Introduzione della pianificazione condivisa delle cure (PCC) in emodialisi: un progetto pilota per l’applicazione della Legge 219/2017 nei Centri Dialisi

Abstract

In Italia la pianificazione condivisa delle cure (PCC) entra per la prima volta in un testo normativo con la legge 219/2017. La PCC si svolge all’interno di una relazione di fiducia fra il paziente e il personale sanitario: si riflette in anticipo sulle decisioni relative al fine vita tenendo conto, oltre che degli aspetti clinici, di quelli psicologici, culturali, sociali, spirituali ed etici. Il paziente si prepara alla propria eventuale incapacità di autodeterminarsi, può identificare un fiduciario ed esplicita le proprie indicazioni per le fasi di incapacità e/o per il fine vita in linea con i propri valori e i propri obbiettivi.

I pazienti affetti da malattia renale cronica avanzata (MRC) sperimentano sintomi fisici importanti associati al disagio psicologico e sociale e spesso vivono un lento declino organico e cognitivo. Nonostante questo, l’accesso alle Cure Palliative è ancora limitato nella MRC rispetto a quanto avviene per altre patologie end-stage. Da qui l’esigenza di approfondire il tema della PCC con i pazienti nefropatici avanzati.

Questo studio pilota, svolto su 3 pazienti del Centro Dialisi dell’ASST di Crema per valutare l’applicabilità della legge 219/2017 nei Centri Dialisi, evidenzia la necessità di approfondire il tema sia in termini di conoscenza da parte del personale sanitario sia in termini di accoglimento della proposta da parte dei pazienti e dei familiari. Per questo sono necessari studi più estesi con follow-up prolungato, nonché l’adeguata formazione del personale sanitario e l’informazione ed educazione della popolazione su che cos’è la PCC e sul perché è così importante per ciascuno di noi.

Parole chiave: pianificazione condivisa delle cure, malattia renale cronica terminale, dialisi

Introduzione

Che cos’è la pianificazione condivisa delle cure (PCC)?

Per “pianificazione condivisa delle cure” si intende un processo che si svolge all’interno di una relazione di fiducia tra il paziente e il personale sanitario, in cui si illustrano al paziente e alle persone a lui vicine la situazione attuale di malattia, le possibilità di cura e la prognosi e si riflette in anticipo in merito alle decisioni relative al fine vita tenendo inevitabilmente conto, oltre che degli aspetti clinici, di quelli psicologici e della dimensione culturale, sociale, spirituale ed etica del paziente [1].

Nel corso di questo processo il paziente si prepara alla propria eventuale, futura, incapacità di autodeterminarsi (e quindi di acconsentire o meno alle cure proposte), può identificare un fiduciario ed esplicita ai curanti le proprie indicazioni per le fasi di incapacità e/o per il fine vita in linea con i propri valori ed i propri obbiettivi [2].

In sintesi, la PCC permette al paziente di esprimere che cosa significhi per lui vivere e morire bene [2, 3]. 

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Trattamento della Cast Nephropathy

Abstract

La cast nephropathy è la causa più comune di AKI nei pazienti affetti da mieloma multiplo. Il caposaldo del trattamento della cast nephropathy è la terapia diretta contro il clone plasmacellulare, mirata ad abbattere la produzione e di conseguenza la deposizione di catene leggere a livello renale. Misure di supporto sono rappresentate dall’induzione di un elevato volume di urine alcaline, laddove possibile. La rimozione extracorporea delle catene leggere è una pratica terapeutica dai vantaggi clinici ancora non completamente chiariti. L’utilizzo di filtri e tecniche dialitiche sicure ed economiche può favorire l’implementazione di queste metodiche, in modo da precisare quale ruolo possano avere nella pratica clinica.

Parole chiave: mieloma multiplo, cast nephropathy, dialisi

In corso di mieloma multiplo (MM) la probabilità di sviluppare un danno renale acuto è piuttosto elevata. Si stima infatti che l’incidenza di acute kidney injury (AKI) sia intorno al 35%, anche se in letteratura esistono dati discordanti perché in passato nelle casistiche ematologiche l’AKI veniva stimato attraverso il GFR e solo più di recente attraverso le classificazioni idonee [1]. Quando presente, l’AKI è spesso severa [1] e la sua presenza influisce negativamente sulla prognosi dei pazienti con MM [2].

Da un punto di vista eziologico l’AKI in corso di MM può essere schematicamente ricondotto a due gruppi di cause. Il primo gruppo è rappresentato dalle AKI secondarie a un danno provocato dall’immunoglobulina patologica o da una sua frazione. Tra queste la cosiddetta “myeloma cast nephropathy” (MCN) è la causa di gran lunga più frequente (oltre la metà dei casi). Altri quadri possibili sono l’amiloidosi, la light or heavy chain deposition disease, la sindrome di Fanconi, etc. Il secondo gruppo di cause di AKI in corso di MM è quello da eziologie indipendenti dalla proteina M, come l’ipercalcemia, la disidratazione, la lisi tumorale e soprattutto i danni iatrogeni (per es. da FANS, da inibitori del proteasoma, da bifosfonati, etc.).

La MCN è il quadro più tipico e frequente di AKI in corso di MM perché è l’espressione della massiva produzione di catene leggere (CL) che si depositano nei tubuli renali. È stato dimostrato che la MCN di fatto non si realizza se il paziente non presenta un livello sierico di CL di almeno 500 mg/L e di solito sono necessari valori sierici ben più alti [3]. Questo spiega come mai la MCN sia descritta sostanzialmente solo in caso di MM (o raramente in corso di altre patologie neoplastiche ematologiche come il linfoma linfoplasmocitico e la leucemia linfatica cronica) ma non nelle condizioni precancerose, come la cosiddetta monoclonal gammopathy of renal significance.

La presenza di alti livelli di CL è un requisito indispensabile ma non sufficiente allo sviluppo della MCN. È noto infatti come non tutti i pazienti con MM e alti livelli di CL sviluppino MCN. Inoltre i livelli di CL non correlano con la gravità dell’interessamento renale [3]. Il motivo è da ricercarsi nell’interazione tra le CL e l’uromodulina, elemento chiave per la deposizione dei cilindri di CL all’interno dei tubuli renali. L’interazione delle CL con l’uromodulina avviene attraverso il legame della regione ipervariabile cdr3 delle CL con una specifica sequenza di 9 aminoacidi dell’uromodulina [4]. Ne consegue che ogni singolo clone di CL abbia una sua specifica affinità per l’uromodulina e ciò giustifica la precipitazione per concentrazioni diverse. Inoltre è stato anche dimostrato come altri fattori quali il pH possano influire sulla precipitazione delle CL [5].

Da un punto di vista istologico il quadro della MCN è caratterizzato da cilindri con struttura lamellare e aspetto fratturato, spesso intensamente eosinofili. Questi cilindri determinano una reazione infiammatoria con cellule giganti nell’interstizio che può esitare nella rottura della membrana basale tubulare e quindi in fibrosi e atrofia tubulo-interstiziale [6]. È stato dimostrato che il numero di cilindri per mm2 di corticale renale correla con il danno renale a lungo termine e che tale informazione istologica non può essere desunta dai dati di laboratorio al momento della biopsia [7]. I dati ottenuti dalla biopsia renale ci consentono quindi non solo di chiarire quale sia l’eziologia dell’AKI in corso di MM, che come abbiamo visto non è sempre imputabile alla MCN [8], ma forniscono anche insostituibili informazioni di carattere prognostico.

Il trattamento più importante della MCN è costituito dalla terapia clone based. Tanto più rapidamente ed efficacemente questa terapia riesce ad abbattere la produzione di CL, portandone i valori sierici al di sotto della soglia di precipitazione, tanto più è probabile un recupero della funzione renale. Come misure adiuvanti si può tentare di ridurre il rischio di ulteriore precipitazione delle CL attraverso la diluizione in volumi urinari elevati, maggiori di 3 L, e possibilmente in urine alcaline [9]. Vanno evitati però i diuretici dell’ansa che favoriscono la precipitazione delle CL [5]. Inoltre è necessario correggere l’ipercalcemia laddove presente ed evitare l’utilizzo di farmaci nefrotossici. È evidente che in pratica clinica possa risultare in certi casi complesso ottenere volumi urinari elevati in pazienti con AKI severa senza utilizzare diuretici dell’ansa, così come indurre una diuresi alcalina evitando però di peggiorare l’ipercalcemia attraverso l’alcalosi metabolica.

Un altro aspetto da considerare è che l’emivita delle CL, normalmente piuttosto breve, è molto allungata in caso di AKI severa e quindi, anche in presenza di una chemioterapia tempestiva ed efficace, queste restano in circolo per diversi giorni a livelli sierici elevati potendo potenzialmente continuare a precipitare e aggravare il danno renale. Pertanto nei pazienti con AKI severa che richiedono emodialisi, il trattamento extracorporeo può essere sfruttato anche per rimuovere efficacemente le catene leggere.

Le prime esperienze pioneristiche in questo ambito sono state effettuate con la plasmaferesi [10], tecnica che tuttavia non abbina la depurazione renale e che è limitata nella rimozione delle CL dai bassi volumi di liquido trattati. Le CL infatti hanno un volume di distribuzione maggiore delle Ig intatte, ma dato il loro peso molecolare contenuto possono essere efficientemente rimosse anche da filtri con cut-off minore rispetto ai plasmafiltri. Per questo motivo sono stati impiegati in questo ambito i filtri cosiddetti high cut-off (HCO) [11]. Questi filtri sono in grado di rimuovere efficacemente le CL, sia kappa che lambda (quest’ultima normalmente dimerica e quindi di peso molecolare doppio, 45 KDa circa, rispetto alla monomerica kappa). L’impiego di questi filtri si è dimostrato efficace nei primi lavori sperimentali, consentendo una buona rimozione delle CL e anche un miglioramento sugli end-point clinici [12]. Tuttavia questi filtri sono gravati da una perdita di albumina abbastanza marcata, che ne richiede la supplementazione al termine di trattamenti intensivi come quelli previsti per la rimozione delle CL (di norma quotidiani e prolungati).

Sono stati quindi disegnati due grandi trial randomizzati e controllati, il MYRE [13] e l’EuLite [14], per validare l’impiego dei filtri HCO nel contesto di pazienti con MCN. Questi studi hanno reclutato solo pazienti con MCN istologicamente documentata, che sono stati randomizzati a ricevere dialisi tradizionale o con HCO in aggiunta alla terapia standard of care. Entrambi i trial hanno fallito nel loro end point primario, ovvero dimostrare un miglioramento della prognosi renale dei pazienti dopo 3 mesi. Nonostante questo era evidenziabile un trend favorevole nel braccio di trattamento, così come il raggiungimento di alcuni end points secondari. Si è quindi ipotizzato che i trial non fossero sufficientemente potenti per dimostrare il vantaggio fornito dai filtri HCO rispetto alle metodiche convenzionali. La mancanza di potenza è stata attribuita al fatto che tra i primi lavori con filtri HCO ai due trial menzionati prima, si è verificato un grande avanzamento nel trattamento del MM con l’introduzione in terapia degli inibitori del proteasoma. La disponibilità di terapie più efficaci e rapide nel contrastare il MM potrebbe aver reso meno rilevante il lavoro effettuato sulla clearance delle CL dai trattamenti extra-corporei. Di conseguenza per evidenziare un vantaggio clinico minore sarebbe stato necessario calibrare diversamente i trial rispetto a quanto fatto sulla base dei primi dati disponibili (i vantaggi sulla prognosi renale erano stimati intorno al 30%). Tuttavia dal trial EuLITE è emerso anche un aumentato rischio infettivo nel braccio di trattamento. Questo allarme, insieme alla mancanza di una chiara efficacia dei trattamenti, alla complessità di gestione e ai costi degli stessi ha limitato la diffusione dei filtri HCO per questa indicazione.

Nel frattempo ulteriori lavori hanno dimostrato che anche altre metodiche emodialitiche, sfruttando soprattutto il principio dell’adsorbimento e non solo della filtrazione, possono essere in grado di fornire una certa rimozione delle CL nei pazienti con MCN. Sono stati pubblicati diversi lavori, in particolare circa l’impiego di filtri a base di PMMA [15, 16] e delle resine di stirene [17], tutte metodiche in grado di adsorbire le CL. Nonostante i tassi di rimozione non siano allo stesso livello dei filtri HCO, queste metodiche presentano dei vantaggi relativi alla semplicità di gestione, alla sicurezza e ai costi. Nel nostro centro abbiamo utilizzato la metodica HFR-SUPRA col raggiungimento di buoni risultati sia in termini di riduzione delle CL che prognostici [18]. Un’altra alternativa potrà essere rappresentata dai filtri a medium cut off, introdotti nella pratica clinica più di recente e che non sono gravati da sostanziali perdite di albumina [19].

Se da un lato quindi non abbiamo dati conclusivi sull’opportunità di impiegare trattamenti specifici per la rimozione extra-corporea delle CL nei pazienti con MCN, dall’altro la possibilità di impiegare metodiche semplici e a basso costo, in pazienti comunque destinati al trattamento emodialitico, sembra una scelta logica e supportata da un razionale fisiopatologico chiaro. Inoltre, con il cronicizzarsi delle patologie oncologiche è sempre più frequente imbattersi in pazienti che presentano recidive e che impiegano seconde e terze linee di trattamento, a volte con tempi di azione più lunghi. La possibilità di impiegare in questi casi dei trattamenti efficienti e sicuri rappresenta una possibilità da non trascurare per limitare l’impatto del danno renale e quindi le sue conseguenze.

 

Bibliografia

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Malattia renale cronica e neoplasia: scelte etiche

Abstract

La prevalenza delle neoplasie e della malattia renale cronica aumentano entrambe con l’età. Di conseguenza i clinici si interfacciano sempre più di frequente con persone anziane con neoplasia che necessitano di dialisi, o con pazienti in terapia sostitutiva a cui viene diagnosticata una neoplasia. Di conseguenza il processo decisionale in questo contesto risulta particolarmente complesso ed articolato. Una scelta informata riguardo alla dialisi richiede un piano di cura personalizzato che consideri la prognosi e le opzioni terapeutiche per ogni condizione rispettando al contempo le preferenze dei pazienti. Il concetto di prognosi dovrebbe includere delle considerazioni sulla qualità di vita, sul functional status e sull’impatto delle cure. Una stretta collaborazione fra oncologi, nefrologi, geriatri e palliativisti è cruciale per le scelte ottimali di trattamento, e vi sono diversi strumenti disponibili per stimare la prognosi della neoplasia, la prognosi della Malattia renale e la prognosi età-correlata generale. La decisione riguardo all’avvio o all’interruzione del trattamento dialitico nei pazienti con neoplasia avanzata ha anche delle implicazioni etiche. Questo ultimo punto in particolare viene approfondito in questo articolo, abbiamo studiato le problematiche etiche con l’intento di fornire una guida per i nefrologi per gestire i pazienti con ESRD con neoplasia.

Parole chiave: Malattia renale cronica, neoplasia, dialisi, etica, onconefrologia

Neoplasia e malattia renale

Al giorno d’oggi, a livello mondiale, le neoplasie rappresentano una delle principali cause di morte, così come la malattia renale cronica in stadio terminale (ESRD) interessa percentuali sempre più ampie di popolazione [1, 2].

A partire dagli anni ’70 la dialisi è diventata il trattamento salvavita per pazienti con insufficienza renale acuta o cronica in stadio terminale e negli ultimi decenni nei Paesi occidentali il numero di dializzati cresce del 5% annuo. Fra le principali cause vanno ricordate l’invecchiamento della popolazione generale e l’incidenza sempre più crescente di diabete mellito di tipo II, condizione frequentemente associata a deterioramento della funzione renale [2]. La terapia sostitutiva della malattia renale cronica permette una maggior sopravvivenza rispetto al paziente con malattia renale cronica terminale ma non dializzato, maggior sopravvivenza che può favorire la comparsa di neoplasie [3]. Nonostante siano stati riportati in letteratura risultati contrastanti tra i vari studi negli anni ’90 del secolo scorso, più recentemente sono stati pubblicati studi che hanno dimostrato una maggiore incidenza per alcuni tipi di tumore nei pazienti in dialisi [4, 5].

In uno studio di coorte retrospettivo del 2018, che ha utilizzato i dati del Taiwan National Health Insurance che copre circa il 99% della popolazione della nazione, è stato dimostrato come nei pazienti in dialisi si osserva un aumentato rischio di comparsa per alcuni tipi di neoplasia. Il rischio risulta aumentato indistintamente nei pazienti in dialisi peritoneale o in dialisi extracorporea versus l’incidenza nella popolazione generale che non presenta malattia renale. Tra le neoplasie riscontrate le più frequenti erano quelle a carico delle vie urinarie extrarenali, vescicali e renali, del fegato e della tiroide [6].

Uchida e collaboratori hanno valutato la sopravvivenza media a 3 anni dall’inizio del trattamento sostitutivo in 454 pazienti in emodialisi e in 120 pazienti in trattamento con dialisi peritoneale. Nella popolazione in dialisi extracorporea è stato riportato un tasso di sopravvivenza del 65% al termine dei 3 anni di follow-up. Le cause di morte erano le malattie cardiovascolari nel 52% dei decessi, infettive nel 25% dei decessi e per neoplasia nel 12% dei decessi [6]. Nei pazienti in dialisi peritoneale si è osservata una sopravvivenza a 3 anni dell’81%, mentre le cause di morte erano infettive nel 36% dei casi, cardiovascolari nel 24% e oncologiche nel 6% dei casi (p = NS per morte da neoplasie fra emodialisi e dialisi peritoneale). Va infine sottolineato come in letteratura sia riportato un tasso di sopravvivenza nei pazienti con ESRD e neoplasia inferiore a quello dei pazienti con malattia renale cronica terminale senza neoplasia [6] e un tasso di mortalità elevato anche nei pazienti oncologici con danno renale acuto [7, 8]. 

Il meccanismo attraverso cui la malattia cronica renale end-stage possa influenzare lo sviluppo del cancro non è ancora ben compreso e si ipotizza una eziologia multifattoriale: il danno ossidativo aumentato nei pazienti uremici che danneggia il DNA predispone a mutazioni genetiche [8] e altera la riparazione del DNA [9, 10], l’accumulo di agenti cancerogeni dovuto a ridotta escrezione renale quali ad esempio i prodotti finali della glicosilazione o l’omocisteina. Oltre a questi sono riportati fra i fattori favorenti la comparsa di neoplasia lo stato infiammatorio cronico determinato dall’utilizzo di sostanze bioincompatibili e gli stress meccanici [11], lo stato immunitario maggiormente compromesso nei pazienti con CKD e ancor più nei pazienti in dialisi che espone i pazienti a maggiore probabilità di infezioni croniche come HBV, HCV, EBV [12]. Non bisogna infine dimenticare che alcuni farmaci utilizzati per il trattamento delle glomerulonefriti o delle vasculiti, quali l’azatioprina o la ciclofosfamide, sono riconosciuti come sostanze potenzialmente cancerogene e associate a maggior rischio di sviluppo rispettivamente del cancro della cute, di linfomi e del cancro della vescica [13, 14].

 

ESRD e trattamenti antineoplastici

Come nefrologi ci troveremo sempre più spesso a trattare pazienti con ESRD o già in dialisi che sviluppano un tumore (degno di nota è che spesso la diagnosi di cancro viene fatta grazie ai programmi di screening per inserimento in lista trapianto) così come gli oncologi dovranno gestire pazienti oncologici con ESRD o in dialisi. Le prescrizioni dovranno essere adattate in termini di adeguamento del dosaggio e del tempo di somministrazione al fine di prevenire effetti collaterali renali e non, dovuti alla modifica della farmacocinetica dei farmaci antitumorali in pazienti con alterata funzione renale. La corretta conoscenza della farmacocinetica dei farmaci antineoplastici permetterà così di evitare gli effetti tossici dovuti ad accumulo del farmaco per la minore escrezione renale, così come l’inefficacia terapeutica dovuta alla somministrazione di una dose non adeguata e ridotta arbitrariamente a scopo precauzionale.

Si sa ancora poco sulla gestione dei farmaci citotossici in pazienti con ESRD e ancor meno sulla tempistica ottimale e sugli aggiustamenti di dosaggio necessari a seconda delle sessioni di dialisi.  La mancanza di conoscenza e dati riguardanti l’uso sistemico di questi farmaci può portare ad un uso improprio dei chemioterapici e ad effetti tossici fatali in questi pazienti. Pertanto, è importante monitorare attentamente anche tutti gli effetti extra-renali correlati alla dose durante l’uso di tali farmaci. In questi anni si è avuto un significativo progresso nella gestione delle patologie oncologiche nei pazienti con malattia renale; quindi, i pazienti con ESRD devono avere le stesse probabilità di trattamento che hanno i soggetti senza malattia renale cronica. Infatti, alcuni studi hanno riportato che la sopravvivenza mediana dei pazienti con insufficienza renale con mieloma multiplo era inferiore nei pazienti non trattati con chemioterapia rispetto ai pazienti trattati con vincristina, adriamicina e desametasone (2 mesi vs 10 mesi) e melfalan (2 mesi vs 12 mesi) [15, 16].

Sembra tuttavia che i medici siano riluttanti ad utilizzare farmaci antitumorali nei pazienti in trattamento dialitico cronico con diagnosi di neoplasia. I pazienti in dialisi richiedono un’attenzione specifica soprattutto per la gestione dei farmaci antineoplastici poiché, nonostante gli effetti renali non siano più un problema nel paziente dializzato, è altrettanto vero che sono più esposti agli altri effetti collaterali extrarenali correlati alla dose. Questo dipende dal fatto che la maggior parte dei farmaci citotossici sono escreti prevalentemente a livello renale in forma immodificata o come metabolita attivo e dunque tossici. Nello studio multicentrico CANDY (CANcer and DialYsis, 2012), i ricercatori francesi hanno analizzato le dosi/intervalli di farmaci antitumorali somministrati in 178 pazienti in dialisi cronica che avevano sviluppato un tumore, aggiustandone il dosaggio per la funzione renale/sessione di dialisi al fine di evitare l’eliminazione prematura del farmaco durante le sessioni di dialisi [17], dimostrando che con il dosaggio appropriato del farmaco antineoplastico i pazienti oncologici con malattia renale in trattamento sostitutivo possono essere trattati come i pazienti non dializzati. Pertanto, è fondamentale utilizzare i dati disponibili per regolare la dose di farmaci antitumorali per questi pazienti e programmarne la somministrazione in base alle sessioni di dialisi. Ad esempio, nei pazienti in emodialisi che ricevono i sali di cisplatino, le dosi iniziali di cisplatino devono essere ridotte del 50% per evitare sovradosaggio e problemi di tolleranza, che possono mettere a rischio la possibilità di proseguire il trattamento chemioterapico. Questo perché il cisplatino è irreversibilmente legato alle proteine plasmatiche mentre la dose di farmaco libera è dializzabile e per questo deve essere somministrato dopo le sessioni di dialisi o nei giorni di non dialisi. Per altri farmaci non rimossi dal trattamento dialitico, come la doxorubicina, il rituximab, la vinblastina o la vincristina, la somministrazione può essere effettuata in qualsiasi momento e non necessita di aggiustamenti di dose [17]. Dunque, l’ESRD non è da considerare una controindicazione assoluta alla somministrazione di farmaci antitumorali, ma questi richiedono una gestione specifica in termini di dosaggio e tempo di somministrazione rispetto alla seduta di dialisi.

 

Approccio multidisciplinare alle cure

È dunque necessario un approccio multidisciplinare che includa oncologi, nefrologi e farmacologi per gestire correttamente i pazienti oncologici che presentano ESRD e proporre quindi una strategia farmacologica antitumorale adattata a questi pazienti che sviluppano tumori piuttosto che controindicarla sistematicamente, utilizzando le scarse raccomandazioni che derivano prevalentemente da report basati su singoli casi clinici e non da studi con una significativa numerosità di pazienti dializzati (che pur essendo scarse sono le uniche disponibili) e raccogliere correttamente i dati osservati nei pazienti trattati per avere ulteriori strumenti a disposizione per il trattamento delle neoplasie nei pazienti con ESRD o in dialisi [18, 19].

Pertanto si rende sempre più necessario, alla luce anche della continua introduzione nella pratica clinica di nuovi farmaci antitumorali, poter disporre di algoritmi terapeutici basati sullo stato fisico del soggetto, sulla mortalità prevista per malattia renale, sul tempo di dialisi, sul tipo e stadio della neoplasia, sull’impatto che il trattamento potrà avere sul grado di autonomia del paziente e il risultato ottenuto dall’algoritmo potrà quindi essere di supporto al clinico nella scelta terapeutica  (sì terapia vs no terapia).

 

Scelte etiche

Alla luce dell’età media di inizio trattamento dialitico sempre più avanzata (nel mondo occidentale è attorno ai 69 anni), della possibile comparsa di neoplasia nel corso del trattamento  dialitico, delle attese dei pazienti e familiari in un epoca sempre più connessa e con informazioni non sempre attendibili,  è lecito che la comunità dei professionisti si chieda: “è giusto trattare i pazienti dializzati con riscontro di neoplasia quando anche in condizioni di “no neoplasia” hanno una minor sopravvivenza rispetto alla popolazione generale? Tratto tutti indistintamente, non tratto nessuno, quali strumenti posso utilizzare per supportarmi nella decisione?”.

La scelta decisionale in questo caso richiede, a nostro giudizio, il supporto della bioetica, branca della filosofia che nasce con lo sviluppo delle scienze e delle tecnologie biomediche (la scoperta della struttura a doppia elica del DNA e la conseguente ingegneria genetica, la preparazione della pillola per la contraccezione ormonale, lo sviluppo del trapianto d’organo, il sostegno artificiale delle funzioni vitali, il concepimento in vitro, la clonazione come esempi di innovazioni che hanno generato grandi discussioni fra i clinici) e che si occupa dell’analisi razionale dei problemi morali emergenti nel campo delle scienze biomediche, proponendosi di definire criteri e limiti di liceità alla pratica medica e alla ricerca scientifica, affinché il progresso avvenga nel rispetto di ogni persona umana e della sua dignità.

Il termine bioetica, coniato agli inizi del ’900, fu utilizzato nella sua accezione comune dall’oncologo statunitense Van Rensselaer Potter che, nel 1970, lo inserì nel titolo del suo testo “Bioetica: la scienza della sopravvivenza” spiegando il termine bioetica come “la scienza che consente all’uomo di sopravvivere utilizzando i suoi valori morali di fronte all’evolversi dell’ecosistema” [19].

La bioetica nasce quindi dall’esigenza di integrare tra loro nuove conoscenze e nuovi saperi con l’obiettivo di definire in maniera forte e razionale i criteri di regolamentazione della prassi biomedica e garantire la libertà di ricerca scientifica nel rispetto dei diritti umani fondamentali. Si può quindi dire che questo nuovo approccio alle grandi questioni mediche nasce dal dialogo e dal confronto tra biologia, medicina, filosofia, teologia, sociologia, antropologia, economia, diritto, politica, bioingegneria e, in questi tempi anche dalla discussione sull’information technology. Partendo dalla descrizione del dato scientifico, biologico o medico, la bioetica esamina la legittimità dell’intervento dell’uomo sull’uomo, avendo come orizzonte di riferimento la persona in tutte le sue dimensioni: fisiche, psichiche e spirituali.

Il fine del giudizio bioetico non è solo quello di dire ‘come’ si deve agire, ma ‘perché’ si deve agire in quel modo.

Da notare che la bioetica è cosa ben diversa dall’etica poiché quest’ultima è una branca della filosofia che si occupa del comportamento umano, studia i fondamenti che permettono di assegnare ai comportamenti umani uno status normativo, ovvero distinguerli in buoni, giusti, leciti, rispetto ai comportamenti ritenuti ingiusti, illeciti, sconvenienti o cattivi secondo un ideale modello comportamentale. Come disciplina affronta questioni inerenti alla moralità umana definendo concetti come il bene e il male, il giusto e lo sbagliato, la virtù e il vizio, la giustizia e il crimine.

Mentre per Deontologia Professionale intendiamo l’insieme delle regole morali che disciplinano l’esercizio di una determinata Professione (regole che la stessa professione, attraverso un proprio codice, si è data).

Da qui l’importanza di comprendere che la Deontologia Professionale (concetto che nella medicina trova forma scritta nella sua carta fondamentale – il Codice Deontologico) risulta essere l’insieme di quelle connotazioni prescrittive vincolanti per ciascun medico, pena la censura o radiazione, che la categoria professionale si è data per meglio esercitare la professione (contro morale = immorali).  Va pertanto ribadito che il “Codice Deontologico” non è stato elaborato partendo da precetti etici, e infatti nel codice sono contenute alcune regole che possono contrastare con il giudizio etico di alcuni suoi membri (ad esempio le norme che disciplinano l’interruzione della gravidanza).

Queste regole hanno la finalità di rappresentare i binari entro i quali la Professione debba essere esercitata, ed allo stesso tempo cosa il cittadino può “aspettarsi” dal professionista. Ecco perché il Codice è soggetto a revisione periodica, essendo considerato un “patto” è come tale soggetto a revisione tra le parti.

Tornando ai concetti di bioetica, per quanto riguarda la sua applicazione in ambito medico, si sono individuati 4 principi, riconosciuti come finalità implicite di questa pratica, cui fare riferimento in senso regolativo. Essi sono:

  • Il principio di autonomia, con il quale si riconosce e si afferma il dovere di rispettare l’individuo nella sua autodeterminazione, il suo diritto ad avere opinioni, a compiere delle scelte e ad agire in base a valori e convinzioni personali, nonché il dovere di promuovere l’autonomia dei diversi soggetti coinvolti nel processo di cura;
  • Il principio di non maleficenza, con il quale si riprende il tradizionale principio ippocratico del primum non nocere e si afferma il dovere di non provocare intenzionalmente un danno;
  • Il principio di beneficienza, che possiamo vedere come versione positiva del principio di non-maleficenza, inteso alla prevenzione o rimozione di un danno e alla promozione del bene del paziente;
  • Il principio di giustizia, che sottolinea l’esigenza di equità e giustizia della pratica medica e sanitaria e introduce la dimensione socioeconomica e politica tra i fattori determinanti questo settore [20].

 

Percorso decisionale nei pazienti con ESRD e neoplasia

Ed ecco che alla luce di tali premesse, dinanzi ad un paziente oncologico con ESRD o in dialisi il medico dovrebbe proporre un piano di assistenza personalizzato che consideri la prognosi e le opzioni terapeutiche per ogni condizione, rispettando anche le preferenze del paziente. Il concetto di prognosi dovrebbe includere considerazioni sulla qualità della vita, lo stato funzionale e l’onere dell’assistenza.

La stretta collaborazione tra oncologi, nefrologi, palliativisti e geriatri è fondamentale per prendere decisioni terapeutiche ottimali e sono disponibili diversi strumenti per definire la prognosi della neoplasia, la prognosi della malattia renale e la prognosi generale correlata all’età. Prove emergenti mostrano che questi strumenti di valutazione geriatrica, che misurano i gradi di fragilità, sono utili nei pazienti con malattia renale cronica. Nella review pubblicata su Lancet nel 2021, si cerca di fornire strumenti ai medici per guidare il processo decisionale in merito all’inizio e alla fine della dialisi nei pazienti con cancro avanzato [21]. Lo scenario che possiamo avere di fronte è duplice: il primo scenario è che i pazienti con neoplasia nota possono sviluppare ESRD e richiedere la necessità di iniziare un trattamento sostitutivo; il secondo scenario è che i pazienti con ESRD in dialisi sviluppino una neoplasia che potrebbe richiedere di non continuare la terapia dialitica. Il problema di trattare o non trattare queste condizioni cliniche spesso si pone nei pazienti più anziani con ESRD associata ad altre comorbilità, una popolazione che inoltre in una percentuale sostanziale mostra una significativa compromissione funzionale e cognitiva [22, 23] oppure perde l’indipendenza personale entro i primi mesi o anni di dialisi [24]. 

Bisogna tener presente, tuttavia, che non vi è una sostanziale eterogeneità nel processo di invecchiamento, e ciò comporta importanti variazioni nei modelli di trattamento e nei risultati nei pazienti più anziani. Inoltre, ci sono poche prove su cui basare le decisioni terapeutiche per i pazienti anziani con tumore e malattia renale, perché questo gruppo è notevolmente sottorappresentato negli studi clinici [25, 26].

Poiché l’età cronologica da sola non è un buon indice descrittivo dell’eterogeneità nel processo di invecchiamento, è necessario un modo sistematico e basato sull’evidenza per valutare la salute e la resilienza di un individuo e per guidare le decisioni terapeutiche oncologiche. Per colmare questa lacuna è stato proposto come approccio la valutazione geriatrica completa (CGA) [27].

La CGA è definita come un processo diagnostico multidimensionale e interdisciplinare fornendo una solida base per un processo decisionale condiviso perché raccoglie informazioni sulle capacità e sui limiti funzionali e psicosociali che sono legati alla discussione di ciò che conta di più nella vita quotidiana del singolo paziente. Con queste informazioni raccolte obiettivamente, il team medico è in grado di sviluppare un piano coordinato e integrato per il trattamento e il follow-up a lungo termine [28, 29].

Dato il contesto complesso dovuto sia alla neoplasia che alla malattia renale (e della possibile fragilità), in questa popolazione è fortemente raccomandato di non utilizzare la sola valutazione geriatrica ma di utilizzare l’intero processo CGA per fornire la migliore assistenza e includere assistenti e infermieri del servizio dialisi nel team interdisciplinare CGA. I punteggi Performance Status e Karnofsky Performance Status dell’Eastern Cooperative Oncology Group (ECOG) sono rapidi e semplici da accertare, ma non hanno una sensibilità sufficiente per rilevare la fragilità in modo efficiente. Inoltre, queste misurazioni non danno informazioni dettagliate sull’esatta gravità dei problemi geriatrici nei diversi domini. In uno studio di Hurria e colleghi, il Karnofsky Performance Status non è stato in grado di prevedere la tossicità della chemioterapia, mentre i componenti della valutazione geriatrica hanno aggiunto un valore sostanziale nel predirla [30].

Diversi studi hanno dimostrato che la maggior parte dei componenti del CGA ha un valore prognostico indipendente per la sopravvivenza (es., stato funzionale [31, 32], stato nutrizionale [33-36] e salute mentale [31, 32]), con la nutrizione costantemente tra i più forti predittori di esito. Tuttavia, un CGA completo richiede tempo, quindi per selezionare i pazienti che trarrebbero i maggiori benefici dalla valutazione geriatrica, sono stati sviluppati numerosi strumenti di screening geriatrico (ad esempio, Geriatric 8 noto anche come G8 [37], l’indagine sugli anziani vulnerabili [38], e la versione fiamminga del Triage Risk Screening Tool [39]. 

Inoltre, nei pazienti con malattia renale avanzata, ci sono rapporti secondo i quali la valutazione geriatrica è utile per informare il processo decisionale condiviso in merito alla scelta della modalità e per massimizzare le opportunità di riabilitazione e mantenimento dell’indipendenza [40, 41]. È stato suggerito che la CGA dovrebbe essere eseguita, e dovrebbe essere applicata per la pianificazione avanzata dell’assistenza, al momento dell’inizio della dialisi e poi riveduta quando si verifica un cambiamento importante nella salute o nello stato funzionale di un paziente, come nel caso di un ricovero in ospedale [40].

Il trattamento dialitico è da considerarsi come “terapia salvavita”, ma in alcune situazioni può essere visto anche come un prolungamento sproporzionato della vita e che può peggiorare la qualità della vita del paziente attraverso l’aumento del carico di cure. Compito del clinico, pertanto, è di “dare vita agli anni, non anni alla vita”. Molti pazienti con ESRD sono fragili e hanno molteplici comorbilità e la loro sopravvivenza globale in dialisi cronica rimane bassa, con un tasso di sopravvivenza a 5 anni inferiore al 50%; tuttavia, vi è un’elevata variazione interindividuale a seconda dell’età, dello stato funzionale e della presenza di comorbilità specifiche al momento dell’inizio della terapia renale sostitutiva [42, 43]. Oltre alle complicazioni mediche, è ben noto che l’inizio della terapia renale sostitutiva è associato ad un improvviso declino funzionale e ad una diminuzione della qualità della vita [44, 45]. Lo stato funzionale è un risultato importante per i pazienti più anziani, la maggior parte dei quali dà priorità allo stato funzionale rispetto al prolungamento della vita [46]. Inoltre, vi è una maggiore probabilità per i pazienti in dialisi di morire in ospedale o in hospice e la maggior parte dei pazienti in dialisi riceve negli ultimi anni di vita un trattamento sproporzionato rispetto ai bisogni del soggetto [47]. 

Nella popolazione anziana, attraverso l’uso di questionari anonimi, si rileva un’alta percentuale di persone che prova rimpianto per aver iniziato il trattamento sostitutivo. Ad esempio, Saeed e colleghi hanno rilevato che il rimpianto decisionale si è verificato in 82 (21%) dei 397 pazienti sottoposti a dialisi cronica [48]. L’invecchiamento della popolazione, l’evoluzione dei pazienti anziani avviati al trattamento dialitico, l’aumento delle ospedalizzazioni legate al trattamento hanno nel tempo favorito il dibattito sull’utilizzo della gestione conservativa come alternativa al trattamento dialitico almeno nella gestione dei pazienti anziani e grandi anziani [47, 49]. Questo sviluppo è stato ben illustrato da Verberne e colleghi che hanno confrontato retrospettivamente i risultati della cura conservativa rispetto alla terapia renale sostitutiva in 311 pazienti olandesi di età pari o superiore a 70 anni [50, 51]. Sebbene questo studio abbia rilevato che questi pazienti di età pari o superiore a 70 anni sottoposti a terapia renale sostitutiva avevano una sopravvivenza significativamente più lunga rispetto a quelli che avevano scelto un trattamento conservativo (tempo medio di sopravvivenza dalla data della decisione sulla cura 3,1 anni vs 1,5 anni rispettivamente; log-rank p<0,001), non è stata osservata alcuna differenza significativa nel sottogruppo di pazienti di età pari o superiore a 80 anni (2,1 anni vs 1,4 anni rispettivamente, log-rank p=0,08). Inoltre, mentre i pazienti di età pari o superiore a 70 anni con comorbidità grave (ossia, punteggio di comorbidità di Davies ≥3) che hanno scelto la terapia sostitutiva renale hanno comunque vissuto significativamente più a lungo rispetto a quelli che hanno scelto la cura conservativa, la differenza di sopravvivenza è stata inferiore rispetto a quelli con meno comorbidità (1,8 anni mediani di sopravvivenza dalla scelta della decisione terapeutica vs 1,0, log-rank p=0.02) [50]. 

Non iniziare la dialisi, o interromperla, è quindi una valida opzione terapeutica anche nelle persone anziane con neoplasia, in particolare se la prognosi della neoplasia o la prognosi generale correlata all’età è sfavorevole. L’équipe medica ha l’obbligo etico nei confronti del paziente di delineare la diagnosi e di evidenziare l’opzione della dialisi senza omettere informazioni sul rapporto rischio-beneficio. Il paziente può anche decidere di provare la dialisi a tempo limitato, prendendosi il tempo necessario per prendere la decisione definitiva di interrompere o proseguire la dialisi. Allo stesso modo, dovrebbe essere descritta la possibilità alternativa di un approccio conservativo con cure palliative. I pazienti hanno il diritto di rinunciare a qualsiasi trattamento, ma non possono richiedere la somministrazione di una terapia che l’équipe medica ritiene futile [21]. 

Come precedentemente ricordato nella pratica clinica si possono prevedere diversi scenari: pazienti con neoplasia nota che sviluppano ESRD e pazienti con ESRD in dialisi che sviluppano una neoplasia. Nel primo scenario sarà importante per il paziente e per l’oncologo comprendere l’effetto dell’ESRD e elaborare un’ipotesi di prognosi con e senza dialisi, in modo che si possa prendere una decisione informata sull’inizio della dialisi. Nel secondo caso diventano rilevanti altre domande: quali sono le opzioni diagnostiche e terapeutiche e qual è la (probabile) prognosi della neoplasia? Qual è la prognosi del paziente, data la sua attuale fragilità, lo stato di salute generale e le comorbilità? In che modo questo è influenzato dalla neoplasia, con e senza trattamento? Quali saranno gli effetti delle possibili opzioni terapeutiche oncologiche per questo specifico paziente, dato il suo stato di fragilità? Cosa significa questo per la scelta del trattamento oncologico? Qual è la prognosi per la malattia renale allo stadio terminale, con e senza dialisi? Qual è l’effetto atteso del proseguo o della sospensione della dialisi in questo particolare paziente, dato il suo stato di fragilità? Cosa significa questo per la decisione terapeutica? Quanto dell’attuale stato di fragilità del paziente è determinato dai sintomi legati alla neoplasia o alla malattia renale e che potrebbero essere alleviati iniziando il trattamento? Cosa succede se il paziente non prosegue il trattamento dialitico oppure non inizia la terapia antitumorale?

Per guidare la discussione con il paziente, sono pertanto necessarie molte informazioni sulla futura evoluzione della malattia e, in particolare, informazioni da tre diversi punti di vista: quello oncologico, quello geriatrico e quello renale. Dal punto di vista oncologico, gli oncologi devono informare il paziente sullo sviluppo previsto della malattia, con e senza iniziare o continuare la terapia antitumorale. Dal punto di vista geriatrico, i geriatri sono nella posizione migliore per informare i pazienti sui possibili effetti sull’indipendenza, sulla funzionalità e sulla qualità della vita in generale per una persona della loro età e grado di fragilità. Dal punto di vista renale, la prognosi renale è un preambolo importante nelle discussioni con il paziente ed è determinata dalla funzione renale residua e dalla gravità della patologia renale sottostante. Anche se difficilmente esatta, il nefrologo può stimare l’evoluzione di una malattia (mesi/anni prima di necessità della terapia sostitutiva). Strumenti prognostici convalidati possono aiutare in questo contesto, ad esempio, l’Equazione del rischio di insufficienza renale [52,53]. Alla luce del declino cognitivo che può manifestarsi nel periodo successivo all’inizio della terapia sostitutiva, è pertanto importante iniziare le discussioni sull’inizio o la fine della dialisi il prima possibile nel decorso clinico del paziente, per consentire un processo decisionale informato e condiviso (équipe-paziente-familiari).

Fornire informazioni è essenziale ed i pazienti che decidono se iniziare o interrompere la dialisi devono essere informati della loro prognosi e del possibile carico di sintomi che si presenteranno alla sospensione del trattamento o al non avvio della terapia sostitutiva. L’alternativa al non avvio della terapia dialitica rimane la massima gestione conservativa, un approccio che comprende il trattamento di supporto per alleviare il carico dei sintomi nei pazienti con ESRD, oltre a misure per preservare la funzione renale residua [54]. Fra queste ultime ricordiamo la prevenzione di episodi di ipotensione prolungata (controllo idratazione, uso ragionato della terapia ipotensiva, presenza di vomito o diarrea), il non utilizzo di farmaci nefrotossici (quali ad esempio i farmaci antinfiammatori non steroidei o gli aminoglicosidici) e il corretto utilizzo delle procedure che richiedono l’uso del mezzo di contrasto per via endovenosa. Gli strumenti di valutazione dei sintomi sono importanti per guidare e valutare il trattamento scelto e attualmente sono disponibili per questo scopo una moltitudine di strumenti [55, 56]. Uno studio di Van der Willik e colleghi [55] ha esaminato 121 questionari per la valutazione dei sintomi e ha identificato l’indice dei sintomi della dialisi (DSI, Dialysis Symptom Index) come il migliore della sua classe [55]. 

Il delicato equilibrio tra il trattamento e la palliazione nel paziente nefropatico con neoplasia (sia nel paziente già in trattamento che in quello che deve iniziare trattamento dialitico) ha portato in questi ultimi anni all’individuazione di una nuova specializzazione in rapida evoluzione quale è l’onconefrologia, che centralizza le competenze oncologiche, nefrologiche e geriatriche per permettere la definizione del percorso di cura del paziente anziano e nefropatico con neoplasia [57].  Le decisioni terapeutiche vanno quindi condivise attraverso un confronto tempestivo tra pazienti, familiari o caregiver e professionisti, sui delicati argomenti della prognosi e delle preferenze del paziente. La pianificazione anticipata dell’assistenza delinea i confini della perseveranza terapeutica in base alle preferenze dei pazienti [57] e mira a preparare i pazienti e i loro caregiver al processo decisionale di fine vita, nel tentativo di migliorare la qualità della vita, senza necessariamente estenderla [58]. Al termine del percorso di confronto, che può richiedere anche momenti di interruzione per permettere una adeguata elaborazione delle informazioni ricevute al paziente e ai familiari, si definisce in maniera dettagliata la pianificazione dell’assistenza (escalation terapeutica, sospensione trattamento dialitico, palliazione). Condivisione, informazione corretta, tempo per l’elaborazione delle decisioni, supporto al paziente e ai familiari nel percorso decisionale sono step fondamentali perché il percorso di cura sia basato sulle conoscenze del clinico e sulle volontà del paziente e dei caregiver. 

Nei pazienti con malattia renale cronica, di solito c’è una relazione terapeutica di lunga data tra il nefrologo e il paziente, e questa relazione favorisce le discussioni congiunte. Nel caso di riscontro di neoplasia in un soggetto dializzato cronico deve essere valutato il peso del trattamento dialitico (sia in termini assistenziali che di impatto sulla vita del paziente) e il vantaggio di sopravvivenza che il trattamento dialitico può dare, valutazione che si rende particolarmente necessaria nei pazienti anziani fragili. Le informazioni predittive sulla sopravvivenza attesa con o senza un trattamento antineoplastico specifico sono importanti per i pazienti nel processo decisionale.  La complessità di questo contesto è che la prognosi globale (cioè il corso anticipato della convivenza con una malattia), è determinata da almeno tre fattori, in parte indipendenti: la prognosi della neoplasia, la prognosi associata alla fragilità (che include altre comorbilità, lo stato funzionale e le sindromi geriatriche) e la prognosi basata sulla malattia renale. Tuttavia, la prognosi è più della sola aspettativa di vita; una definizione più ampia è quella di considerare la prognosi come la visione anticipata della convivenza con una malattia [59].

Nel campo dell’oncologia, ci sono molti dati sui fattori prognostici di sopravvivenza in diversi tipi di tumore. L’età è spesso tra questi fattori prognostici, ma i fattori correlati al tumore (es., le caratteristiche del tumore, l’estensione della malattia) sono generalmente più importanti e la fragilità è raramente inclusa perché non è stata spesso misurata in studi precedenti. Successivi studi oncologici hanno iniziato a integrare i parametri di fragilità (misurati dalla valutazione geriatrica) quando si guarda alla prognosi e alla tolleranza al trattamento. La valutazione geriatrica nei pazienti anziani con neoplasia è in grado di rilevare problemi e rischi non identificati a cui possono essere applicati interventi mirati, prevedere esiti avversi (es., tossicità, declino funzionale o cognitivo, complicanze postoperatorie) [60]. Infine, per il paziente in terapia conservativa o in trattamento dialitico con la neoplasia in cura attiva è necessaria la presa in carico “continuativa e transmuraria (territorio-ospedale-territorio)”, sul modello delle cure simultanee, in questo caso “onco-nefro-palliative”.

Inoltre, il concetto di prognosi deve includere considerazioni sulla qualità della vita, lo stato funzionale, l’onere dell’assistenza e delle cure, le speranze e le preoccupazioni dei pazienti e la possibilità di eventi imprevedibili. Sulla base di tutte queste considerazioni, il medico può aiutare il paziente a prendere decisioni che abbiano senso per il paziente nella propria vita [61]. 

Ovviamente vanno garantiti alla persona con prognosi infausta il non abbandono (ageismo) garantendo un supporto base al paziente, il sollievo delle sofferenze attraverso l’attivazione delle cure palliative, il rispetto di tutti i diritti della persona (dignità) e il diritto alla verità/speranza attraverso un’informazione veritiera. 

Per alcuni pazienti la prognosi potrebbe essere principalmente determinata dalla fragilità, per altri dalla progressione della neoplasia e per altri dal problema renale. La CGA è un processo diagnostico multidisciplinare e multidimensionale in cui vengono valutate le capacità mediche, nutrizionali, funzionali e psicosociali. Questo modello di valutazione geriatrica può aiutare a rilevare problemi geriatrici non riconosciuti, consentire un intervento precoce e portare a strategie di trattamento sempre più individualizzate [62].

 

Documenti società scientifiche

Per aiutare nella decisione delle cure sempre più individualizzate sono stati elaborati diversi documenti condivisi sia a livello nazionale che internazionale. Fra i vari documenti, segnaliamo quelli elaborati a livello nazionale, che oltre alle basi scientifiche derivate dalla letteratura, riflettono anche il pensiero elaborato su queste problematiche in numerosi convegni fra nefrologi, giuristi, palliativisti, geriatri, medici legali. Il documento Grandi insufficienze d’organo end-stage: cure intensive o cure palliative?” è stato promosso dal Gruppo di Studio di Bioetica della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI) [63]. Il testo è stato elaborato dopo un intenso lavoro di circa due anni da esperti di varie specialità e professionalità impegnati nella gestione dei malati affetti da patologie cronico-degenerative in fase end-stage. L’obiettivo è quello di fornire strumenti di valutazione e un percorso decisionale per definire con maggiore appropriatezza etico-clinica il trattamento di tali malati che giungono nei dipartimenti di emergenza o che sono ricoverati nei reparti ospedalieri per acuti. In data 22 Aprile 2012 il presente documento è stato approvato ad unanimità dal Consiglio Direttivo della SIAARTI ed il 24 Maggio 2013 dal Consiglio Direttivo Nazionale Società Italiana Medicina Emergenza Urgenza (SIMEU).

Altro documento utile per la definizione condivisa del processo delle cure è il “Documento condiviso SICP-SIN” frutto del tavolo di lavoro intersocietario fra la Società Italiana Cure Palliative e la Società Italiana di Nefrologia, approvato da entrambi i consigli Direttivi al termine di un percorso di elaborazione durato tutto il 2015. Nel documento si possono trovare gli strumenti utili per l’identificazione precoce nel paziente con malattia renale cronica avanzata del bisogno di cure palliative, gli aspetti di natura etico-giuridica e le possibili opzioni terapeutiche.

Due documenti che pongono quindi le basi per una corretta e fattiva collaborazione fra i diversi professionisti, e che per quanto ci compete da un supporto particolare a noi nefrologi e ai palliativisti, aiutandoci nelle decisioni di cura che hanno, sempre più, aspetti etici oltre che clinici [64, 65].

 

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Gestione della chemioterapia in pazienti in trattamento dialitico cronico

Abstract

L’incidenza dei tumori è aumentata nei pazienti con insufficienza renale cronica e, ancor più, nei pazienti in dialisi.

La dialisi può influenzare la terapia, così come la prognosi, dei pazienti oncologici, aumentando sia la mortalità relata al cancro che quella non relata, e rappresenta la causa principale di un uso non ottimale delle terapie oncologiche.

Nei pazienti con insufficienza renale, il dosaggio di molti chemioterapici dovrebbe essere ridotto ma, a causa della mancanza di una reale conoscenza delle proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche di questi farmaci in dialisi, ciò viene spesso fatto empiricamente. Nonostante siano disponibili in letteratura numerosi lavori riguardanti l’uso della chemioterapia in dialisi, vi è poca uniformità per quanto riguarda le dosi e i tempi di somministrazione dei farmaci e non esistono linee guida a riguardo per la mancanza di “evidenze” poiché questi pazienti vengono solitamente esclusi dai trial clinici dei farmaci. È quindi fondamentale creare degli studi specifici in ambito onconefrologico per decidere come, quando e a che dose utilizzare la chemioterapia nei pazienti in dialisi e quindi garantire un trattamento ottimale anche a questi pazienti.

Parole chiave: onconefrologia, dialisi, tumore, chemioterapia

I numeri del cancro in dialisi

Nell’ultimo decennio del ’900 era già chiaro che i pazienti con insufficienza renale cronica e, ancora di più, i pazienti in dialisi, avessero un rischio aumentato di sviluppare tumori[1-3]. Veniva riportato un rischio del 20% di sviluppare tumore nei pazienti con insufficienza renale cronica terminale (ESRD), con un rischio che aumentava in modo proporzionale al tempo in dialisi [1]. 

Questa aumentata incidenza sembra essere secondaria al fatto che insufficienza renale cronica (CKD) e cancro condividono alcuni importanti fattori di rischio (es. ipertensione, età >65 anni, fumo di sigaretta, obesità, alcol, sesso maschile, patologie cardiovascolari, esposizione ambientale, etc.) [4, 5] e agli eventi avversi secondari all’insufficienza renale avanzata (es. esposizione prolungata alle tossine uremiche, infiammazione cronica, aumento del rischio infettivo, sistema immunitario poco efficiente, malnutrizione, alterazione dei meccanismi di riparo del DNA, etc.) [6, 7]. 

Il miglioramento delle tecniche dialitiche ha portato, nel corso degli anni, a un incremento significativo della vita media del paziente dializzato, rendendo il trattamento del tumore in questa categoria di pazienti un tema di importanza sempre maggiore [6]. 

Negli ultimi anni sono stati pertanto condotti studi epidemiologici volti a una miglior identificazione della reale incidenza di tumore nei pazienti dializzati e dei principali fattori di rischio. 

In particolare, uno dei più grandi studi condotti fino ad ora sull’argomento è uno studio di coorte, retrospettivo, che aveva lo scopo di valutare l’incidenza di tumore in pazienti in trattamento dialitico cronico dal 1996 al 2009. Sono stati valutati 482.510 pazienti; di questi, 37.128 hanno sviluppato una neoplasia entro i 5 anni (prevalenza 7,65%), con un’incidenza cumulativa calcolata in 5 anni del 9,48%. Il rischio era più elevato per il tumore del rene, della pelvi renale e della vescica e i principali fattori di rischio individuati sono stati sesso maschile, razza non ispanica, età superiore ai 65 anni e una causa di ESRD diversa dal diabete [8]. 

Questi dati sono stati confermati da uno studio italiano, condotto da Taborelli et al., su 10.790 pazienti emodializzati. In questa popolazione sono stati registrati 367 tumori de novo in 330 pazienti evidenziando come il rischio di insorgenza di una neoplasia de novo sia di 1,3 volte maggiore nella popolazione dialitica rispetto alla popolazione generale. In questo studio non sono state evidenziate differenze tra i sessi, con un rischio maggiore in pazienti giovani. Il rischio è apparso essere più elevato nei primi tre anni, ed in particolare nel primo anno di dialisi [6]. 

Uno studio condotto in Oceania sempre negli stessi anni si è occupato invece di valutare il rischio di recidiva di malattia oncologica nei pazienti dializzati. Sono stati valutati 4912 pazienti che avevano avuto una precedente neoplasia. Di questi, 323 pazienti (6,6%) hanno sviluppato una recidiva di neoplasia, l’80% dei quali metastatica. 343 pazienti (7%) hanno invece avuto una diagnosi di nuova neoplasia. È stato registrato un tempo medio di recidiva di tumore dall’inizio della dialisi di 1,2 anni e un tempo di insorgenza medio per lo sviluppo di un nuovo tumore di 2 anni. È stato inoltre visto che la sopravvivenza media di questi pazienti era limitata: 1,3 anni per i pazienti che avevano sviluppato un tumore de novo, in particolare di rene, vie urinarie e polmone, e una sopravvivenza a 3 anni inferiore al 50% per i pazienti con recidiva di malattia. In questo caso i tumori più frequenti erano linfoma, vie urinarie, polmone e melanoma [9]. 

Tutti questi studi hanno confermato una stretta relazione tra funzione renale e cancro rendendo evidente la necessità di uno screening specifico e di un follow-up regolare nella popolazione dializzata con particolare attenzione ai pazienti con una storia oncologica e la necessità di rendere la terapia oncologica accessibile anche a questa categoria di pazienti [10]. 

 

Chemioterapia ieri e oggi

La chemioterapia citotossica è stata la prima classe di farmaci utilizzata per il trattamento dei tumori. Nel 1942 Louis Goodman e Alfred Gilman usarono per la prima volta le mostarde azotate in un paziente con linfoma non Hodgkin, dimostrando che la chemioterapia può indurre remissione del tumore [11].

Da allora l’utilizzo della chemioterapia si è diffuso notevolmente con un’esplosione del numero di farmaci utilizzati e il tipo di tumore trattati. Nel 1992, l’approvazione di Imatinib per il trattamento della leucemia mieloide cronica ha segnato l’inizio dell’era dei farmaci a bersaglio molecolare. L’introduzione di nuove classi di farmaci ha migliorato la sopravvivenza dei pazienti oncologici ma la chemioterapia resta ancora oggi molto utilizzata sia in monoterapia che in combinazione con altri chemioterapici o farmaci di altre classi (Tabella 1).

La gestione della chemioterapia nei pazienti in dialisi rappresenta ancora oggi una grande sfida per l’oncologo e per il nefrologo poiché molti chemioterapici sono escreti a livello renale anche solo in parte e la dialisi altera il metabolismo della maggior parte dei farmaci, anche quelli con un’escrezione renale ridotta o nulla [13].

Le principali sfide in questo ambito sono individuare la dose di farmaco da somministrare e il momento in cui somministrarlo rispetto alla seduta dialitica. È importante riuscire a ottimizzare al meglio entrambi i parametri poiché, se da una parte somministrare una dose eccessiva di farmaco può portare a over-esposizione del paziente alla sostanza tossica con un aumento degli eventi avversi e una riduzione della sopravvivenza, anche una riduzione della dose del farmaco eccessiva o una sua rimozione precoce dal circolo ematico porta a un sotto-trattamento e quindi a una riduzione di efficacia dello stesso [14].

Tipo di tumore Uso della chemioterapia Terapie “emergenti”
Polmone Riduzione globale ICI; ICI + CT; TA
Colon-retto Stabile TA + CT
Esofago-stomaco Stabile TA + CT
Pancreas Stabile TA + CT
Ovaio Stabile TA + CT
Endometrio Stabile ICI; TA + CT
Testa-collo Stabile ICI + CT; TA
Urotelio Stabile ADC, ICI
Mammella Riduzione importante ADC, TA
Prostata In aumento TA
Sarcoma Stabile TA
Linfoma/Leucemia Stabile CT + TA
ICI, inibitori di immune checkpoint; CT, chemioterapia; TA, Farmaci a bersaglio molecolare; ADC, antibody-drug conjugates
Tabella 1. Chemioterapia nella pratica clinica [12].

 

Studi clinici e raccomandazioni

Gli studi clinici fase I e II solitamente includono solo i pazienti con funzione renale normale o lievemente ridotta; il problema persiste negli studi di fase III dove soltanto in alcuni vengono arruolati pazienti con insufficienza renale cronica moderata. Per questo motivo i dati relativi a pazienti con insufficienza renale avanzata (eGFR <30 ml/min/1,73 mq), insufficienza renale cronica terminale (ESRD) o in dialisi sono particolarmente limitati o del tutto assenti prima dell’approvazione del farmaco. La presenza di dati limitati e l’inesperienza circa la sicurezza nell’uso dei farmaci in queste popolazioni fanno si che sulla scheda tecnica degli stessi appaia la dicitura “il farmaco è controindicato nei pazienti con insufficienza renale avanzata” [15].

I pazienti con ESRD vengono esclusi dagli studi clinici nonostante ci siano raccomandazioni specifiche da parte di EMA e FDA per l’arruolamento dei pazienti con CKD nei trial clinici a condizione che venga definito una metodica standard per stimare il filtrato glomerulare per tutta la durata dello studio e che vengano stabiliti degli adeguamenti della dose del farmaco in base al filtrato glomerulare standardizzati per lo studio [16, 17].

Uno studio condotto da Kitchlu et al. nel 2018 ha posto l’attenzione sulla grande problematica dell’esclusione dei pazienti con insufficienza renale dai triali clinici dei farmaci oncologici evidenziando come dei 310 triali clinici analizzati, condotti dal 2012 al 2017 su farmaci oncologici per il trattamento dei 5 tumori più comuni (vescica, seno, colon-retto, polmone, prostata) e i cui risultati sono stati pubblicati su riviste ad elevato impact-factor, l’85% escludeva a priori i pazienti con insufficienza renale cronica e il 100% i pazienti in dialisi [18]. Uno studio retrospettivo simile, volto a valutare la percentuale di trial clinici di fase III su farmaci oncologici sistemici che escludono pazienti con CKD, e relativi criteri d’esclusione, è stato pubblicato nel 2022 da Delaye et al.; dei 268 trial valutati, il 68% (185) presentavano almeno un criterio di esclusione basato sulla funzione renale [19].

Questi dati sono particolarmente rilevanti se si considera l’elevata incidenza di tumori nei pazienti con CKD. L’esclusione dei pazienti dai trial fa si che questi pazienti non vengano presi in considerazione per terapie oncologiche. È inoltre importante sottolineare che i pazienti con CKD non sono esclusi solo dai trial di farmaci con elevata potenzialità nefrotossica o per i quali ci sia un elevato rischio di eventi avversi a causa dell’eccessivo accumulo del farmaco nell’organismo in caso di ridotta escrezione renale, ma anche da quelli per i quali il rene non ha un ruolo determinante in farmacocinetica e farmacodinamica [18]. 

Nel 2020 Sprangers et al. hanno proposto delle misure da adottare per migliorare la cura oncologica nei pazienti con insufficienza renale. In particolare hanno suggerito la necessità che Agenzie Nazionali e Internazionali del farmaco come FDA ed EMA impongano l’inclusione dei pazienti con CKD nei trial clinici dei farmaci o che producano dati clinici separati ma specifici sui pazienti con insufficienza renale prima dell’approvazione dei farmaci stessi. Inoltre, raccomandano che vengano eseguiti almeno degli studi secondari, successivi all’approvazione dei farmaci, per i pazienti con CKD o ESRD; suggeriscono anche che i nefrologi vengano coinvolti nelle prime fasi dei trial clinici dei farmaci e nei team dedicati alla disfunzione d’organo per aumentare il reclutamento dei pazienti con CKD, e che vengano creati dei gruppi a livello nazionale con lo scopo di aumentare l’interesse per la problematica [20].

Proposte simili sono state avanzate da Delaye et al., i quali suggeriscono inoltre di stabilire un metodo di stima della funzione renale che possa essere usato in tutti i trial clinici, che le modifiche di dose necessarie per i pazienti con GFR ridotto vengano stabilite nelle prime fasi dei trial in modo da avere maggior facilità nella gestione dei pazienti con CKD nelle ultime fasi degli studi e limitare l’eventuale esclusione dei pazienti con ESRD dai trial clinici per i soli farmaci che, in base alle caratteristiche di farmacocinetica e farmacodinamica, potrebbero mettere a rischio il paziente [19].

I dati clinici disponibili sull’utilizzo dei chemioterapici in dialisi sono pertanto derivati da case report e case series o piccoli studi retrospettivi che raccolgono pazienti trattati con farmaci molto diversi tra loro e che pertanto non permettono di trarre conclusioni statisticamente significative e omogenee sulla dose di farmaco da somministrare, la tempistica di somministrazione rispetto alla seduta dialitica, il profilo di sicurezza e di efficacia [21-25].

Lo studio Candy [26], studio multicentrico retrospettivo condotto dal 1997 al 2010 su 178 pazienti emodializzati, aveva come obiettivo primario quello di dare indicazioni circa la gestione dei farmaci oncologici in pazienti dializzati che sviluppavano un tumore dopo l’inizio della dialisi (tempo medio tra l’inizio della dialisi e la diagnosi di tumore di 2,6 anni). Dei 178 pazienti, 50 erano stati trattati con chemioterapici per un totale di 96 prescrizioni e 36 diversi farmaci prescritti. Delle 96 prescrizioni il 45% richiedeva un adeguamento di dose sulla base dei pochi dati di letteratura o erano farmaci per i quali non erano disponibili raccomandazioni nei pazienti in dialisi; il 75% dei farmaci prescritti era stato somministrato dopo la seduta di dialisi. Dei 50 pazienti trattati, il 72% aveva ricevuto almeno un farmaco che richiedeva adeguamento di dose o per cui non c’erano raccomandazioni nei pazienti dializzati. In generale, dallo studio emerge che l’88% dei pazienti trattati con farmaci oncologici aveva avuto necessità di una gestione specifica della dose o del timing di somministrazione di almeno un farmaco senza però linee guida specifiche.

I principali limiti di questo studio sono l’assenza di indicazioni su come adeguare la dose del farmaco (viene indicato solo se sia necessario un adeguamento), non ci sono dati circa i pazienti trattati con dosi ridotte, e le informazioni sulla necessità di adeguamento di dose o di dializzabilità derivano da casi clinici singoli o piccole case series per la mancanza di evidenze di alto livello in questo setting di pazienti. Mancano inoltre i dati circa la risposta alla terapia.

Nel 2017 l’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM) e la Società Italiana di Nefrologia (SIN) hanno pubblicato delle “Raccomandazioni” sulla gestione della chemioterapia nei pazienti dializzati basandosi sui dati presenti in letteratura, per stessa ammissione degli autori, nella maggior parte dei casi singoli, case report o piccole case series; nonostante siano state fornite indicazioni circa l’utilizzo della maggior parte dei principali chemioterapici, la mancanza di studi clinici sull’argomento impedisce di avere informazioni certe e quindi delle reali linee guida [27].

Nel 2022 è stata pubblicata una review che, ancora una volta, ha provato a riassumere le indicazioni circa la gestione dei farmaci nei pazienti oncologici in trattamento dialitico cronico. Sempre per una mancanza in letteratura di studi clinici, anche le indicazioni presentate dagli autori di questa review sono basate su una casistica limitata che, per la maggior parte, coincide con quella su cui si sono basati sui case series precedenti [13].

In letteratura è presente una sola review che ha raccolto i dati di pazienti in dialisi peritoneale; si tratta di una raccolta di 16 case report trattati con un totale di 18 regimi terapeutici (15 chemioterapia, 3 farmaci a bersaglio molecolare, no immunoterapia). Sulla base delle poche evidenze gli autori raccomandano l’adeguamento di dose dei farmaci utilizzati [28].

Sempre nel 2022 sono state pubblicate le “International Consensus Guideline for Anticancer Drug Dosing in Kidney Dysfunction (ADDIKD)” con l’obbiettivo di fornire indicazioni generali su come stimare la funzione renale nei pazienti oncologici e su come utilizzare questo dato per adeguare la dose dei farmaci oncologici. Vengono poi fornite indicazioni specifiche su come somministrare i singoli farmaci in base alla funzione renale dei pazienti. Le linee guida non forniscono indicazioni su come adeguare la dose dei farmaci nei cicli di terapia successivi al primo e informazioni specifiche sull’adeguamento di dose in pazienti con filtrato glomerulare inferiore ai 15 ml/min/1,73 mq in terapia conservativa o trattamento dialitico. Per queste categorie di pazienti viene suggerito un approccio multidisciplinare con nefrologi, oncologi/ematologi e farmacologi.

Ancora una volta, la mancanza di studi clinici specifici impedisce di avere linee guida chiare su come gestire i chemioterapici nella popolazione di pazienti dializzati [29].

Il mancato arruolamento dei pazienti con ESRD e in dialisi nei trial clinici dei farmaci non permette inoltre di avere dati circa la farmacocinetica e farmacodinamica in questi pazienti e, anche nei case report descritti in letteratura, spesso non sono state studiate queste caratteristiche dei farmaci. Questo rende ulteriormente difficile l’utilizzo dei farmaci in questa popolazione.

Infatti, nella popolazione generale le proprietà farmacodinamiche derivano dall’interazione del farmaco con i suoi recettori/target cellulari e l’attivazione del successivo pathway a valle e la farmacocinetica dei farmaci può invece essere descritta dall’acronico ADME: assorbimento, distribuzione, metabolismo ed escrezione (Figura 1) [13]. Questi parametri nei pazienti con ESRD o in dialisi possono essere modificati anche per i farmaci non eliminati primariamente dal rene ma i cui metaboliti lo sono; inoltre, le tossine uremiche possono alterare gli enzimi epatici coinvolti nel metabolismo dei farmaci [13]. Nei pazienti in dialisi la farmacocinetica e farmacodinamica dipendono inoltre anche da variabili specifiche della dialisi: ultrafiltrazione, tipo di membrana utilizzata e superficie, ritmo dialitico e durata del trattamento, peso molecolare dei farmaci, legame con le proteine, etc. [30, 31]; queste sono considerazioni da fare e non controindicazioni alla somministrazione di chemioterapia in dialisi.

Figura 1. La farmacocinetica nel paziente dializzato.
Figura 1. La farmacocinetica nel paziente dializzato.

 

La pratica clinica

Nella pratica clinica quotidiana, nonostante esista la possibilità, somministrare terapia oncologica sistemica ai pazienti in dialisi resta tutt’ora un’enorme sfida per il clinico; la conseguenza nella realtà è che non sempre viene somministrata. Uno studio retrospettivo condotto da Minegishi et al. ha mostrato come di 158 pazienti oncologici affetti da tumore del polmone afferenti a 22 ospedali giapponesi, solo 91 pazienti sono stati trattati con chemioterapia mentre 67 hanno ricevuto solamente cure di supporto a prescindere dallo stadio del tumore [32]. I dati francesi del CANDY study [23] riportano che solo il 28% dei pazienti dializzati con una neoplasia diagnosticata de novo vengono trattati con terapia oncologica sistemica, e uno studio giapponese riporta una percentuale ancora inferiore pari al 15% [33].

Se esiste già una tendenza al sotto trattamento nei pazienti con evidenza di malattia, il problema diventa ancora più rilevante nel setting adiuvante. In particolare, Ishii et al. hanno recentemente pubblicato i dati relativi a uno studio retrospettivo condotto su 99.761 pazienti sottoposti a chirurgia curativa per tumori di colon, polmone o mammella in ospedali giapponesi. Di questi, 1207 pazienti (1%) erano dializzati. Quello che è emerso dallo studio è la conferma che i pazienti dializzati vengono sottoposti a terapia adiuvante meno spesso dei pazienti non dializzati (24% vs 63%, p<0,001) e che, quando viene avviata, la terapia adiuvante è spesso più breve (138 vs 154 giorni, p<0,001), con regimi di terapia modificati senza omogeneità e con riduzioni spesso non necessarie della dose del farmaco (92% dei pazienti trattati in questo studio vs 72% in studi precedenti) [34].

 

Sopravvivenza dopo terapia

I pazienti oncologici con concomitate CKD hanno outcome peggiori rispetto ai pazienti normofunzione renale [18], è stato inoltre riportato un rischio di mortalità cancro-relata 1,5-2,9 volte superiore nei pazienti dializzati rispetto alla popolazione generale [34]. Per esempio, dallo studio di Minegishi et al. non emergono chiari benefici di sopravvivenza nel trattare i pazienti con chemioterapia e, pertanto, viene consigliata una valutazione attenta prima del trattamento di questi pazienti [32].

Se da un lato il peggioramento dell’outcome può essere spiegato dalle numerose comorbidità dei pazienti dializzati, un problema effettivo sembra essere rappresentato dal non trattamento o mal trattamento dei pazienti. Infatti, ai pazienti in dialisi, spesso viene negato un trattamento adeguato per un atteggiamento “nichilistico” da parte degli oncologi ma anche troppo spesso dei nefrologi, per la mancanza di una reale conoscenza della farmacocinetica e farmacodinamica di questi farmaci in dialisi e per la difficoltà gestionale di far coincidere terapia oncologica e seduta dialitica.

È emerso in studi condotti su pazienti con CKD che un adeguamento della dose del farmaco in base alla funzione renale corretto ed effettuato prima dell’inizio del trattamento porti a una miglior prognosi oncologica rispetto a un adeguamento di dose in corso di terapia [14, 35]. Nonostante non esistano al momento studi analoghi condotti su pazienti in dialisi è verosimile credere che l’andamento in termini di prognosi sia il medesimo.

 

Conclusioni

Nonostante in letteratura ci siano lavori riguardo la chemioterapia in dialisi, c’è poca uniformità per quanto riguarda la dose e i tempi di somministrazione, con informazioni a volte contraddittorie, e, al momento, non esistono reali Linee Guida ma solo raccomandazioni o consigli di esperti. È quindi evidente la necessità di trial clinici dedicati in ambito onconefrologico, poiché una conoscenza approfondita delle proprietà farmacocinetiche e farmacodinamiche è mandatoria per decidere quanto, come, e quando usare la chemioterapia in questi pazienti.

In conclusione, il cancro di un paziente in dialisi dovrebbe essere trattato allo stesso modo che in un paziente non in dialisi; facendo le opportune valutazioni sulla clearance renale del farmaco, il dosaggio e la sua dializzabilità [26] e considerando etica del trattamento, prognosi oncologica, qualità della vita, desideri e obiettivi del paziente.

 

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Qualità del sonno dei pazienti in End Stage Renal Disease prima e dopo l’avvio al trattamento emodialitico cronico: uno studio longitudinale

Abstract

Introduzione: I disturbi del sonno sono molto frequenti nei pazienti con malattia renale cronica e la prevalenza di una scarsa qualità del sonno all’interno della popolazione nefropatica si aggira intorno al 40%.
Obiettivi: Lo scopo dello studio è quello di confrontare la qualità del sonno dei pazienti in ESRD prima dell’emodialisi (Pre-HD), tre mesi (Post-HD 1) e sei mesi dopo l’inizio del trattamento (Post-HD 2) tramite l’uso del Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI).
Metodi: Sono stati reclutati pazienti in ESRD presso l’U.O.C. di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Maggiore di Modica e raccolti dati anagrafici e anamnestici. Si è proceduto con la somministrazione del PSQI in presenza nella fase Pre-HD e tramite re-test telefonico al follow-up di tre e sei mesi.
Risultati: Sono stati inclusi in totale 71 pazienti (maschi=62%, età 68 ± 16 anni). Alla valutazione Pre-HD il 93% ha riportato una scarsa qualità del sonno, la percentuale è salita al 98% durante la fase Post-HD 1 ed è parzialmente migliorata durante il Post- HD 2 con una prevalenza del 95%. L’analisi della varianza per misure ripetute ha mostrato una significativa differenza tra i tre tempi.
Conclusioni: La qualità del sonno va incontro a importanti cambiamenti durante la transizione da paziente in terapia conservativa a emodializzato, evidenziando un periodo critico relativo ai primi tre mesi di trattamento. Una maggiore attenzione a questa fase può migliorare la qualità di vita del paziente e ridurre il rischio di mortalità ad essa associato.

Parole chiave: sonno, qualità, emodialisi, vita, dialisi

Introduzione

Il sonno è un processo fisiologico universale e complesso, essenziale per uno stato di salute soddisfacente ed una buona qualità di vita [1]. Tuttavia, la riduzione delle ore di sonno e di conseguenza una scarsa qualità del sonno stanno diventando sempre più comuni nella popolazione generale [2]. I disturbi del sonno sono problemi frequenti tra i pazienti con malattia renale cronica (CKD) e sono associati al rischio di sviluppare patologie cardiovascolari, diabete, disfunzioni cognitive, eventi ictali e disturbi neuropsichiatrici oltre ad un più alto rischio di mortalità [27].

I pazienti in insufficienza renale cronica in fase uremica (ESRD) soffrono di varie tipologie di disturbi del sonno, come l’apnea ostruttiva del sonno (OSA), l’insonnia, la sindrome delle gambe senza riposo, l’ipersonnia, i disturbi del ritmo sonno-veglia e le parasonnie [8]. Questi disturbi intaccano negativamente la qualità di vita (QoL) del paziente con CKD e in ESRD e hanno il potenziale di influenzare il decorso della patologia renale [9]. Rispettivamente la prevalenza di questi disturbi si assesta nei pazienti in ESRD al 38% per le apnee notturne, al 33% per l’insonnia, al 22% per l’ipersonnia, e al 10% per la sindrome delle gambe senza riposo [1012]. La prevalenza di tali disturbi aumenta nei pazienti in trattamento emodialitico cronico (HD) e trova una parziale normalizzazione in seguito al trapianto renale [10, 11, 13]. In generale una scarsa qualità del sonno nei pazienti in ESRD ha una prevalenza del 43% [14, 15]. Tali evidenze dimostrano che i disturbi del sonno all’interno della popolazione nefropatica costituiscono un problema di salute pubblico da prendere urgentemente in considerazione e su cui svolgere indagini volte alla comprensione dei meccanismi fisiopatologici sottostanti al fine di trovare trattamenti mirati utili al miglioramento della QoL del paziente nefropatico. A tale scopo la presente ricerca si pone l’obiettivo di determinare la qualità del sonno dei pazienti in ESRD prima dell’avvio al trattamento emodialitico cronico e durante i sei mesi successivi l’immissione in dialisi.

 

Materiali e metodi

Disegno dello studio

È stato svolto uno studio longitudinale osservazionale. I pazienti sono stati reclutati presso l’U.O.C. di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Maggiore Nino Baglieri di Modica in regime di ricovero. Lo studio è stato svolto in un arco temporale che va da maggio 2021 a settembre 2022. Previa lettura della scheda informativa e acquisizione del consenso informato che segue le linee guida proposte dalla Dichiarazione di Helsinki della World Medical Association, sono stati arruolati pazienti adulti, di età superiore ai 18 anni, di entrambi i sessi, con diagnosi di ESRD ed in prossimità dell’avvio al trattamento emodialitico cronico (HD). Sono stati esclusi dallo studio pazienti che successivamente all’avvio del trattamento emodialitico avevano recuperato parte della funzionalità renale tornando in terapia conservativa e pazienti che presentavano decadimento cognitivo grave, tale da impedire la somministrazione del questionario Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI). Non sono stati inseriti limiti relativi all’età, alla tipologia di trattamento emodialitico (HD, B-HD, HFD Online), alla durata o alla frequenza settimanale. Tutti i pazienti prima di essere sottoposti alle fasi di ricerca sono stati resi edotti sulle metodiche utilizzate dagli sperimentatori. Dopo la fase di reclutamento sono state raccolte le seguenti variabili dalle cartelle cliniche dei pazienti:

  • Dati demografici (età, sesso, istruzione, status sociale, status occupazionale)
  • Comorbidità (diabete, cardiopatie, fibrillazione, ipertensione, anemia, broncopneumopatia cronico ostruttiva BPCO)
  • Dati dialitici (ore di dialisi, turno di dialisi)

Si è proceduto dunque alla somministrazione del questionario Pittsburgs Sleep Quality Index (PSQI) prima dell’avvio al trattamento emodialitico cronico (pre-HD) in presenza, successivamente dopo tre mesi dall’avvio al trattamento (Post-HD 1) e sei mesi dopo (Post-HD 2) tutti i pazienti sono stati ricontattati e si è proceduto tramite retest telefonico.

Questionario Pittsburgh Sleep Quality Index

Il questionario PSQI adottato per la valutazione della qualità del sonno è stato messo a punto da Buysse et al. (1989) ed è uno strumento ampiamente convalidato in letteratura. Il PSQI è composto da 19 item che raggruppati vanno a formare 7 componenti: qualità soggettiva del sonno, latenza del sonno, durata del sonno, efficienza abituale del sonno, fattori di disturbo, farmaci ad azione ipnotica e disfunzionalità diurna. Gli item sono stati ricavati dall’esperienza di tipo clinico di pazienti che presentavano disturbi del sonno: dall’1 al 4 si richiedono precise informazioni (a che ora si va a letto, tempo trascorso prima di addormentarsi, a che ora ci si alza, ore di sonno effettivo) fornite tramite risposta aperta, gli item dal 5 al 9 (relativi alla difficoltà ad addormentarsi, ai risvegli notturni, alla necessità di andare in bagno, respirazione non soddisfacente, percezione di troppo freddo e/o caldo, incubi, dolori notturni, qualità soggettiva del sonno, assunzione di farmaci ipnotici, difficoltà a rimanere svegli durante il giorno, entusiasmo)  richiedono risposte su una scala da 0 a 3, dove 0 è assenza di sintomi e 3 è invece indice di presenza dei sintomi 3 o più volte a settimana nell’arco dell’ultimo mese. In particolare, l’item 5j presenta uno spazio per la descrizione di altri eventuali sintomi non inclusi nel questionario e che il soggetto può esperire durante la notte. L’item 10, a carattere facoltativo, rileva la presenza o meno di un partner o un compagno di stanza durante le ore notturne, ma non ha alcun peso nella determinazione del punteggio globale finale. Il punteggio globale ottenibile varia da 0 a 21; quando si ottengono punteggi ≤5 si rileva una buona qualità del sonno, quando si ottengono punteggi >5 si è invece in presenza di una scarsa qualità del sonno.

Analisi Statistica

Tutti i dati sono stati raccolti all’interno di un database Microsoft Excel e successivamente elaborati per ottenere una statistica di tipo descrittivo (punteggi medi, deviazione standard, percentuali) dei dati relativi a caratteristiche mediche, socio-anagrafiche e del questionario PSQI. L’analisi inferenziale volta a valutare differenze della qualità del sonno nei tre tempi è stata condotta tramite SPSS ed è stata impiegata l’analisi della varianza per misure ripetute (ANOVA).

 

Risultati 

Il campione è composto da un totale di 71 pazienti in ESRD che rispettano i criteri di inclusione ed esclusione prestabiliti, con un’età media di 68 ± 16 anni, di cui il 61,97% di sesso maschile (n=44) tutti afferenti presso l’U.O.C di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Maggiore Nino Baglieri di Modica (ASP 7 Ragusa). L’86% del campione (n=61) ha completato le tre valutazioni (T0, T1, T2), il 14% (n=10) ha effettuato solo la prima valutazione (T0), l’8% a causa di decesso e il 6% per mancata rintracciabilità telefonica. Non sono stati raccolti dati relativi all’item 10 del PSQI per via della mancata rintracciabilità dell’eventuale partner/compagno di stanza o per mancata risposta da parte dei pazienti dovuta alla natura facoltativa dell’item. Nella Tabella 1 sono riportati tutti i dati demografici del campione. La maggior parte dei pazienti è coniugato (68%), ha un’istruzione primaria (45%) ed è pensionato (64%).

DATI DESCRITTIVI DEL CAMPIONE
TOTALE PAZIENTI 71
ETÀ MEDIA 68±16
MASCHI 44 (61%)
PAZIENTI DECEDUTI 6 (8%)
MANCATA RINTRACCIABILITÀ 4 (6%)
STATUS SOCIALE
CONIUGATO 48(68%)
VEDOVO 13 (18%)
CELIBE 5 (7%)
NUBILE 3 (4%)
SEPARATO 2 (3%)
ISTRUZIONE
PRIMARIA 32 (45%)
SECONDARIA 23 (32%)
SUPERIORE 13 (18%)
UNIVERSITARIA 3 (15%)
STATUS OCCUPAZIONALE
LAVORATORE 15 (21%)
DISOCCUPATO 7 (10%)
PENSIONATO 45 (64%)
CASALINGA 4 (6%)
PREVALENZA DISTURBI DEL SONNO RILEVATI TRAMITE PSQI
PRE-HD 93%
POST-HD 98%
POST-HD 2 95%
Tabella 1: Dati descrittivi del campione.

Sono stati raccolti dati sulle comorbidità dei partecipanti, di seguito riportate nella Tabella 2. Più della metà del campione presenta cardiopatie, anche l’ipertensione arteriosa è molto rappresentata insieme al diabete e all’anemia secondaria. Il 10% è affetto da fibrillazione atriale e l’8% da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). I dati scaturiti dalla somministrazione del PSQI restituiscono un andamento della qualità del sonno fluttuante durante i tre tempi presi in considerazione. Punteggi PSQI superiori alla norma (>5) nella fase Pre-HD indicano una prevalenza di disturbi del sonno all’interno del campione pari al 93%, nella fase Post-HD 1 la percentuale sale al 98% e scende parzialmente dopo sei mesi di trattamento emodialitico con una prevalenza del 95% nella fase Post-HD 2.

COMORBIDITÀ
CARDIOPATIA 45 (63%)
FIBRILLAZIONE 10 (14%)
IPERTENSIONE 32 (45%)
DIABETE 26 (37%)
ANEMIA SECONDARIA 25 (35%)
BPCO 8 (11%)
Tabella 2: Comorbidità rilevanti per la qualità del sonno.

Nel Grafico 1 è possibile osservare la distribuzione dei punteggi medi di tutti gli item del questionario prima dell’immissione in dialisi (Pre-HD), tre mesi dopo l’immissione (Post-HD 1) e sei mesi dopo l’immissione (Post-HD 2). I punteggi medi di tutti gli item sono elevati nel Pre-HD e trovano un peggioramento nel Post-HD 1 (tre mesi), si assiste successivamente ad un notevole abbassamento e dunque miglioramento dei punteggi nel Post-HD 2 (sei mesi). In particolare, gli item oggetto di evidente miglioramento dopo sei mesi di emodialisi sono il 4, 5a, 5b, 5c, 5i, 5j, 6, 8, 9, rispettivamente relativi alle ore di sonno effettivo, difficoltà di addormentamento, risvegli notturni, necessità di andare in bagno, dolori notturni, fattori di disturbo di altra natura, giudizio globale soggettivo, difficoltà a restare svegli durante il giorno, calo dell’entusiasmo.

Andamento dei punteggi medi di tutti gli item del questionario PSQI, eccetto dell’item facoltativo 10 rivolto ad un eventuale partner in stanza
Grafico 1: Andamento dei punteggi medi di tutti gli item del questionario PSQI, eccetto dell’item facoltativo 10 rivolto ad un eventuale partner in stanza, prima dell’immissione in dialisi (Pre-HD), tre mesi dopo l’immissione (Post-HD 1) e sei mesi dopo l’immissione (Post-HD 2).

Nel Grafico 2 è riportato l’andamento dei punteggi medi delle sette componenti del sonno rilevate tramite PSQI nei tre tempi oggetto dello studio. Le componenti sono: qualità soggettiva del sonno, latenza del sonno, durata del sonno, efficienza del sonno, fattori di disturbo, farmaci ipnotici e disfunzione giornaliera. In tutte le componenti elencate si assiste ad un innalzamento dei punteggi nella condizione Pre-HD; nella condizione Post-HD 1 tutti i punteggi subiscono un’ulteriore innalzamento corrispondente ad una peggiore qualità del sonno ad eccezione per la componente relativa ai farmaci ipnotici, il cui uso diminuisce; nella condizione Post-HD 2 tutte le componenti migliorano, tra questi la qualità soggettiva, la latenza, la durata e la disfunzione giornaliera scendono al di sotto del livello medio di difficoltà.

Andamento dei punteggi medi delle 7 componenti del sonno rilevate tramite PSQI prima dell’immissione in dialisi (Pre-HD)
Grafico 2: Andamento dei punteggi medi delle 7 componenti del sonno rilevate tramite PSQI prima dell’immissione in dialisi (Pre-HD), tre mesi dopo l’immissione (Post-HD 1) e sei mesi dopo l’immissione (Post-HD 2).

Nel Grafico 3 sono riportati i punteggi medi globali del PSQI, che mostrano in accordo con gli item e le componenti una scarsa qualità del sonno prima dell’immissione in dialisi con un punteggio medio pari 11,3 (±3,8), un ulteriore peggioramento della qualità del sonno dopo tre mesi dall’immissione in dialisi con un punteggio medio di 13,7 (±2,9) ed un decisivo miglioramento della qualità dopo sei mesi di trattamento con un punteggio medio pari a 8,6 (±2,2).

Grafico 3: Punteggio medio global score del PSQI con barre di errore (5%)
Grafico 3: Punteggio medio global score del PSQI con barre di errore (5%), prima dell’immissione in dialisi (Pre-HD), tre mesi dopo l’immissione (Post-HD 1) e sei mesi dopo l’immissione (Post-HD 2).

A livello inferenziale per constatare una significativa differenza tra i tre tempi in termini di valutazione della qualità del sonno è stata eseguita sui punteggi globali l’analisi della varianza (ANOVA) per misure ripetute (p<0,05) che ha restituito un valore F-ratio di 100.1603, p-value <0.0001, che dimostra la significativa differenza tra Pre-HD, Post-HD 1 e Post-HD 2.

I valori inferenziali ottenuti tramite l’applicazione dell’ANOVA per misure ripetute sono riportati nella Tabella 3.

ANOVA
MISURE RIPETUTE
TRATTAMENTI
Pre-HD Post-HD 1 Post-HD 2 TOTALE
NUMERO PAZIENTI 61 61 61 183
SOMMATORIA DI X (∑X) 711 836 527 2074
MEDIA 11.6557 13.7049 8.6393 11.333
∑X2 9153 11972 4857 25982
DEVIAZIONE STANDARD 3.7986 2.9288 2.2512 3.6889
DETTAGLI RISULTATI
FONTE DI VARIABILITÀ SOMMA DEI QUADRATI GRADI DI LIBERTÀ MEDIA QUADRATICA  
TRA I TRATTAMENTI 792.1421 2 396.071 F=100.1603
ALL’INTERNO DEI TRATTAMENTI 1684.5246 180 9.3585
ERRORE 474.5246 120 3.9544
Tabella 3: Risultati ottenuti dall’analisi della varianza per misure ripetute (p<0,05) applicata ai global score PSQI dei tre tempi Pre-HD, Post-HD 1, Post-HD 2. La differenza riscontrata tra i tre tempi risulta statisticamente significativa.

 

Discussione

La significativa prevalenza dei disturbi del sonno nella popolazione nefropatica ha attirato l’attenzione di molti ricercatori che si sono adoperati nella valutazione della qualità del sonno di questi pazienti. Molti studi si sono concentrati sulla qualità del sonno nella fase precedente all’immissione in dialisi, quando il paziente si trova in uno stato di malattia renale cronica in terapia conservativa. Pochi studi si sono invece concentrati sulla qualità del sonno del paziente che effettua il trattamento emodialitico cronico al fine di rilevare la prevalenza e soprattutto l’andamento in una fase critica e delicata quale l’avvio e il mantenimento di questa tipologia di terapia sostitutiva renale.

In questo quadro teorico il nostro studio si è posto l’obiettivo di far luce sulle oscillazioni che la qualità del sonno può subire nel passaggio da paziente in ESRD a paziente in HD. La prevalenza dei disturbi del sonno, già molto elevata nella fase precedente all’immissione in dialisi, subisce un ulteriore incremento relativo ai primi tre mesi di trattamento. In accordo con la letteratura, i disturbi del sonno sembrano avere un picco durante quest’arco di tempo, nel quale l’organismo del paziente si ritrova ad affrontare una fase critica di assestamento. In particolare, l’inizio dell’emodialisi sembra essere significativamente associato ad un aumentato rischio di ictus. A tal proposito un’analisi statunitense con un campione di pazienti emodializzati ha rilevato un aumento del tasso di eventi cerebrali ictali durante i primi tre mesi di dialisi con un picco massimo durante i primi trenta giorni [16]. Questo periodo considerabile ad alto rischio a causa dell’ingente stress vascolare e dei cambiamenti psicofisici a cui vanno incontro i pazienti in HD richiede una maggiore attenzione, la transizione alla dialisi è infatti associata ad un tasso di mortalità del 30% nei pazienti di età ≥65 anni, percentuale destinata a salire con l’aumentare dell’età [17, 18]. Inoltre, il sonno e gli eventi ictali sono strettamente intrecciati, i disturbi del sonno come le parasonnie, l’insonnia, l’ipersonnia, i disturbi respiratori del sonno e i disturbi del movimento legati al sonno si associano a condizioni cardiovascolari patologiche che aumentano il rischio di ictus [1921]. Dopo questa fase critica il nostro studio ha rilevato una fase di miglioramento della maggior parte degli indici del sonno presi in considerazione tramite l’uso del Pittsburgh Sleep Quality Index. Pur mantenendosi in una condizione di scarsa qualità del sonno, dopo sei mesi di trattamento emodialitico sono migliorate diverse aree del sonno. Le ore di sonno effettivo sono aumentate ed è diminuita la difficoltà di addormentamento, i risvegli notturni e la necessità di alzarsi per andare in bagno si sono ridotte insieme ai dolori notturni e a particolari fattori di disturbo. Il giudizio globale soggettivo che esprime il paziente emodializzato sulla qualità del proprio sonno è migliorato, la stanchezza percepita durante il giorno è diminuita e si è assistito ad un aumento dell’entusiasmo. L’uso di farmaci ipnotici, contrariamente all’andamento fluttuante della qualità globale del sonno, si è progressivamente ridotto durante le tre fasi esaminate. Sulla base di questi risultati si ritiene necessario l’avvio di ulteriori indagini scientifiche sulla popolazione emodializzata riguardo la qualità del sonno oltre all’implementazione di azioni terapeutiche volte a migliorare gli schemi sonno-veglia di questi pazienti al fine di ridurre lo stress psicofisico e migliorare la loro qualità di vita. A tal proposito potrebbe essere utile indagare nella popolazione emodializzata l’eventuale associazione tra qualità del sonno e pregresse evidenze cerebrovascolari, sul versante riabilitativo sarebbe opportuno inquadrare il tipo di disturbo del sonno presentato e proporre a livello personalizzato strumenti specifici di gestione del disturbo che possono contemplare l’uso di ventilatori meccanici, di farmaci o di terapia cognitivo-comportamentale.

 

Conclusioni

In conclusione, nella fase precedente all’immissione in dialisi è stata riscontrata una scarsa qualità del sonno, questa dopo tre mesi di trattamento emodialitico è significativamente peggiorata. Dopo sei mesi di trattamento la qualità del sonno ha invece subito un notevole miglioramento, con punteggi migliori rispetto alla fase precedente all’immissione in dialisi. Il picco registrato durante i tre mesi di emodialisi trova corrispondenza nella letteratura, che identifica questo periodo come una fase ad alto rischio di mortalità e di eventi ictali. Una maggiore attenzione a questa fase, all’identificazione dei disturbi del sonno e all’implementazione di percorsi riabilitativi può aiutare il paziente a vivere in maniera migliore la transizione dalla terapia conservativa alla terapia sostitutiva renale, in questo caso all’emodialisi.

 

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La Scuola Nefrologica Barese

Abstract

Questo articolo descrive la nascita e lo sviluppo della Scuola Nefrologica Barese che ha nobili origini nella Scuola Medica Italiana. La narrazione comincia con la descrizione della mia passione iniziale per la Medicina Interna e dopo per la Nefrologia, in cui si comprende l’importante ruolo che un docente ha sui propri discenti negli anni di formazione nell’università.

La seconda sezione descrive il disegno maturato e rivisto nel corso degli anni per realizzare la Scuola Nefrologica Barese, ispirandosi principalmente all’esperienza acquisita all’estero e coltivando le relazioni scientifiche con i colleghi a livello internazionale.

Nella terza sessione sono descritte le origini storiche della Scuola Nefrologica Barese, che è notevolmente cresciuta nel corso di 30 anni. Infine, dopo un breve cenno alla mia famiglia, non potevo non nascondere la mia passione per lo sport, vissuto in prima persona come attività podistica, e per il calcio. Il cinema ed il teatro sono un ottimo viatico per meditare.

In conclusione, la mia più viva speranza è che i miei allievi si ricordino sempre di perseguire obiettivi di eccellenza scientifica e, quando dovranno scegliere una persona da formare, quale potenziale futuro giovane ricercatore, osservino sempre i due principi fondanti della Scuola: serietà professionale, basata su un’ottima conoscenza clinica, e serietà scientifica, supportata da un’ottima produzione scientifica.

Parole chiave: Scuola Nefrologica, Nefrologia, Dialisi, Trapianto, Ricerca clinica

La mia vita di nefrologo con la passione per la clinica e la ricerca

La passione per la medicina interna e la nefrologia

La mia passione per la Medicina Interna è iniziata nel 1962 quando fui conquistato dall’approccio didattico del Prof. Virgilio Chini, che svolgeva le lezioni di Clinica Medica al quinto e sesto anno del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia nell’Università di Bari, presentando e commentando casi clinici complessi. Il Prof. Chini era un allievo del Prof. Frugoni, Clinico Medico, prima nell’Università di Padova e poi in quella di Roma.

In qualità di studente interno venivo da un’attività svolta prima in Anatomia Umana con il Prof. Rodolfo Amprino per 2 anni e dopo in Patologia Speciale Medica con il Prof. Claudio Malaguzzi-Valeri per altri 2 anni.  L’attrazione per la Medicina Interna si concretizzò con un internato di 2 anni in Clinica Medica dove trascorsi molto tempo in corsia. Durante quel periodo preparai una tesi di laurea sulla proteinuria dal titolo “Studio elettroforetico e cromatografico delle proteine urinarie”. In quell’occasione conobbi il mio maestro Prof. Lorenzo Bonomo, allora Aiuto del Prof Chini, che mi introdusse allo studio della immunologia e protidologia. Nel luglio del 1964 conseguii la laurea con il massimo dei voti e la lode e ricevetti il premio di laurea Lepetit per l’ottima tesi sperimentale. Dopo due anni, con l’aiuto del mio maestro, i risultati della tesi furono oggetto della mia prima pubblicazione su una rivista internazionale.

Dopo la laurea frequentai la Scuola di Sanità Militare per Allievi Ufficiali a Firenze, e dopo il Corso fui inviato, in qualità di Ufficiale Medico, prima al Battaglione Sila di Cosenza e dopo all’Ospedale Militare di Bari. Durante la frequenza della Scuola di Specialità in Medicina Interna ero allocato nel piano riservato ai medici della Clinica Medica. Pertanto la mia vita di specializzando fu un lungo periodo vissuto in corsia per l’attività clinica ed in laboratorio per l’attività scientifica. Fu in quel periodo che, praticando anche molta attività interventistica, come svuotamento di toraci con versamento pleurico, addomi con versamento ascitico, biopsie epatiche, e continuando ad occuparmi di proteinuria, fui inviato dal mio Maestro a Roma a frequentare per un trimestre l’Istituto di Patologia Speciale Medica del Policlinico Umberto I di Roma, diretto dal Prof. Cataldo Cassano, dove sotto la guida del suo Aiuto, Prof. Giuseppe Andres, imparai ad eseguire la biopsia renale previa insufflazione di ossigeno creando, in tal modo, un retropneumoperitoneo per visualizzare meglio il rene che doveva essere biopsiato. In quell’occasione imparai anche ad applicare la tecnica dell’immunofluorescenza sul tessuto renale. Al rientro a Bari iniziai ad effettuare le biopsie renali.

Dopo 4 anni di specialità di Medicina interna, prima di conseguire il diploma, fui invitato a partecipare ad un bando nazionale per una borsa di studio per soggiorno di due anni in una università europea. Fu così che nel 1968 iniziò la mia attività clinica e di ricerca presso l’Università Cattolica di Louvain (Belgio), dove sotto la guida di due eminenti figure della Nefrologia (Prof. C. Van Ypersele) e della Trapiantologia (Prof. G. Alexandre) mi fu affidato il compito di seguire i pazienti con trapianto di rene e di studiare la proteinuria in collaborazione con i Proff. E.C. Laterre e J.F. Heremans (illustre protidologo europeo). Il focus dello studio era la beta2 microglobulina urinaria, espressione di danno tubulare, nel trapianto di rene.

La passione per la ricerca clinica in nefrologia

Dopo due anni di attività a Louvain rientrai a Bari e nel 1971, a seguito della apertura della prima Scuola di Specialità in Nefrologia in Italia, mi avviai a conseguire quella specialità che sancì definitivamente la mia vita di nefrologo clinico e ricercatore, studiando oltre alle proteinurie, gli aspetti immunologici delle glomerulonefriti nell’Istituto di Clinica Medica, diretta dal mio Maestro, Prof. Lorenzo Bonomo. In quella sede ho trascorso 20 anni della mia carriera accademica, prima in qualità di libero docente in Patologia Speciale Medica, poi di ricercatore universitario, professore associato ed infine di professore ordinario in Medicina Interna (Terapia Medica Sistematica), per poi passare alla Nefrologia. Un percorso analogo a quello di tanti altri nefrologi che venivano dagli Istituti di Semeiotica Medica, Patologia Speciale Medica e Clinica Medica. La mia presenza in Clinica si alternò con altri periodi di soggiorno all’estero. Pertanto, trascorsi, prima, un anno a Londra presso il Guy’s Hospital dove, sotto la guida dell’amico Stewart Cameron, illustre nefrologo internazionale, studiai alcuni aspetti terapeutici delle glomerulonefriti e, successivamente, andai per alcuni mesi a Cleveland, Ohio (U.S.A.), presso l’Istituto di Anatomia Patologica della Case Western Reserve University, dove con l’amico Steven Emancipator approfondimmo alcuni aspetti immunologici della glomerulonefrite a depositi mesangiali di IgA. Quest’attività di ricerca fu proseguita da alcuni miei allievi che frequentarono per anni quell’istituto. Durante la mia permanenza a Cleveland maturai l’idea che era arrivato il momento di pensare al futuro, ovvero formare un gruppo misto di giovani medici e biologi perché l’esperienza maturata all’estero mi fece capire che per la ricerca era necessaria una stretta collaborazione tra ricercatori medici e biologi.

 

Sviluppo e realizzazione della Scuola Nefrologica Barese

Dopo il mio rientro dall’Università Cattolica di Louvain, invitai alcuni miei collaboratori a trascorrere brevi periodi di soggiorno in Europa. Ma dopo aver conseguito il titolo di professore ordinario e con l’esperienza maturata all’estero, arrivai alla conclusione che un giovane ricercatore per realizzare un progetto, doveva trascorrere un soggiorno di almeno due anni, per imparare nuove tecniche ed ottenere risultati per almeno una pubblicazione scientifica relativa al progetto. L’ideale era inviare giovani che avessero già acquisito una certa esperienza clinica e scientifica. Pertanto un giovane specializzando con tre anni di attività clinica e di ricerca scientifica in laboratorio era la persona ideale per poter realizzare in altra sede un progetto biennale o di maggior durata [1].

Nel 1985, in occasione del 18° Congresso dell’American Society of Nephrology a New Orleans, cominciarono i primi contatti. Nel corso di tre decenni, molti allievi frequentarono università americane ed europee (Tabella 1) ed il Congresso annuale dell’American Society of Nephrology divenne il punto di riferimento dove gli allievi mi relazionavano sulla loro attività scientifica. Ma la mia presenza fisica non si fece mancare in tutte quelle sedi dove, invitato a tenere delle conferenze, trascorrevo alcuni giorni nella sede con l’allievo per programmare le attività future dopo il rientro a Bari. Inoltre, ogni anno, il mio gruppo di lavoro presentava uno o più abstract al Congresso dell’American Society of Nephrology. Sono state queste le occasioni in cui gli allievi hanno presentato i dati dei loro progetti e si sono posti all’attenzione della comunità scientifica internazionale.

ALLIEVO MENTORE ISTITUZIONE
Pastore A. Spath P.J. Central Laboratory, Swiss Red Cross, Bern, Switzerland
Germinario C. Lambert P.H. Centre of Vaccinology, University of Geneve, Switzerland
Russo R. Kazatchkine M.D. Service de Néphrologie and INSERM U28, Hospital Brousias, Paris, France
Grasso C. Lubec G. Dept of Pediatrics, University of Vienna, Austria
Gesualdo L. Emancipator S.N. Institute of Pathology, Case Western Reserve University, Cleveland, Ohio, USA
Grandaliano G. Abboud H.E. Dept of Medicine, University of Texas Health Science Center, San Antonio, USA
Scivittaro V. Emancipator S.N. Institute of Pathology, Case Western Reserve University, Cleveland, Ohio, USA
Ranieri E. Storkus W.J. Dept of Surgery, University of Pittsburg School of Medicine, Pennsylvania, USA
Montinaro V. Rifai A. Dept of Pathology, Rhode Island Hospital, Providence, USA
Castellano G. Daha M.R. Dept of Nephrology, Leiden University Medical Centre, Leiden, The Netherlands
Zaza G. Evans W.E. St. Jude Children’s Research Hospital, Memphis, Tennessee, USA
Rossini M. Fogo A.B. Dept of Pediatrics, Vanderbilt University School of Medicine, Nashville, Tennessee, USA
Strippoli G.F.M. Graig J.C. NHMRC Centre of Clinical Research Excellence in Renal Medicine, University of Sydney, Australia
Pesce F. Falchi M. Dept of Genomics of Common Diseases, Imperial College London, London, UK
Simone S. Abboudh H.E. Dept of Medicine, University of Texas Health Science Center, San Antonio, USA
Fiorentino M. Kellum S. A. Centre of Critical Care Nephrology, University of Pittsburg, Pittsburg, USA
Tabella 1: Elenco degli allievi che hanno frequentato Istituzioni cliniche e di ricerca all’estero.

Durante il periodo di permanenza degli allievi all’estero, il primo elemento da tenere sotto controllo era lo stato di accoglienza ed il lavoro svolto dall’allievo in modo che l’istituto ospite potesse finanziare il secondo anno di permanenza. Secondo punto, era necessario trovare una collocazione al rientro in sede per non perdere l’allievo con l’esperienza acquisita che doveva servire a far crescere il gruppo. Terzo punto, trovare fondi per attrezzare la clinica di nuove strumentazioni che gli allievi avevano già utilizzato in altre sedi. Quarto punto, dare una continuità alla ricerca preparando progetti che potessero essere finanziati in Italia o all’estero con il coinvolgimento dei colleghi che avevano ospitato i miei allievi.

Questo programma, meditato e modificato dal punto di vista organizzativo nel corso degli anni, ha permesso di realizzare una Scuola dove sono stati studiati e approfonditi i diversi campi della ricerca in Nefrologia, Dialisi e Trapianto (Tabella 2). Ovviamente nell’attuare un programma, che si è svolto durante tutta la mia carriera accademica e continua oggi con la ricerca effettuata nella Fondazione Schena, da me costituita nel 2012, ho incontrato anche molte difficoltà che ho dovuto superare.

Glomerulonefriti primitive e secondarie
Immunocomplessi circolanti
Sistema del complemento e angioedema ereditario
Sistema della coagulazione
Pielonefrite
Biopsia renale (istologia ed immunofluorescenza)
Proteinurie
Calcolosi renale
Pre-eclampsia
Cellule staminali renali
Biocompatibilità delle membrane dialitiche
Trapianto renale
Studi clinici randomizzati ed osservazionali
Intelligenza Artificiale in Nefrologia
Revisioni sistematiche e meta-analisi
Tabella 2: Aree di ricerca della Scuola Barese in Nefrologia, Dialisi e Trapianti.

I principi meritocratici della Scuola sono sempre stati: serietà professionale basata su un’ottima conoscenza clinica, e serietà scientifica supportata da un’ottima produzione scientifica con traiettoria costante e consistenza di contenuto. La Scuola ha organizzato Congressi Scientifici Nazionali ed Internazionali in Puglia e ha ospitato, per ben due volte, il Congresso Nazionale della Società Italiana di Nefrologia, festeggiando nel 2007, il 50° anniversario della Costituzione della Società [2].

La Scuola Nefrologica Barese nel corso degli anni ha vinto molti progetti con finanziamenti forniti da istituzioni pubbliche e private in Italia e all’estero (Tabella 3), ed anche dopo ho continuato questo cammino con la Fondazione Schena. L’attività di ricerca è stata svolta sempre nel Policlinico di Bari e per 10 anni anche nel Consorzio C.A.R.S.O. di Valenzano, da me diretto, dove la Scuola e la Fondazione hanno vinto progetti di ricerca per un valore totale di 20 milioni di euro (Figura 1). Successivamente, in qualità di Emerito, sono rientrato nel Policlinico di Bari dove continuo a svolgere attività di ricerca con i miei collaboratori.

CNR
Ministero Pubblica Istruzione
Regione Puglia
Università di Bari
Ministero dell’Università e della Ricerca
Ministero della Sanità e dopo della Salute
Istituto Superiore di Sanità
Extramural Grant Baxter
National Institutes of Health
European Commission
Industrie per studi clinici randomizzati
Tabella 3: Lista delle Istituzioni che hanno finanziato la Scuola Nefrologica Barese e la Fondazione Schena.
 Il gruppo di ricerca della Scuola Nefrologica Barese che lavorava nel Consorzio
Figura 1: Il gruppo di ricerca della Scuola Nefrologica Barese che lavorava nel Consorzio C.A.R.S.O. Da sinistra verso destra: I ricercatori PhD De Palma G, Serino G, Cox SN, il sottoscritto, Sallustio F, Curci C. e Pesce F.

 

Origini storiche della Scuola Nefrologica Barese

La Figura 2 mostra l’albero genealogico della Scuola Nefrologica Barese che, come tutte le specialità, proviene da una delle Scuole di Medicina Interna. Nel nostro caso il fondatore è stato Francesco Orsi (1828-1909), Clinico Medico dell’Università di Pavia, che portò in cattedra due allievi, Pietro Grocco (1856-1916) a Firenze e Carlo Forlanini (1847-1918) a Pavia. Pietro Grocco fu il maestro di tre noti Clinici Medici come Raffaello Silvestrini (1868-1959) a Perugia, Pio Bastai (1888-1975), prima a Padova e dopo a Torino, e Cesare Frugoni (1881-1978) che dall’Università di Padova fu chiamato all’Università di Roma. I primi allievi e futuri cattedratici, furono Guido Melli (1900-1985) a Milano, Flaviano Magrassi (1908-1975) a Napoli e Virgilio Chini (1901-1983) a Bari. Tra gli allievi del Prof Chini, vanno ricordati Claudio Malaguzzi Valeri (1910-1995) prima patologo medico e dopo clinico, Oronzio Schiraldi (1924-2022) infettivologo e Lorenzo Bonomo (1924-2020) clinico medico prima nell’Università di Bari e dopo nell’Università La Sapienza di Roma.

Figura 2: Albero genealogico della Scuola Nefrologica Barese.
Figura 2: Albero genealogico della Scuola Nefrologica Barese.

La Scuola Nefrologica Barese iniziò i primi passi con il Prof. Albero Amerio (1916-2006), nefrologo ed aiuto del Prof Malaguzzi-Valeri. Fu il primo ad istituire in Italia la Scuola di Specialità in Nefrologia, ed il sottoscritto, allievo del Prof. Bonomo, in Clinica Medica, fu uno dei primi a frequentare la Scuola di Specialità negli anni ’70. Oggi, a seguito di quel progetto descritto e realizzato nel corso di 30 anni, la nefrologia pugliese è rappresentata da 5 professori ordinari di cui in questo momento l’ultimo è Giovanni Strippoli, già professore ordinario aggiunto di Epidemiologia Clinica nell’Università di Sydney e oggi ordinario di Nefrologia nell’Università di Bari. Comunque ai Professori Ordinari, Loreto Gesualdo nell’Università di Bari, Giuseppe Grandaliano nell’Università Cattolica di Roma, Giovanni Stallone nell’Università di Foggia e Giuseppe Castellano nell’Università Statale di Milano, si devono aggiungere i professori associati Carlo Manno, Giovanni Battista Pertosa, Gianluigi Zaza ed i prossimi professori associati Francesco Pesce a Roma e Marco Fiorentino a Bari. Tutti questi allievi hanno svolto un ruolo importante dal punto di vista scientifico e clinico nello sviluppo della Scuola Nefrologia Pugliese, come vincitori di progetti di ricerca finanziati e nuove attività cliniche avviate nella Scuola e partecipando a numerosi Congressi Nazionali ed Internazionali (Figura 3).

 Partecipazione della Scuola Nefrologica Barese al Congresso della Società Italiana di Nefrologia (SIN)
Figura 3: Partecipazione della Scuola Nefrologica Barese al Congresso della Società Italiana di Nefrologia (SIN), Rimini, ottobre 2022. Da sinistra verso destra: il sottoscritto, Pontrelli P, Ranieri E, Simone S, Grandaliano G, Pertosa G, Pesce F e Porri MG.

Comunque desidero sottolineare che non si può dimenticare l’importante ruolo svolto dai biologi nella Scuola. È stata molto fertile la collaborazione tra nefrologi e biologi ai fini della ricerca scientifica nel corso degli anni. Pertanto oggi sono presenti nella Scuola biologi che hanno dato lustro dal punto di vista scientifico e che sono progrediti nella carriera accademica, come Elena Ranieri, Professore Ordinario di Patologia Clinica nell’Università di Foggia, Paola Pontrelli Professoressa Associata di Patologia Clinica e Fabio Sallustio, Professore Associato di Scienze Biologiche nell’Università di Bari. Il numero di biologi e biologhe che ha frequentato la Scuola, nel corso degli anni, è stato elevato per l’enorme attività scientifica che è stata e viene tuttora svolta. Questo fertile connubio tra Nefrologi e Biologi ha radici profonde. Su mia proposta negli anni ’90, nella Facoltà di Medicina di Bari, fu istituita la Scuola Diretta a Fini Speciali di Tecnico di Laboratorio Biomedico, trasformata negli anni successivi in Laurea di primo livello e dopo in Laurea magistrale.

Negli anni successivi furono costituiti il Consorzio Europeo per gli studi della IgA nefropatia, supportato da un finanziamento dell’Unione Europea, la Rete regionale di omiche applicate agli esseri viventi, supportato da un finanziamento del Ministero dell’Università, e la rete nazionale di omiche applicate ai Trapianti Renali, supportato da un finanziamento del Ministro della Salute.

Un’altra importante iniziativa, che ha permesso a medici e biologi di collaborare nella ricerca, fu la richiesta, da parte mia, di istituire il Dottorato di ricerca in Scienze Trapiantologiche. Questa richiesta fu da me avanzata dopo aver costituito il Dipartimento di Emergenza e Trapianti di Organi e Tessuti, che diressi per il primo triennio. Inoltre per più di 25 anni sono stato il coordinatore delle attività trapiantologiche in Puglia. Dopo 24 trapianti di rene da donatore vivente, effettuati dal 1973 al 1983, iniziò negli anni ’90 un’intesa attività prima con il trapianto di rene, dopo quello di fegato ed infine quello di cuore. Recentemente, in occasione del Congresso Nazionale della Società Italiana Trapianti di Organi e Tessuti, che si è tenuto a Trieste nel mese di ottobre 2022, mi è stata assegnata una Targa per aver dedicato una vita all’attività dei trapianti di organi (Figura 4). In quell’occasione si è trascorsa una bella serata con i colleghi nefrologi partecipanti al programma nazionale trapianti di reni (Figura 5).

Figura 4: Premio “Una vita al servizio dei Trapianti di Organi”.
Figura 4: Premio “Una vita al servizio dei Trapianti di Organi”. Trieste, ottobre 2022. Da sinistra verso destra: Stallone G, Gesualdo L, il sottoscritto, Grandaliano G, Castellano G e Zaza G.
Una serata a Trieste con alcuni nefrologi coinvolti nel programma trapianti di rene a livello nazionale.
Figura 5: Una serata a Trieste con alcuni nefrologi coinvolti nel programma trapianti di rene a livello nazionale. Da sinistra verso destra: Biancone L (Torino), La Manna G (Bologna), Maggiore U (Parma), Garosi G (Siena), Zaza G (Foggia), Castellano G (Milano), Gesualdo L (Bari), il sottoscritto, Minetti E (Milano), Stallone G (Foggia), Grandaliano G. (Roma).

 

La mia famiglia e l’attività extra-lavorativa

Devo confessare che non sono stato un padre esemplare per la mia scarsa presenza in famiglia; però sono stato fortunato perché questo compito è stato completamente svolto da mia moglie che, in qualità di docente nella scuola, ha saputo seguire con affetto i nostri due figli sino al conseguimento della laurea.  Mio figlio Stefano, oggi, è Professore Associato di Cardiochirurgia nel Medical College of Wisconsin, Milwaukee, USA. Mia figlia Valentina, dopo un lungo periodo trascorso nel mondo della moda, ha deciso da qualche anno di intraprendere una nuova attività costituendo la Puglia Concierge per turisti stranieri.

La mia passione per lo sport

Questa passione è vissuta da molti decenni praticando sport non agonistico, quale una corsa di 8-10 km un paio di volte a settimana prima ed ora una volta a settimana, preferibilmente la domenica. Nel mese di marzo ho partecipato alla Run Like a Deejay di 10 km in pianura a Bari con buon successo (Figura 6). Quindi nel mio libro “Manuale della Dieta Mediterranea” dove consiglio ai pazienti di praticare attività fisica moderata, a seconda dell’età, metto in pratica questo consiglio anche per me stesso ogni settimana. Ho constatato di persona come con l’avanzare dell’età, dopo la corsa, c’è una maggiore velocità di pensiero e ideazione, grazie all’ossigenazione delle cellule cerebrali durante l’attività fisica.

Sono un appassionato di calcio, tifoso della Juventus e del Bari. Vado spesso allo stadio, specialmente quando ci sono squadre che possono esprimere il bel gioco. basato sulla velocità, prestanza fisica ed intelligenza nel saper smarcarsi. I recenti campionati del mondo sono stati una prova testimoniale di questo tipo, intelligente e divertente, di gioco del calcio.

Figura 6: Arrivo al traguardo dopo aver percorso la Run Like a Deejay di 10 km in pianura a Bari nel marzo 2023.
Figura 6: Arrivo al traguardo dopo aver percorso la Run Like a Deejay di 10 km in pianura a Bari nel marzo 2023.

La mia passione per il cinema ed il teatro

Il buio della sala cinematografica mi affascina perché è il luogo ideale per apprezzare e criticare un buon film; d’altronde i film in concorso nei Festival si proiettano solo in sale cinematografiche. Si tratta di un luogo completamente differente da quello di casa dove spesso, alla televisione, si vedono anche buoni film ma non si apprezzano perché, stando in casa, ti ricordi sempre quello che c’è da fare. Pertanto la prova di questa passione è testimoniata dalla frequentazione delle sale cinematografiche quando sono proiettati film interessanti. In conclusione, il film la domenica è quasi d’obbligo.

Frequento meno il teatro, ma sono presente quando ci sono delle buone rappresentazioni teatrali realizzate da artisti di alto livello professionale.

 

Conclusioni

Lo scopo di questo articolo è stato, principalmente, quello di narrare come è nata la Scuola Nefrologica Barese, basata principalmente sul mio impegno e su quello dei miei allievi. La mia più viva speranza è che i miei allievi si ricordino sempre di perseguire obiettivi di eccellenza scientifica e, quando dovranno scegliere una persona da formare, quale potenziale futuro giovane ricercatore, osservino sempre i due principi fondanti della Scuola: serietà professionale, basata su un’ottima conoscenza clinica, e serietà scientifica, supportata da un’ottima produzione scientifica.

 

Bibliografia

  1. Timio M. Professor F.P. Schena: an all-round protagonist of nephrology. G Ital Nefrol. 2010 Nov-Dec;27(6):681-4.
  2. Schena F.P., Fogazzi G.B. Interviste con la Storia della Nefrologia Italiana. pag 165- 174, 2016 Wichtig Editore, Milano.

Insufficienza renale acuta da sindrome orellanica: caso clinico

Abstract

La sindrome orellanica è determinata da funghi del genere Cortinarius orellanus e speciosissimus (Europa), Cortinarius fluorescens (Sud America), Cortinarius rainierensis (Nord America).

I sintomi, inizialmente aspecifici come dolori muscolari e addominali, sensazione di gusto metallico in bocca, dopo alcuni giorni diventano più specifici, quali sete intensa, cefalea, brividi senza febbre, anoressia, a cui poi segue una fase di poliuria e poi di oligoanuria.

L’evoluzione verso l’insufficienza renale si verifica nel 70% dei casi e molto spesso risulta irreversibile.

Il caso clinico riguarda un uomo di 52 anni che ha sviluppato un’insufficienza renale acuta da sindrome orellanica con necessità di emodialisi.

Parole chiave: sindrome orellanica, fungo Cortinarius, dialisi

Introduzione

Esistono migliaia di specie diverse di funghi. L’effetto tossico dei funghi è dovuto a diversi fattori quali il tipo di veleno, la dose assunta, la concomitante assunzione di altre sostanze, il peso del soggetto. In base al tempo di comparsa dei sintomi le intossicazioni da funghi vengono suddivise in sindromi a breve, media e lunga latenza. Nelle prime la sintomatologia si manifesta entro 6 ore dall’ingestione, mentre in quelle a media-lunga latenza i sintomi compaiono tra le 6 e le 24 ore dall’ingestione, e a volte anche dopo qualche giorno.

Tra le sindromi a breve latenza che possono provocare un danno renale troviamo: la sindrome paxillica o citotossica allergica (Paxillus involutus e filamentosus) e la sindrome emolitica (Amanita rubescens, aspera, vaginata) che causano emolisi immunomediata. Tra le sindromi a media latenza di interesse nefrologico vi sono: la sindrome nefrotossica o norleucinica (Amanita smithiana Bas e Amanita solitaria) che comporta una grave insufficienza renale (a volte con necessità di trattamento sostitutivo extracorporeo renale), fortunatamente reversibile il più delle volte, e la sindrome rabdomiolitica (Thricholoma equestre, auratum e Russula subnigricans), che porta a una vera e propria rabdomiolisi.

Le sindromi a lunga latenza si caratterizzano per la loro elevata tossicità. Tra queste troviamo la sindrome gyromitrica (Gyromitra esculenta, gigas) che è causata dalla tossina chiamata giromitrina, dannosa per il tratto gastro intestinale, epatotossica e nefrotossica; la sindrome orellanica, determinata da funghi del genere Cortinarius, caratterizzata da sintomi inizialmente aspecifici per poi evolversi irreversibilmente verso l’insufficienza renale. La tossina responsabile si chiama orellanina [1, 2].

 

Caso clinico[2

Il nostro caso clinico riguarda un uomo caucasico di 52 anni che si presentava al Pronto Soccorso del nostro nosocomio per presenza di malessere generalizzato, gonfiore addominale, diarrea e oligoanuria riferita da circa 4 giorni. Gli esami ematochimici dimostravano la presenza di grave insufficienza renale (creatinina 25 mg/dl, urea 262 mg/dl, eGFR 1,8 ml/min/sc), iperkaliemia 7,1 mmol/l, iposodiemia 125 mol/l, ipocalcemia 1,84 mmol/l, PCR 42 mg/l, crasi ematica nella norma, normale equilibrio acido-base, funzione epatica e pancreatica nella norma, glicemia 112 mg/dl, mioglobinemia e CPK nella norma, protidogramma nella norma, esame urine non eseguibile per anuria. Ad esami bioumorali eseguiti dal paziente per altre ragioni 2 mesi prima la funzione renale risultava essere nella norma (creatinina 0,8 mg/dl), pertanto ci orientavamo per una forma di AKI (acute kidney injury).

Il paziente risultava vigile, orientato nello spazio, nel tempo e rispetto alla propria identità, apiretico, iperteso (160/90 mmHg), eupnoico in aria ambiente. Veniva predisposto il ricovero nella nostra UOC di Nefrologia per le cure e gli approfondimenti del caso.

Obiettivamente all’ingresso: non edemi declivi, toni cardiaci validi e ritmici, crepitii bibasali all’auscultazione del torace, addome trattabile, non dolente, cute normoidratata. Veniva posizionato un catetere vescicale che confermava l’anuria. Il paziente negava di aver assunto farmaci o sostanze. Inoltre negava episodi infettivi nelle settimane precedenti.

In anamnesi comparivano storia pregressa di litiasi renale, ipertensione arteriosa in terapia farmacologica, non allergie note, assenza di familiarità per patologie renali o genetiche.

Per escludere una causa ostruttiva veniva eseguita una TAC addome (Figura 1) che mostrava la presenza di versamento pleurico e addominale, reni con aspetto globoso con presenza di elementi calcolotici bilateralmente, non segni di idronefrosi, vescica depleta. Venivano nel frattempo eseguiti gli esami di autoimmunità per escludere una possibile causa di nefrite immunomediata.

Figura 1: TAC addome del paziente.
Figura 1: TAC addome del paziente.

Dopo un tentativo infruttuoso di stimolare, per circa 24 ore, la diuresi con furosemide al dosaggio di 1 grammo per via endovenosa in infusione continua, in seconda giornata si posizionava un catetere venoso centrale temporaneo in vena giugulare interna destra e veniva avviato trattamento emodialitico intermittente mediante dialisi bicarbonato senza anticoagulazione.

In terza giornata veniva erogato il secondo trattamento emodialitico senza complicanze e con miglioramento degli esami bioumorali (in particolare della potassiemia e dell’azotemia).

Avendo escluso le principali cause di AKI e persistendo l’anuria, in attesa del risultato degli esami di autoimmunità, interrogavamo nuovamente il paziente con una maggiore attenzione sull’eventuale consumo di cibi non consueti. Il paziente ricordava di aver consumato circa 15 giorni prima un risotto con dei funghi raccolti in montagna dalla moglie.

Decidevamo pertanto di contattare immediatamente il centro antiveleni di Pavia i cui esperti ci informavano dell’esistenza di un fungo, il Cortinarius orellanus, i cui effetti, dopo consumo, potevano presentarsi anche a distanza di diversi giorni e che purtroppo non esistevano antidoti, il danno risulta irreversibile, quindi nel caso di anuria l’unica terapia salvavita risultava essere il trattamento renale sostitutivo extracorporeo. Per la diagnosi è fondamentale l’identificazione della specie fungina ingerita con un accurato esame micologico sia macro che microscopico effettuato sui resti del cibo cotto. Nel caso preso in esame, non c’erano residui di alcun genere del fungo ingerito. Che si trattasse effettivamente del fungo in oggetto ce lo confermava la moglie del paziente che lo riconosceva nelle foto fatte visionare. A questo punto abbiamo ritenuto superflua l’esecuzione di una biopsia renale.

Purtroppo anche la signora (anamnesi muta, nessuna terapia farmacologica domiciliare) ne aveva fatto ingestione anche se in misura minore; è stata quindi ricoverata nel nostro reparto per eseguire idratazione endovenosa: gli esami di funzione renale all’ingresso dimostravano una creatinemia di 2,8 mg/dl (normofunzione ad esami di un mese prima), normale ionemia, normale crasi ematica, diuresi conservata con esame urine negativo, ecografia addome nei limiti di norma. Purtroppo alla dimissione avvenuta 5 giorni dopo la funzione renale della signora rimaneva decurtata con un eGFR intorno ai 28 ml/min/sc.

Il nostro paziente ha proseguito con le sedute emodialitiche dapprima quotidiane, poi a giorni alterni, ma non vi è stata alcuna risposta clinica, si è mantenuto sempre anurico; una volta stabilizzato è stato dimesso ed avviato a trattamento cronico con emodialisi a ritmo trisettimanale. Successivamente è stato avviato il percorso di valutazione per immissione in lista trapianto da donatore cadavere, trapianto che è avvenuto 15 mesi dopo con ottimo esito.

  Al ricovero 2a giornata 3a giornata 4a giornata 5a giornata
creatininemia (mg/dl) 25 26 18 14 8
azotemia (mg/dl) 262 270 200 155 130
pH venoso 7,35 7,34 7,35 7,34 7,34
HCO3- (mmol/l) 25 23 24 25 25,5
pCO2 (mmHg) 34 35,1 34,9 36,4 36,3
pO2 (mmHg) 97 98 98 98 97
BE (mmol/l) 0 0 0 0 0
potassiemia (mmol/l) 7,1 6,8 5,5 5 4,7
sodiemia (mmol/l) 125 126 130 135 139
calcemia (mmol/l) 1,84 1,9 2,3 2,4 2,4
Diuresi (ml/24 h) 0 0 0 0 0
Tabella I: Esami ematochimici.

 

Discussione 

La sindrome orellanica è determinata da funghi del genere Cortinarius orellanus (Figura 2) e speciosissimus (Europa), Cortinarius fluorescens (Sud America), Cortinarius rainierensis (Nord America). Queste specie di funghi producono una tossina chiamata orellanina, isolata per la prima volta nel 1955 dal medico polacco Stanisław Grzymała in seguito ad un avvelenamento di massa durante un banchetto nuziale che provocò ben 15 morti [1].

Figura 2: Cortinarius orellanus
Figura 2: Cortinarius orellanus

La tossina possiede una struttura bipiridinica. Chimicamente è costituita da doppi anelli eterociclici con un atomo d’azoto, di struttura cristallina, inodore, citotossica e termostabile. Non si inattiva con l’essiccamento e resiste all’ebollizione, solo le altissime temperature (oltre 270°C) e la luce ultravioletta trasformano l’orellanina in orellina, non tossica. La dose letale nell’uomo è pari a 40-50 g di fungo fresco ma sono sufficienti quantità minori per provocare danni renali irreversibili.

Questa tossina presenta un meccanismo d’azione non ancora ben definito: si ipotizza che l’orellanina sia metabolizzata a livello epatico e che, solo successivamente, si depositerebbe a livello renale, determinando un danno tale da portare alla necrosi dei tubuli renali. La patogenesi del danno renale è spiegabile con la quasi completa inibizione della fosfatasi alcalina, da parte dell’orellanina che, interrompendo la produzione di adenosintrifosfato (ATP), indispensabile per il metabolismo cellulare, conduce alla necrosi delle cellule dei tubuli renali [2].

La sindrome orellanica si caratterizza da sintomi inizialmente aspecifici come dolori muscolari e addominali, sensazione di gusto metallico in bocca, dopo alcuni giorni (fino a 20 giorni dopo l’ingestione) compaiono sintomi più specifici quali sete intensa, cefalea, brividi senza febbre, anoressia, seguiti da una fase di poliuria e poi di oligoanuria; l’evoluzione verso l’insufficienza renale si verifica nel 70% dei casi e molto spesso risulta irreversibile. L’esame istologico renale dimostra un quadro di nefrite interstiziale con necrosi tubulare diffusa, ostruzione tubulare da materiale necrotico, edema interstiziale, alterazioni glomerulari ischemiche con disintegrazione dei microvilli dell’orletto a spazzola e tendenza alla fibrosi interstiziale [3, 4].

L’unica terapia a disposizione è l’idratazione se la diuresi è ancora conservata, ma il danno renale rimane comunque irreversibile portando ad insufficienza renale cronica; più spesso il paziente risulta anurico e necessita di dialisi a vita fino ad un eventuale trapianto di rene.

 

Conclusioni

Il caso clinico in questione ci ricorda che nei casi di AKI da causa non chiara vanno sempre indagate tutte le possibili cause di insufficienza renale comprese quelle più rare come quelle conseguenti all’ingestione di funghi velenosi, soprattutto nel periodo estivo/autunnale. L’anamnesi approfondita resta sempre di fondamentale importanza.

 

Bibliografia

  1. Warrell DA, Eddleston M. In: Hunter’s Tropical Medicine and Emerging Infectious Disease (Ninth Edition): Elsevier Science, 2013; 923-937.
  2. Dickman KG, Grollman AP. In: Comprehensive Toxicology: Elsevier Science, 2010; 433-458.
  3. Berthaud S, Descotes J. In: Human Toxicology: Elsevier Science,1996; 719-729.
  4. Valli A. et al. I funghi quali causa di malattia renale. Atti del 2° Convegno Internazionale di Micotossicologia, Rovereto, Italia, 2002, 163-174.

Impatto del telemonitoraggio in dialisi domiciliare: risultati di 5 anni di osservazione

Abstract

La dialisi (emodialisi e dialisi peritoneale) rappresenta una delle alternative terapeutiche per i pazienti affetti da insufficienza renale cronica e può essere erogata in diversi setting, tra cui quello domiciliare. Esistono in letteratura evidenze che dimostrano come la dialisi domiciliare possa garantire una migliore sopravvivenza e qualità di vita, e vantaggi di tipo economico. Tuttavia, esistono delle barriere che ne ostacolano l’impiego, come il “senso di abbandono” riferito dai pazienti che ricevono cure a domicilio.

Il presente studio valuta la capacità del sistema di telemedicina Doctor Plus® Nephro, adottato nel Centro di Nefrologia del P.O. G.B. Grassi di Roma-ASL Roma 3, di monitorare efficacemente i pazienti e di migliorare la qualità delle cure. Dal 2017 al 2022 sono stati osservati N=26 pazienti (durata media di osservazione per paziente: 2,3 anni). Dall’analisi è emerso come il programma identifichi tempestivamente le possibili anomalie dei parametri vitali e attivi una serie di interventi atti a normalizzare l’eventuale profilo alterato. Nel periodo in studio, il sistema ha rilasciato N=41.563 avvisi (N=1,87 avvisi per paziente/giorno), di cui N=16.325 (39,3%) di tipo clinico e N=25.238 (60,7%) di mancata misura. Tali avvisi hanno garantito una duratura stabilizzazione dei parametri, con benefici sulla qualità di vita dei pazienti. Si è osservato un trend di miglioramento nella percezione dello stato di salute (questionario EQ-5D; +11,1 punti sulla scala VAS), nel numero di accessi in strutture ospedaliere (-0,43 accessi/paziente in 4 mesi) e di giornate lavorative perse (-3,6 giorni persi in 4 mesi). In conclusione, Doctor Plus® Nephro rappresenta uno strumento utile ed efficiente per gestire i pazienti in dialisi domiciliare.

Parole chiave: insufficienza renale cronica, dialisi, emodialisi, Doctor Plus® Nephro, telemonitoraggio, televisita

Introduzione

L’insufficienza renale cronica (IRC) è una malattia severa che se non trattata adeguatamente può avere un impatto negativo sulla qualità e l’aspettativa di vita. Storicamente, i pazienti affetti da IRC dispongono di due alternative terapeutiche: il trapianto d’organo, attuabile in una casistica selezionata, e la dialisi (emodialisi e dialisi peritoneale) [13]. A livello globale, le stime del 2010 segnalavano una prevalenza di 2.050 milioni di soggetti dializzati, un numero destinato a raddoppiare, almeno, intorno al 2030 [4]. In Italia, si stima che il numero di pazienti attualmente in dialisi sia pari a circa 45-49.000 [2].

La dialisi può essere erogata in diversi setting, tra cui quello domiciliare. Nonostante questa pratica sia stata introdotta ormai da circa 60 anni, la dialisi domiciliare non è il setting utilizzato più comunemente in Italia, rappresentando circa il 15% [3].

Alcuni dei vantaggi della dialisi domiciliare sono piuttosto ovvi, come la maggiore flessibilità nell’organizzare le sessioni, la riduzione degli spostamenti verso il luogo di cura (particolarmente importante per i pazienti anziani e i loro familiari o caregiver), e l’opportunità di condurre uno stile di vita più regolare, senza la necessità di doversi recare frequentemente in ospedale, clinica o ambulatorio [5]. Inoltre, evidenze scientifiche riportano come la dialisi domiciliare possa garantire una migliore sopravvivenza, qualità di vita e opportunità di riabilitazione [6], associate a dei vantaggi di tipo economico [4]. Studi clinici randomizzati, pongono l’accento sulla correlazione tra maggiore frequenza e regolarità delle sessioni e l’efficacia terapeutica raggiungibile, in termini di controllo del filtrato, della pressione arteriosa, della ipertrofia ventricolare sinistra [713].

Alla luce dei vantaggi riportati, il basso livello di impiego della dialisi domiciliare può sembrare un’opportunità non adeguatamente sfruttata; a parziale spiegazione vengono riportate delle barriere significative che ne ostacolano l’impiego [5]. In prima istanza, la dialisi domiciliare può risultare un’operazione complessa, non accessibile per qualsiasi famiglia. I pazienti con IRC in dialisi domiciliare riferiscono spesso un “senso di abbandono” da parte del personale sanitario, in aggiunta ad ansia e stress dovuti alla paura di non essere adeguatamente monitorati [5]. La mancanza di supervisione da parte del personale sanitario può far temere che i pazienti risultino meno aderenti alla terapia, non solo nella frequenza della dialisi, ma anche nel rispetto delle prescrizioni farmacologiche e delle raccomandazioni su dieta e stile di vita [3, 7, 1418].

Queste potenziali criticità suggeriscono pertanto che la dialisi domiciliare necessiti di un ulteriore supporto che consenta di migliorare la soddisfazione dei pazienti e, di conseguenza, l’aderenza al trattamento [19]. La telemedicina va esattamente nella direzione di creare e promuovere una connessione efficiente tra pazienti e operatori [16]. Inoltre, il telemonitoraggio consente ai medici di modificare la terapia, richiedere visite specialistiche, e rimanere in un contatto empatico con i pazienti.

Recentemente, la pandemia da COVID-19 ha fornito un nuovo slancio all’implementazione della telemedicina [20]. I pazienti anziani, fragili e con molteplici comorbidità, sono a rischio di contrarre la malattia da COVID-19 sia durante le sessioni di dialisi ospedaliera, sia semplicemente recandosi sul luogo di cura ed entrando in contatto con soggetti positivi [21]. La telemedicina favorisce, pertanto, il distanziamento sociale, garantendo allo stesso tempo un’elevata qualità di cura e un’attenzione al paziente che possono essere addirittura superiori rispetto alla visita di persona.

È interessante notare che l’importanza della telemedicina era già stata enfatizzata in epoca pre-COVID-19 dal Piano Nazionale della Cronicità (PNC), una delle principali linee di intervento per la gestione della cronicità pubblicata nel 2016. Nel PNC, si riporta testualmente che il processo di cura e riabilitazione “è facilitato dalla trasmissione di dati relativi ai parametri vitali tra il paziente (a casa, in farmacia, in strutture assistenziali) e una postazione di monitoraggio, per la loro interpretazione e l’adozione delle scelte terapeutiche necessarie (ad esempio, servizi di Teledialisi) [22].

In linea con queste raccomandazioni, il Centro di Nefrologia del P.O. G.B. Grassi di Roma-ASL Roma 3 ha adottato e valutato i vantaggi clinici e sociali del Programma Doctor Plus® Nephro, nato dalla collaborazione tra Vree Health Italia e Fresenius Medical Care, per il telemonitoraggio e televisita dei pazienti in dialisi domiciliare.

Il Programma Doctor Plus® Nephro, è composto da un “Portale clinico” online per la gestione del programma e la raccolta dei dati, da un “KIT di Programma” che comprende dispositivi medici per il telemonitoraggio e la APP Vreely®, e da un “Centro Servizi” dedicato, composto da personale amministrativo disponibile da remoto. Il sistema è stato ampiamente descritto in un una precedente pubblicazione [23].

L’obiettivo del presente lavoro è quello di analizzare le evidenze relative al monitoraggio dei pazienti arruolati nel Programma Doctor Plus® Nephro, in modo da studiarne le caratteristiche al basale, l’andamento dei segni vitali nel tempo, gli effetti dell’implementazione di un programma di televisita unitamente al programma di telemonitoraggio. In particolare, è stata analizzata la capacità del sistema di monitorare efficacemente i pazienti e della televisita di migliorare la qualità delle cure anticipando possibili complicanze, riducendo accessi imprevisti alla struttura ospedaliera (pronto soccorso) e costi per la gestione delle malattie in acuto.

 

Pazienti e metodi

Disegno dell’analisi e fonte dei dati

Il presente studio ha analizzato tutti i pazienti appartenenti al Centro di Nefrologia della ASL Roma 3 sottoposti a dialisi domiciliare e inseriti nel programma di telemonitoraggio domiciliare nel periodo 3 luglio 2017 – 17 gennaio 2022. Ogni paziente è stato osservato per un periodo minimo di 6 mesi. Per quantificare l’entità del servizio Doctor Plus® Nephro, e valutare l’andamento dello stato di salute dei pazienti, è stata condotta un’analisi del database del “Portale Clinico” che gestisce tutta la logistica assistenziale. All’interno di questo database sono stati registrati tutti i dati anagrafici del paziente (e del caregiver, se presente), le informazioni relative al piano di monitoraggio elaborato dal medico specialista in relazione alle necessità del paziente, i parametri clinici registrati dai dispositivi medici usati dai pazienti, gli eventuali avvisi generati da misure non effettuate o misure fuori soglia rispetto ai range prestabiliti, e i risultati dei questionari di qualità di vita e soddisfazione periodicamente somministrati al paziente. L’analisi del database e la raccolta dei dati sono state effettuate da Vree Health aggregando le informazioni in maniera del tutto anonima.

Popolazione in studio

Sono stati considerati eleggibili tutti i soggetti in dialisi domiciliare afferenti al Centro di Nefrologia della ASL Roma 3 che, durante il periodo di osservazione (luglio 2017 – gennaio 2022), erano stati avviati al servizio di telemonitoraggio e possedevano i seguenti requisiti: i) età maggiore o uguale a 18 anni; ii) in dialisi peritoneale o emodialisi domiciliare; iii) almeno 6 mesi di permanenza all’interno del Programma Doctor Plus® Nephro.

Outcome misurati

Nell’analisi sono state misurate le seguenti variabili: i) caratteristiche del paziente al momento di inserimento nel Programma di telemonitoraggio (t0): età, sesso del paziente; ii) periodo di permanenza nel programma: data della prima e dell’ultima misurazione; iii) dati clinici del paziente: peso, pressione, pulsazioni, glicemia (solo pazienti diabetici) e ossimetria, con relativa indicazione di data e ora; avvisi dovuti a mancata misura o per misurazioni fuori soglia, con relativa indicazione di data, ora e valore; iv) data, tipologia (chiamata o visita) e motivazione dei singoli interventi non pianificati del Centro di Nefrologia sui pazienti in monitoraggio per gestire eventuali avvisi; v) dati raccolti al t0 e ogni 4 mesi: risultati di un questionario sottoposto ai pazienti su percezione della qualità servizio, ricoveri, accessi al pronto soccorso, visite specialistiche non programmate e giorni lavorativi persi calcolati dal paziente nel periodo precedente la rilevazione del dato.

Il piano di monitoraggio dei dati clinici prevedeva le seguenti misurazioni:

  • Peso: ogni mattina (entro le 12.00).
  • Pressione, pulsazioni e ossimetria: ogni mattina (entro le 12.00) e ogni sera (entro le 00.00).
  • Glicemia (solo pazienti diabetici): tre volte a settimana, ogni mattina (entro le 12.00) e ogni sera (entro le 00.00).

L’analisi statistica è stata condotta utilizzando i programmi Microsoft® Excel® per Windows® (Microsoft Corporation, Seattle, WA, USA), e STATA 13.

 

Risultati

Caratteristiche al basale e andamento dei parametri vitali nel tempo

Nel periodo in studio, N=34 pazienti sono stati inseriti nel programma Doctor Plus® Nephro. Di questi, N=26 pazienti (76,47% del totale) sono stati osservati per più di 180 giorni e sono stati dunque considerati eleggibili per l’analisi. Dei N=26 pazienti arruolati, N=3 (12%) erano in emodialisi domiciliare quotidiana e N=23 (88%) in dialisi peritoneale. La durata media di osservazione della coorte è stata pari a N=855 giorni (2,3 anni) per un totale cumulativo di N=22.239 giorni di inserimento nel programma. Il rapporto maschi/femmine è risultato piuttosto bilanciato (N=14 femmine, 53,9%; N=12 maschi, 46,1%), e l’età media era pari a 62,7 anni (deviazione standard: 14,3). Per ciascun paziente e per ciascuno dei parametri in studio, è stato calcolato un valore basale, utilizzando la mediana di ogni singola misura nell’arco temporale dei primi 60 giorni di osservazione. Questo calcolo ha consentito di stabilire quale fosse, approssimativamente, la distribuzione al basale dei diversi parametri analizzati all’interno del programma; i risultati sono mostrati in Tabella I. I dati sono riportati in forma aggregata senza distinzione tra pazienti in emodialisi domiciliare o dialisi peritoneale.

N pazienti valutati Tipo misura Media Deviazione standard 25mo percentile Mediana 75mo percentile
25 Peso (Kg) 68,0 19,1 59,2 68,6 75,1
26 Pressione diastolica (mmHg) 79,0 8,4 74,0 79,4 84,5
26 Pressione sistolica (mmHg) 131,1 14,8 125,5 130,3 137,8
26 Pulsazioni (n/minuto) 69,1 10,8 61,5 67,3 77,0
23 % di ossigeno (%) 97,7 1,0 97,0 98,0 98,0
23 Pulsazioni ossigeno (n/minuto) 71,1 9,5 65,5 69,5 80,0
Tabella I: Distribuzione dei parametri vitali al basale.

La determinazione puntuale dei parametri vitali della coorte in studio ha consentito di estrapolare l’andamento temporale (mensile) dei parametri stessi. La Figura 1 illustra il profilo dei principali parametri monitorati dal sistema nel tempo. Lungo l’asse delle ordinate (y) sono riportati i valori medi (punti blu) e l’errore standard (barretta) dei parametri misurati, ad ogni time-point considerato. La figura mostra i dati in forma aggregata per tutti i N=26 pazienti inseriti nel programma. Da un’attenta disamina della figura si evince come i parametri vitali variano nel tempo (con oscillazioni maggiori nel lungo termine, dovute alla riduzione del numero di pazienti osservati) a testimonianza del fatto che il programma di monitoraggio associato a Doctor Plus® Nephro sia in grado di indentificare tempestivamente le possibili anomalie e attivare una serie di interventi atti a normalizzare l’eventuale profilo alterato.

Andamento medio (ed errore standard) dei parametri vitali nel tempo
Figura 1: Andamento medio (ed errore standard) dei parametri vitali nel tempo (N=26 pazienti): A) Peso; B) Pressione diastolica; C) Pressione sistolica; D) Pulsazioni; E) % di ossigeno; F) Pulsazioni ossigeno. PAS: pressione arteriosa sistolica; PAD: pressione arteriosa diastolica; Puls oss: pulsazioni ossigeno.

Avvisi di sistema

Nel periodo in studio e per i N=26 pazienti analizzati, il sistema ha rilasciato N=41.563 avvisi, di cui N=16.325 (39,3%) di tipo clinico, e N=25.238 (60,7%), di mancata misura. In altri termini, il sistema ha rilasciato poco meno di 2 avvisi al giorno (N=1,87 avvisi/die, pari a N=41.563 avvisi diviso 22.239 giorni di inserimento nel programma). La Tabella II fornisce la stratificazione degli avvisi per tipologia e per priorità dell’avviso stesso. La quasi totalità degli avvisi di mancata misura sono stati classificati di priorità bassa; al contrario, gli avvisi di tipo clinico sono stati prevalentemente classificati di priorità moderata o elevata. Gli avvisi rossi (elevata priorità) comportavano il coinvolgimento del medico che adottava tempestivamente le misure del caso. Gli avvisi con priorità minore erano analizzati durante la visita periodica. 

Tipo di avviso Livello di priorità dell’avviso
Basso Medio Elevato Totale
Clinico, n 2.194 9.107 5.024 16.325
Clinico, % 13,4% 55,8% 30,8% 100,0%
Mancata Misura, n 24.418 820 0 25.238
Mancata Misura, % 96,8% 3,3% 0,0% 100,0%
Totale, n 26.612 9.927 5.024 41.563
Totale, % 64,0% 23,9% 12,1% 100,0%
Tabella II: Distribuzione degli avvisi rilasciati nel periodo in studio, per tipo e priorità.

È importante notare che lo stesso tipo di avviso (ad esempio, la mancata misura di un determinato parametro) poteva ripetersi più volte nello stesso giorno. Il numero distinto di avvisi (ottenuto eliminando gli avvisi ripetuti nello stesso giorno) è stato pari a N=16.931. Di questi avvisi, il 39,4% (N=6.674) erano avvisi di tipo clinico, distribuiti per tipo di misura come indicato in Tabella III. Seppur non essendo possibile un confronto del sistema rispetto a un gruppo di controllo, i valori assoluti mostrano comunque una frequenza di rilascio e un’intensità del livello di controllo molto elevati.

Tipo anomalia Descrizione anomalia Numero avvisi (n) Frequenza relativa sul totale (%)
Saturazione di ossigeno Anomalia % ossigeno (86-94) 66 1,0%
Anomalia % ossigeno (<86) 20 0,3%
Pressione diastolica Anomalia PAD (85-90 mmHg) 156 2,3%
Anomalia PAD (90-100 mmHg) 474 7,1%
Anomalia PAD (<70 mmHg) 44 0,7%
Anomalia PAD (<90 mmHg) 1 0,0%
Anomalia PAD (>100 mmHg) 38 0,6%
Pressione sistolica Anomalia PAS (130-140 mmHg) 949 14,2%
Anomalia PAS (130-150 mmHg) 167 2,5%
Anomalia PAS (140-160 mmHg) 1.474 22,1%
Anomalia PAS (150-170 mmHg) 233 3,5%
Anomalia PAS (>160 mmHg) 206 3,1%
Anomalia PAS (>170 mmHg) 64 1,0%
Glicemia Anomalia glicemia (110-126 mg/dL) 16 0,2%
Anomalia glicemia (126-170 mg/dL) 61 0,9%
Anomalia glicemia (70-90 mg/dL) 36 0,5%
Anomalia glicemia (<70 mg/dL) 1 0,0%
Peso Incremento peso 2.668 40,0%
Totale 6.674 100,0%
Tabella III: Distribuzione degli avvisi clinici rilasciati per area di anomalia (e relativo dettaglio).
PAS: pressione arteriosa sistolica; PAD: pressione arteriosa diastolica.

Tassi di copertura e frequenza di valori fuori range

La sistematicità con cui il sistema Doctor Plus® Nephro raccoglie le informazioni fornisce l’opportunità di valutare altri due indicatori: i) il tasso di copertura, ossia il rapporto tra il numero di misure raccolte dal sistema e il numero di giorni di permanenza nel sistema (idealmente un tasso di copertura pari al 100% si realizzerebbe se ogni giorno il dato riguardante un certo parametro vitale fosse misurato dal paziente e inviato al centro di raccolta dati); ii) la frequenza di valori fuori range, ossia il rapporto tra il numero di valori “anomali” (che attivano un avviso) e il numero delle misurazioni effettuate. La Figura 2 mostra i tassi di copertura e la frequenza di valori fuori range nella popolazione in studio. Nel complesso, è stata registrata una copertura di circa il 60% dei giorni per quanto riguarda la pressione arteriosa; in media i pazienti hanno misurato la pressione (e inviato i dati a sistema) un po’ più frequentemente di un giorno sì e un giorno no. Un valore del 60% denota una sufficiente diligenza del paziente nel controllare il proprio stato di salute e di aderenza al programma, soprattutto se si considera il dato confrontandolo con la permanenza dei pazienti nel programma e la frequenza quotidiana teorica di rilevazione. Il tasso di anomalie pressorie è risultato molto più elevato per la pressione arteriosa diastolica (PAD) che per la pressione arteriosa sistolica (PAS). Infine, il tasso di misurazione di ossigeno è risultato nettamente più basso rispetto a quello di PAD e PAS. Tuttavia, anche in questo caso una copertura di circa il 21% implica che, mediamente, è stata effettuata almeno una misurazione settimanale.

Tassi di copertura e frequenza di valori fuori range dei principali parametri di monitoraggio.
Figura 2: Tassi di copertura e frequenza di valori fuori range dei principali parametri di monitoraggio. PAS: pressione arteriosa sistolica; PAD: pressione arteriosa diastolica.

Qualità di vita e consumo di risorse

Per N=18 pazienti è stato possibile effettuare una valutazione degli outcome di qualità di vita e di consumo di risorse durante il periodo di osservazione. La Tabella IV fornisce un confronto tra i dati (es. punteggi, numero di ricoveri, etc.) durante la prima visita (effettuata tra il 2017 e il 2018) e l’ultima visita (effettuata tra il 2019 e il 2021). Gli outcome riguardano i questionari di qualità di vita SF-12 (12-Item Short Form Survey) e EQ-5D (EuroQoL, 5 dimensioni), la rilevazione di ricoveri, accessi al pronto soccorso, perdita di produttività, e soddisfazione per il servizio.

È interessante osservare che, nel complesso, i punteggi di qualità di vita si sono mantenuti stabili nel corso del tempo e nessuna delle (modeste) differenze riscontrate su alcuni item è risultata statisticamente significativa. Anche i livelli di soddisfazione del servizio si sono attestati su valori elevati sin dall’inizio (prima visita), e si sono mantenuti tali nel corso degli anni (ultima visita). Si è infine osservato un trend di miglioramento, alla fine dell’osservazione rispetto all’inizio, seppur non significativo, in alcuni outcome, quali ad esempio la percezione dello stato di salute nel questionario EQ-5D, la riduzione degli accessi in pronto soccorso e in ospedale, come anche il numero di giornate lavorative perse per sé o per un proprio familiare, a conferma del fatto che il telemonitoraggio ha un potenziale di ottimizzazione del beneficio per il paziente e risparmio di risorse.

Questionario Domanda Scala N pazienti Valore medio p*
Prima visita Ultima visita
SF12 1 – Stato generale salute Da 1=scadente
a 5=eccellente
18 2,67 2,67 1,00
2 – La salute limita nelle attività di moderato impegno fisico? Da 1=parecchio
a 3=per nulla
18 2,11 2,22 0,54
3 – La salute limita nel salire qualche piano di scale? Da 1=parecchio
a 3= per nulla
18 2,33 2,11 0,10
4 – [ultime 4 sett] Salute fisica limita sul lavoro o nelle attività quotidiane? % pazienti che rispondono “Sì” 18 39% 50% 0,50
5 – [ultime 4 sett] Salute fisica limita alcuni tipi di lavoro o di altre attività? % pazienti che rispondono “Sì” 18 33% 44% 0,49
6 – [ultime 4 sett] Stato emotivo limita sul lavoro o nelle altre attività quotidiane? % pazienti che rispondono “Sì” 18 22% 22% 1,00
7 – [ultime 4 sett] Stato emotivo determina cali di concentrazione sul lavoro o in altre attività? % pazienti che rispondono “Sì” 18 17% 17% 1,00
8 – [ultime 4 sett] Il dolore ostacola il lavoro abituale sia in casa che fuori? Da 1=moltissimo
a 5=per nulla
18 4,39 4,06 0,29
9 – [ultime 4 sett] Per quanto tempo si è sentito calmo e sereno? Da 1=mai
a 6=sempre
18 4,28 3,78 0,15
10 – [ultime 4 sett] Per quanto tempo si è sentito pieno di energia? Da 1=mai
a 6=sempre
18 3,33 3,28 0,89
11 – [ultime 4 sett] Per quanto tempo si è sentito scoraggiato e triste? Da 1=mai
a 6=sempre
18 5,00 5,11 0,77
12 – [ultime 4 sett] Per quanto tempo la salute fisica o lo stato emotivo hanno interferito nelle attività sociali? Da 1=mai
a 5=sempre
18 4,06 4,11 0,86
OSP Grassi – 7 1 – [ultimi 4 mesi] Numero accessi al pronto soccorso o ricoveri

N/accessi

in 4 mesi

18 0,22 0,17 0,67
2 – [ultimi 4 mesi] Numero visite specialistiche NON programmate

N/visite

in 4 mesi

18 0,39 0,17 0,22
3 – [ultimi 4 mesi] Numero giorni lavorativi persi (paziente o caregiver)

N/giorni

in 4 mesi

18 2,67 2,06 0,29
4 – Soddisfazione del servizio di monitoraggio della sua patologia Da 1=non soddisfatto
a 5=moltissimo
18 4,22 3,94 0,17
5 – Quanto sarebbe soddisfatto di continuare con l’attuale forma di trattamento? Da 1=non soddisfatto
a 5=moltissimo
18 4,50 4,50 1,00
6 – Raccomanderebbe la sua forma di trattamento? % pazienti che rispondono “Sì” 18 94% 94% 1,00
7 – Quanto la rassicura sapere di poter contare
sul Centro Servizi?
Da 1=non mi rassicura
a 5=moltissimo
18 4,67 4,56 0,50
EQ-5D 1 – Attuale livello di gravità riguardo la mobilità Da 1=molto grave
a 3=nessuno
18 2,94 2,94 1,00
2 – Attuale livello di gravità riguardo la cura personale Da 1=molto grave
a 3=nessuno
18 2,94 2,94 1,00
3 – Attuale livello di gravità riguardo le attività usuali? Da 1=molto grave
a 3=nessuno
18 2,89 2,89 1,00
4 – Attuale livello di gravità riguardo il dolore o disagio? Da 1=molto grave
a 3=nessuno
18 2,72 2,78 0,67
5 – Attuale livello di gravità riguardo l’ansia o la depressione? Da 1=molto grave
a 3=nessuno
18 2,89 2,94 0,58
 6 – Da una scala da 0 a 100, attualmente come percepisce il suo stato di salute? Da 0=peggiore
a 100=migliore
18 69,9 78,7 0,07
Doctor Plus Nephro-7 1 – [ultimi 4 mesi] Numero accessi al pronto soccorso o ricoveri N/accessi in 4 mesi 18 0,28 0,06 0,26
2 – [ultimi 4 mesi] Numero visite specialistiche NON programmate N/visite in 4 mesi 17 0,00 0,06 0,33
3 – [ultimi 4 mesi] Numero giorni lavorativi persi (paziente o caregiver) N/giorni in 4 mesi 17 1,94 0,00 0,16
4 – Soddisfazione del servizio di monitoraggio della sua patologia Da 1=non soddisfatto
a 5=moltissimo
18 3,94 3,94 1,00
5 – Quanto sarebbe soddisfatto di continuare con l’attuale forma di trattamento? Da 1=non soddisfatto
a 5=moltissimo
18 4,11 4,11 1,00
6 – Raccomanderebbe la sua forma di trattamento ad altri? % pazienti che rispondono “Sì” 18 100% 100% 1,00
7 – Quanto la rassicura sapere di poter contare sul Centro Servizi? Da 1=non mi rassicura
a 5=moltissimo
18 3,94 3,83 0,54
Tabella IV: Confronto degli outcome di qualità di vita, soddisfazione del servizio e consumo di risorse, tra la prima e l’ultima visita.
*t-test per dati appaiati per i punteggi numerici; test delle proporzioni per dati binari (sì/no).
EQ-5D, EuroQoL 5 dimensioni; SF, 12-Item Short Form Survey.

Benefici attribuibili al servizio di videochiamata

Un sottogruppo di pazienti inseriti nel programma Doctor Plus® Nephro (N=16) ha beneficiato, nell’arco temporale compreso tra luglio 2020 e gennaio 2022, in occasione della pandemia COVID-19, di un servizio di videovisita attraverso una videochiamata a integrazione del piano convenzionale di monitoraggio. Per questo sottogruppo di pazienti, è stato possibile effettuare un confronto tra il periodo precedente all’implementazione del servizio e quello successivo, per una serie di indicatori, tra cui: i) qualità di vita (misurata con questionario EQ-5D e percezione dello stato di salute con scala analogico-visuale, VAS); ii) consumo di risorse sanitarie (accessi al pronto soccorso, ricoveri e visite specialistiche non programmate negli ultimi 4 mesi) iii) perdita di giorni lavorativi negli ultimi 4 mesi; iv) livello di soddisfazione del servizio.

Dai risultati delle analisi preliminari, è emersa una sostanziale sovrapponibilità tra il periodo precedente e successivo all’implementazione della videochiamata per quanto riguarda la qualità di vita e per il livello di soddisfazione del servizio. Tuttavia, sono stati registrati dei trend interessanti per quanto attiene gli altri indicatori. Ad esempio, il punteggio VAS associato allo stato di salute è aumentato nel periodo di video-visita (81,1 su 100), rispetto al periodo precedente (70,0). Al contrario, il tasso di accesso a pronto soccorso e di ricovero è risultato inferiore nel periodo di video-visita (0,07 episodi in 4 mesi), rispetto al periodo precedente (0,5 episodi in 4 mesi). Infine, il numero di giornate lavorative perse è risultato nullo nel periodo di video-visita (0 giorni lavorativi persi in 4 mesi) rispetto al periodo precedente (3,6 giorni lavorativi persi in 4 mesi). In definitiva, pur essendo questi risultati preliminari, basati su una casistica piuttosto limitata, e non idonei a un confronto statistico vero e proprio, vanno tutti nella direzione di un potenziale vantaggio per la salute del paziente e per la riduzione dei costi di gestione della malattia acuta.

 

Discussione

La presente analisi costituisce un aggiornamento di una prima indagine, condotta nel 2020 [23]. Rispetto alla precedente analisi, è stata considerata una casistica più grande e un orizzonte temporale più ampio. L’ulteriore novità di questa analisi è rappresentata dall’opportunità di aver testato, sebbene in modo preliminare, l’impatto della televisita sulla qualità di vita del paziente e sui costi diretti e indiretti. Sebbene la maggior parte delle analisi non siano comparative (rispetto, per esempio, a un gruppo di non intervento), è ugualmente possibile trarre delle importanti conclusioni: i) un programma di monitoraggio remoto come Doctor Plus® Nephro consente un efficiente controllo dei pazienti in dialisi domiciliare; ii) i risultati osservati sono in linea con una serie di studi osservazionali che hanno confermato la fattibilità di implementazione e i benefici di questi programmi [2428].

Nella presente analisi, sono stati monitorati i parametri vitali di pazienti sino a un massimo di circa 5 anni. I risultati mostrano che i profili dei parametri monitorati sono molto stabili nel tempo, con valori medi centrati sulla normalità e una frequenza delle oscillazioni rispetto ai valori medi piuttosto contenuta, a testimonianza del fatto che, nel caso di un’anomalia (ad esempio un aumento ponderale, oppure un picco pressorio), il sistema attiva una serie di interventi che raggiungono il paziente in maniera precoce. Questa tempestività garantisce un ottimale stato di salute del paziente, che allo stesso tempo si sente rassicurato, vicino al proprio medico curante, e pertanto incentivato a continuare il suo percorso di dialisi domiciliare.

In totale, il sistema ha rilasciato poco meno di 2 avvisi per paziente/giorno. Se escludiamo gli avvisi di mancata misurazione, sicuramente importanti, ma non necessariamente associabili a un peggioramento delle condizioni di salute del paziente, il sistema ha rilasciato 0,73 avvisi per paziente/giorno, che equivale, approssimativamente, a circa 5 segnalazioni in una settimana. Un sistema così presente è capace di intercettare anche minime variazioni dei parametri vitali e innescare una cascata di interventi che possono contenere il problema di salute in maniera tempestiva, riducendo così il rischio di accadimento di episodi più severi, da gestire in un setting acuto ospedaliero.

In aggiunta, i dati di soddisfazione per il servizio e di qualità di vita riportata dai pazienti certificano la bontà del programma, che incontra i bisogni dei pazienti dializzati. In questo contesto, il servizio di televisita, oltre ad avere incontrato i bisogni dei pazienti, sembra aver consentito un risparmio sia in termini di costi diretti (riduzione degli accessi alle strutture ospedaliere per potenziali complicanze), che di costi indiretti (riduzione del numero di giorni di lavoro persi dai pazienti o dai caregiver per recarsi verso il luogo di cura).

Nella sua semplicità, questa analisi offre dati sugli effetti del monitoraggio, quali il miglioramento della qualità di vita dei pazienti, e il potenziale contenimento dei costi. Tali dimensioni sono cruciali per garantire l’efficienza di un programma come Doctor Plus® Nephro, ma non sono gli unici vantaggi di sistema, come evidenziato in maniera esaustiva in altre pubblicazioni [29]. Se potenziati e affinati, i programmi di monitoraggio remoto possono consentire la realizzazione di vere e proprie piattaforme educazionali che mantengono il paziente informato sulle possibilità di cura e motivato a continuare la terapia. Questi programmi incontrano poi l’obiettivo decennale del Servizio Sanitario Italiano, solo parzialmente raggiunto, di transizione di gestione della cronicità dall’ospedale al territorio attraverso una maggiore capacità di raggiungere il paziente, piuttosto che richiedergli di raggiungere il luogo di cura. Questo obiettivo, storicamente perseguito “a macchia di leopardo” dalle amministrazioni sanitarie, è tornato, in epoca COVID-19, a essere una delle sfide più importanti in Sanità.

In ultimo, la possibilità di utilizzare l’enorme mole di dati longitudinali creando delle vere e proprie banche dati utili per indagini di outcome (compliance alle terapie croniche, analisi di outcome, etc.) con uno sforzo relativamente modesto (ormai diversi sistemi sono dotati di connettività – ad esempio Bluetooth) consente di ridurre il problema di dover trasferire dati manualmente, riducendo così anche l’errore di data entry.

 

Conclusioni

Alla luce dei risultati ottenuti, possiamo ritenere che il telemonitoraggio, e in particolare il servizio Doctor Plus® Nephro, sia uno strumento utile per un Centro di Nefrologia nel gestire i pazienti in dialisi domiciliare e possa essere di supporto per affrontare con maggiore consapevolezza e serenità il trattamento domiciliare, migliorando la soddisfazione dei pazienti e dei loro caregiver, in aggiunta ai risultati clinici e sociali.

 

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Calcinosi pseudotumorale iperfosfatemica da mutazione di FGF23 con amiloidosi secondaria

Abstract

Paziente maschio di 44 anni veniva ricoverato per sindrome nefrosica e insufficienza renale rapidamente progressiva. Erano apprezzabili due masse dure di notevoli dimensioni a livello dell’articolazione della spalla sinistra e dell’anca destra. Fin dall’età di 8 anni il paziente riferiva la comparsa di lesioni calcifiche a livello dei tessuti molli per cui era stata ipotizzata calcinosi pseudotumorale iperfosfatemica. Era stato sottoposto a plurimi interventi chirurgici di asportazione delle masse ed era stata impostata terapia con chelanti del fosforo. Il paziente riferiva inoltre episodi febbrili ricorrenti associati a dolore nelle sedi delle lesioni trattati con terapia antibiotica. Agli esami ematochimici effettuati all’ingresso si confermava sindrome nefrosica. La creatinina era 2.8 mg/dl. La calcemia era 8.4 mg/dl, la fosforemia 8.2 mg/dl, il PTHi 80 pg/ml, la 25 (OH) Vitamina D 8 ng/ml. Vi era un lieve incremento dei valori di Serum amiloide A. Alla biopsia renale si riscontrava amiloide AA a livello mesangiale e tubulare. Alla biopsia osteomidollare era presente amiloide a livello vascolare. Nei due mesi successivi l’insufficienza renale progrediva e il paziente veniva avviato a trattamento dialitico. Eseguivamo test genetico che confermava mutazione in omozigosi di FGF23. A 14 mesi dall’inizio della dialisi abbiamo osservato una netta e significativa riduzione delle masse a livello delle articolazioni. Il paziente è in terapia con sevelamer e carbonato lantanio. La serum amiloide A è lievemente aumentata così come la Proteina C reattiva. È presente proteinuria in range nefrosico in assenza di sindrome nefrosica.

Parole chiave: calcinosi pseudotumorale, calcinosi tumorale, FGF23, amiloide AA, insufficienza renale, dialisi

Introduzione

La calcinosi pseudotumorale iperfosfatemica è una rara condizione dovuta a deficit o resistenza all’azione del fibroblast growth factor 23 (FGF23). Dal punto di vista genetico, essa è associata a varianti patogenetiche a trasmissione autosomica recessiva, nei geni codificanti per FGF23 [21] e GALNT3. Quest’ultimo, a sua volta, codifica per una proteina responsabile della glicosilazione di FGF 23 [2123] e KL, regolatrici di KLOTHO, noto co-recettore fondamentale per la trasmissione intracellulare di FGF23 [3]. Ricordiamo che l’azione di FGF23 (Klotho-dipendente) si manifesta in modo simile a quella del paratormone (PTH) a livello del tubulo prossimale, dove inibisce i cotrasportatori sodio-fosforo IIa e IIc, con conseguente effetto fosfaturico. Sull’attivazione della Vit D3, invece, l’azione è opposta a quella del PTH, infatti FGF23 inibisce l’attività della 1-alfa idrossilasi e, quindi, causa una riduzione della 1-25 (OH) Vit D con conseguente inibizione, regolata dal cotrasportatore sodio-fosforo IIb, dell’assorbimento intestinale sia di calcio che di fosforo. In corso di calcinosi pesudotumorale iperfosfatemica, dunque, le mutazioni portano alla perdita della funzione fosfaturica dell’FGF23 con incremento del riassorbimento tubulare del fosforo e dell’1,25 diidrossi Vitamina D; il calcio di solito è normale-elevato e i livelli di PTH sono di solito normali o bassi. 

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Valutazione psicologica del paziente in trattamento dialitico cronico: comparazione tra tecniche sostitutive domiciliari e ospedaliere

Abstract

Il lavoro dello psicologo presente all’interno della Clinica Nefrologica e Dialisi dell’Ospedale SS. Annunziata di Chieti inizia sin dalle prime fasi della scoperta della malattia renale cronica, prosegue nella fase pre-dialitica e nell’avviamento alla terapia renale sostitutiva. L’intervento psicologico ha lo scopo di fornire supporto psicologico ai pazienti che si trovino ad affrontare una malattia organica cronica e ai loro caregiver, nonché di realizzare interventi di rilevazione di bisogni e sostegno al personale sanitario costantemente esposto a pazienti cronici.

Il vissuto percettivo ed emotivo nei confronti della dialisi sembra differenziarsi in base alle molteplici tipologie di terapia: emodialitica ospedaliera e domiciliare, e peritoneale. I differenti vissuti emotivi e percettivi sembrano delinearsi a partire dalla fase di preparazione alla dialisi e sembrano influenzare il processo di accettazione ed adattamento alla malattia e alla terapia.

Parole chiave: psicologia, nefrologia, dialisi, intervento psicologico, pre-dialisi

Introduzione

La possibilità, nel campo delle nuove terapie, di migliorare la prognosi e prolungare la sopravvivenza dei pazienti sembra aumentare l’incidenza delle malattie croniche. Esse sottolineano i bisogni assistenziali dei pazienti, dei familiari coinvolti nella gestione delle cure e del personale sanitario. Le nefropatie rappresentano una delle principali malattie croniche in cui si evidenzia un forte impatto sociale, da ricondurre all’elevato numero di pazienti che ne soffre e alla progressione della malattia fino alla dialisi [1].

La malattia renale cronica (chronic kidney disease, CKD) e il conseguente trattamento dialitico comportano significative ripercussioni psicologiche sul paziente, sui familiari e sul personale sanitario di riferimento [2].

Gli aspetti psicologici derivanti dalla condizione di cronicità della malattia renale pongono l’esigenza di inserire la figura dello psicologo all’interno dell’equipe curante dell’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi. Il fine è quello di garantire la possibilità di un supporto specifico e professionale al paziente nelle diverse fasi che caratterizzano la malattia, ai familiari e al personale sanitario [3].

Il lavoro clinico condotto dal 2018 ad oggi presso l’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Clinicizzato SS. Annunziata di Chieti ha come obiettivo quello di porre le basi per creare un modello di cura integrato in cui rientri la dimensione medica, ma anche emotivo-affettiva, cognitiva e sociale del paziente con CKD e quindi del relativo contesto di cura. Questa collaborazione tra nefrologia e psicologia mira alla creazione di uno spazio per aiutare il malato cronico nel processo di accettazione dei limiti derivanti dalla malattia, rispetto al precedente stile di vita [4].

La presa in carico globale del paziente consente di occuparsi degli aspetti psicologico-relazionali e dei comportamenti collegati al trattamento dialitico cronico, componente essenziale nel favorire livelli di adattamento avanzati e nel mantenimento di una buona compliance [1,3].

 

Progetto di ricerca

Sulla base delle considerazioni esposte è stato sviluppato il progetto di ricerca “Analisi psicologica nel paziente nefropatico cronico” presso l’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Clinicizzato SS. Annunziata di Chieti. Specifico oggetto di studio la valutazione psicologica del paziente in trattamento dialitico cronico, con comparazione tra tecniche sostitutive domiciliari e ospedaliere.

Il lavoro dello psicologo inizia sin dalle prime fasi della CKD, proseguendo nella fase pre-dialitica e nell’avviamento alla terapia renale sostitutiva. La presenza dello psicologico accanto al nefrologo consente al paziente di individuare un punto di riferimento emotivo costante che può essere preso in considerazione a prescindere dalla scelta della metodica dialitica. Lo psicologo, infatti, affianca e accompagna il paziente in dialisi peritoneale, il paziente in emodialisi domiciliare e ospedaliera. Si occupa della preparazione psicologica al trapianto e dell’elaborazione del post trapianto e di supportare i pazienti in regime di ricovero con particolari difficoltà psicologiche in riferimento alla scoperta della malattia. L’obiettivo principale, perseguito in stretta collaborazione con il personale medico, è quello di fornire supporto psicologico ai pazienti che si trovino ad affrontare una malattia organica cronica e ai loro caregiver, nonché di realizzare interventi di rilevazione di bisogni e supporto al personale sanitario costantemente esposto a pazienti cronici [3].

 

Attività clinica

L’attività clinica psicologica si è concentrata sulle diverse fasi nel percorso della malattia del paziente nefropatico: dalla scoperta della patologia, alla preparazione della dialisi, la dialisi, il pre- e post-trapianto.

Pre-dialisi

Nel momento in cui si assiste ad un peggioramento della malattia renale e si accerta l’irreversibilità della CKD negli stadi 4-5 il paziente viene inserito nell’ambulatorio di pre-dialisi, come previsto dal Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) per la gestione integrata della CKD. In questa fase viene comunicata al paziente e ai familiari la necessità di programmare un trattamento sostitutivo della funzione renale. Il programma informativo, educativo e supportivo consente di accompagnare il paziente e favorire quindi il processo di adattamento psicologico ed emotivo alla malattia. Il tipo di lavoro condotto prevede l’affiancamento dello psicologo al nefrologo durante la fase pre-dialitica all’interno dell’attività clinica ambulatoriale. Ciò favorisce da parte del paziente il riconoscimento dello psicologo sin dall’inizio come figura di riferimento nel caso di difficoltà legate alla gestione e all’accettazione della malattia e della terapia dialitica. Così facendo è possibile individuare e contenere eventuali reazioni di rifiuto e accogliere reazioni emotive particolarmente intense al momento della comunicazione dell’inizio della dialisi, aprendo l’ascolto del paziente non solo ad aspetti medici ma anche alle aspettative e motivazioni legate alla metodica scelta [3]. Il percorso di accompagnamento psicologico diventa un supporto costantemente presente e ricercato dai pazienti [5,6].

Il paziente viene in seguito informato riguardo le possibili metodiche sostitutive della funzione renale, dialitiche ospedaliere o domiciliari, e il trapianto renale da vivente pre-emptive. Segue un periodo di riflessione ed elaborazione delle immagini acquisite, in cui l’intervento psicologico risulta fondamentale nell’accettazione dei cambiamenti e nell’adattamento, attraverso una serie di colloqui rivolti individualmente al paziente o in presenza dei familiari.  Questo approccio consente una buona aderenza terapeutica, ingrediente indispensabile affinché il paziente segua le prescrizioni necessarie a migliorare la qualità di vita [7]. Successivamente l’equipe si occupa di verificare le conoscenze acquisite dal paziente e di chiarire eventuali dubbi e paure. La condivisione della scelta è significativa per una buona motivazione e collaborazione del paziente nel percorso terapeutico.

La valutazione psicologica del paziente attivata in questa fase comprende l’esame della personalità, del senso di autoefficacia, del Locus of Control, e delle strategie di coping e meccanismi di difesa messi in atto rispetto alla cronicità della malattia. In base alla valutazione emersa, caratterizzata da colloqui e somministrazione di test, si procede nel definire il tipo di intervento, i tempi e le modalità di un percorso psicologico che, se avviato in una fase preliminare della terapia dialitica, favorisce l’avvio di un processo di adattamento psicologico, condizione sine qua non per il mantenimento del benessere psico-fisico del paziente nella fase successiva. La presenza dello psicologo durante questa fase ha consentito inoltre l’individuazione di situazioni di non aderenza alla terapia e difficoltà nel seguire costantemente le restrizioni dietetiche, rivelando così la necessità di lavorare sui sintomi di negazione alla malattia e disadattamento [3].

Il trattamento dialitico

Nella presa in carico dei pazienti sottoposti a trattamento dialitico sono emersi disturbi ansiosi, stati depressivi, vissuti somatici, disturbi del sonno e disturbi sessuali. Il lavoro psicologico prevede il sostegno psicologico del paziente, il coinvolgimento dei familiari e un empowerment dei livelli di compliance alla terapia, caratterizzata anche da un controllo dell’assunzione dei liquidi che incide sul peso interdialitico. Migliorare l’aderenza alla terapia consente, come vantaggio secondario, il miglioramento dello stile di vita e della qualità di vita legata alla salute del paziente [8]. È emerso come l’inserimento dei colloqui psicologici durante la fase pre-dialitica favorirebbe la presa in carico psicologica e lo svolgimento dei colloqui nella fase dialitica, preferibilmente condotti in uno spazio ambulatoriale che possa garantire la necessaria riservatezza.

Trapianto

Nella presa in carico di un paziente nefropatico dializzato non può mancare la preparazione psicologica all’evento trapianto. L’incorporazione nel proprio corpo di una parte del sé-corporeo di un altro individuo mette in luce un diverso aspetto della dipendenza rispetto a quello correlato alla macchina della dialisi. Forte è la connessione tra la possibilità di vita del paziente e la morte dell’altro (il donatore) nonché l’angoscia suscitata dal processo di incorporazione-integrazione psico-fisica di un organo altrui, un organo in grado di dare la vita in cambio di una esperienza di lutto per qualcun altro (la perdita di un organo per il donatore vivente o la morte di un’altra persona, nel caso di un trapianto da cadavere) [9,10].

Nella fase di pre-dialisi è importante prospettare al paziente l’opportunità di effettuare un trapianto renale da vivente pre-emptive, ossia precedente al trattamento dialitico (legge n. 328 del 10/06/2019). Una buona fase informativa, che consideri i vantaggi e i rischi per il ricevente e per il donatore, sembra favorire la comprensione e aumentare la probabilità di accettazione del trapianto. Il trapianto segna la via d’uscita alternativa alla dialisi e alla morte, ma richiede la presenza di un donatore che si offre per il bene del paziente. Nel caso del trapianto eseguito su donatore vivente, è importante considerare come questo rappresenti per i pazienti l’opportunità di evitare la dialisi. Risulta significativo in questa fase coinvolgere i familiari, aiutarli e guidarli nel processo di elaborazione dell’intervento, accogliendo paure, dubbi ed incertezze. I fattori importanti da considerare nella valutazione psicologica del donatore e del ricevente, che possono influire sui processi decisionali della donazione, riguardano: fattori cognitivi, struttura di personalità, qualità delle relazioni familiari e sociali, motivazione e aspettative. È stato creato inoltre un servizio per la valutazione psicologica dei donatori nei casi di trapianto da donatore vivente, al fine di creare un protocollo di follow-up di questi pazienti anche dal punto di vista psicologico.

Le visite psicologiche (anamnesi e colloquio psicologico), i controlli, i percorsi di sostegno attivati e i colloqui con i familiari hanno coinvolto 146 persone, di cui 27 in percorsi strutturati.

 

Attività di ricerca

Nonostante la consapevolezza delle molteplici strade da percorrere nell’indagine psicologica delle malattie renali, l’interesse preliminare è stato rivolto alla rilevazione del disagio psico-emotivo nei pazienti affetti da CKD stadio 5.

L’attività di ricerca ha coinvolto 72 pazienti, in pre-dialisi, trattamento dialitico, e portatori di trapianto renale. Le caratteristiche demografiche della popolazione oggetto di studio sono riportate nella Tabella I. I dati sono espressi come valore assoluto, percentuale, o medie ± deviazione standard.

Numero totale pazienti 72
Sesso 37 femmine (51%), 35 maschi (49%)
Età 12-88 anni (55.6 ± 16.8)
Professione 14 pensionati (19%), 58 in età lavorativa (81%)
Situazione familiare

29 vivono con coniuge/convivente

29 vivono con il proprio nucleo familiare

7 vivono da solitudine

7 vivono con altri parenti

Numero pazienti dializzati 45
Età di esordio malattia (range) 1 anno-81 anni
Anzianità dialitica (mesi) 3-228
Numero pazienti trapiantati 15
Anzianità trapianto (mesi) 6-204
Numero pazienti pre-dialisi 12
Tabella I: Caratteristiche demografiche della popolazione di studio

Lo studio si è avvalso dell’utilizzo di questionari autosomministrati, costruiti in modo specifico per indagare l’impatto dell’inserimento della figura dello psicologo nel presente contesto e la qualità di vita dei pazienti, in due differenti tempi di somministrazione (Tabella II).

Test di valutazione psicologica

Tempo di somministrazione

a) Questionario anonimo di valutazione delle aspettative

Zero – dopo 9 mesi

b) SF- 12 Questionario sullo stato di salute

Zero – dopo 9 mesi

Tabella II: Strumenti di valutazione psicologica impiegati

a) Questionario anonimo di valutazione delle aspettative

Per aspettativa si intende la qualità dell’intervento che ci si attende dall’inserimento della figura dello psicologo e dai cambiamenti attesi nel contesto di riferimento. I presenti questionari avevano lo scopo di indagare il livello di aspettative prima e dopo l’intervento psicologico. Ogni soggetto doveva indicare su una scala Likert a cinque punti (dove 1 era “molto d’accordo” e 5 “per niente d’accordo) il suo grado di accordo/disaccordo con sette affermazioni riguardanti la figura dello psicologo in un’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi (Tabella III). Alla luce delle sette domande e dei gradi di risposta, la Figura 1 riporta i cambiamenti significativi nel tempo, dall’inizio del progetto al termine dello stesso.

  Molto D’accordo Abbastanza d’accordo D’accordo Poco d’accordo Per niente d’accordo
È necessario inserire la figura dello psicologo all’interno dell’equipe curante dell’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi. 1 2 3 4 5
Il supporto psicologico può essere utile anche ai familiari dei pazienti. 1 2 3 4 5
Il supporto psicologico può essere utile anche al personale medico ed infermieristico. 1 2 3 4 5
Fondamentale è la possibilità di parlare con lo psicologo nella fase pre-dialisi. 1 2 3 4 5
L’impatto psicologico della dialisi influenza la terapia dialitica. 1 2 3 4 5
Lo psicologo può aiutare ad affrontare il percorso pre- e post-trapianto. 1 2 3 4 5
Il supporto psicologico può favorire l’accettazione e l’adattamento alla terapia dialitica. 1 2 3 4 5
Tabella III: Quesiti del questionario di valutazione delle aspettative
Figura 1: Percentuali a confronto sull'importanza della figura dello psicologo in Nefrologia e Dialisi
Figura 1: Percentuali a confronto sull’importanza della figura dello psicologo in Nefrologia e Dialisi

b) SF-12 questionario generale sulla salute

Pubblicato per la prima volta nel 1995 come parte del Medical Outcome Study (MOS), il SF-12 è composto da 12 “item” (ricavati dai 36 del questionario originale SF-36) che producono due misure relative a due diversi aspetti della salute: salute fisica (PCS-12) e salute mentale (MCS-12). L’SF-12 è formato da 4 scale (funzionamento fisico, ruolo e salute fisica, ruolo e stato emotivo, salute mentale) misurate da 2 item ciascuna e da 4 scale misurate ognuna da un item (dolore fisico, vitalità, attività sociali e salute in generale).

Al soggetto viene chiesto di rispondere su come si sente e su come riesce a svolgere le attività consuete, valutando la giornata in cui compila il questionario e le 4 settimane precedenti. Esempi di item del questionario sono: “La sua salute la limita attualmente nello svolgimento di attività di moderato impegno fisico, come spostare un tavolo, usare l’aspirapolvere, giocare a bocce, fare un giro in bicicletta?; nelle ultime 4 settimane, a causa del suo stato emotivo, ha reso meno di quanto avrebbe voluto?; nelle ultime 4 settimane, per quanto tempo si è sentito calmo e sereno?”.

Ciò che è emerso è una riduzione della percentuale della categoria più bassa (peggior percezione di salute fisica), con un aumento dei valori di PCS-12 (migliore percezione di salute fisica) nel tempo (Figura 2). In figura 2 è rappresentata per ogni classe di PCS-12, la percentuale di soggetti che hanno riferito di non avere nessuna limitazione a svolgere attività di moderato impegno fisico. Tale comportamento sembra riflettere l’impatto dell’intervento psicologico sul benessere fisico dei pazienti e la percezione che essi associano alle loro limitazioni dal punto di vista fisico.

Figura 2: Confronto tra le percentuali di casi in ogni classe di PCS-12 nel tempo
Figura 2: Confronto tra le percentuali di casi in ogni classe di PCS-12 nel tempo

Nel confrontare nel tempo le risposte che indicano il livello di salute psicologica percepita dai soggetti è emerso un aumento di rispondenti “sempre o quasi sempre” in accordo ai livelli di MCS-12: si passa dallo 0% della categoria più bassa (peggior percezione di salute mentale) al 13% di quella con valori di MCS-12 maggiori (migliore percezione di salute mentale) (Fig. 3). In figura 3 è stata tabulata, per ogni categoria di MCS-12, la percentuale di soggetti che hanno riferito di essere sempre o quasi sempre calmi e sereni. Tale comportamento sembra riflettere l’impatto dell’intervento psicologico sul benessere psicofisico dei pazienti e la percezione che essi associano ai loro stati mentali.

Figura 3: Confronto tra le percentuali di casi in ogni classe di MCS-12 nel tempo
Figura 3: Confronto tra le percentuali di casi in ogni classe di MCS-12 nel tempo

 

Discussione

L’inizio della dialisi espone il paziente affetto da CKD ad un’esperienza impattante dal punto di vista cognitivo-emotivo, ad uno stravolgimento dei ritmi di vita e uno sconvolgimento delle risorse personali, dei legami affettivi e dei progetti per il futuro.

L’attività psicologica specialistica si è inserita all’interno dell’equipe medica e infermieristica attraverso la strutturazione di forme di intervento rivolte a diverse tipologie di utenti: paziente nefropatico o dializzato, paziente trapiantato, familiari, equipe curante.

Paziente nefropatico o dializzato

L’attenzione psicologica al paziente nefropatico o dializzato verte sugli inevitabili vissuti percepiti dal paziente rispetto alla patologia cronica di cui è affetto e alla sua stessa diagnosi, alle inevitabili modificazioni della qualità della vita e alla irreversibilità di una condizione di salute. Il vissuto percettivo ed emotivo nei confronti della dialisi sembra differenziarsi in base alle molteplici tipologie di terapia: emodialitica, ospedaliera o domiciliare, e peritoneale.

I differenti vissuti emotivi e percettivi, riscontrabili attraverso un’analisi qualitativa proveniente dai colloqui clinici, sembrano delinearsi a partire dalla fase di preparazione alla dialisi. Nella scelta del trattamento dialitico, esplorata nella fase di pre-dialisi, emerge con forza, quando possibile, la preferenza della dialisi peritoneale, la quale consente la conservazione di una forma di autonomia e di controllo, la possibilità di dializzare nella propria abitazione, maggiore flessibilità e minori complicazioni nella gestione del lavoro, con conseguenti minori ripercussioni sul contesto familiare. Di contro, è emersa una certa ansia nei pazienti, rivolta al training per la sua applicazione.

Le tecniche dialitiche domiciliari, come la dialisi peritoneale e l’emodialisi domiciliare, consentono di contenere alcuni stati di ansia legati al tempo, favorendo una certa quota di flessibilità al paziente nella gestione della terapia. La sensazione di maggiore libertà e autonomia può facilitare l’adattamento e l’aderenza terapeutica da un lato, dall’altro può sviluppare aspetti di chiusura, di solitudine e di onnipotenza terapeutica che mettono a rischio una buona presa in carico del paziente e quindi una buona compliance. Inoltre, le terapie domiciliari richiedono uno sguardo attento alle dinamiche relazionali alla base dei rapporti di cura e interventi mirati alla preparazione dei partner che si occupano della cura dei pazienti, alla comunicazione tra operatori sanitari e familiari dei pazienti, e alle dinamiche relazionali nella diade membro della famiglia-paziente.

Nel caso specifico dell’Unità Operativa sede del progetto, la preparazione di un personale specializzato e la presa in carico globale del paziente costituiscono elementi fondamentali per l’acquisizione di un saper fare nella gestione della malattia e della cura e un livello di autonomia che presenta buone possibilità di riduzione e risoluzione dello stato di ansia anticipatoria presentato dai pazienti e dai loro familiari.

Nei pazienti in emodialisi ospedaliera il senso di costrizione, di non scelta e di rassegnazione è spesso dominante. Il trattamento sostitutivo eseguito in regime ospedaliero avviene tre volte a settimana e ha una durata media di quattro ore. Inevitabilmente ciò comporta una modificazione soggettiva del tempo, con soventi vissuti conflittuali verso una cura necessaria per vivere ma, allo stesso tempo, responsabile di una perdita della propria vita. Il ritmo della dialisi, lento e ripetitivo, richiede quindi una riorganizzazione del tempo a disposizione [3].

Familiari

L’attenzione psicologica rivolta ai familiari pone in luce come la costante gestione del paziente dal punto di vista sia fisico che emotivo esponga questi caregiver a diverse difficoltà: il pericolo di isolamento sociale, la minaccia del futuro, scarsi livelli di adattamento. Nei casi in cui l’impegno richiesto al caregiver risulti maggiore rispetto alle risorse presenti può emergere uno stato di disagio che si manifesta in un aumento del livello di stress e ansia, in situazioni conflittuali, movimenti regressivi, e talvolta stati di dipendenza, soprattutto tra coniugi, anche a livello simbiotico [11].

L’angoscia della dipendenza (dalla macchina e/o dal trattamento); l’ansia per la perdita del proprio status sociale, lavorativo e familiare; il vissuto di cambiamento dell’immagine di sé e del proprio schema corporeo; il senso di morte di parti di sé e la paura di morire, sono tra le difficoltà psicologiche più comuni nei pazienti in dialisi [12, 13].

 

Considerazioni finali

In base ai risultati esposti è doveroso sottolineare l’importanza e il valore del lavoro psicologico nell’ambito delle malattie renali croniche. I malati cronici, che vivono continue perdite ed esperienze di lutto, necessitano costantemente di ritrovarsi e di ri-significarsi nell’incontro con qualcuno che sappia ascoltare, soprattutto dalla fase pre-dialisi.

L’analisi presentata sui vissuti percettivi ed emotivi dei pazienti affetti da insufficienza renale cronica terminale nei confronti della dialisi e la reazione all’emodialisi ospedaliera, emodialisi domiciliare e peritoneale, rappresenta il punto di partenza nel disegno di un modello di assistenza psicologica da applicare nella comune pratica nefrologica. Questo modello organizzativo, educazionale ed informativo consente di mantenere una continuità comunicativa e relazionale del paziente con il nefrologo e lo psicologo ed una continuità comunicativa e relazionale con il contesto familiare di riferimento per tutto il ciclo del trattamento sostitutivo della funzione renale (pre-dialisi, dialisi, trapianto).

Alla luce dei risultati statisticamente elaborati è emerso un miglioramento generale del grado di accordo riguardo l’importanza della figura dello psicologo nei reparti di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale SS. Annunziata di Chieti, in particolare per la categoria dei pazienti in fase pre-dialitica. Inoltre, dai risultati è possibile riscontrare una migliore percezione della salute mentale e fisica da parte di tutti i pazienti dopo la presa in carico e l’intervento psicologico.

L’attività clinica psicologica rivolta al paziente e ai familiari ha consentito il raggiungimento di vari obiettivi, tra cui il sostegno del paziente e dei suoi familiari nel processo di adattamento alla malattia e alla terapia, la possibilità di contenere la ricaduta negativa su outcome assistenziali e nei costi derivanti dal disagio e lo stress, l’applicazione di strategie di empowerment agli utenti al fine di migliorare l’autogestione post ricovero e l’opportunità di sostenere le difficoltà vissute dall’equipe curante, allo scopo di garantire e salvaguardare anche la relazione con il paziente.

Alla base dell’eziologia e lo sviluppo della patologia renale cronica è importante considerare l’integrazione di aspetti fisiologici, psicologici e sociali. Pertanto, un intervento psicologico strutturato con i pazienti affetti da insufficienza renale cronica può favorire la riduzione del distress emotivo, la gestione della sintomatologia ansiosa e depressiva, e migliorare quindi la percezione della qualità della vita connessa alla salute. Si evidenzia come depressione, ansia e supporto sociale percepito abbiano un impatto sulla qualità di vita e sull’evoluzione di diverse patologie croniche [3].

 

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