Gennaio Febbraio 2019 - In depth review

Atrial fibrillation in severe and end stage renal disease: from oral anticoagulation therapy to percutaneous left atrial appendage occlusion

Abstract

Non-valvular atrial fibrillation (AF) is the most frequent arrhythmia in the general population and its prevalence increases with age. The prevalence and incidence of AF is high in patients with chronic kidney failure (CKD). The most important complication associated with AF, both in the general population and in that with CKD, is thromboembolic stroke. For this reason, in patients with AF, the Guidelines indicate oral anticoagulant therapy (OAT) with vitamin K antagonists (VKAs) or direct oral anticoagulants (DOACs) for thromboembolic risk prevention. Patients with severe CKD and, in particular, with end stage renal disease (ESRD) undergoing renal replacement therapy, often have both a high thromboembolic and hemorrhagic risk and therefore present both an indication and a contraindication to OAT. In addition, patients with severe or ESRD were excluded from trials that showed the efficacy of different antithrombotic drugs in patients with AF. Thus there is no evidence of the effectiveness of OAT in this population. This review deals with the issues related to OAT in patients with severe or end stage CKD and the possible use of percutaneous closure of the left auricula (LAAO), recently proposed as an alternative in patients with an absolute contraindication of OAT in this population.

Key words

Atrial fibrillation; oral anticoagulant therapy; bleeding; severe chronic kidney disease; end stage renal disease; left atrial appendage occlusion.

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Lista delle abbreviazioni

AF Atrial Fibrillation

C-G Cockroft-Gault

CKD Chronic Kidney Disease

CKD-EPI Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration

DOACs Direct Oral Anticoagulants

EMA European Medicine Agency

ESRD End Stage Renal Disease

ETE Ecografia TransEsofagea

FDA Food and Drug Administration

GFR Glomerular Filtration Rate

HD Hemodialysis

INR International Normalised Ratio

LAAO Left Atrial Appendage

LAAO Left Atrial Appendage Occlusion

MDRD Modification of Diet in Renal Disease Study

OAT Oral Anticoagulant Therapy

PD Dialisi Peritoneale

RCT Randomized Control Trial

VSMC Vascular Smooth Muscle Cell

VKAs Vitamin K Antagonists

 

 

 

Introduzione

La fibrillazione atriale (AF) non valvolare è l’aritmia più frequente nella popolazione generale e la sua prevalenza ed incidenza aumenta all’aumentare dell’età (1). L’insufficienza renale cronica (CKD) è una condizione frequentemente associata a questa aritmia e ne costituisce un fattore predittivo (2). La prevalenza di AF è particolarmente elevata nei pazienti con insufficienza renale terminale (ESRD), popolazione in cui è riportata una prevalenza media di circa il 12% di AF (3), mentre alcuni dati evidenziano che un paziente su quattro presenta l’aritmia (4), suggerendo che il fenomeno è probabilmente sottostimato. Come nella popolazione generale, l’AF si associa ad un aumento di mortalità anche nei pazienti con CKD (3,5): la sopravvivenza in questi pazienti è tanto minore quanto maggiore è il grado di CKD (6). La prevalenza e l’incidenza di stroke sono elevate nei pazienti con CKD (7) e aumentano al progredire dell’insufficienza renale (8). La presenza di AF aumenta ulteriormente il rischio di stroke, in particolare nei pazienti con forme avanzate di CKD (3). Questo, associato all’età frequentemente avanzata e alla presenza di numerose comorbidità, fa sì che il rischio tromboembolico sia particolarmente elevato nei pazienti con grave CKD e AF e che, in accordo con le linee guida cardiologiche, sia in genere presente l’indicazione alla terapia anticoagulante orale (OAT) con antagonisti della vitamina K (VKAs) o anticoagulanti oralidiretti (DOACs). Esistono però una serie di problematiche che rendono molto difficile l’attuazione di quello che dovrebbe essere un corretto atteggiamento terapeutico in questa popolazione. Il principale problema è che non esistono dati provenienti da studi controllati randomizzati (RCT) in questi pazienti. La CKD avanzata (velocità di filtrazione glomerulare stimata, eGRF, <30 ml/min) e l’ESRD sono infatti stati considerati criteri di esclusione in tutti gli studi randomizzati (RCTs) che hanno portato alla stesura delle linee guida cardiologiche che hanno indicato prima i VKAs e poi i DOACs come farmaci di prima linea nella prevenzione dello stroke tromboembolico nel paziente con AF non valvolare (911). Questo fa sì che tutte le evidenze a disposizione siano derivate da studi retrospettivi di registro o, raramente, da studi osservazionali prospettici non randomizzati.

Anche gli score per la definizione del rischio tromboembolico (CHADS2 and CHA2DS2-VASc) che, in accordo alle linee guida (11,12), identificano i pazienti con AF che hanno un’indicazione alla OAT sono stati costruiti in popolazioni che escludevano i pazienti con severa CKD (13). Nonostante questo, è stato evidenziato come i citati score di rischio tromboembolico identifichino con discreta accuratezza i soggetti a rischio di stroke anche in questa popolazione (14).

A tal riguardo, l’aggiunta del parametro CKD al CHADS migliora ulteriormente la performance dello score (15); altrettanto affidabile sembra essere lo score HASBLED nella determinazione del rischio emorragico in pazienti ESRD (14). Un importante problema però deriva dal fatto che i pazienti con grave CKD e, in particolare quelli ESRD sottoposti ad emodialisi (HD), hanno frequentemente score sia troemboembolici che emorragici estremamente elevati, i quali costituiscono sia un’indicazione che una controindicazione alla OAT. La sindrome uremica, oltre a indurre una predisposizione nei pazienti CKD agli eventi tromboembolici, è infatti associata ad una serie di alterazioni del sistema della coagulazione che favoriscono gli eventi emorragici (16). Questo problema è particolarmente evidente nei pazienti ESRD. E’stato riportato che nei soggetti HD che assumono farmaci anticoagulanti, a prescindere dal motivo per cui lo fanno, questo rischio è raddoppiato (17).

 

Vitamin K antagonists nel paziente con fibrillazione atriale e insufficienza renale cronica avanzata e terminale

Una recente meta-analisi ha dimostrato che l’assunzione di VKAs nei pazienti con AF e CKD non in terapia renale sostitutiva non è associata a un significativo aumento del rischio emorragico, mentre i pazienti ESRD sottoposti ad HD che assumono warfarin hanno un incremento dei sanguinamenti del 30% (18). I pochi dati disponibili nei pazienti ESRD in dialisi peritoneale (PD) suggeriscono una maggior sicurezza della somministrazione dei VKAs in questa popolazione (19). L’elevato rischio emorragico di questa categoria di pazienti porta ad un importante bias alla base degli studi clinici mirati a valutare l’efficacia dei VKAs nella prevenzione del rischio tromboembolico in pazienti con CKD avanzata e AF, in quanto solo a una minoranza dei soggetti che avrebbero l’indicazione viene prescritto il farmaco e molti di questi lo sospendono nel breve periodo (20,21). In particolare appaiono critici i primi mesi di assunzione della OAT (22). Come nei pazienti con funzione renale preservata, quanto maggiore è il tempo in cui l’International Normalised Ratio (INR) viene mantenuto nel range terapeutico (TTR), tanto minore è il rischio che il paziente vada incontro ad un episodio emorragico (21). Purtroppo il mantenimento di INR a range è particolarmente difficile nei pazienti con CKD, ed è tanto minore quanto maggiore è il deficit della funzione renale (2325). Un ulteriore elemento che scoraggia il nefrologo dal prescrivere un VKAs nei pazienti con CKD severa o ESRD è il timore di favorire la formazione di calcificazioni vascolari. I pazienti con insufficienza renale, infatti, sviluppano calcificazioni extra-scheletriche che causano aumentata rigidità vascolare, maggiore rischio di patologia cardiovascolare e aumentata mortalità (26). I fattori coinvolti sono diversi: lo stato uremico di per sé, l’età, il sesso, lo stato infiammatorio, le anormalità del metabolismo minerale, le patologie concomitanti quali diabete ed ipertensione arteriosa. Le cellule muscolari lisce della tonaca vascolare media (VSMCs) sintetizzano proteine che sono coinvolte nei meccanismi di prevenzione delle calcificazioni vascolari (27). In particolare, la Matrix GLA Protein, sintetizzata dalle VSMCs, rappresenta uno dei fattori chiave nella prevenzione delle calcificazioni vascolari e fa parte della famiglia delle proteine dipendenti dalla vitamina K, e i VKAs interferiscono con la sua attivazione (28). E’ stato evidenziato che in pazienti con funzione renale conservata l’assunzione di VKAs è associata a un aumento del calcium score coronarico, indipendentemente dall’età (29). Tuttavia non ci sono chiare evidenze che l’assunzione di VKAs aumenti il rischio, già di per sè molto elevato, di calcificazioni vascolari nei pazienti ESRD con AF (30). Se quelli sopra elencati sono i timori relativi alla sicurezza dell’utilizzo dei VKAs nei pazienti con CKD, in particolare se avanzata, ed AF, altrettanto importanti sono le incertezze relative alla loro efficacia in termini di protezione dal rischio tromboembolico. Anche per quanto riguarda l’efficacia dei VKAs in questi pazienti, sembrano essere presenti delle differenze tra i soggetti con CKD non terminale e quelli sottoposti a dialisi. La meta-analisi di Dahal (18) mostra una riduzione di circa il 30% degli eventi trombo-embolici nei pazienti con AF e CKD che assumono VKAs, mentre non evidenzia alcun beneficio nei pazienti ESRD. Questo dato è dovuto all’estrema eterogeneità degli studi inseriti nella meta-analisi. Infatti, da un lato abbiamo gli studi di Chan (31) e Wizemann (32) che mostrano un aumento degli strokes associato ai VKAs, in particolare nei pazienti anziani, e dall’altro quelli dei registri danese e californiano (33,34) che evidenziano una chiara riduzione degli eventi tromboembolici nei pazienti che assumono warfarin. Una recente e completa meta-analisi, redatta allo scopo di valutare l’efficacia dei VKAs in pazienti ESRD, mostra un trend in riduzione, ma non significativo, del rischio di stroke ischemico nei pazienti che assumevano dicumarolici (35). Per quanto riguarda il problema dell’efficacia, sembra che anche in questo caso i pazienti ESRD in dialisi peritoneale si comportino come una popolazione diversa dai pazienti HD, infatti i VKAs sono associati a una significativa riduzione degli eventi tromboembolici nei soggetti con AF sottoposti a dialisi peritoneale (19). Come già sottolineato, la valutazione degli effetti dei VKAs nei pazienti con CKD avanzata è difficile a causa dell’assenza di RCTs, del sottoutilizzo della OAT in questa popolazione e delle frequenti sospensioni del farmaco dovute alla presenza degli effetti collaterali, maggiormente rappresentati dai sanguinamenti. È in corso un RCT con lo scopo di confrontare il rischio tromboembolico ed emorragico in due popolazioni di pazienti emodializzati con AF di cui una assume warfarin e l’altra non è in terapia anticoagulante (AVKDIAL NCT02886962). Sarà importante vedere i risultati di questo studio, che però sono previsti per il 2023. Nel frattempo i nefrologi restano soli nelle loro decisioni terapeutiche.

 

Direct oral anticoagulants nel paziente con fibrillazione atriale e insufficienza renale cronica avanzata e terminale

Da alcuni anni sono disponibili dei nuovi anticoagulanti orali per la prevenzione del rischio tromboembolico nei pazienti che presentano AF. Si tratta di farmaci che agiscono a livello della via comune della cascata coagulativa, inibendo direttamente la trombina o il fattore X attivato e sono per questo denominati anticoagulanti orali diretti (DOACs). Una loro caratteristica è di non necessitare di un monitoraggio continuo come i VKAs, in quanto, a determinati dosaggi, la loro concentrazione nel plasma risulta costante. Attualmente sono state approvate sia da European Medicine Agency (EMA) che da Food and Drug Administration (FDA) quattro molecole: il dabigatran, il rivaroxaban, l’apixaban e l’edoxaban. Tutti e quattro i farmaci sono stati testati in CRTs contro warfarin in popolazioni di pazienti con AF. Per quanto riguarda l’efficacia nella prevenzione degli eventi tromboembolici, i RCTs hanno dimostrato una non inferiorità (dabigatran 110 mgbid, rivaroxaban 20 mg od ed edoxaban 60 mg od) (3638) o una superiorità (dabigatran 150 mg bid e apixaban 5 mg bid) (36,39) rispetto ai VKAs. Considerando la sicurezza, i sanguinamenti maggiori (dabigatran 150 mg bid e rivaroxaban 20 mg od) (36,37) o minori (apixaban 5 mg bid ed edoxaban 60 mg od) (38,39) sono risultati uguali nei pazienti che assumevano DOACs rispetto a quelli che assumevano warfarin. Inoltre, i DOACs hanno complessivamente ridotto la mortalità per tutte le cause del 10% rispetto a warfarin (40). Tutte le nuove molecole vengono eliminate almeno in parte per via renale, anche se in percentuale diversa, dall’80% del dabigatran, al 50% dell’edoxaban, al 35% del rivaroxaban, al 27% dell’apixaban. Anche il legame plasmatico con le proteine varia (dal più basso del dabigatran, 35%, al più alto del rivaroxaban, >90%), facendo sì che i diversi DOACs siano differentemente dializzabili. I cut-off di funzione renale scelti come criterio di esclusione variavano nei diversi CRTs: filtrato glomerulare (eGFR) ≤30 mL/min per il dabigatran, eGFR <30 mL/min per edoxaban and rivaroxaban, ecreatininemia >2.5 mg/dL o eGFR <25 mL/min per apixaban. Tutti i trial escludevano i pazienti con severa CKD. Anche se attualmente le equazioni maggiormente validate per la stima del filtrato glomerulare sono la Modification of Diet in Renal Disease Study (MDRD) e la Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration (CKD-EPI) (41,42), i pazienti reclutati nei CRTs che hanno paragonato DOACs e warfarin sono stati inclusi o esclusi dagli studi in base ai valori di eGFR calcolati con la formula di Cockroft-Gault (C-G) (43).E’ stato dimostrato che in una popolazione di pazienti anziani tutte e tre le equazioni (C-G, MDRD e CKD-EPI) fornivano un valore di eGFR diverso da quello calcolato con la clearance della creatinina delle 24 ore. Tuttavia, la formula col bias minore risultava la C-G, perché sia la MDRD che la CKD-EPI incorrevano in una sistematica sovrastima dell’eGFR. In considerazione dell’età media nella “real life” dei pazienti con CKD e AF, è quindi consigliabile l’utilizzo dell’equazione di C-G in caso di prescrizione di un DOACs, per non incorrere in problemi di sovradosaggio (44). Per ciascuno dei quattro RCTs di paragone DOACs vs warfarin, sono state eseguite delle analisi per valutare l’effetto dei DOACs nel sottogruppo di pazienti con ridotta funzione renale (eGFR tra 50 e 30 ml/min) (4548). Questi studi post-hoc hanno dimostrato che la performance dei DOACs, sia in termini di sicurezza che di efficacia, è mantenuta anche in questa popolazione (49). Infatti, nei pazienti con CKD moderata gli eventi tromboembolici si riducono del 21% e quelli emorragici del 20% nei pazienti che assumono DOACs rispetto a quelli che assumono VKAs. E’ anche stato evidenziato che la superiorità di apixaban rispetto a warfarin nel ridurre il rischio relativo di stroke e sanguinamenti maggiori si mantiene nel tempo, a prescindere dal peggioramento di funzione renale presente in entrambi i gruppi di pazienti randomizzati (47).

Inoltre una sotto-analisi del RE-LY trial ha mostrato che la riduzione di eGFR nel tempo era minore nei pazienti randomizzati a dabigatran rispetto a quelli che assumevano warfarin (50). Quanto sopra riportato deriva da sotto-analisi dei quattro RCTs che hanno paragonato efficacia e sicurezza dei VKAs con i DOACs in pazienti con AF. Negli ultimi anni hanno cominciato ad essere resi noti dati derivanti dalla “real life” e sono emersi alcuni problemi legati alla somministrazione di questi farmaci nei pazienti CKD. Un recente studio ha evidenziato che, in due coorti di pazienti “propensity score-matched” che assumevano OAT per presenza di AF, l’incidenza di eventi emorragici era maggiore del 20% nei soggetti con eGFR <60 ml/min rispetto a quelli con funzione renale preservata nel gruppo di DOACs rispetto al gruppo warfarin (51). Questo dato potrebbe in parte essere spiegato dai risultati di un altro studio che ha sottolineato l’esistenza di un’elevata percentuale di pazienti CKD che assumono un dosaggio eccessivo di DOACs rispetto a quanto indicato nella scheda tecnica (dal 40 al 50% a seconda della molecola). Questi pazienti avevano un’incidenza di sanguinamenti più che raddoppiata rispetto a quelli che ricevevano il dosaggio corretto. Inoltre, è stato dimostrato come la concentrazione plasmatica di apixaban risulti più elevata nei soggetti anemici, in quanto il farmaco attraversa la membrana dei globuli rossi e si lega all’emoglobina (52).

I dati sull’efficacia e la sicurezza sull’utilizzo dei DOACs nei pazienti con AF e severa CKD o ESRD sono pochi e principalmente limitati a studi di farmacocinetica. Due studi clinici riportano i dati relativi all’utilizzo di DOACs, entrambi eseguiti negli Stati Uniti. Nel primo vengono riportati i dati relativi a dabigatran e rivaroxaban: entrambi i DOACs erano associati ad un più alto rischio di ospedalizzazione e morte per eventi emorragici, rispetto al warfarin (53). Siontis ha osservato che in pazienti ESRD con AF che assumevano apixaban una riduzione sia di eventi tromboembolici che di mortalità, senza un eccesso di episodi emorragici (54) rispetto ai VKAs. Il problema è che il dosaggio di apixaban che si associava a questi risultati era di 5 mg x 2, riportato nella scheda tecnica dell’FDA, ma non accettato né dalle linee guida della società Europea di Cardiologia (12,55), né da quelle nefrologiche, Kidney Disease Improving Global Outcomes (KDIGO) (56,57). Infatti, secondo le ultime linee guida cardiologiche e nefrologiche, il dosaggio di apixaban andrebbe diminuito nei pazienti con creatininemia >1,5 mg/dl con peso corporeo <60 Kg e/o età >80 anni da 5 mg x 2 a 2.5 mg x 2. Le stesse linee guida suggeriscono nei pazienti con eGFR tra 15 e 50 ml/min di ridurre la dose di rivaroxaban a 15 mg e quella di edoxaban a 30 mg. Le agenzie del farmaco europea e americana, consentono, con alcune differenze, la prescrizione dei diversi DOACs, con un adeguamento del dosaggio del farmaco, anche in pazienti con eGFR <30 ml/min. In particolare, l’FDA consente l’utilizzo sia di rivaroxaban (15 mg una volta al giorno) che di apixaban (5 mg o 2.5 mg due volte al giorno) nei pazienti emodializzati. Queste indicazioni nascono da studi di farmacocinetica che hanno dimostrato che, ai dosaggi indicati, le concentrazioni plasmatiche delle due molecole sono sovrapponibili a quelle raggiunte nel soggetto con conservata funzione renale (5860). Un recente studio ha però dimostrato che, nei pazienti ESRD, la dose di apixaban di 5 mg x 2 può portare i pazienti ad una sovraesposizione al farmaco (61). Attualmente sono in corso due RCTs che si prefiggono di studiare l’effetto di apixaban in termini di sicurezza (outcome primario) e di efficacia (outcome secondario) in pazienti emodializzati con AF (AXADIA NCT02933697 and RENAL-AF NCT02942407). I risultati di questi studi saranno di estrema importanza per quanto riguarda le decisioni terapeutiche da prendere nei pazienti con CKD avanzata o ESRD con AF, che al momento restano un problema da valutare caso per caso da nefrologi e cardiologi curanti.

Considerando quanto detto nelle due precedenti sezioni, non stupisce che l’ipotesi di poter attuare una strategia non farmacologica per la prevenzione del rischio tromboembolico nei pazienti con severa CKD o con ESRD ed AF sia molto interessante per i nefrologi. Recentemente è stata proposta l’occlusione dell’auricola atriale sinistra, sede della formazione della maggior parte dei trombi intracardiaci in corso di AF, come alternativa alla terapia medica. Nelle sezioni seguenti di questa review illustreremo le modalità di esecuzione di questa metodica e le attuali evidenze cliniche della sua efficacia e sicurezza. Inoltre prenderemo in esame i dati ad oggi disponibili relativi alla sua esecuzione in popolazioni di pazienti con severa CKD o in terapia renale sostitutiva.

 

Chiusura percutanea dell’auricola sinistra: razionale, evidenze, indicazioniprocedura

Razionale

La patogenesi del tromboembolismo nella AF è multifattoriale, sebbene i principali fattori siano riassumibili dalla classica triade di Virchow (62). La formazione del trombo è infatti influenzata dalla disfunzione endoteliale, dalla stasi e da alterazioni reologiche. La presenza stessa di AF è associata allo presenza di lesioni strutturali a carico dell’atrio sinistro; d’altra parte, molti dei fattori di rischio per tromboembolia (età, diabete mellito, ipertensione arteriosa, ecc.) sono a loro volta associati allo sviluppo e mantenimento della cardiomiopatia atriale (63). Dal punto di vista fisiopatologico, nei pazienti affetti da AF si verifica la riduzione della velocità di scorrimento del sangue nell’atrio sinistro e, conseguentemente, nell’auricola atriale sinistra (LAA). La stasi che ne consegue, in associazione ai fattori reologici legati a un aumento dei rischio tromboembolico, predispongono alla formazione del trombo nell’auricola sinistra (64).

La LAA, appendice dell’atrio sinistro (Figura 1), è il residuo della struttura embrionale dell’atrio sinistro e nell’adulto è sostanzialmente priva di rilevanti funzioni fisiologiche (65).

Si tratta di una struttura grossolonamente tubulare che presenta differenti morfologie. E’ fisiologicamente caratterizzata da aree di basso flusso, favorenti la stasi. Tale tendenza si accentua notevolmente durante la AF, quando viene meno l’attivita’ contrattile di questa camera cardiaca. Tali cambiamenti avvengono con estrema rapidità (66). Non stupisce quindi che oltre il 90% dei trombi nei pazienti con AF abbiano origine proprio dalla LAA (67) ed è da tale constatazione che deriva il razionale per l’intervento di chiusura della LAA (LAAO).

Al contrario dall’obiettivo perseguito dalla tradizionale strategia di anticoagulazione, la quale agisce modificando le condizioni reologiche che favoriscono la formazione del trombo, la LAAO, sia essa chirurgica o percutanea, si propone lo scopo di eliminare la sorgente cardioembolica. Una volta esclusa la LAA, il rischio residuo derivante dalle eventuali restanti sorgenti, non giustificherebbe i rischi di una terapia anticoagulante (68).

 

Evidenze scientifiche

Le prime evidenze sull’efficacia della chiusura della LAA risalgono agli anni 40 e derivano da casistiche chirurgiche in pazienti sottoposti a chirurgia mitralica (69). Nonostante numerosi registri abbiano raccolto i dati dei pazienti sottoposti ad esclusione chirurgica dell’auricola sinistra, non sono stati al momento realizzati studi prospettici. Inoltre, a causa dell’estrema variabilità delle tecniche utilizzate, i risultati ottenuti sono contrastanti. Per tali ragioni, nei pazienti sottoposti ad esclusione chirurgica della LAA, le linee guida europee (70) ed italiane (71) raccomandano la prosecuzione della terapia anticoagulante orale. Ne consegue che l’esclusione chirurgica dell’auricola sinistra non può essere considerata un approccio perseguibile nei pazienti ad elevato rischio emorragico o con controindicazione alla OAT.

La chiusura percutanea dell’auricola sinistra ha invece dimostrato la sua efficacia nella profilassi del cardioembolismo (Tabella 1) ed è indicata come una alternativa in quei pazienti che, pur avendo un elevato profilo di rischio tromboembolico, presentano delle controindicazioni alla OAT (72).

Gli studi più rilevanti a supporto della LAAO sono rappresentati da due RCTs, il PROTECT AF (73) e il PREVAIL (74). Nel Protect AF veniva confrontata la terapia farmacologica con VKAs versus la LAAO con il dispositivo Watchman in 707 pazienti con AF non valvolare e CHADS2 score ≥1. È stata osservata una riduzione del 38% dell’endpoint primario (endpoint composito: stroke, morte cardiovascolare ed embolia sistemica). Dopo un follow-up di 45 mesi, lo studio Protect AF ha mostrato una riduzione sia del tasso di stroke emorragico che della mortalità cardiovascolare (rispettivamente, 0.2 vs 0.4% e 1.0 vs 1.5%) nel gruppo Watchman rispetto al gruppo in terapia con VKAs (75). Da segnalare un tasso di complicanze periprocedurali relativamente elevato (8.7%).

Lo studio Prevail ha arruolato 407 pazienti eleggibili alla terapia anticoagulante orale con lo scopo di confrontare il dispositivo Watchman con la terapia tradizionale (74). Rispetto al precedente trial il tasso di successo procedurale era incrementato dal 90% al 95%, mentre le complicanze procedurali erano diminuite dall’8.7% al 4.2%. Anche in questo caso veniva confermata la non inferiorità dell’approccio percutaneo rispetto alla terapia farmacologica.

Una meta-analisi dei dati derivanti dal Protect AF, dal Prevail e da dati di registro, ha mostrato come la LAAO sia associata a una netta riduzione dei tassi di stroke emorragico (0.15% vs. 0.96%), di morte cardiovascolare o da cause ignote (1.1% vs. 2.3%; p = 0.006), oltre che di sanguinamenti non legati alla procedura (6% vs. 11.3%; p = 0.006) nei pazienti trattati con Watchman (76).

Nello studio ASAP (ASA Plavix Feasibility Study with Watchman Left Atrial Appendage Closure Technology), un registro che includeva soltanto pazienti con controindicazione assoluta alla OAT, il tasso di stroke o embolia sistemica nei pazienti sottoposti a chiusura dell’auricola sinistra era del 60% inferiore a quello atteso in considerazione dello score trombo embolico dei pazienti (77); il tasso di complicanze era simile nei due bracci dello studio.

Infine, il più recente studio EWOLUTION (78) ha arruolato in maniera prospettica pazienti ad elevatissimo rischio sia tromboembolico (CHA2DS2-VASc score medio 4.5) che emorragico (circa il 15.1% della popolazionepresentava una storia di stroke emorragico e il 31.3% una storia di sanguinamento maggiore). I risultati dei dati del registro Ewolution, cosi come di altri studi osservazionali (79), hanno confermato la sicurezza e l’efficacia della procedura.

Osservazioni simili sono state registrate con il dispositivo Amplatzer Cardiac Plug (ACP). Infatti, i dati derivanti da un consistente registro multicentrico su 1047 pazienti hanno evidenziato un elevato tasso di successo procedurale (97,3%), una riduzione del 59% degli eventi embolici e del 60% degli eventi emorragici, rispetto a quanto atteso in relazione agli score di rischio (80).

 

Indicazioni alla procedura

In accordo alle ultime linee guida della società Europea di Cardiologia sulla AF (12), la LAAO dovrebbe essere considerata nei pazienti affetti da AF e una controindicazione a lungo termine alla OAT (indicazione Classe IIb, livello B). L’ indicazione relativamente debole è motivata dal fatto che i risultati dei due studi randomizzati che hanno dimostrato l’efficacia e la sicurezza della procedura (70,71) sono stati realizzati in popolazioni che non avevano una controindicazione alla OAT. Un’idicazione più forte è invece quella del documento di consenso dell’European Heart Rhythm Association/ European Association of Percutaneous Cardiovascular Interventions (68) e dell’analogo documento italiano (81) ad opera di varie società scientifiche (ANMCO/AIAC/SICI-GISE/SIC/SICCH) che suggeriscono un’estensione delle indicazioni, invitando a prendere in considerazione la procedura in diverse categorie di pazienti a rischio:

 

  • Pazienti con AF non valvolare ed elevato rischio emorragico (HAS-BLED ≥3);
  • Pazienti con indicazioni alla triplice terapia antitrombotica prolungata;
  • Pazienti neoplastici con elevato rischio emorragico;
  • Pazienti con insufficienza renale cronica o in dialisi;
  • Pazienti con sanguinamenti maggiori non suscettibili di trattamento specifico;
  • Pazienti fragili o ad elevato rischio di caduta o con difficoltà oggettive nella gestione delle terapie anticoagulanti;
  • Pazienti che debitamente informati rifiutino la terapia anticoagulante orale.

 

La chiusura Auricola nel paziente con CKD e ESRD

Come già sottolineato, i pazienti con CKD severa e/o in terapia dialitica presentano allo stesso tempo una maggior prevalenza e incidenza di AF, un aumentato rischio tromboembolico e un aumentato rischio emorragico. Questo rende questa tipologia di pazienti un unicum nell’ambito della patologia cardiovascolare. In particolare, per i pazienti ESRD, in Europa, esiste una controindicazione assoluta alla prescrizione dei DOACs (12),essendo quindi i VKAs l’unica opzione terapeutica accettata nei pazienti con AF in terapia renale sostitutiva. Questi ultimi, come già sottolineato, sono associati da un lato a un chiaro incremento degli eventi emorragici (21) e dall’altro a una dubbia efficacia, in parte probabilmente dovuta a una riduzione del tempo trascorso nel range terapeutico (24). Inoltre, nei pazienti sottoposti ad HD, esiste un rischio emorragico aggiuntivo dovuto all’azione anticoagulante dell’eparina utilizzata durante la seduta emodialitica.

I dati relativi agli effetti della LAAO nella popolazione con ridotta funzione renale sono scarsi, in particolare per quanto riguarda il gruppo con CKD severa e terminale. Nello studio Ewolution soltanto il 15,6% della popolazione era affetto da CKD (82). Nel registro ACP la percentuale di pazienti affetti da CKD moderata e severa era maggiore (372/1014), ma solo il 2% del campione era in terapia dialitica (83). Come atteso, la mortalità totale e cardiovascolare era maggiore nei pazienti con CKD rispetto a quelli con eGFR conservato, ma non veniva osservata nessuna differenza in termini di eventi ischemici ed emorragici tra i pazienti affetti da nefropatia e il resto della popolazione. Quanto riportato deriva da dati retrospettivi derivati da registri. Gli unici dati prospettici relativi all’efficacia e alla sicurezza della LAAO in pazienti ESRD derivano da uno studio multicentrico italiano che ha reclutato una popolazione di pazienti in terapia dialitica con elevato stroke tromboembolico (CHADS2DS2VASC 4.0) ed emorragico (HASBLED 4.4). Attualmente sono stati pubblicati solo i dati di fattibilità e sicurezza della procedura. E’ interessante notare come la LAAO non sia stata accompagnata da un eccesso di complicanze periprocedurali, nonostante la popolazione dello studio presentasse età anagrafica e dialitica avanzata e numerose comorbidità. A breve verranno resi noti i dati di follow-up in termini di eventi tromboembolici ed emorragici a due anni (84,85).

Il documento di consenso italiano (81) e il documento di consenso realizzato da European Heart Rhythm Association/ European Association of Percutaneous Cardiovascular Interventions (68) individuano i pazienticon CKD avanzata e con ESRD sottoposti a HD come candidati alla LAAO, trattandosi di soggetti ad elevato rischio tromboembolico ed emorragico e in cui esiste una controindicazione all’utilizzo dei DOACs, mentre presentano spesso una sub-ottimale anticoagulazione durante la terapia con VKAs.

 

Descrizione della procedura

Dispositivi

Attualmente sono presenti nel mercato diversi dispositivi per la chiusura percutanea dell’auricola sinistra; i più studiati e utilizzati sono il Watchman (Boston Scientific, Natick, MA), l’Amplatzer Cardiac Plug e l’Amulet (St. Jude Medical) (86).

Il Watchman (Figura 2) è il dispositivo con la maggior mole di letteratura scientifica di supporto ed è l’unico ad aver ricevuto l’approvazione da parte della FDA (7).

Si tratta di un dispositivo auto-espandibile in nitilolo con una struttura a forma di cestello; esso appare rivestito da una membrana di polietilene sulla superficie esposta in atrio sinistro. Il suo perimetro è caratterizzato da una serie di uncini che vanno a contatto con le pareti dell’auricola e ne garantiscono il fissaggio. La protesi esiste in varie misure, al fine di potersi adattare alla maggior parte dell’anatomie.

L’Amplatzer Cardiac Plug (ACP) è un dispositivo autoespandibile in nitinolo, rivestito in poliestere, che consiste di tre segmenti: un cilindro centrale, necessario per ancorare il dispositivo all’auricola; un disco prossimale più largo che occlude l’orifizio dell’auricola sinistra; un breve filamento di connessione tra i due segmenti precedentemente descritti.

L’evoluzione di questo dispositivo, l’Amplatzer Amulet (Figura 3), presenta una struttura simile all’ACP, ma con un più vasto range di dimensioni.

 

Fase pre-procedurale

La fase pre-procedurale ha inizio con la selezione del paziente (Tabella 2), valutando attentamente i profili di rischio tromboembolico ed emorragico e le eventuali controindicazioni alla procedura, e termina con la preparazione del paziente alla LAAO.

La selezione iniziale si fonda sulla discussione del caso tra quelle figure cliniche (cardiologo, internista, nefrologo, neurologo) che riscontrano una condizione di elevato rischio emorragico o si trovano coinvolte nella gestione delle terapie a seguito di una complicanza emorragica. In questa fase, oltre a venir confermata l’indicazione alla procedura, andrà esclusa la presenza di altre situazioni cliniche per le quali è comunque necessaria la terapia anticoagulante orale (tromboembolismo venoso, presenza di protesi meccaniche, sindrome da anticorpi da antifosfoslipidi, ecc.).

Una volta effettuata questa prima valutazione, è necessario che il paziente sia valutato dal medico anestesista. Infatti, essendo generalmente l’intervento condotto con l’ausilio dell’ecografia transesofagea (ETE) e, dovendosi evitare qualsiasi movimento da parte del paziente, vista l’estrema fragilità della parete della LAA, la procedura viene eseguita nella maggior parte dei casi in anestesia generale con paziente intubato e ventilato meccanicamente.

In caso di una controindicazione stringente all’intubazione orotracheale (ad esempio, nei casi di prevista intubazione difficile), si dovrà rinunciare alla guida ETE e la procedura potrà essere eseguita, con una minor accuratezza, interamente sotto guida radioscopica o con il supporto della sonda ecografica intracardiaca.

Nell’immediatezza della procedura, viene eseguito uno studio morfologico dell’auricola sinistra. Questo può essere condotto mediante TC cardiaca, RM cardiaca o più spesso mediante ETE (in questo caso non vi sarà necessità di somministrare mezzo di contrasto) (87). La morfologia fornisce informazioni utili nella pianificazione della procedura e permettono di valutare la presenza di materiale trombotico in situ (Figura 4).

La presenza di materiale trombotico nella LAA rappresenta in genere una controindicazione alla procedura di chiusura percutanea dell’auricola sinistra.

Nei casi di CKD o allergia al mezzo di contrasto, si adotteranno gli specifici protocolli di profilassi. Dovrà inoltre essere sospesa la OAT e la terapia ipoglicemizzante orale con metformina.

La preparazione all’intervento prevede il posizionamento di almeno 2 accessi venosi periferici di buon calibro, essendo necessari per l’anestesia generale e per la gestione di eventuali complicanze emodinamiche. In assenza di questi, verrà posizionato un accesso venoso centrale.

È generalmente buona norma, essendo il paziente intubato, il posizionamento di un catetere vescicale per il monitoraggio della diuresi.

La preparazione del paziente include anche il posizionamento di un accesso arterioso ai fini del monitoraggio continuo della pressione arteriosa e della rilevazione precoce delle complicanze. Nei casi in cui un accesso arterioso non sia disponibile, come può accadere nel paziente con fistole arterovenose bilaterali, si procederà con un accesso arterioso femorale.

Si procederà a questo punto all’anestesia generale e all’intubazione orotracheale.

 

Fase intraprocedurale

La fase procedurale propriamente detta avviene nella sala di cardiologia interventistica.

Il primo step della procedura sarà il posizionamento di un accesso venoso femorale di buon calibro (generalmente attraverso un introduttore da 11-14 Fr in vena femorale destra). Raggiunto l’atrio destro mediante guida angiografica, si eseguirà la puntura del setto interatriale che permetterà di accedere all’atrio sinistro. La puntura transettale rappresenta una delle fasi più delicate e avviene sotto stretto monitoraggio radioscopico, ecografico ed emodinamico (87); così facendo si è ottenuta la sostanziale riduzione delle complicanze legate a questa fase (perforazione aortica, fistolizzazione atrio-esofagea,ecc.).

Raggiunto l’atrio sinistro con il sistema di rilascio, si eseguiranno le angiografie selettive necessarie, assieme ai dati ecografici (Figura 5a), per il corretto dimensionamento del dispositivo.

Una volta eseguito l’impianto, si procede a verificare la stabilità dello stesso e l’assenza di leak residui. Confermata la corretta obliterazione dell’ostio dell’auricola sinistra, si eseguirà il rilascio irreversibile del dispositivo (Figura 5b).

Si procederà a questo punto alla rimozione degli introduttori vascolari e al risveglio del paziente.

 

Fase post-procedurale

L’immediata fase post-procedurale inizia con la fase di risveglio e include la verifica dello stato neurologico del paziente. Infatti, va sempre esclusa la possibilità che si sia verificata l’embolizzazione di materiale trombotico o gassoso.

Il paziente viene quindi mantenuto ricoverato a titolo prudenziale per 48 ore. Prima della dimissione è fondamentale il controllo degli accessi vascolari e l’esecuzione di un ecocardiogramma, necessario per ulteriore conferma dell’assenza di versamento pericardico e della presenza del dispositivo in auricola sinistra.

 

Complicanze procedurali

L’incidenza di complicanze procedurali è in costante diminuzione sia negli studi clinici controllati che nei registri. Questo miglioramento della sicurezza è essenzialmente legato all’evoluzione delle tecniche e delle competenze degli operatori. Infatti, nello studio Ewolution (88) l’incidenza degli eventi avversi correlati alla procedura è giunta al 2,8%, rispetto all’8,7% descritto nel Protect AF (73).

Nell’Ewolution Trial le principali complicanze erano rappresentate dai sanguinamenti maggiori (0,6%), versamento pericardico (0,4%), complicanze in sede di accesso vascolare (0,4%), embolia gassosa (0,3%), ictus ischemico periprocedurale (<0.5%) (88,89). L’esecuzione della procedura sotto guida ETE ha sostanzialmente azzerato le complicanze legate alla puntura transettale.

Le complicanze legate alla manipolazione dei materiali in auricola sinistra, essenzialmente versamento pericardico e tamponamento cardiaco, si sono ridotte notevolmente a seguito dell’evolversi delle tecniche e della miglior prontezza nella gestione delle complicanze (90).

 

Terapia post-procedurale

Dopo la procedura la terapia antitrombotica è raccomandata per prevenire la formazione del trombo sulla superficie del dispositivo sino alla sua completa riendotelizzazione (Figura 6), la quale mediamente avviene in 90 giorni (91).

I dati di registro dimostrano un’estrema variabilità della terapia antitrombotica post-procedura. Nell’Ewolution trial (78) il 60% dei pazienti riceveva la duplice terapia antiaggregante, il 16% VKAs, l’11% DOACs, il 7% una singola terapia antiaggregante e il 6% nessuna terapia antiaggregante/anticoagulante.

Le osservazioni con il dispositivo ACP hanno confermato la sicurezza di un mese di duplice terapia antitrombotica (generalmente aspirinae clopidogrel), seguiti dalla singola terapia antiaggregante piastrinica (92). In un largo registro multicentrico con il dispositivo ACP l’8% dei pazienti non riceveva alcuna terapia antitrombotica (80).

Salvo diverse controindicazioni, la duplice terapia antitrombotica andrebbe proseguita per 3 mesi o almeno sino all’esecuzione dell’ETE di controllo.

La singola terapia antiaggregante andrebbe proseguita per 12 mesi.

Nonostante queste raccomandazioni generali, i protocolli di terapia antitrombotica sono ampiamente variabili e vengono sovente adattati alle singole situazioni cliniche con un numero crescente di pazienti che riceve un singolo farmaco antipiastrinico o nessuna terapia antitrombotica.

 

Conclusioni

Recenti evidenze dimostrano come la procedura di occlusione dell’auricola atriale sinistra possa costituire un’alternativa sicura alla terapia anticoagulante orale nei pazienti con fibrillazione atriale ed elevato rischio emorragico. Nella popolazione con insufficienza renale severa e terminale la prevalenza e l’incidenza di fibrillazione atriale è estremamente elevata e il rischio di sanguinamento è spesso proibitivo. I dati relativi alla occlusione dell’auricola atriale sinistra in questi pazienti sono ancora scarsi, ma sembrano andare nella direzione della fattibilità, sicurezza ed efficacia della procedura. Ulteriori studi sono necessari per capirne l’efficacia nel lungo periodo e per aiutare il nefrologo nella difficile scelta terapeutica della prevenzione del rischio trombo embolico in un paziente con fibrillazione atriale e importante riduzione di funzionalità renale.

 

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