Maggio Giugno 2018 - Articoli originali

Renal Infarction: multicentric cases in Piedmont

Abstract

We describe factors associated to renal infarction, clinical, instrumental and laboratoristic features, and therapeutic strategies too.

This is an observational, review and polycentric study of cases in Nephrologic Units in Piedmont during 2013-2015, with diagnosis of renal infarction by Computed Tomography Angiography (CTA).

We collected 48 cases (25 M, age 57±16i; 23 F age 70±18, p = 0.007), subdivided in 3 groups based on etiology: group 1: cardio-embolic (n=19) ; group 2: coagulation abnormalities (n= 9); group 3: other causes or idiopathic (n=20).

Median time from symptoms to diagnosis, known only in 38 cases, was 2 days (range 2 hours- 8 days). Symptoms of clinical presentation were: fever (67%), arterial hypertension (58%), abdominal o lumbar pain (54%), nausea/vomiting (58%), neurological symptoms (12%), gross hematuria (10%).

LDH were increased (>530 UI/ml) in 96% of cases (45 cases out of 47), PCR (>0.5 mg/dl) in 94% of cases (45 out of 48), and eGFR <60 ml/min in 56% of cases (27 out of 48). Comparison of the various characteristics of the three groups shows: significantly older age (p=0.0001) in group 1 (76±12 years) vs group 2 (54±17 years) and group 3 (56±17 years); significantly more frequent cigarette smoking (p = 0.01) in group 2 (67%; 5 cases out of 9) and group 3 (60%; 12 cases out of 20) than group 1 (17%). No case has been subjected to endovascular thrombolysis. In 40 out of 48 cases, anticoagulant therapy was performed after diagnosis: in 12 (32%) cases no treatment, in 12 cases (30%) heparin, in 8 cases (20%) low molecular weight heparin, in 4 cases (10%) oral anticoagulants, in 3 cases fondaparinux (7%), in 1 case (2%) dermatan sulfate. Conclusions: Although some characteristics may guide the diagnosis, latency between onset and diagnosis is still moderately high and is likely to affect timely therapy. Keywords: renal infarction, kidney failure, atrial fibrillation, coagulopathy

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Introduzione

L’infarto renale è una patologia rara, caratterizzata dalla brusca interruzione del flusso nell’arteria renale o in uno dei suoi rami, con ischemia e necrosi del parenchima. La sua prevalenza è stata stimata nell’1.4% in uno studio autoptico molto datato (1), mentre due studi più recenti basati sulle diagnosi di ammissione in Dipartimenti di Emergenza hanno riscontrato un’incidenza rispettivamente del 0.004% e del 0.007% (2, 3). E’ possibile che la reale frequenza dell’infarto renale sia più elevata, in quanto si tratta di una patologia di difficile diagnosi a causa della possibile confusione con altre condizioni come la colica renale, la pielonefrite acuta e l’addome acuto. Inoltre, per questi motivi, la latenza tra esordio e diagnosi è spesso elevata (4), compromettendo le possibilità terapeutiche e condizionando la prognosi.

L’eziologia dell’infarto renale è eterogenea; accanto alle forme emboliche associate alla fibrillazione atriale o all’endocardite sono descritte trombosi in situ correlate a stati di ipercoagulabilità, dissecazione spontanea dell’arteria renale o traumi. Tuttavia in un numero non trascurabile di casi non si riconosce una causa evidente.

Le casistiche pubblicate in letteratura sono in genere di ridotta numerosità. Nell’ambito delle attività annuali del Gruppo di Studio Piemontese di Nefrologia Clinica abbiamo condotto uno studio osservazionale multicentrico sull’infarto renale descrivendone i fattori associati, le caratteristiche cliniche, strumentali e di laboratorio e gli atteggiamenti terapeutici.

 

Casistica e Metodi

Si tratta di uno studio osservazionale, retrospettivo, policentrico, relativo ai casi di infarto renale osservati nei Centri Nefrologici piemontesi aderenti al Gruppo di Studio Piemontese di Nefrologia Clinica nel periodo 2013-2015. Il criterio di inclusione dei pazienti è stato la diagnosi di infarto renale confermata con angioTC con mezzo di contrasto. I casi sono stati individuati sia sui database delle Strutture Complesse di Nefrologia e Dialisi, sia mediante ricerca sistematica delle schede di dimissione ospedaliera di tutti i ricoveri ordinari del Presidio Ospedaliero in cui opera la struttura, riportanti come diagnosi principale o secondaria il codice ICDM-9 593.81. Lo studio è stato approvato dal Comitato Etico competente.

I risultati sono espressi come media e deviazione standard o come mediana e range; l’analisi delle differenze è stata effettuata con il test ANOVA o Chi quadro, come appropriato.

 

Risultati

Sono stati raccolti 48 casi (25 M, età media 57±16 anni; 23 F età media 70±18 anni, p = 0.007). I pazienti sono stati suddivisi in 3 gruppi in base alla diagnosi eziologica effettuata dai medici curanti e desumibile dalla documentazione (tabella 1): gruppo 1: eziologia cardio-embolica (n=19); gruppo 2: anomalie della coagulazione (n= 9); gruppo 3: da altre cause o idiopatico (n=20).

La tabella 2 riporta le principali caratteristiche demografiche e anamnestiche. La distribuzione tra i sessi è risultata statisticamente diversa, essendo più frequente il sesso femminile nel gruppo ad eziologia cardioembolica, mentre quello maschile è più frequente nel gruppo associato a coagulopatia. L’età è risultata significativamente più elevata nel gruppo 1 rispetto agli altri gruppi di pazienti. La frequenza di fumatori era invece significativamente più elevata nei gruppi 2 e 3 rispetto al gruppo 1.

La presenza di lesioni infartuali multiple non era diversa nei pazienti con eziologia cardioembolica (7/19, 37%) rispetto a quelli con altra causa (16/29, 55%).

Il tempo mediano dai sintomi alla diagnosi, riportato in 38 casi, è stato di 2 giorni (range 2 ore – 8 giorni). I sintomi alla presentazione, in ordine di frequenza, erano: febbre (67%), ipertensione arteriosa (58%), nausea/vomito (58%), dolore addominale o lombare (54%), macroematuria (10%).

La tabella 3 riporta alcuni dati di laboratorio all’esordio. L’incremento delle LDH (>480 UI/ml) era presente nel 96% dei casi (45/47), l’aumento della PCR (>0.5 mg/dl) nel 94% (45/48), un eGFR <60 ml/min/1.73 m2 nel 56% dei casi (27/48).

Nessun caso è stato sottoposto a trombolisi endovascolare. In 40 su 48 casi era riportata la terapia anticoagulante effettuata subito dopo la diagnosi; sono stati somministrati: in 12 casi (30%) eparina sodica, in 8 casi (20%) eparina a basso peso molecolare, in 4 casi (10%) anticoagulanti orali, in 3 casi fondaparinux (7%), in 1 caso (2%) dermatan solfato, in 12 casi (32%), nessuna terapia.

La terapia a lungo termine, riportata in 42 dei 47 casi di cui era disponibile un periodo di osservazione dopo l’evento acuto, consisteva in warfarin (n=27, 64%) o antiaggreganti (n=15, 36%).

La figura 1 riporta l’andamento della funzione renale nel follow-up, noto in 26 casi (durata mediana 15 mesi, range 1-32 mesi). In 6 casi si è osservato un peggioramento, definito come un incremento della creatininemia ≥0.5 mg/dL, (creatinina media da 3.3 ± 1.2 mg/dL a 5.2 ± 1.4 mg/dL); in tre di questi si è manifestata un’insufficienza renale in stadio terminale che ha richiesto il trattamento dialitico. In un caso l’uremia era già presente all’esordio, mentre negli altri due si trattava di pazienti con monorene funzionale. In 4 pazienti si è osservato un recupero della funzione renale, definito come una riduzione della creatininemia ≥0.5 mg/dL (creatinina media da 2.4 ± 1.2 mg/dL a 1.1 ± 1.4 mg/dL), mentre nei restanti 16 il quadro funzionale renale è rimasto sostanzialmente stabile (creatinina media da 1.4 ± 1.2 mg/dL a 1.3 ± 1.5 mg/dL).

Confrontando alcuni parametri tra i pazienti con peggioramento della funzione renale rispetto a quelli con funzione stabile o migliorata (tabella 4) si osserva che i valori di creatininemia e di eGFR sono significativamente rispettivamente superiori ed inferiori nei pazienti con successivo peggioramento, mentre l’età e il tempo tra esordio e diagnosi non erano diversi, così come le eziologie non si distribuiscono in maniera statisticamente diversa.

 

Discussione

La nostra casistica di infarti renali, che deriva dalla collaborazione di 12 centri piemontesi, distribuiti omogeneamente nel territorio regionale, per 3 anni di osservazione, rappresenta per numerosità la quarta nella letteratura da noi reperita (110). Per quanto riguarda l’eziologia, anche i nostri dati, in analogia alla maggior parte delle casistiche riportate, indicano che la causa cardio-embolica rappresenta la forma più frequente, raggiungendo circa il 40% dei casi. Le condizioni di ipercoagulabilità rendono conto del 19% dei casi, una percentuale più elevata rispetto alla maggior parte delle casistiche riportate, ad eccezione di quella di Antopolsky e colleghi (6), nella quale questa condizione è presente nel 16% dei casi. E’ possibile che l’affinamento delle tecniche diagnostiche abbia consentito di evidenziare un numero maggiore di casi secondari ad anomalie della coagulazione, trattandosi delle due casistiche più recenti. In ben 4 dei 9 casi con ipercoagulabilità della nostra casistica si tratta di pazienti con presenza di anticorpi antifosfolipidi, confermando il forte rischio trombotico associato alla loro presenza (11). Negli altri cinque casi di ipercoagulabilità si tratta di singole alterazioni di fattori della coagulazione, senza un’aggregazione di una specifica anomalia (tabella 1).

Per quanto riguarda il gruppo 3 (infarti idiopatici o da altra causa), esso comprende venti casi, in cinque dei quali è stato possibile evidenziare un fattore associato in maniera plausibile alla trombosi dell’arteria renale (tabella 1), anche se in un solo caso, che presentava una dissecazione spontanea della tonaca media dell’arteria renale, in maniera inequivocabile. L’esposizione al fumo di sigaretta è risultata molto elevata in questo gruppo di pazienti (50%) così come nel gruppo 2 (67%), in maniera statisticamente superiore rispetto al gruppo 1 (17%) e alla media nazionale, che si attesta intorno al 22% (12). Anche nelle altre casistiche di infarto renale riportate in letteratura in cui è disponibile questo dato, l’esposizione al fumo risulta elevata, in particolare nei pazienti con infarto renale non cardioembolico (11, 13). E’ noto che il fumo altera i meccanismi della coagulazione influenzando la funzione delle cellule endoteliali, l’aggregazione piastrinica, il fibrinogeno e i fattori della coagulazione; questo crea un’alterazione dell’equilibrio tra fattori antitrombotici/protrombotici, e profibrinolitici/antifibrinolitici che potrebbe scatenare e propagare l’infarto renale (14).

Anche la prevalenza di ipertensione arteriosa è risultata molto elevata nel gruppo 3 (70%); questo elemento rappresenta, insieme al fumo, il principale fattore di rischio per infarto renale idiopatico nella nostra casistica.

Per quanto riguarda l’età, come atteso per la presenza di fibrillazione atriale cronica, la cui prevalenza aumenta con l’età, i pazienti con eziologia cardioembolica avevano un’età significativamente più elevata rispetto agli altri gruppi; questo gruppo mostrava altresì una prevalenza del sesso femminile, mentre nel gruppo 2 (da anomalie della coagulazione) prevalevano i soggetti di sesso maschile, mentre la distribuzione tra i sessi era omogenea nel gruppo 3.

I sintomi più frequenti all’esordio sono risultati, oltre al dolore lombare o addominale e all’ipertensione arteriosa, la febbre e la comparsa di nausea o vomito, senza differenze di distribuzione nei tre gruppi. Per quanto riguarda gli esami di laboratorio, oltre all’incremento delle LDH, si rileva costantemente un aumento di parametri della flogosi come la proteina C reattiva e i leucociti. Per questi motivi è possibile incorrere in errori diagnostici nei confronti di quadri come la pielonefrite acuta, la colica renale o sindromi addominali acute. E’ fortemente raccomandata, quindi, quando la genesi della sintomatologia addominale lamentata dal paziente non è chiara, l’esecuzione di un’angioTC con mezzo di contrasto, indispensabile per diagnosticare correttamente l’infarto renale (1518).

I sintomi all’esordio e i parametri di laboratorio non erano significativamente diversi nei tre gruppi in base all’eziologia, tranne per quanto riguarda la funzione renale. Infatti, il filtrato glomerulare stimato è risultato significativamente inferiore nei pazienti con eziologia cardioembolica. Il dato è almeno in parte da correlare alla maggiore età anagrafica di questi pazienti. Infatti, il riscontro di lesioni infartuali multiple non era superiore in questo gruppo di pazienti rispetto agli altri.

La latenza tra esordio e diagnosi è risultata ancora mediamente elevata, nonostante il dato da noi riscontrato sia inferiore rispetto a casistiche precedenti (nella nostra casistica la mediana è stata di 2 giorni) e tale da pregiudicare in alcuni casi una terapia tempestiva, soprattutto con trombolisi endovascolare, che non è stata praticata in nessun paziente.

Una percentuale non indifferente (23%) di soggetti ha mostrato un peggioramento della funzione renale nel periodo di osservazione, e in tre casi è stato necessario l’avvio del trattamento dialitico cronico. Tra i diversi fattori considerati (tabella 4) soltanto la funzione renale all’esordio era significativamente peggiore nei pazienti con evoluzione sfavorevole, confermando i dati Caravaca-Fontàn e coll. (7).

La terapia in fase acuta è consistita soprattutto nell’impiego di eparina, anche se in circa un terzo dei casi non è stata effettuata alcuna terapia. Il trattamento cronico è stato effettuato nella maggior parte dei casi con anticoagulanti orali.

In conclusione, nei pazienti che presentano dolore lombare o addominale acuto, soprattutto in presenza di fibrillazione atriale o con anamnesi di ipertensione arteriosa e fumo, deve essere presa in considerazione la diagnosi di infarto renale. In questi casi è importante eseguire il dosaggio delle LDH e un’angioTC TC con mezzo di contrasto.

 

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