (AUC), il tempo di dimezzamento (t ½) [4]. Tutte le fasi della PKC, riassunte nell’acronimo A.D.M.E. (Assorbimento, Distribuzione, Metabolismo, Escrezione), possono risultare alterate nei pazienti critici; in particolare, la distribuzione (compartimentalizzazione), il metabolismo (epatico) e l’escrezione (renale) (Tabella I).

Il volume di distribuzione (Vd) è un valore virtuale espresso in l/kg che esprime il volume in cui si dovrebbe distribuire il farmaco per raggiungere la concentrazione misurata nel plasma.

Vd = Dose somministrata/concentrazione plasmatica

Un farmaco con buona diffusione nello spazio intracellulare avrà quindi un elevato Vd, al contrario di quelli che rimangono confinati nel plasma. Questi ultimi sono quelli con un elevato legame proteico (Pb).

Nei critici, il Vd spesso aumenta per incremento del volume extra cellulare dovuto a iperidratazione, aumentata permeabilità capillare, presenza di un terzo spazio e riduzione delle masse corporee. Questo effetto è clinicamente rilevante nella cinetica dei farmaci idrofilici e con basso Vd (beta lattamici, vancomicina, aminoglicosidi) che sono sottoposti ad una elevata diluizione. I farmaci lipofili invece, con elevati Vd (macrolidi, chinolonici) non subiscono importanti variazioni.

Anche il legame proteico (Pb) varia notevolmente in relazione alle alterazioni dell’albuminemia e alla presenza di altri farmaci o metaboliti che riducono per competizione il legame farmaco proteico. L’ipoalbuminemia (<25 g/l) è presente in circa il 50% dei pazienti critici (5). Aumenta così la frazione libera (Fu) che rappresenta la quota attiva, che diffonde nei tessuti ed è disponibile per il metabolismo epatico, la filtrazione glomerulare (FG) e l’estrazione extracorporea. L’aumentata diffusione tissutale legata all’aumento di Fu determina un ulteriore aumento di Vd. Sono più esposti a queste alterazione della PKC i farmaci con elevato Pb (teicoplanina, daptomicina, ceftriaxone) [6, 7].

L’area sotto la curva (AUC) del rapporto concentrazione/tempo di un farmaco è proporzionale alla clearance totale corporea (Ktc) del farmaco stesso[4].

Ktc = K renale + K epatica + K altro (RRT)

AUC = Dose/Ktc

La clearance renale dei farmaci (Kr) è data dalla filtrazione glomerulare (FG) della frazione libera (Fu) del farmaco presente nel plasma e dall’attività tubulare su di esso (clearance secretoria). Farmaci tossine ed altri anioni organici, legati alle proteine, sono secreti attivamente con meccanismi di trasporto attivi (e saturabili) nel tubulo prossimale, e sono riassorbiti passivamente nel tubulo distale.

Kr = (Fu x GFR) + Secrezione tubulare – Riassorbimento tubulare

In generale, se un farmaco ha un’escrezione renale <30% non viene considerata necessaria una riduzione della dose in corso di AKI. La secrezione tubulare prossimale di farmaci e tossine avviene tramite il passaggio attraverso la membrana baso-laterale delle sostanze che si legano a trasportatori specifici per gli anioni organici (OAT) e i cationi (OCT) e poi attraverso la membrana apicale sono escreti nel lume tubulare da altri carrier (MATE 1 e 2, URAT 1, MRP 2) con trasporto ATP mediato. (8) Competono per questo sistema di escrezione sostanze legate alle proteine, di origine intestinale come l’indoxil solfato, l’acido ippurico, il p cresolo (ora oggetto di rinnovato interesse per le complesse interazioni con il microbioma intestinale e le altre tossine uremiche) ma anche la creatinina e l’acido urico, tutte ritenute nell’insufficienza renale, e farmaci come gli antibiotici betalattamici, gli antivirali, la furosemide, la metformina.

La clearance secretoria non è sempre parallela al FG e può essere maggiore o minore a seconda della patologia renale e della presenza di tossine che danneggiano il tubulo prossimale (catene leggere, aminoglicosidi, etc.) [9]. Ad esempio l’ampicillina, il meropenem, la piperacillina hanno una Kr decisamente superiore al FG perché vengono secreti in gran quantità; al contrario, il fluconazolo viene riassorbito al 90% nel tubulo distale e quindi la sua Kr sarà bassa, pur in presenza di un basso PB e una filtrazione glomerulare del farmaco del 100% [4, 8]. Il metabolismo epatico varia nei pazienti critici in relazione alla perfusione epatica e alla fase dello shock: aumenta nella fase iperdinamica, con l’incremento della gittata cardiaca, e si può ridurre in fasi successive. Il grado dell’attività enzimatica del fegato è geneticamente determinato ed è modulato dalla concomitante presenza di farmaci che competono per le stesse vie metaboliche. L’AKI modifica il metabolismo epatico e determina una ritenzione di metaboliti attivi, con un effetto differente da ciò che è stato visto in CKD; ad esempio, il metabolismo di Imipenem, meropenem e vancomicina, non è così ridotto in AKI come è invece in CKD. La terapia extracorporea (RRT) migliora parzialmente l’attività enzimatica epatica e rimuove i metaboliti idrosolubili [10, 11].

Il tempo di dimezzamento (t ½) è un altro parametro PKC fondamentale, e rappresenta il tempo necessario affinchè la concentrazione plasmatica di un farmaco si riduca del 50%. Il t ½ aumenta con l’aumentare di Vd e con il ridursi di Ktc [4].

t ½ = 0,693 x Vd / Ktc

La farmacodinamica (PKD) studia l’effetto del farmaco sull’organismo ed è espressa dal rapporto tra la concentrazione (dose) e la risposta. Misura l’efficacia dell’azione del farmaco e il suo grado di tossicità ed è quindi la conseguenza della PKC.

Anche la PKD è alterata nel paziente critico a causa delle alterazioni della PKC, delle condizioni cliniche particolari, dell’interazione farmacologica a livello recettoriale e metabolico, etc. Sulla base dei principi di PKD, del rapporto tra dose e risposta, gli ATB ad esempio possono essere distinti in tempo e dose dipendenti (Tabella III) [4, 7].

 

Misura della funzione renale in terapia intensiva

Un corretto dosaggio dei farmaci in terapia intensiva richiede la misura ripetuta delle variazioni della Kr. Una percentuale anche elevata di pazienti critici può avere una Kr sopranormale, in particolare giovani con buona riserva renale, in fase iniziale di shock iperdinamico, in presenza di traumi, o uso di amine. In tutti i casi il FG varia, a volte anche rapidamente, in relazione alle variazioni dell’emodinamica e della volemia [12].

Le formule per la stima del FG che utilizzano il dosaggio della creatininemia sono da usare con cautela per le alterazioni della cinetica della creatinina nei critici; per l’effetto di diluizione dovuto alle infusioni [13, 14]; per la condizione dinamica e instabile della funzione renale che esclude la situazione di steady state [15]. Alcune di queste formule si basano su 2 dosaggi della creatininemia per stimare le variazioni rapide del FG [16]. In generale, le formule che si basano sulla creatininemia sovrastimano il FG e possono causare un sovradosaggio dei farmaci. La presenza costante di un catetere vescicale ci permette di effettuare una misura della clearance della creatinina (CLCr) su 4, 12 o 24 ore. Uno studio ha confrontato la ClCr con il filtrato radioisotopico, evidenziando una elevata variabilità intra-metodica delle misurazioni della ClCr (55%) e uno scostamento tra ClCr e clearance radioisotopica del 103%. Secondo l’ipotesi dagli autori, le cause di questa variabilità dei dati sono l’imprecisa raccolta delle urine e la secrezione tubulare della creatinina, che produce un aumento dell’escrezione non dovuto alla filtrazione glomerulare [17]. La valutazione della clearance secretoria tubulare è ancora più difficoltosa, sia perché l’urina che noi troviamo in vescica dipende prevalentemente dal FG, sia perché non abbiamo markers di facile utilizzo per misurare o stimare questa attività [18]. Come valutazione indiretta della K secretoria è stato proposto il “furosemide stress test” che valuta la risposta diuretica tubulare ad una dose di furosemide [19].

 

Farmacocinetica degli antibiotici in AKI critica

In corso di AKI gli antibiotici idrosolubili (beta lattamici, amioglicosidi, glicopeptidi) sono quelli con le maggiori alterazioni della PKC. Questi farmaci diffondono prevalentemente nel volume extra cellulare e possono quindi avere un Vd alterato. Gli aminoglicosidi, il meropenem e la daptomicina, ad esempio, hanno spesso un Vd aumentato; hanno inoltre una prevalente eliminazione renale, e quindi una ridotta Kr e Ktc. [7]. Fanno eccezione il ceftriaxone e l’oxacillina, che pur essendo idrofili hanno una scarsa eliminazione renale per un’elevato Pb, e viceversa la ciprofloxacina e la levofloxacina, che pur essendo lipofilici sono in tutto (levofloxacina) o in buona parte (ciprofloxacina) escreti dai reni (Tabella II).

Quando il Vd aumenta, occorre aumentare proporzionalmente la dose di carico (concentrazione target in mg/l x Vd x peso corporeo) per ottenere rapidamente la concentrazione plasmatica efficace. La dose di mantenimento deve invece essere modificata, in aumento o diminuzione, in relazione alla Ktc stimata [20, 21]. Per le ragioni di variabilità e instabilità sopra esposte, negli studi che hanno valutato questo aspetto nei pazienti critici, il rapporto tra ClCr misurata e Kr dei farmaci ad escrezione renale, quali i beta lattamici, è ovviamente presente, ma non è molto stretta. È stato in ogni caso dimostrato il rischio di sottodosaggio nei pazienti con ClCr elevata o normale [22]. Gli antibiotici liposolubili sono prevalentemente metabolizzati dal fegato e quindi, con le cautele descritte in precedenza sulle modifiche del metabolismo epatico in AKI, il loro Vd e la loro Kr non variano in modo rilevante [23].

 

L’appropriatezza della terapia antibiotica secondo i principi della PKC/PKD

A fronte dell’aumento dei germi MDR, l’armamentario terapeutico degli agenti antibatterici è rimasto sostanzialmente invariato per molti anni, senza che comparissero sul mercato nuove classi di antibiotici. Sono ritornati “sul carrello della terapia” farmaci abbandonati o poco utilizzati negli anni precedenti per la loro scarsa maneggevolezza e tossicità, come la colistina e gli aminoglicosidi. Solo recentemente sono stati messi in commercio nuovi farmaci contro i germi gram negativi resistenti a cefalosporine e carbapenemi che associano questi betalattamici a nuovi inibitori delle beta lattamasi.

La necessità di trattare con farmaci ad elevata tossicità germi difficili in pazienti fragili ha stimolato i ricercatori e i clinici a studiare l’approccio farmacologico più razionale per sfruttare al meglio l’attività degli antibiotici a disposizione. Oltre agli aspetti di farmacocinetica sommariamente descritti in precedenza, è fondamentale considerare anche parametri farmacodinamici [4, 7, 20] (Tabella III):

  • l’antibiotico può avere un’azione concentrazione-dipendente (aminoglicosidi), cioè avere un’attività battericida dipendente dal picco di concentrazione che deve essere sufficientemente elevato;
  • l’antibiotico può avere un’azione tempo-dipendente (betalattamici), cioè avere un’attività dipendente dal tempo durante il quale il germe è esposto ad una concentrazione di farmaco adeguata;
  • possono valere ambedue le condizioni (vancomicina).

I parametri fondamentali per la scelta della terapia antibiotica empirica sono la rapidità di somministrazione e di azione e l’ampiezza dello spettro antibatterico; nella seconda fase della terapia, mirata sugli esami colturali e batteriologici, occorre considerare le caratteristiche del germe e la sensibilità all’antibiotico espressa come minima concentrazione inibente in vitro (MIC). Sulla base di queste caratteristiche l’efficacia terapeutica degli antibiotici può essere stimata con differenti parametri farmacocinetici/farmacodinamici.

Per gli antibiotici concentrazione-dipendenti è fondamentale il rapporto tra Cmax della Fu della sostanza e/o fAUC (area sotto la curva della frazione non legata alle proteine) rispetto alla MIC del germe [4, 7, 17]:

  • Aminoglicosidi. Nei pazienti con funzione renale normale o poco ridotta, per ottimizzare il rapporto Cmax/MIC numerosi autori consigliano di aumentare i livelli di picco somministrando la dose giornaliera in un unico bolo.  Infatti un rapporto Cmax/MIC di 0-2 si associa ad una percentuale di cura solo del 55%, mentre se Cmax/MIC raggiunge 8-10 si arriva al 90% [24]. Si tratta di farmaci con un profilo di sicurezza inferiore ai betalattamici e quindi è necessario porre la massima attenzione a ridurre la tossicità riducendo l’esposizione alla molecola. Per questo occorre raggiungere livelli di valle (Cmin) molto bassi, distanziando gli intervalli di somministrazione in modo opportuno in relazione alla Ktc del farmaco e al t ½ della molecola. Un’altra motivazione farmacodinamica per passare all’unica dose giornaliera nei pazienti con funzione renale conservata e alla somministrazione ogni 48 h nei paziente con FG ≤30 ml/m. Fortunatamente il dosaggio plasmatico (TDM) di alcuni aminoglicosidi è diffuso nei nostri laboratori ed è pertanto tecnicamente possibile e fortemente raccomandabile monitorare e modificare la terapia nel tempo.
  • Daptomicina. Anche in questo caso sono consigliate dosi elevate (>6 mg/kg/die) in una sola somministrazione giornaliera, allungando gli intervalli di somministrazione a 48 h nei pazienti con FG ≤30 ml/m [25].
  • Colistina (PM 1163 Da). Si tratta di un farmaco dalla PKC molto complessa. Deriva dalla rapida idrolisi nel plasma del profarmaco colistimetato sodico (PM 1743 Da), che ha un basso legame proteico ed è rapidamente filtrato dal glomerulo e secreto dal tubulo distale, mentre il farmaco attivo (colistina) è riassorbito dal tubulo prossimale. Nei pazienti con FG normale o elevato è difficile raggiungere livelli terapeutici (e tossici) perché l’eliminazione è più rapida della conversione in farmaco attivo [26]. Solo recentemente la sua PKC e PKD sono state (ri)studiate e sono disponibili indicazioni sul dosaggio, seppur parzialmente differenti tra FDA americana ed EMA europea. Le dosi terapeutiche del farmaco sono sostanzialmente sovrapponibili a quelle nefrotossiche e con una ClCr >80 ml/m non è possibile raggiungere la concentrazione terapeutica adeguata in caso di germi MDR (in particolare lo pseudomonas), per cui è consigliata una terapia di associazione con carbapenemi o tigeciclina. Inoltre è documentata una larga variabilità PKC inter- ed intra-individuale. La dose di carico deve essere elevata (≥9 milioni di unità) e seguita da un mantenimento proporzionale alla ClCr, somministrato ogni 8-12 ore [26, 27, 28, 29].

Nel caso degli antibiotici tempo-dipendenti, è importante il tempo durante il quale la concentrazione Fu del farmaco è superiore alla MIC (fT>MIC o fAUC>MIC). Gli indici di PKD ritenuti accettabili per una adeguata probabilità di cura dell’infezione sono di 40-70% fT>MIC, ma nei pazienti critici con germi multi resistenti è consigliato aumentare la concentrazione fino a 4-5 x MIC e cercare di raggiungere fino al 90-100% fT>MIC [30].

  • Betalattamici. Numerosi studi clinici hanno dimostrato che in terapia intensiva spesso le dosi standard non sono sufficienti a raggiungere questi indici ottimali di PKD, specialmente nelle fasi iniziali della sepsi e in pazienti con funzione renale normale o elevata. Attualmente, nei pazienti critici con infezioni gravi la letteratura propone incrementi di circa il 100% rispetto allo standard, sia per le cefalosporine, che per i carbapenemi. La dose di carico viene somministrata a bolo per raggiungere rapidamente la concentrazione terapeutica. La dose di mantenimento deve raggiungere concentrazioni tissutali il più possibile elevate e stabili. Secondo gli studi di PKC ciò si può ottenere suddividendo la dose giornaliera in somministrazioni multiple e riducendo quindi gli intervalli, oppure utilizzando somministrazione prolungate (3-5 h), oppure con l’infusione continua.[31, 32]. La stabilità alla temperatura ambiente consente l’utilizzo dell’infusione continua delle penicilline, delle cefalosporine e anche dei carbapenemi, contrariamente a quanto ritenuto in passato. (33)
  • Glicopeptidi (vancomicina, teicoplanina). Anche nel caso di questi farmaci il metodo consigliato per migliorare gli indici PKC/PKD è l’infusione continua/prolungata, preceduta da una dose di carico adeguata al Vd stimabile, sia per la vancomicina che per la teicoplanina (per la quale sono necessarie multiple dosi). L’utilizzo della TDM è indispensabile per individualizzare la terapia [34].
  • Linezolid. Con le dosi standard (600 mg due volte al dì, a bolo) solo una minoranza di pazienti raggiunge i livelli plasmatici ottimali. Una buona Kr, un peso elevato e la presenza di ARDS (con verosimile incremento dell’ossidazione del farmaco) aumentano la Ktc del linezolid; l’ipoperfusione sistemica con iperlattaemia e una ridotta Kr, al contrario, la riducono. L’infusione continua mantiene i livelli plasmatici più stabili e aumenta la probabilità di raggiungere l’obiettivo PKC/PKD [35, 36].

Gli studi clinici hanno evidenziato l’efficacia dell’infusione continua dei farmaci tempo-dipendenti nella sopravvivenza solo dei pazienti più gravi e con infezioni da germi più resistenti [37]. Il DALI study, uno studio osservazionale multicentrico multinazionale, ha riportato variazioni della concentrazione dei beta lattamici fino a 500 volte, con differenze nell’esposizione PKC/PKD più di 1000 volte nei pazienti critici. Circa il 20% dei casi analizzati non raggiungeva l’obiettivo minimo del 50% fT>MIC [38]. Questa grande variabilità clinica e farmacocinetica nei pazienti critici rende molto difficile la personalizzazione e l’adattamento della terapia “giorno per giorno”. Le direzioni verso cui la ricerca si sta muovendo sono il dosaggio plasmatico (TDM) anche per gli antibiotici betalattamici, l’utilizzo di programmi informatici per combinare i dati al letto del malato e ottenere calcoli PKC/PKD più precisi, e infine microsensori elettrochimici che dosano le concentrazioni del farmaco nel paziente e possano consentire un feed back rapido tra dose somministrata e concentrazione tissutale [39, 40]. Grosse novità sia nella diagnostica rapida dei patogeni infettanti che nella terapia antinfettiva sono già presenti o comunque in rapido avvicinamento: la terapia biologica delle infezioni, ad esempio, con lo sviluppo di anticorpi monoclonali da utilizzare contro i principali patogeni, oppure la terapia con batteriofagi, ossia la possibilità di impiegare virus antibatterici [41].

 

Appropriatezza prescrittiva degli antibiotici e clearance extracorporea

La rimozione extracorporea dei farmaci è determinata da un insieme composito di fattori:

  • caratteristiche intrinseche della molecola: dimensioni, idrofilicità;
  • caratteristiche PKC della molecola nel singolo paziente critico: legame proteico, VD (compartimentalizzazione), tipo di somministrazione (bolo, infusione continua);
  • caratteristiche operative della metodica in atto: durata (IHD, PIRRT, CRRT); intensità (dose/tempo); metodica convettiva (reinfusione pre- o post-filtro), diffusiva, mista; membrana utilizzata (caratteristiche adsorbitive, cut-off, etc.); anticoagulazione (eparina, citrato, nessuna); durata del dializzatore; down-time (rapporto tra dose prescritta e somministrata).

Occorre ricordare che usualmente la K extracorporea è considerata significativa quando è ≥ 25-30% della Ktc.

Clearance extracorporea frazionale = Kextr/Ktc [42]

Il peso molecolare degli antibiotici idrosolubili è costantemente nel range delle piccole-medie molecole e quindi, con le membrane attualmente in uso, l’estrazione dialitica è elevata. Infatti il sieving coefficient (SC) convettivo è sempre inferiore al cut-off della membrana ed è simile al coefficiente di saturazione del dialisato (SA). La quota dializzabile è quella libera (Fu) e quindi può variare in relazione alle sopraesposte alterazione del Pb.

SC = Fu

I fattori limitanti l’estrazione dialitica sono quindi il legame farmaco proteico e la compartimentalizzazione. Sono comunque dializzabili anche i metaboliti idrosolubili, attivi o inattivi.

Quindi il volume dell’effluente può essere utilizzato (dopo correzione per l’eventuale prediluizione) come stima ragionevole della clearance [42].

Kextr = [Fu] x Qeff

Kextr (pre diluizione) = [Fu] x Qeff x [(Qb/(Qb+Qr)]

Qeff = Qd + Qinf + Quf

Kextr: clearance extracorporea; Qeff: effluente totale; Qd: volume dialisato; Qinf: volume infusato; Quf: volume ultrafiltrato (volume sottratto al paziente).

 

Le Linee Guida K-Digo e una bella review pubblicata sul GIN qualche anno fa [42, 43] illustrano i metodi per correggere e adattare il dosaggio degli antibiotici nei pazienti con RRT:

  • Sulla base della Cl creatinina totale (somma ClCr RRT + Cl Cr renale residua);
  • Riducendo proporzionalmente alla riduzione della Ktc la dose consigliata per i pazienti con funzione renale normale:
    Dose = Dose normale x [Cl nonrenale + (Qeff x SC)]/Cl norm;
  • Aggiustando la dose (di mantenimento) prevista per i pazienti anurici tramite l’applicazione di un fattore di moltiplicazione:
    Fattore di correzione = 1/(1-Clearance extracorporea frazionale);
  • Sulla base del monitoraggio dei livelli ematici (TDM).

L’estrazione dei farmaci in RRT comunque non è sempre adeguatamente prevedibile e calcolabile, sia per le variazioni della biodisponibilità (alterazioni del Pb, alterazioni del Vd, etc.) sia per le altre variabili operative (differenti membrane, differente tempo di utilizzo del filtro, differente coagulazione delle fibre, etc.) che sono presenti nelle diverse metodiche e setting di utilizzo della RRT.  Alcuni studi recenti hanno dimostrato che malgrado sia evidente una correlazione tra Qeff e Kextr degli antibiotici, è sempre presente una grande variabilità sia inter- che intra-individuale. Ad esempio, in uno studio collaterale al RENAL study (che ha confrontato pazienti con dose dialitica elevata e pazienti con dose dialitica ridotta) è stata valutata la farmacocinetica di piperacillina/tazobactam, meropenem, vancomicina e ciprofloxacina. Pur con una Kextr maggiore nel gruppo ad elevata intensità di trattamento, la significatività statistica era limitata alla sola vancomicina [44]. Un recente studio ha analizzato con la TDM l’utilizzo di betalattamici (ceftazidime, cefepime, piperacillina/tazobactam e meropenem), utilizzando in pazienti con AKI e CRRT a dosi medio elevate (Qeff circa 30 ml/kg/h) dosi analoghe a quelle consigliate per pazienti con normale funzione renale.  Nel 90% dei casi gli obiettivi PKC/PKD (40-70% T>4 x /MIC) sono stati  raggiunti, ma la concentrazione plasmatica è stata giudicata eccessiva nel 50% dei dosaggi effettuati [50]. Quindi considerare i pazienti in RRT tout court come pazienti con normale funzione renale può indurre al sovradosaggio dei betalattamici. Nel corso del trattamento con RRT, i parametri PKC degli antibiotici possono cambiare: ad esempio con una disidratazione progressiva, riducendo l’eccesso di liquidi un Vd inizialmente alto può diminuire, e parallelamente variare il Pb, la Kr residua  e anche il metabolismo epatico. In generale, si è notata una tendenza al sottodosaggio nella fase iniziale del trattamento e al sovradosaggio nelle fasi successive, con aumento delle concentrazioni dei farmaci per progressivo accumulo. [51] Dagli studi di farmacocinetica che sono stati pubblicati possiamo ricavare il range di dose che è possibile utilizzare a seconda delle condizioni cliniche, dell’intensità del trattamento (che è sempre più spesso indicata con precisione nella letteratura recente) e della sensibilità del germe, piuttosto che indicazioni puntuali applicabili in tutti i casi.

In questo contesto dinamico, per valutare la Ktc degli antibiotici idrosolubili, occorre considerare la presenza di una diuresi residua, espressione di una Kr più o meno significativa, sia nelle fasi iniziali che in quelle di ripresa funzionale e di possibile sovrapposizione con la Kextr (Figura 2). La diuresi residua origina sia da una quota di filtrato glomerulare sia da  una clearance secretoria, di particolare importanza nell’eliminazione di farmaci con secrezione tubulare significativa (penicilline, cefalosporine, carbapenemi) [45] (Tabella II).

La presenza di una diuresi superiore a 500 ml/24 h può essere considerata significativa. In questi casi, in particolare per i farmaci con azione tempo-dipendente, è necessario misurare la Kr residua e sommarla alla Kextr per evitare il sottodosaggio [43]. Ad esempio, in un recente studio sul meropenem (farmaco con secrezione tubulare importante), la Ktc in corso di CRRT con Qeff 30 ml/kg/h è stata calcolata di circa 60 ml/m nel paziente anurico e di circa 100 ml/m nel paziente con diuresi di 1 litro/die. Per l’utilizzo del meropenem in CRRT, le dosi consigliate in letteratura variano quindi sensibilmente: da 500 mg x 3 al dì in un paziente con diuresi assente e germi sensibili (target “basso”: 40%T>fMIC), fino a 2 g x 3 al dì in un paziente con diuresi conservata e germi resistenti (100% 4 xfT>MIC) [46].

I betalattamici sono farmaci con elevata Kextr e quindi la loro eliminazione è proporzionale all’intensità e al tipo di trattamento extracorporeo. Gli antibiotici tempo-dipendenti, come i beta lattamici, possono essere infusi in modo continuo anche in CRRT, migliorando il profilo PKC/PKD e appaiando l’infusione costante ad una rimozione continua. Anche in questi pazienti il vantaggio in termini non solo di efficacia della cura ma anche di sopravvivenza è dimostrata nei casi più complessi, dove si presentano infezioni da germi resistenti [47, 48, 49].

  • La vancomicina è un farmaco con basso Vd ed elevata eliminazione renale, il Pb riportato nel soggetto normale è del 55% e quindi la Kextr con le attuali membrane in CRRT è elevata e rappresenta il 40-70% della Ktc. Le dosi consigliate con gli attuali standard di trattamento CRRT sono tra 15 e 35 mg/kg/die in infusione continua [52]. La variabilità della sua PKC è molto elevata e dipende in modo evidente dall’intensità del trattamento extracorporeo. La possibilità di utilizzare la TDM è fondamentale per ottenere un profilo PKD equilibrato tra efficacia e tossicità [53].
  • Nel caso del linezolid, sia le dimensioni della molecola che il suo Pb relativamente basso rendono ragione dell’elevata clearance extracorporea rilevata con tutte le metodiche (pur con ampie variabilità farmacocinetiche). I parametri SC/SA 69-84 e il rapportro Kextr/Ktc tra il 22 e il 67%, pur nella loro ampia variabilità, inducono gli autori a consigliare, oltre allo sviluppo di una TDM, un aumento della dose standard (900 mg ogni 12 ore) e/o una infusione continua per i pazienti più gravi e con germi più resistenti [54, 55].

Alcuni studi hanno valutato recentemente la PKC/PKD di antibiotici totalmente o parzialmente concentrazione-dipendenti utilizzando trattamenti RRT a dosi medio-elevate, sia in modalità convettiva, che convettivo-diffusiva. Non sono state registrate differenze nella Kextr nelle diverse modalità [56].

L’estrazione extracorporea degli aminoglicosidi si è confermata molto elevata, con una Kextr sovrapponibile a quella della creatinina. Il Vd è per lo più maggiore rispetto ai dati dei pazienti non critici; il t ½ di circa 5,5 h (3 volte il dato usuale) [56].

  • Per l’amikacina, mantenendo un basso livello di Cmin per minimizzare la tossicità, non è stato possibile ottenere una copertura ottimale (8 x Cmax/MIC) con germi tendenzialmente resistenti (MIC ≥8 mg/l). Gli autori consigliano dosi elevate (25 mg/kg, circa 3 volte lo standard consigliato) allungando l’intervallo di somministrazione a 48 h. La grande dispersione dei dati indica la necessità di personalizzare queste dosi utilizzando la TDM (dosaggio di picco ½ h dopo l’infusione e dosaggio di valle dopo 3-4 volte il t ½ o prima della successiva somministrazione) [57]. Un altro studio retrospettivo ha valutato l’utilizzo di dosi ancora più elevate di amikacina in pazienti trattati con CRRT ad alti volumi (>45 ml/kg/h) per rimuovere efficacemente il farmaco. Su 16 casi trattati, in 8 c’è stata una risposta clinica considerata positiva , 5 sono stati dimessi vivi e 4 hanno avuto una ripresa della funzione renale [58].
  • La ciprofloxacina è liposolubile ed ha un Vd molto elevato (elevata diffusibilità nel compartimento intracellulare). Nonostante l’elevata Kr del farmaco (50% circa) e il Pb relativamente basso, con un SC di circa 0,6, la clearance frazionale extracorporea (Fr RRT) è al limite della significatività clinica (17-26% della Ktc). La spiegazione potrebbe essere un’aumentata Ktc per la presenza di una  clearance intestinale nei critici. La Kextr non varia con metodiche convettive o miste. Le dosi consigliate nei pazienti con germi “difficili” in CRRT sono ai limiti superiori delle dosi per pazienti con normofunzione renale (400 mg /12 h) [59, 60].
  • La levofloxacina ha una Kextr molto elevata con un SC/SA di 0,77 corrispondente alla Fu del farmaco. Quindi la dose in corso di CRRT deve tener conto della Kextr somministrata [61, 62].
  • La daptomicina è un altro farmaco dose-dipendente, con elevata Kr ed elevato Pb; la sua Kextr è piuttosto elevata e variabile in relazione alle variazioni del Pb nel paziente ipoalbuminemico. In CRRT, la Kextr è superiore di circa 2-3 volte rispetto a quella rilevata in emodialisi intermittente standard e sovrapponibile ai pazienti con FG >30 ml/m. Le dosi e l’intervallo tra le somministrazioni (ogni 24 h) sono quindi sostanzialmente sovrapponibili a quelle utilizzabili nei pazienti con normale funzione renale [63].
  • Anche la colistina è un farmaco dose-dipendente e ha una PKC molto complessa, come già accennato in precedenza. Rappresenta un esempio di farmaco con elevato riassorbimento tubulare e dissociazione tra la quota di farmaco filtrata e l’escrezione renale totale. La Kextr è molto elevata ed è influenzata dalla componente adsorbitiva delle membrane (in particolare AN69 e polimetilmetacrilato). I dosaggi consigliati in corso di CRRT di medio elevata intensità (Qeff 30-40 ml/kg/h) sono sovrapponibili o superiori a quelli utilizzati nel paziente con funzione renale normale (9-12 milioni di U.) con uguale intervallo tra le dosi (ogni 8-12 ore) [26, 28, 64].
  • Il fluconazolo rappresenta un altro esempio di farmaco attivamente rimaneggiato a livello tubulare, con una dissociazione tra quota filtrata a livello glomerulare e quota escreta. Il suo basso peso molecolare, basso Pb e idrosolubilità lo rendono facilmente dializzabile. La sua Kextr rappresenta il 60% circa del Ktc e il dosaggio attualmente consigliato in pazienti anurici in CRRT è doppio rispetto a quello utilizzato nei pazienti con funzione renale normale (800-1200 mg/die) [65, 66].

 

Nuovi antimicrobici

L’emergenza dei germi multiresistenti (MDR), e in particolare Gram negativi, ha recentemente spinto l’industria a immettere in commercio nuovi farmaci che sfruttano l’associazione tra beta lattamici e inibitori delle beta lattamasi (BLI). I BLI sono sostanze idrosolubili, escreti per via renale, con un Vd piuttosto basso ≤1 l/kg, e un Pb di circa il 20-30% (avibactam <10%) (Tabella II). Oltre ai meno recenti piperacillina-tazobactam, amoxicillina-clavulanato e ampicillina-sulbactam, sono attualmente disponibili associazioni tra carbapenemi e BLI (meropenem-vaborbactam) e tra cefalosporine e BLI (ceftazidime-avibactam, ceftolozano-tazobactam).

L’attività PKC/PKD di questi farmaci in associazione dipende quindi da due distinte cinetiche che non sono sovrapponibili, specialmente in caso di insufficienza renale e di RRT. In ogni caso, attualmente queste differenze non paiono significative [67]. I primi trattamenti riportati in letteratura hanno utilizzato nei pazienti con CRRT dosi analoghe a quelle utilizzate in pazienti con funzione renale normale [68].

 

Tossicità farmacologica degli antibiotici in terapia intensiva

Nefrotossicità da antibiotici

Gli studi epidemiologici ci suggeriscono che l’AKI ha un’etiologia tossica nel 25% dei casi circa [69], ma la pratica clinica ci insegna che nella multifattorialità della patogenesi e nell’evoluzione della malattia la nefrotossicità si incontra anche più frequentemente. Inoltre, il dosaggio inappropriato di farmaci con una escrezione renale o eliminazione extracorporea può comportare il rischio di accumulo con tossicità extrarenale (betalattamici). Il danno renale nefrotossico è stato definito con l’acronimo anglosassone DIKD (Drug Induced Kidney Disease).

Definire i criteri diagnostici in questi casi non è agevole, e la relazione causa-effetto è sfuggente. A questo fine sono stati applicati e rivisti i criteri di causalità enunciati nel 1965 dall’epidemiologo Bradford Hill [70]:

  • Durata: l’esposizione al farmaco deve precedere di almeno 24 ore la manifestazione clinica;
  • Plausibilità: ci deve essere una plausibilità biologica;
  • Peso relativo: bisogna valutare la relativa importanza della causa tossica sospettata rispetto ad altri concomitanti fattori patogenetici e tossici;
  • Forza: l’importanza della relazione causale deve essere valutata considerando l’esposizione, la durata e la relazione temporale tra farmaco e patologia.

Le reazioni avverse ai farmaci sono classificate invece in due categorie:

  • Reazioni di tipo A: prevedibili, dose dipendenti, legate alle caratteristiche farmacologiche della molecola (ad esempio, tossicità tubulare da aminoglicosidi);
  • Reazioni di tipo B: imprevedibili, dose indipendenti, su base immunologica o idiosincrasica (nefrite interstiziale acuta).

Dal punto di vista clinico, le reazioni avverse ai farmaci possono dare 4 tipi di nefropatie [71]:

  • AKI;
  • Nefropatie glomerulari;
  • Nefropatie tubulo interstiziali;
  • Calcolosi/cristalluria.

Ognuno di questi gruppi può essere diagnosticato secondo criteri clinici e laboratoristici primari e secondari e può avere un decorso acuto (1-7 giorni), subacuto (<90 giorni) o cronico (>90 giorni).

La nefrotossicità di tipo A dipende dalle caratteristiche del farmaco e dalla sua PKC, da fattori legati alle caratteristiche del paziente (età, predisposizione genetica) e alla sua patologia (nefropatia preesistente o concomitante, ipossia, ipotensione, ipoperfusione renale, sepsi, interazione farmacologica, etc.) che rendono i reni più suscettibili all’insulto chimico [72]. I reni sono un organo particolarmente suscettibile alla tossicità farmacologica per caratteristiche intrinseche: in primo luogo per l’elevata esposizione ai farmaci (elevato flusso ematico, elevata concentrazione delle sostanze nella midollare), in secondo luogo per la presenza di meccanismi tubulari specifici per l’eliminazione e il metabolismo di tossine e sostanze chimiche, con accumulo dei farmaci e dei metaboliti nelle cellule tubulari. Questi sistemi di trasporto determinano un  elevato consumo di O2 in presenza di ambiente ipossico. Altri fattori di nefrotossicità sono invece legati al farmaco: la dose e il tempo di esposizione, le caratteristiche chimiche (idrosolubilità, struttura, carica), l’interazione con altri farmaci o tossine.

I meccanismi patogenetici della nefrotossicità sono molteplici, e due o più di essi possono essere presenti contemporaneamente [73, 74]:

  • Accumulo nelle cellule tubulari per:
    • Difetto metabolico (nefrosi osmotica da gelatine);
    • Competizione enzimatica (tenofovir);
  • Tossicità tubulare diretta (aminoglicosidi, colistina);
  • Nefropatia ostruttiva intratubulare per:
    • Formazioni di cilindri con uromodulina (vancomicina);
    • Formazione di cristalli (aciclovir, sulfadiazina, vancomicina).

L’accumulo nelle cellule tubulari può avvenire per trasporto apicale via sistema megalina-cubilina (aminoglicosidi), oppure tramite il sistema degli enzimi di trasporto degli anioni (OAT) e cationi (CAT) organici presenti sul versante basolaterale delle cellule. Questi sistemi sono saturabili; sulla stessa via di trasporto competono altri farmaci e tossine, tra cui alcune note tossine uremiche protein-bound che si accumulano in caso di AKD (indoxil solfato, p cresolo) [8, 9, 74]. Nel contesto di grave patologia e sofferenza multi organica, la presenza di un danno tubulare può ragionevolmente sfuggire all’attenzione se non si accompagna all’aumento della creatinina e alla contrazione della diuresi. Anche questi problemi apparentemente minori possono però avere ripercussioni cliniche rilevanti, o come segni di danno iniziale in progressione verso l’AKI, o al contrario di danno residuo in un contesto di AKD che evolverà, per la presenza di un problema parenchimale, verso la CKD. La nefrotossicità dei farmaci è un ambito in cui la necessità di marker di danno renale e, in particolare, di danno parenchimale tubulare è più evidente (Tabella IV).

La diffusione dei germi MRD e la necessità di utilizzare antibiotici potenzialmente nefrotossici a dosi elevate ha aumentato la prevalenza delle DIKD [75]. La comparsa o il peggioramento di una AKI in un paziente ricoverato, specialmente se critico, ha una fondamentale importanza clinica e prognostica. La diagnosi di DIKD di tipo A deve indurre a valutare una serie di possibili interventi [76]:

  • interruzione del trattamento e utilizzo di altri farmaci;
  • riduzione della dose con utilizzo del TDM (quando disponibile) per il monitoraggio;
  • eliminazione delle concause (farmacologiche e non):
    • Secondo un’ampia metanalisi il rischio di AKI aumenta significativamente nei pazienti trattati con vancomicina (RR 45, 95% CI 1.69-3.55) [77]. Il rischio è maggiore nei pazienti critici, nella somministrazione a bolo rispetto all’infusione continua [78], e se si associano alla vancomicina altri farmaci nefrotossici come gli amino glicosidi [77, 78]. Recentemente è stata anche dimostrata una aumentata probabilità di AKI in presenza dell’associazione tra vancomicina e piperacillina-tazobactam [79].
    • Aminoglicosidi. La prevalenza di nefrotossicità varia dal 12 al 25% dei pazienti trattati. Diventa evidente dopo circa 7 giorni di terapia ed è per lo più a diuresi conservata. La nefropatia non è reversibile in circa la metà dei casi [80]. L’interazione con le cariche negative dei fosfolipidi di membrana tubulare è un fattore importante nella tossicità degli aminoglicosidi per cui le molecole più cationiche sono più tossiche (gentamicina > amikacina > streptomicina) [81].
    • Colistina. La prevalenza di nefrotossicità è piuttosto variabile nelle casistiche pubblicate (24-74%) [82, 83]. In ogni caso, la dose efficace si sovrappone a quella tossica nei pazienti con funzione renale normale; vista la rapidità di eliminazione renale del profarmaco, non è possibile raggiungere una dose efficace di colistina senza somministrare dosi elevatissime per cui la nefrotossicità, in condizioni estreme, può essere un prezzo da pagare per ottenere l’efficacia terapeutica [84]. Tra le altre, è stata rilevata una correlazione tra nefrotossicità da colistina e ipoalbuminemia [85] e livelli di anemia [82].

In tutti gli studi la nefrotossicità di questi farmaci è correlata con l’età, con la presenza di CKD, con la dose e la durata della terapia, oltre che con la presenza di altri farmaci nefrotossici e la gravità della condizioni cliniche [72]. Questo spiega le difficoltà nella ricerca di adeguate strategie di prevenzione della nefrotossicità. Innanzitutto è fondamentale evitare le associazioni pericolose, ottimizzare l’emodinamica e l’ossigenazione renale, nonchè cercare di mantenere un flusso urinario (parte della nefrotossicità deriva dalla scarsa solubilità intratubulare dei farmaci). Alcuni studi hanno esplorato l’utilità di somministrare antiossidanti per migliorare la tossicità tubulare [86], oppure l’utilizzo di antagonisti dei meccanismi di accumulo intracellulare (per esempio, la cilastatina per inibire l’uptake mediato da megalina-cubilina di colistina ed amino glicosidi, e la minociclina come antiossidante e antiapoptotico per la colistina) [87, 88].

 

Tossicità non renale da antibiotici idrosolubili

Oltre agli antibiotici nefrotossici, altre classi di antibiotici con escrezione renale ed elevata Kextr possono presentare una tossicità a carico di altri organi o apparati. legata al sovradosaggio in caso di riduzione della funzione renale o RRT (Tabella V). I betalattamici sono considerati farmaci con un buon profilo di tollerabilità, ma oltre ai noti problemi immunoallergici, possono presentare una tossicità dose-correlata. Sia le penicilline e le cefalosporine che i carbapenemi penetrano la barriera ematoencefalica e possono avere effetti negativi sul SNC, legandosi ai recettori GABA e inibendo questa via di trasmissione neuronale [89]. I sintomi possono essere lievi (nausea, vomito, sonnolenza) o gravi (allucinazioni, delirium, convulsioni e coma). I farmaci con maggiore affinità per i recettori GABA e considerati a maggior rischio sono l’imipenem, il cefepime, il ceftazidime e la cefazolina, ma l’effetto è condiviso da tutti gli antibiotici di questa classe [90, 91, 92]. Le cause di encefalopatia in un paziente critico possono essere molteplici, sia legate alla patologia traumatica, settica o infiammatoria, sia alle condizioni cliniche, come ipotensione o ipercapnia, sia ai farmaci ad azione centrale, quali sedativi, ipnotici ed antidolorifici. Non stupisce quindi che in questo contensto gli effetti collaterali da accumulo di betalattamici siano di difficile diagnosi nella pratica clinica quotidiana. I casi riportati in letteratura sono dovuti ad una riduzione della clearance renale e alla mancata riduzione delle dosi [91, 92]. Gli effetti collaterali ematologici e cardiologici sono meno sfuggenti e, nel caso della miopatia con rabdomiolisi, possono risultare in una nefrotossicità indiretta.

 

Conclusioni

La diffusione dei germi MDR, in particolare in Italia, ha posto al centro dell’attenzione la necessità di sfruttare nel modo più razionale possibile le caratteristiche terapeutiche degli antibiotici. Nei pazienti critici, nell’ambito del periodo di ricovero in terapia intensiva, questa esigenza di ottimizzare il profilo PKC/PKD dei farmaci è complicato dalle alterazioni della farmacocinetica e dall’estrema variabilità tra i diversi pazienti e persino nel singolo.

Per gli antibiotici idrosolubili, la Kr e l’eventuale Kextr sono tra i parametri PKC più variabili e si ritiene che causino una diffusa tendenza al sottodosaggio di questi farmaci, con ridotta efficacia della terapia. La necessità di raggiungere elevate concentrazioni, per trattare germi resistenti o con MIC elevate, espone però ad un maggior rischio di tossicità dose-correlata sia renale che extrarenale. Da ciò scaturisce la necessità di individualizzare il trattamento e modificare le dosi dei farmaci in base alle condizioni cliniche del paziente, alle condizioni operative della eventuale RRT, alle caratteristiche del germe e alle caratteristiche PKC dell’antibiotico, in assenza di dosi “standard”. L’utilizzo sistematico della TDM, ove possibile, e Il controllo costante della funzione renale e della Kextr realmente somministrata sono elementi essenziali per affrontare in modo razionale la terapia antibiotica in terapia intensiva. In particolare nei pazienti con AKD, l’estensione della TDM alla maggior parte dei farmaci disponibili rappresenterebbe un passo avanti decisivo per personalizzare il trattamento antibiotico sulla base della PKC/PKD, mantenendo un adeguato equilibrio tra l’efficacia e la tossicità.

 

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