Trattamento della Cast Nephropathy

Abstract

La cast nephropathy è la causa più comune di AKI nei pazienti affetti da mieloma multiplo. Il caposaldo del trattamento della cast nephropathy è la terapia diretta contro il clone plasmacellulare, mirata ad abbattere la produzione e di conseguenza la deposizione di catene leggere a livello renale. Misure di supporto sono rappresentate dall’induzione di un elevato volume di urine alcaline, laddove possibile. La rimozione extracorporea delle catene leggere è una pratica terapeutica dai vantaggi clinici ancora non completamente chiariti. L’utilizzo di filtri e tecniche dialitiche sicure ed economiche può favorire l’implementazione di queste metodiche, in modo da precisare quale ruolo possano avere nella pratica clinica.

Parole chiave: mieloma multiplo, cast nephropathy, dialisi

In corso di mieloma multiplo (MM) la probabilità di sviluppare un danno renale acuto è piuttosto elevata. Si stima infatti che l’incidenza di acute kidney injury (AKI) sia intorno al 35%, anche se in letteratura esistono dati discordanti perché in passato nelle casistiche ematologiche l’AKI veniva stimato attraverso il GFR e solo più di recente attraverso le classificazioni idonee [1]. Quando presente, l’AKI è spesso severa [1] e la sua presenza influisce negativamente sulla prognosi dei pazienti con MM [2].

Da un punto di vista eziologico l’AKI in corso di MM può essere schematicamente ricondotto a due gruppi di cause. Il primo gruppo è rappresentato dalle AKI secondarie a un danno provocato dall’immunoglobulina patologica o da una sua frazione. Tra queste la cosiddetta “myeloma cast nephropathy” (MCN) è la causa di gran lunga più frequente (oltre la metà dei casi). Altri quadri possibili sono l’amiloidosi, la light or heavy chain deposition disease, la sindrome di Fanconi, etc. Il secondo gruppo di cause di AKI in corso di MM è quello da eziologie indipendenti dalla proteina M, come l’ipercalcemia, la disidratazione, la lisi tumorale e soprattutto i danni iatrogeni (per es. da FANS, da inibitori del proteasoma, da bifosfonati, etc.).

La MCN è il quadro più tipico e frequente di AKI in corso di MM perché è l’espressione della massiva produzione di catene leggere (CL) che si depositano nei tubuli renali. È stato dimostrato che la MCN di fatto non si realizza se il paziente non presenta un livello sierico di CL di almeno 500 mg/L e di solito sono necessari valori sierici ben più alti [3]. Questo spiega come mai la MCN sia descritta sostanzialmente solo in caso di MM (o raramente in corso di altre patologie neoplastiche ematologiche come il linfoma linfoplasmocitico e la leucemia linfatica cronica) ma non nelle condizioni precancerose, come la cosiddetta monoclonal gammopathy of renal significance.

La presenza di alti livelli di CL è un requisito indispensabile ma non sufficiente allo sviluppo della MCN. È noto infatti come non tutti i pazienti con MM e alti livelli di CL sviluppino MCN. Inoltre i livelli di CL non correlano con la gravità dell’interessamento renale [3]. Il motivo è da ricercarsi nell’interazione tra le CL e l’uromodulina, elemento chiave per la deposizione dei cilindri di CL all’interno dei tubuli renali. L’interazione delle CL con l’uromodulina avviene attraverso il legame della regione ipervariabile cdr3 delle CL con una specifica sequenza di 9 aminoacidi dell’uromodulina [4]. Ne consegue che ogni singolo clone di CL abbia una sua specifica affinità per l’uromodulina e ciò giustifica la precipitazione per concentrazioni diverse. Inoltre è stato anche dimostrato come altri fattori quali il pH possano influire sulla precipitazione delle CL [5].

Da un punto di vista istologico il quadro della MCN è caratterizzato da cilindri con struttura lamellare e aspetto fratturato, spesso intensamente eosinofili. Questi cilindri determinano una reazione infiammatoria con cellule giganti nell’interstizio che può esitare nella rottura della membrana basale tubulare e quindi in fibrosi e atrofia tubulo-interstiziale [6]. È stato dimostrato che il numero di cilindri per mm2 di corticale renale correla con il danno renale a lungo termine e che tale informazione istologica non può essere desunta dai dati di laboratorio al momento della biopsia [7]. I dati ottenuti dalla biopsia renale ci consentono quindi non solo di chiarire quale sia l’eziologia dell’AKI in corso di MM, che come abbiamo visto non è sempre imputabile alla MCN [8], ma forniscono anche insostituibili informazioni di carattere prognostico.

Il trattamento più importante della MCN è costituito dalla terapia clone based. Tanto più rapidamente ed efficacemente questa terapia riesce ad abbattere la produzione di CL, portandone i valori sierici al di sotto della soglia di precipitazione, tanto più è probabile un recupero della funzione renale. Come misure adiuvanti si può tentare di ridurre il rischio di ulteriore precipitazione delle CL attraverso la diluizione in volumi urinari elevati, maggiori di 3 L, e possibilmente in urine alcaline [9]. Vanno evitati però i diuretici dell’ansa che favoriscono la precipitazione delle CL [5]. Inoltre è necessario correggere l’ipercalcemia laddove presente ed evitare l’utilizzo di farmaci nefrotossici. È evidente che in pratica clinica possa risultare in certi casi complesso ottenere volumi urinari elevati in pazienti con AKI severa senza utilizzare diuretici dell’ansa, così come indurre una diuresi alcalina evitando però di peggiorare l’ipercalcemia attraverso l’alcalosi metabolica.

Un altro aspetto da considerare è che l’emivita delle CL, normalmente piuttosto breve, è molto allungata in caso di AKI severa e quindi, anche in presenza di una chemioterapia tempestiva ed efficace, queste restano in circolo per diversi giorni a livelli sierici elevati potendo potenzialmente continuare a precipitare e aggravare il danno renale. Pertanto nei pazienti con AKI severa che richiedono emodialisi, il trattamento extracorporeo può essere sfruttato anche per rimuovere efficacemente le catene leggere.

Le prime esperienze pioneristiche in questo ambito sono state effettuate con la plasmaferesi [10], tecnica che tuttavia non abbina la depurazione renale e che è limitata nella rimozione delle CL dai bassi volumi di liquido trattati. Le CL infatti hanno un volume di distribuzione maggiore delle Ig intatte, ma dato il loro peso molecolare contenuto possono essere efficientemente rimosse anche da filtri con cut-off minore rispetto ai plasmafiltri. Per questo motivo sono stati impiegati in questo ambito i filtri cosiddetti high cut-off (HCO) [11]. Questi filtri sono in grado di rimuovere efficacemente le CL, sia kappa che lambda (quest’ultima normalmente dimerica e quindi di peso molecolare doppio, 45 KDa circa, rispetto alla monomerica kappa). L’impiego di questi filtri si è dimostrato efficace nei primi lavori sperimentali, consentendo una buona rimozione delle CL e anche un miglioramento sugli end-point clinici [12]. Tuttavia questi filtri sono gravati da una perdita di albumina abbastanza marcata, che ne richiede la supplementazione al termine di trattamenti intensivi come quelli previsti per la rimozione delle CL (di norma quotidiani e prolungati).

Sono stati quindi disegnati due grandi trial randomizzati e controllati, il MYRE [13] e l’EuLite [14], per validare l’impiego dei filtri HCO nel contesto di pazienti con MCN. Questi studi hanno reclutato solo pazienti con MCN istologicamente documentata, che sono stati randomizzati a ricevere dialisi tradizionale o con HCO in aggiunta alla terapia standard of care. Entrambi i trial hanno fallito nel loro end point primario, ovvero dimostrare un miglioramento della prognosi renale dei pazienti dopo 3 mesi. Nonostante questo era evidenziabile un trend favorevole nel braccio di trattamento, così come il raggiungimento di alcuni end points secondari. Si è quindi ipotizzato che i trial non fossero sufficientemente potenti per dimostrare il vantaggio fornito dai filtri HCO rispetto alle metodiche convenzionali. La mancanza di potenza è stata attribuita al fatto che tra i primi lavori con filtri HCO ai due trial menzionati prima, si è verificato un grande avanzamento nel trattamento del MM con l’introduzione in terapia degli inibitori del proteasoma. La disponibilità di terapie più efficaci e rapide nel contrastare il MM potrebbe aver reso meno rilevante il lavoro effettuato sulla clearance delle CL dai trattamenti extra-corporei. Di conseguenza per evidenziare un vantaggio clinico minore sarebbe stato necessario calibrare diversamente i trial rispetto a quanto fatto sulla base dei primi dati disponibili (i vantaggi sulla prognosi renale erano stimati intorno al 30%). Tuttavia dal trial EuLITE è emerso anche un aumentato rischio infettivo nel braccio di trattamento. Questo allarme, insieme alla mancanza di una chiara efficacia dei trattamenti, alla complessità di gestione e ai costi degli stessi ha limitato la diffusione dei filtri HCO per questa indicazione.

Nel frattempo ulteriori lavori hanno dimostrato che anche altre metodiche emodialitiche, sfruttando soprattutto il principio dell’adsorbimento e non solo della filtrazione, possono essere in grado di fornire una certa rimozione delle CL nei pazienti con MCN. Sono stati pubblicati diversi lavori, in particolare circa l’impiego di filtri a base di PMMA [15, 16] e delle resine di stirene [17], tutte metodiche in grado di adsorbire le CL. Nonostante i tassi di rimozione non siano allo stesso livello dei filtri HCO, queste metodiche presentano dei vantaggi relativi alla semplicità di gestione, alla sicurezza e ai costi. Nel nostro centro abbiamo utilizzato la metodica HFR-SUPRA col raggiungimento di buoni risultati sia in termini di riduzione delle CL che prognostici [18]. Un’altra alternativa potrà essere rappresentata dai filtri a medium cut off, introdotti nella pratica clinica più di recente e che non sono gravati da sostanziali perdite di albumina [19].

Se da un lato quindi non abbiamo dati conclusivi sull’opportunità di impiegare trattamenti specifici per la rimozione extra-corporea delle CL nei pazienti con MCN, dall’altro la possibilità di impiegare metodiche semplici e a basso costo, in pazienti comunque destinati al trattamento emodialitico, sembra una scelta logica e supportata da un razionale fisiopatologico chiaro. Inoltre, con il cronicizzarsi delle patologie oncologiche è sempre più frequente imbattersi in pazienti che presentano recidive e che impiegano seconde e terze linee di trattamento, a volte con tempi di azione più lunghi. La possibilità di impiegare in questi casi dei trattamenti efficienti e sicuri rappresenta una possibilità da non trascurare per limitare l’impatto del danno renale e quindi le sue conseguenze.

 

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Reazione cutanea con eosinofilia e sintomi sistemici dopo assunzione di lenalidomide in dialisi peritoneale

Abstract

La DRESS è una sindrome potenzialmente fatale associata ad una reazione idiosincrasica immuno-mediata, conseguente all’assunzione di un farmaco, caratterizzata da ipereosinofilia, anomalie ematologiche e sintomi sistemici (febbre, eruzioni cutanee su oltre metà della superficie corporea), che si sviluppano entro un periodo di latenza dall’assunzione. Il coinvolgimento sistemico riguarda più frequentemente il fegato con l’epatite ed il rene con la nefrite interstiziale, quest’ultima frequente con allopurinolo. Lo European Registry of Severe Cutaneous Adverse Reactions (RegiSCAR) classifica i casi di DRESS Syndrome come “definite”, “probable” or “possible”, in relazione a dati clinici e di laboratorio. Differenti meccanismi patogenetici sono coinvolti in questa patologia, incluse reazioni immunologiche e riattivazione di HHV-6. Nella nostra esperienza, un uomo di 72 anni, affetto da mieloma multiplo in dialisi peritoneale ha sviluppato un raro caso di DRESS syndrome dopo assunzione di Lenalidomide (meno di dieci casi descritti) in corso di riattivazione di HHV-6. In accordo con la letteratura, abbiamo sospeso il farmaco e somministrato Metilprednisolone 0,8 mg/kg per via orale e immunoglobuline endovena 1 gr/kg per due giorni. Nonostante la terapia, la sindrome sistemica è recidivata durante il tapering dello steroide con trombocitopenia, epatite e rialzo della troponina. Un singolo ciclo di immunoglobuline 0,5 g/kg per quattro giorni è stato sufficiente per raggiungere la remissione. Solo pochi casi sono riportati in letteratura, ma a causa dell’aumentato utilizzo di lenalidomide per neoplasie ematologiche e le severe sequele immunologiche della sindrome DRESS, risulta fondamentale un tempestivo approccio multidisciplinare, utile per diagnosi, trattamento e follow-up di questa patologia.

Parole chiave: ipereosinofilia, reazione sistemica a farmaco, sindrome DRESS, nefrite interstiziale, mieloma multiplo, lenalidomide

Ci spiace, ma questo articolo è disponibile soltanto in inglese.

Introduction

Drug Reaction with Eosinophilia and Systemic Symptoms (DRESS) syndrome is a rare, immune-mediated idiosyncratic and fatal drug reaction, characterized by a latent period after intake of the inciting drug (2-6 weeks). Other signs and symptoms are fever higher than 38,5°C, skin eruptions, eosinophilia (in 66-95% of patients), mononucleosis-like atypical lymphocytes (27-67% of patients), thrombocytopenia, lymphadenopathy (in 54% of patients), and multiple organ involvement. The prevalence ranges from 1:1000 to 1:10000 of drug exposures; mortality has been estimated to be up to 10% because of myocarditis and liver failure [1]. It is difficult to pinpoint the exact moment at which the organ damage and blood alterations occur, except in the cases of already hospitalized patients [2]. Generally, the rash covers more than half of the body surface. Cutaneous lesions have polymorphic presentations: maculopapular, urticarial, exfoliative, lichenoid, pustular, bullous, target-like or eczema-like lesions. The facial oedema (found in 76% of patients) is the hallmark feature of the disease. In 50-60% of patients, two or more organs are affected, most frequently liver (hepatomegaly, hepatitis with ALT> 2 times and ALP> 1,5 times the upper limit), kidney (acute interstitial nephritis, most often induced by allopurinol) and lung (interstitial pneumonia). Cardiovascular involvement occurs lately (up to four months after recovery) with myocarditis, decreased LV function and elevated troponin [3]. The nomenclature of this syndrome has significantly evolved over the last 80 years. The current name, DRESS, as defined in 1996 by Bocquet et al [4], but in the past it was named “drug induced pseudolymphoma”, “anticonvulsant hypersensitivity syndrome” and “drug induced hypersensitivity syndrome” (DIHS). This syndrome requires a high index of suspicion by clinicians and exclusion of infectious, inflammatory, autoimmune and neoplastic conditions, besides other similar cutaneous drug reactions. DRESS syndrome could have long-term sequelae like the development of autoimmune disease, including thyroiditis, diabetes mellitus type I and systemic erythematosus lupus [5]. These manifestations can occur early, like in our patient, to years following the initial episode. There is no pathognomonic sign or diagnostic test for DRESS. The leucocyte transformation/activation test (LAT) measures T cells response to a drug. It lacks of sensitivity, but a positive LAT is useful to confirm the diagnosis, because of very low false positive results (only 2%) [6, 7]. Confirmation or exclusion of DRESS syndrome diagnosis is based on clinical and laboratory features. The European Registry of Severe Cutaneous Adverse Reactions (RegiSCAR) classifies the cases as “definite”, “probable” or “possible”.

 

Case Report

A 72-year-old male, affected by end-stage kidney disease (ESKD) because of nephroangiosclerosis and ischemic nephropathy in peritoneal dialysis, was diagnosed with micromolecular multiple myeloma kappa in June 2019. In November he stared lenalidomide 5 mg days 1-21 in 28-days cycle without steroids because of his comorbidities. The patient suffered from hypertension, ischemic cardiomyopathy with reduced ejection fraction of 25% (he had two NSTEMI, the last in March 2019), and chronic kidney disease for about six years and started automated peritoneal dialysis in March 2019.

After 18 days of therapy with lenalidomide, he presented a violet maculopapular rash covering more than 50% of his body, fever (38,5 °C), and leukopenia with negative C-reactive protein. Lenalidomide was withdrawn and oral steroid with anti-histamine were administered. One week later he was admitted to our Nephrology Unit for a syncopal episode. Laboratory tests revealed leukocytosis (white blood cells were 12250/mm3), eosinophilia (until 56%, 4550/mm3), and cholestatic-cellular liver damage (ALT 1448 U/l, ALP 308 U/l) requiring albumin infusion. In suspicion of a hidden infection, blood/peritoneal cultures and viral/bacterial tests were performed and a broad-spectrum empirical therapy was prescribed. In the absence of liver and vascular abnormalities during an ultrasound abdominal study, an autoimmune workup was performed: ANA, ANCA, SMA, LKM, AMA were negative. Blood markers of HBV, HCV and herpetic viruses were negative, except for Human herpes virus 6 (HHV-6) reactivation with 420 copies/ml. Because of the persistence of the rash, the patient underwent a skin biopsy, that demonstrated sparse vacuolization of epidermis and dermal-epidermal inflammation with some eosinophils and CD8+ T cells, suggesting a drug reaction (shown in Figures IA and IB).

Histopathological examination of the skin biopsy specimen revealing hyperkeratosis, spongiosis.
Figure IA: Histopathological examination of the skin biopsy specimen revealing hyperkeratosis, spongiosis, dermis swelling and chronic perivascular inflammation with some eosinophils. IB: Immunohistochemical examination revealing CD8+ T cells dermal-epidermal infiltration, suggesting a drug reaction.

For clinical, laboratory and pathological features, according to RegiSCAR score system this case has been evaluated as “definite DRESS” with score 6, because of rash, eosinophilia and liver damage. We started intravenous immunoglobulin 1 g/kg for 2 days and oral methylprednisolone with reduced dose for comorbidities (50 mg/die for 0,8 mg/kg daily). After one week the patient had fully recovered and was discharged home with methylprednisolone 37,5 mg/die (for 0,6 mg/kg). Seven days after discharge, the patient showed a pruritic rash. Laboratory tests showed elevated ALT, AST and troponin (until 330 ng/l) and thrombocytopenia (platelets 50.000/mm3). HHV-6 was undetected. Hospital admission was not necessary and an outpatient follow-up was started. Because of the high risk of late onset of myocarditis with elevated troponin, we performed an electrocardiogram (normal) and an echocardiogram that showed a low ejection fraction like the previous. Despite the clinical suspicion, heart magnetic resonance imaging (MRI) ruled out this complication. Most likely, the elevation of troponin was related to an increased hydro-saline retention, which was responsive to the enhancement of peritoneal dialysis treatment. Taking into account the renal failure, the chronic ischemic heart disease and the DRESS syndrome relapse, we treated the patient with only intravenous immunoglobulin (IVIG) 0,5 g/kg for four consecutive days with clinical and laboratory benefits. After recovery, a multiple myeloma second-line therapy with orally Cyclophosphasmide 300 mg once weekly and prednisone 25 mg/die was started, but it was interrupted two weeks later because of melena and clinical worsening. Sixteen weeks after discharge the patient is still alive, he undergoes nephrological/hematological outpatient visits twice a week and receives palliative therapy. Liver tests and troponin levels are normal.

 

Discussion

DRESS syndrome is an idiosyncratic hypersensitivity reaction to a medication. Mortality has been estimated to be up to 10% because of myocarditis and liver failure. Renal involvement is usually secondary to liver (about 11-28% of patients); renal damage could be related to interstitial nephritis or to acute tubular necrosis, but sometimes the patient could develop vasculitis with renal failure. Sometimes patients need short-term or long-term hemodialysis. In a survey conducted by Asian Research Committee on Severe Cutaneous Adverse Reactions (ASCAR) on 145 patients affected by DRESS syndrome [5], four of them with underlying diseases (IgA nephritis, renal disease and chronic renal failure) developed end-stage renal disease and culprit drug was allopurinol in two cases. 24 patients with Drug-Induced Hypersensitivity Syndrome were evaluated in a French study [8]: 11 patients on 24 (46%) were immunocompromised, the median latency time of onset was 15 days and myocarditis appeared in several cases with hypotension. Our patient developed these features and the suspicion of late myocarditis was very high because of troponin elevation, low cardiac ejection fraction and severe clinical impairment; however cardiac MRI showed that it was secondary to hyperhydration and previous cardiac disease. Furthermore, several studies suggest that myocarditis is often underestimated, because it needs a post-mortem histopathologic examination. The pathogenic bases of DRESS syndrome are still unclear. Some authors suggest that drug reactive metabolites, secondary to detoxification defect, could stimulate a delayed immunological reaction mediated by CD-8 T-lymphocyte and eosinophil degranulation; interestingly, the medication could also trigger viral reactivation, usually HHV-6. Cacoub et al reported 172 cases of DRESS: the most frequent “trigger-drugs” were carbamazepine, allopurinol, sulfasalazine, phenobarbital, nevirapine, and HHV-6 reactivation was positive in 80% of studied cases [9].

Generally, patients affected by DRESS syndrome develop renal complications presenting with creatinine elevation, sterile pyuria and sometimes with proteinuria and hematuria [10]. In our experience it was not possible to identify renal involvement, because our patient was already treated with peritoneal dialysis. Genetic predisposition to DRESS syndrome has been demonstrated: HLA-B*5801 in Chinese population treated with allopurinol is associated to kidney involvement in DRESS syndrome [11]. A French study [8] highlighted that 20 of 24 patients developed DIHS during winter, as our case, and that 75% of them had low level of Vitamin D. It is widely known that the nephrological population has chronic Vitamin D deficiency and that it has anti-inflammatory properties, so we can believe that it could be a risk factor for our patients treated with “trigger” drugs. Nevertheless, assessing clinical features of patients affected by DRESS syndrome described in literature, chronic kidney disease does not represent a risk factor for this syndrome (shown in Table 1).

Cacoub et al [9] Mona Ben m’rad et al [8] Kano Y et al [5]    Avancini J et al [15]
Number of patients 172 24 145 27
Age (years) 40,7 ± 20,9 50,4 ± 17,1 51 ± 18,8 36 ± 16,4
Male 53 % 50 % 40,7 % 62,9 %
Onset weeks (mean) 3,9 ± 2,3 2 5,6 ± 5,3
Liver involvement 94 % 54 % 85,2 % (23 patients)
Kidney involvement 8 % 17 % HD in 4 patients with pre-existing renal disease 33,3 % (9 patients)
Cases resulting in death 5,2 % 0 % 3,7 % (1 patients)
Autoimmune sequelae 23,4 % (34 patients)
Table 1: Comparison of clinical features and outcomes of patients affected by DRESS syndrome observed in four different mentioned studies. HD: chronic hemodialysis.

As described by Vlachopanos [12], DRESS syndrome after receiving Lenalidomide for multiple myeloma in people in renal replacement therapy has a very unfavorable course. According to literature (Table 2), the culprit drug should be withdrawn and, in cases of visceral involvement, systemic steroids are indicated (oral methylprednisolone 1 mg/kg/die with slow taper over 3-6 months). Rapid tapering is associated with relapse, like in our patient, and the benefit of antiviral medications is unclear. In severe and corticosteroid-resistant cases, other immunosuppressant medications including cyclosporine, azathioprine, and mycophenolate have been used, sometimes alongside adjunctive treatment with IVIG and plasmapheresis [13, 14]. In our experience IVIG has been a good ally to control DRESS syndrome relapse.

Primary disease Age Medical history Therapy Time after LND Virus Systemic involvement Treatment Reference

MM

IgG kappa

65 years UN LND 25 mgA – DXSB 6 weeks No AIN

Hepatitis

PS 80mg Shaaban H. et al [16]

MM

IgG lambda

75 years Diabetes mellitus

hypertension heart failure

CKD stage III

LND 5 mgA – DXSB 4 weeks UN Acute on CKD MPSL 80 mg Shanbhag A. et al [17]
MM 78 years Hypertension

Diabetes mellitus

LND 25 mgA 4 weeks HHV-6 AKI

Hepatitis

PS 20mg Foti C. et al [18]
MM 62 years CKD on hemodialysis LND 5 mgA 5 days UN Non erosive oropharyngeal  mucositis dysphagia PSL Vlachopanos G. et al [12]
MM 59 years UN Bortezomib-DXSB-LND 5-6 weeks HHV-6

CMV

None PS 20 mg/die Osada S. et al [19]

MM

IgA lambda

67 years UN Carfilzomib-DXS-

LND 25 mgA

7 weeks CMV Hepatitis PSL 1mg/kg/die Relapse: IVI

G 0,5 g/kg/die for 4 days

Gajewska M. et al [20]
Table 2: Summary of lenalidomide-induced DRESS syndrome described in literature. Comparison of clinical features, multiple myeloma therapy, organ involvement of DRESS syndrome, virus reactivation and therapy.
Abbreviations: Multiple Myeloma: MM; Lenalidomide: LND; Dexamethasone: DXS; Prednisone: PS; Methylprednisolone: MPSL; Prednisolone: PSL; Unavailable: UN. A: Lenalidomide 25 mg/die on days 1-21 in 28-days cycle. B: Dexamethasone 40 mg/die once a week in 28-days cycle.

Statements

  1. The variety of drugs, the clinical course with slow resolution and relapse and HHV-6 reactivation suggest that drugs cannot be the sole etiology of DRESS.
  2. Drugs with immunomodulatory activity or immunosuppression could contribute to the hypersensitivity reaction of DRESS syndrome.
  3. Few cases of DRESS syndrome in end-stage kidney disease are reported in literature, but because of the increasing use of drugs and its several autoimmune sequelae, a broad workup and a multidisciplinary careful approach could help in diagnosis, treatment and follow-up.
  4. Patients affected by chronic kidney disease may develop renal failure if DRESS Syndrome is complicated by severe acute interstitial nephritis or vasculitis.
  5. Therapy: oral methylprednisolone 1 mg/kg/die with slow taper over 3-6 months; quick taper encourages relapse, which could be treated only with IVIG 0,5 g/kg for 4 days.

 

Bibliography

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Mieloma multiplo, discrasie plasmacellulari e rene: pochi sintomi ma gravi danni

Abstract

Il mieloma multiplo rappresenta una delle principali patologie oncologiche universali e per le sue caratteristiche cliniche, spesso risulta diagnosticato solo tardivamente quando ha già determinato effetti sistemici con conseguente maggiore difficoltà terapeutica e minori risultati prognostici. Attraverso il caso clinico discusso in questo articolo, vogliamo porre l’attenzione sulle manifestazioni, spesso aspecifiche, di questa patologia e sulla necessità di un corretto inquadramento clinico e diagnostico. Verranno inoltre esaminate le principali manifestazioni renali secondarie al deposito di immunoglobuline sia in sede glomerulare che tubulare.

Parole chiave: AKI, mieloma multiplo, discrasie plasmacellulari, danno renale

Introduzione

Il mieloma multiplo (MM) è una patologia che rientra nel gruppo delle neoplasie ematologiche associate a discrasie plasmacellulari (PCD). È la diretta conseguenza di una proliferazione incontrollata di un clone plasmacellulare cui consegue l’anomala produzione di immunoglobuline monoclonali (Ig) o di catene leggere libere (free light chain, FLC) che, una volta eliminate dalla circolazione ematica attraverso l’emuntorio renale, determinano sovente un danno d’organo [1]. Le PCD comprendono uno spettro relativamente ampio di malattie come: il mieloma multiplo, l’amiloidosi AL, il plasmocitoma solitario e la gammopatie monoclonale di incerto significato (MGUS). La distinzione tra le varie forme di mieloma dipende da alcune caratteristiche quali la quantità di proteina monoclonale sierica, la percentuale di plasmacellule nel midollo osseo e la presenza di danno d’organo.

Recentemente è stato introdotto il termine di gammopatia monoclonale a significato renale (MGRS) che sottolinea il ruolo diretto che le immunoglobuline hanno sull’eziopatogenesi del danno d’organo anche in assenza dei criteri necessari per la diagnosi di mieloma multiplo [2].

 

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Un caso di amiloidosi AL ad evoluzione fulminante

Abstract

L’amiloidosi rappresenta un gruppo eterogeneo di patologie caratterizzate dal deposito, sotto forma di fibrille, nei vari organi e tessuti dell’organismo, di proteine anomale; i depositi costituiti da queste fibrille vengono denominati amiloide o sostanza amiloide. L’amiloidosi AL, detta anche a catene leggere, è una forma primaria caratterizzata da depositi di catene leggere di immunoglobuline monoclonali, proteine che vengono prodotte dal midollo osseo con lo scopo di proteggere l’organismo da processi di tipo patologico; per motivi sconosciuti, queste immunoglobuline, una volta assolta la loro funzione, non si dissolvono ma, al contrario, si trasformano, appunto, in fibrille di amiloide e si accumulano progressivamente, trasportate dal flusso sanguigno, nei vari organi e tessuti. Di seguito riportiamo il caso di un paziente caucasico maschio di 77 anni, ospedalizzato presso la nostra Unità Operativa per sindrome nefrosica ed aumento della creatinina comparsa in un paio di mesi rispetto a controlli precedenti normali. Il paziente viene sottoposto a biopsia renale ed a striscio midollare con evidenza di amiloidosi AL (o amiloidosi primaria) e presenza, all’immunofissazione sierica, di mieloma multiplo IgG k di lieve entità. Trattato con bortezomib (1 mg/m2) e soldesam (10 mg) prima e lenalidomide dopo, il paziente ha avuto un decorso clinico gravato da ipotensione sintomatica per grave disautonomia ed ha dovuto iniziare trattamento sostitutivo con emodiafiltrazione per malattia renale terminale dopo due mesi dall’esordio di malattia. È deceduto dopo 4 mesi dal primo ricovero per sindrome nefrosica.

Parole chiave: amiloidosi AL, mieloma multiplo, insufficienza renale, emodiafiltrazione

Introduzione

L’amiloidosi è una patologia caratterizzata dal deposito di una proteina con ripiegamento beta-shift. Attualmente si conoscono circa 30 tipologie di amiloidosi, ereditarie o meno, classificate in base ai segni clinici ed alle caratteristiche biochimiche della sostanza amiloide coinvolta [1]. Alcune delle forme più frequenti sono l’amiloidosi AL (amiloidosi da immunoglobuline/catene leggere), l’amiloidosi AA (infiammatoria/reattiva) e l’amiloidosi ATTR (da accumulo di transtiretina).

L’amiloidosi AL (o amiloidosi primaria) è la forma più comune, con un’incidenza di circa 0,8 casi ogni 100.000 abitanti per anno, ed anche quella con la prognosi peggiore. In questa variante della malattia, il cosiddetto “clone amiloidogeno” è rappresentato da frammenti delle catene leggere delle immunoglobuline (anticorpi dalle plasmacellule midollari, cellule linfoidi giunte a maturazione in grado di sintetizzare immunoglobuline) che formano fibrille le quali si depositano nei tessuti. In questo caso, l’amiloidosi rientra nelle “discrasie plasmacellulari” ed è una patologia che si può manifestare con una grande varietà di segni e sintomi che dipendono dagli organi colpiti [2]. Può presentarsi come patologia isolata o in associazione con il mieloma multiplo. Gli organi più frequentemente coinvolti dal deposito delle fibrille sono il cuore (nel 75% dei pazienti), i reni (nel 65% dei casi), l’apparato gastrointestinale, il fegato (20%), la cute, i nervi periferici che trasmettono la sensibilità dai piedi e dalle mani e quelli che regolano la pressione arteriosa (20%) e gli occhi.

Molto utile alla determinazione della sopravvivenza dei pazienti affetti da amiloidosi AL può risultare la misurazione di biomarkers di danno cardiaco quali i peptidi natriuretici, ovvero la porzione amino-terminale del peptide natriuretico di tipo B (NT-proBNP) e delle troponine cardiache (cTn) [34].

I sintomi che possono far sospettare un’amiloidosi sono numerosi ed alcuni sono tipici della malattia: una proteinuria fino alla sindrome nefrosica, disturbi del ritmo cardiaco per infiltrazione del sistema di conduzione, ipertrofia del ventricolo sinistro con ispessimento ed irrigidimento delle pareti ventricolari e del setto interatriale, ipotensione ortostatica, sincope, vertigini, epatomegalia senza cause apparenti, polineuropatia, sindrome del tunnel carpale, porpora periorbitale (per fragilità capillare dovuta a deposito vascolare di amiloide), macroglossia. La comparsa di stanchezza e dimagramento inspiegabili è un sintomo frequente nel paziente con amiloidosi [59].

Le terapie impiegate nell’amiloidosi AL sono atte a contrastare le plasmacellule che producono la paraproteina e si basano su combinazioni di diversi farmaci [10].  

Per i pazienti giovani, con condizioni generali buone è possibile eseguire l’autotrapianto di cellule staminali, una procedura che si avvale di chemioterapia ad alta dose, che elimina tutte le cellule del midollo osseo, che viene poi ricostituito grazie alle cellule staminali del paziente, prelevate in precedenza e crioconservate [11].

Tra i farmaci usati nel trattamento dell’amiloidosi AL spicca l’azione di due classi: l’inibitore del proteasoma, bortezomib e gli immunomodulatori, derivati dalla talidomide, lenalidomide e pomalidomide.

Negli ultimi anni si è affermato anche il ruolo dell’immunoterapia con anticorpi monoclonali antiCD-38, diretti contro le plamascellule, come il Daratumumab.

Il proteasoma è un complesso multiproteico presente in tutte le cellule dell’organismo, con il ruolo di degradare i polipeptidi all’interno della cellula. La sua inibizione porta ad un arresto del ciclo cellulare ed alla morte per apoptosi. Tra gli effetti collaterali degli inibitori del proteasoma vi è la riattivazione dell’Herpes Zoster, la neuropatia periferica, la leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML), l’ipotensione ortostatica, l’insufficienza cardiaca [1216].

 

Caso clinico

Riportiamo un caso di un paziente 77enne, di razza caucasica, con una storia anamnestica di cardiopatia ischemica all’età di 62aa e di TIA nel 2010, iperteso in terapia con amlodipina 5 mg, ramipril 5 mg ed amiloride/idroclorotiazide 2.5/25 mg. Nel luglio 2012 tumore corde vocali trattato con radioterapia.

Nel dicembre 2018 si ricovera per alcuni giorni, dal 22 al 31, presso la nostra unità di Nefrologia per inquadramento clinico-diagnostico in funzione di una proteinuria significativa allo spot urinario (2.6 g/l), edemi declivi, ipertensione; all’ingresso si mette in evidenza un aumento della creatinina (1.4 mg/dl) che fino ad allora era sempre stata nella norma (creatinina di 1 mg/dl all’ultimo controllo del novembre 2018). Un’ecocardiogramma di fine dicembre 2018 mostrava un ventricolo sx di normali dimensioni, con lieve ipertrofia settale ed acinesia inferiore basale; funzione contrattile globale discretamente conservata (FE 55%). Nel corso della degenza è emersa una sindrome nefrosica (9.7 gr/24h), associata a disprotidemia (proteine totali 50 g/L) e si confermava un deterioramento della funzione renale (creatininemia stabile a 1.4 mg/dl). Abbiamo sottoposto il paziente ad una serie di controlli ematochimici, anche in funzione di una valutazione per eventuale biopsia renale, quali il dosaggio dei markers tumorali per escludere sindromi paraneoplastiche con riscontro di rilevante aumento del Ca125 (641 KU/L) e minimo del Ca 15-3 (33 KU/L), e la batteria autoimmunitaria, in cui emergeva esclusivamente un minimo aumento non rilevante del C3 (2.190 g/l) e C4 (0.550 g/l); anche i markers virali risultavano negativi. Era stato dimesso a fine dicembre 2018 con l’intenzione di approfondire a breve il quadro clinico e con una creatininemia sempre intorno a 1.4 mg/dl e GFR stimato (con formula MDRD) di 52 ml/min.

Dal 14 gennaio al 15 febbraio nuovo ricovero in Nefrologia con una creatininemia all’ingresso di 2.36 mg/dl. Visto l’aumento dei markers tumorali e l’anamnesi positiva per pregressa neoplasia, è stato sottoposto, dopo pochi giorni dall’ingresso e previa premedicazione, a Tac stadiante con mdc con riscontro di “multiple formazioni linfonodali sovra e sottodiaframmatiche nel mediastino superiore, anteriormente alla trachea, in sede ilare bilateralmente, nel retroperitoneo superiore, all’altezza dell’origine del tripode celiaco, con diametro massimo 22 mm. Reni in sede, con spessore parenchimale modestamente assottigliato ed effetto parenchimografico simmetrico. Aumentate di dimensioni due alterazioni ossee osteoaddensanti all’ala sacrale di destra ed all’altezza del II metamero sacrale”. Dal punto di vista laboratoristico, un’immunofissazione sierica evidenziava componente monoclonale IgG kappa <1 g/l.

Il 4 febbraio 2019 veniva sottoposto a biopsia renale con diagnosi di amiloidosi AL (colorazione rosso Congo positiva) (Fig. 1); il frustolo di parenchima renale comprendeva 19 glomeruli di cui 2 scleroialini. Tutti i glomeruli erano caratterizzati da espansione della matrice mesangiale con ispessimento della membrana basale capillare per deposizione di materiale debolmente PAS positivo che in alcuni glomeruli assumeva un aspetto nodulare; nell’interstizio erano presenti foci di infiltrato infiammatorio di tipo linfocitario e plasmacellulare e materiale debolmente PAS positivo con focali aree di atrofia tubulare. Il lume dei tubuli era occupato da voluminosi cilindri ed i vasi di medio e piccolo calibro erano ispessiti per la presenza del materiale debolmente PAS positivo”. L’amiloide non è stata tipizzata con l’immunogold o altro.

 

Fig. 1: A) (Rosso Congo; 40x) La colorazione rosso Congo mette in evidenza depositi di amiloide attorno ai vasi ed all’interno dei glomeruli (frecce). Questi depositi hanno mostrato dicroismo alla luce polarizzata; B) (Colorazione tricromica; 200x) Amiloide (depositi blu) all’interno del glomerulo (asterisco); C) (PAS; 200x) Amiloide (deposito rosa) all’interno del glomerulo (freccia); D: Amiloide (deposito rosa) attorno ai vasi (freccia).

Era stato anche eseguito uno striscio su sangue midollare con presenza di infiltrato plasmacellulare pari al 10% della cellularità totale, in quadro compatibile con mieloma multiplo ed amiloidosi renale (catene Kappa libere: 379 mg/l; catene lambda libere: 32.90 mg/l; rapporto K/L libere di 11.520 ratio; BJ: 210 mg/l). In quell’occasione la creatinina era aumentata a 2.7 mg/dl, NT-proBNP era 5923 pg/ml e la troponina T di 43.41 ng/l; a fine febbraio 2019 veniva ripetuto un’ecocardiogramma che mostrava un ventricolo sinistro lievemente ipertrofico con pareti isoecogene e contrattilita’ globale normale (FE 55%) e dilatazione biatriale.

Dal punto di vista clinico, durante la degenza si è instaurato un quadro di ipotensione ortostatica ingravescente che ha reso necessaria la sospensione della terapia antipertensiva e la prescrizione di midodrina (30 gtt tre volte al giorno).

Dopo confronto multidisciplinare con oncologo ed ematologo del nostro nosocomio e con il centro di riferimento dell’amiloidosi di Pavia, non sono stati presi in considerazione ulteriori accertamenti strumentali (RMN cardiaca, PET-TAC, biopsia linfonodale) e si è deciso di iniziare, dall’11 febbraio 2019, terapia farmacologica di prima linea, secondo lo schema Vel-Dex: bortezomib (1 mg/m2 sottocute settimanale) e desametasone 10 mg per 2 giorni settimanali, con un ciclo completo eseguito nell’arco di quattro settimane. A questi farmaci abbiamo associato anche l’aciclovir 200 mg due volte al giorno per il noto rischio di riattivazione di herpes zooster. Alla dimissione la funzione renale era ulteriormente peggiorata con una creatininemia di 5.3 mg/dl.

Nel corso del terzo ricovero in Nefrologia, dal 20 febbraio al 29 marzo 2019, si iniziava trattamento emodialitico sostitutivo con emodiafiltrazione [1718] per ulteriore peggioramento della funzione renale (azotemia 160 mg/dl, creatininemia 6.9 mg/dl) ed oligoanuria.

A fine marzo 2019, dopo il primo ciclo di trattamento con Vel/Dex, si assisteva ad un significativo aumento dell’NT-proBNP (2176 pg/ml); peggiorava anche il profilo delle FLC con catene Kappa libere: 627 mg/l; catene lambda libere: 48.40 mg/l; rapporto K/L libere di 12.960 ratio.

Era ancora molto evidente, inoltre, il quadro di ipotensione ortostatica, ulteriormente aggravato dalla terapia con bortezomib, il cui dosaggio, anche in accordo con il centro di riferimento di Pavia, veniva ridotto a 0.7 mg/m2.

Dal punto di vista laboratoristico si manifestava aumento dei valori delle FLC con catene Kappa libere di 771 mg/l, catene lambda libere di 81.8 mg/l ed un rapporto K/L libere di 14.210 ratio.

Durante tutto il decorso della malattia non si sono registrati miglioramenti nei livelli dei biomarkers misurati (pro-BNP, troponina T, catene leggere libere circolanti) (Tabella 1).

 

  GENNAIO 2019 MARZO 2019 APRILE 2019
pro-BNP (v.n. <100 pg/ml) 5923 21176 20267
S-Kappa lib. (v.n. 3,30 – 19,40 mg/l) 379 627 771
S-Lambda lib. (v.n. 5,71 – 26,30 mg/l) 32.9 48.4 81.8
S-rapporto K/L lib. (v.n. 0,300 – 1,200 ratio) 11.520 12.960 14.200
S-TnT (v.n. 0,00 – 14,00 ng/l) 43.41 80 190
Tabella 1: Andamento temporale livelli ematici biomarcatori di Amiloidosi AL

Concluso il primo ciclo di Vel/Dex, su indicazione dello specialista ematologo, si sospendeva il trattamento con bortezomib, già a dosi ridotte, e si intraprendeva trattamento con lenalidomide 5 mg/die, associato al desametasone. Dopo una settimana dall’inizio della terapia con lenalidomide il paziente è deceduto per arresto cardio-circolatorio, a distanza di quattro mesi dall’esordio di malattia.

 

Discussione

L’amiloidosi AL fa parte di un gruppo eterogeneo di patologie caratterizzate dall’accumulo di materiale proteico fibrillare, definito amiloide. È una malattia rara e difficile da diagnosticare perché spesso si presenta con sintomi aspecifici e, a differenza del mieloma multiplo, del quale condivide alcuni schemi terapeutici, non è solo una neoplasia ematologica ma può presentare un danno funzionale multiorgano che espone i pazienti ad una maggiore tossicità delle terapie farmacologiche [1921].

L’obiettivo principale della terapia dell’amiloidosi AL è quello di rallentare o arrestare la produzione della proteina che causa il danno degli organi coinvolti; sulla prognosi della malattia incide non soltanto il tipo di terapia utilizzata ma anche il monitoraggio di biomarcatori (proBNP, FLC, cTn) che possano rendere il più precoce possibile la diagnosi e contribuire positivamente all’outcome stesso.

La terapia farmacologica dell’amiloidosi AL si avvale di varie strategie che tengono conto anche della stratificazione dei pazienti affetti da amiloidosi a seconda del basso, medio ed alto rischio (Tabella 2) [22]; il trapianto autologo di cellule staminali periferiche, associato ad alte dosi di melphalan, è considerato il trattamento più efficace nei pazienti a basso rischio, con età inferiore a 65 anni, con normale troponina cardiaca, frazione di eiezione ventricolare > 45%, PAS >90 mmHg, clearance della creatinina > 50 ml/min [23].

 

Tabella 2: Stratificazione del rischio clinico nei pazienti con amiloidosi AL (relative al centro di riferimento nazionale delle amiloidosi di Pavia) [20]

L’associazione di melphalan e desametasone (MDex) o la combinazione di ciclofosfamide, thalidomide e desametasone (CTD) ha mostrato gli stessi risultati del protocollo precedente ma con una tossicità minore.

I pazienti con malattia avanzata, e ad alto rischio, possono giovarsi di un trattamento di prima scelta definito dalla combinazione dell’inibitore del proteosoma, bortezomib, con il  desametasone (Vel/Dex), protocollo che migliora la sopravvivenza dei pazienti con insufficienza cardiaca sintomatica [2426], come confermato da una metanalisi del 2019, in cui veniva posto l’accento sull’efficacia, tra le varie associazioni di terapie, del protocollo Vel/Dex sulla remissione completa [27].

I farmaci appartenenti alla categoria degli IMiDs (immunomodulatori) hanno trovato un loro spazio come rescue therapy nell’amiloidosi AL. A questa categoria appartengono la thalidomide, lenalidomide e pomalidomide; essi vengono riservati ai pazienti con recidiva di malattia e che non possono essere nuovamente sottoposti a terapie di primo livello. Questi farmaci sono in grado di superare le resistenze agli alchilanti ed all’inibitore del proteasoma e garantiscono, a seconda degli studi, una risposta ematologica tra il 40 ed il 60% [2829].

 

Conclusioni

L’amiloidosi AL rappresenta una patologia che può ancora oggi avere un’evoluzione clinica verso l’exitus. Nella prognosi gioca un ruolo importante sia la diagnosi precoce che l’eventuale interessamento multiorgano.

Nel caso clinico in questione il paziente ha presentato già all’esordio sintomi di interessamento multiorgano (sindrome nefrosica ed insufficienza renale) con successiva insufficienza renale ingravescente richiedente trattamento dialitico; i livelli aumentati di NT- ProBNP, patognomonici di interessamento cardiaco da amilodosi, non correlavano con il dato ecocardiografico e sono rimasti stabilmente elevati anche durante la chemioterapia. L’inizio della terapia con bortezomib e desametasone (schema Vel-Dex) non ha sortito gli effetti sperati ma ha complicato sintomi clinici già presenti, come l’ipotensione ortostatica ingravescente, ed il profilo delle FLC all’immunofissazione sierica è progressivamente peggiorato. L’evoluzione verso l’exitus è stata quasi fulminante, considerando che, in quattro mesi dall’esordio della sindrome, il decesso è arrivato dopo la conclusione del primo ciclo di Vel-Dex e l’inizio della terapia alternativa con lenalidomide.

 

 

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Efficacia del SUPRA HFR nel trattamento del danno renale acuto in corso di mieloma multiplo

Abstract

L’insufficienza renale acuta (AKI) è una complicanza frequente del mieloma multiplo (MM) con significato prognostico sfavorevole.

La rimozione delle catene leggere in associazione alla terapia ematologica sembra offrire vantaggi significativi sul recupero funzionale renale.

La variante SUPRA dell’emodiafiltrazione con reinfusione endogena (HFR,) attraverso l’utilizzo combinato di membrana ad alto cut-off senza perdita di albumina e cartuccia adsorbente si colloca tra le metodiche “emergenti” di rimozione delle catene leggere.

Riportiamo la nostra esperienza di trattamento di 7 pazienti con SUPRA HFR per AKI dialisi-dipendente in corso di MM. Al termine del ciclo di trattamento con SUPRA si è osservata una riduzione complessiva delle catene leggere da un minimo del 24% ad un massimo del 90% (mediana 74%) rispetto al valore basale.

Tutti i pazienti hanno avuto un recupero della funzione renale, nonostante talora il trattamento sia stato avviato tardivamente, con svezzamento dalla terapia sostitutiva in 6 casi.

I nostri dati preliminari dimostrano una buona risposta funzionale renale al trattamento con SUPRA HFR in associazione alla chemioterapia nell’AKI da MM, con possibilità di risposte anche tardive e suggeriscono di estendere l’utilizzo della metodica in questo ambito, anche alla luce del rapporto favorevole costo/beneficio e della “semplicità” degli schemi di trattamento utilizzati.

Parole chiave:

Insufficienza renale acuta, emodiafiltrazione, mieloma multiplo

Introduzione

Il coinvolgimento renale è una complicanza frequente del mieloma multiplo (40-50% dei casi) e può essere di entità estremamente variabile sino a richiedere il trattamento dialitico sostitutivo in circa l’8-10% dei casi (1, 2).  

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