Il coinvolgimento renale nella malattia di Waldenström – case report

Abstract

La macroglobulinemia o malattia di Waldenström (WM) è una rara neoplasia ematologica coinvolgente i linfociti B, caratterizzata da un linfoma linfoplasmocitico con infiltrato midollare e dalla presenza di una paraproteina M monoclonale. Presenta raramente un coinvolgimento renale eterogeneo ma potenzialmente può causare insufficienza renale severa. Presentiamo di seguito il caso clinico di un paziente con sindrome nefrosica conclamata in macroglobulinemia di Waldenström trattato con chemioterapia di associazione (rituximab, ciclofosfamide, desametasone), ottenendo una completa remissione sia renale che ematologica.

Parole chiave: macroglobulinemia di Waldenström, sindrome nefrosica, rituximab, ciclofosfamide, desametasone

Introduzione

La malattia di Waldenström (WM) è una rara neoplasia ematologica coinvolgente i linfociti B, caratterizzata da un linfoma linfoplasmocitico con infiltrato midollare e dalla presenza di una paraproteina M monoclonale [1]. Essa rappresenta il 2% di tutte le neoplasie ematologiche, con un’incidenza annuale negli Stati Uniti di 0.57 su 100,000 persone, una età mediana di 71.5 anni al momento della diagnosi ed una maggiore prevalenza nel sesso maschile e nella etnia caucasica [2,3].

L’eziologia della WM non è conosciuta e le basi genetiche non sono ancora del tutto chiare. La cellula da cui origina la malattia sembra essere il linfocita B maturo ed attivo; attraverso fasi consecutive di mutazioni genetiche tale cellula dà origine ad un clone, dapprima benigno come gammopatia monoclonale di significato incerto (MGUS IgM) e successivamente maligno (WM) [4].

 

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La complessa eziopatogenesi della glomerulosclerosi focale segmentaria

Abstract

La glomerulosclerosi focale segmentaria (GSFS) è uno spettro patologico sotteso da fattori eziologici estremamente eterogenei. La conoscenza delle cause di GSFS dovrebbe essere parte del bagaglio culturale del nefrologo, influenzando in modo importante la successiva gestione clinica del malato. La terapia immunosoppressiva andrà infatti considerata solo per le forme idiopatiche, mentre per tutte le forme secondarie sarà necessario mettere in atto manovre volte a trattare o contenere il fattore scatenante la glomerulonefrite. L’importanza di distinguere le forme idiopatiche dalle secondarie deriva inoltre dal fatto che solo le prime tendono a recidivare nel post trapianto.

Occorre sottolineare come, nonostante l’elevata eterogeneità dei fattori eziologici, i momenti patogenetici della GSFS sono simili e recenti ricerche avrebbero anche permesso l’identificazione di cellule glomerulari potenzialmente in grado di contribuire al ripristino del comparto podocitario rappresentando pertanto bersagli terapeutici di grande interesse.

Obiettivo di questa review è quello di discutere i fattori eziologici responsabili di GSFS oltre che svolgere una trattazione sui principali momenti patogenetici di questa glomerulonefrite.

Parole chiave: glomerulosclerosi focale segmentaria, sindrome nefrosica, podocitopatia

Introduzione

La glomerulosclerosi focale segmentaria (GSFS) è stata storicamente definita come un pattern di danno glomerulare caratterizzato da sclerosi in parte del flocculo (segmentale) di una porzione variabile di glomeruli (focale) alla microscopia ottica di una biopsia renale [1]. Essa è attualmente una delle più frequenti cause di sindrome nefrosica, entità clinica con incidenza di 20-70 casi su 1000000 di persone/anno e prevalenza di 160 casi su 1000000 di persone; la GSFS, infatti, arriva a costituire fino al 25-40% dei casi totali di sindrome nefrosica dell’adulto e il 20% dei casi totali dell’infante [13], con una lieve predilezione per il sesso maschile (rapporto M:F = 1.5-2:1) [4, 5]. I tassi di incidenza medi riportati in letteratura globalmente sono compresi tra 2 e 11/1000000 di persone/anno [6]; è tuttavia importante sottolineare come, nelle ultime decadi, l’incidenza della GSFS abbia subito un incremento complessivo di 3-13 volte, a fronte di un relativo calo nella diagnosi di altre glomerulonefriti [2, 4, 7]. La GSFS è inoltre la glomerulonefrite primitiva associata al più elevato tasso di progressione verso l’insufficienza renale avanzata (end stage renal disease – ESRD), anch’esso in progressivo incremento: dal 1980 al 2000 è stato infatti riportato un incremento complessivo della proporzione di ESRD attribuibili alla GSFS di 11 volte (da 0.2% a 2.3%) [8]. Nel 2010 tale stima è ulteriormente salita al 4% [9].
 

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Glomerulonefrite a lesioni minime in corso di terapia con sali di litio: case report

Abstract

Il litio rappresenta una terapia largamente diffusa ed efficace nel trattamento dei disturbi bipolari. La tossicità renale di tale farmaco è prevalentemente rappresentata dall’insorgenza di diabete insipido nefrogenico, acidosi metabolica ipercloremica e nefrite tubulo interstiziale. In alcuni rari casi è stata riportata una relazione causale tra l’uso di litio e lo sviluppo di glomerulonefrite a lesioni minime.

Descriviamo qui il caso di un paziente affetto da grave sindrome ansioso depressiva in terapia con sali di litio che, in assenza di una pre-esistente patologia renale, ha sviluppato sindrome nefrosica ed insufficienza renale acuta con diagnosi istologica di glomerulonefrite a lesioni minime.

Il paziente è stato trattato con terapia sintomatica; la sospensione della terapia con sali di litio ha determinato la risoluzione del quadro di sindrome nefrosica ed insufficienza renale, suggerendo così una relazione causale tra l’assunzione del farmaco e la patologia glomerulare.

 

Parole chiave: glomerulonefrite a lesioni minime, litio, sindrome nefrosica

Introduzione

La glomerulonefrite a lesioni minime è una delle principali cause di sindrome nefrosica idiopatica. Nella popolazione adulta rappresenta circa il 15% dei casi di sindrome nefrosica idiopatica, rappresentandone la terza causa, in ordine di importanza, dopo la glomerulonefrite membranosa e la sclerosi segmentaria e focale [1, 2, 3].  

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La terapia con steroidi e ciclosporina nella nefropatia membranosa idiopatica: esperienza monocentrica e revisione della letteratura

Abstract

Introduzione: Il trattamento immunosoppressivo dei pazienti con nefropatia membranosa idiopatica (IMN) è dibattuto a causa dei suoi effetti collaterali. Le linee guida KDIGO del 2012 suggeriscono gli agenti alchilanti come terapia di scelta. Obiettivo di questo studio è valutare retrospettivamente l’induzione e il mantenimento della remissione clinica in pazienti con diagnosi istologica di IMN sottoposti a terapia a base di steroidi e/o ciclosporina (CsA) presso l’UOC di Nefrologia dell’Ospedale sant’Andrea di Roma.

Materiali e metodi: La Terapia A (conservativa) è stata riservata ai pazienti a basso rischio. 8 pazienti a medio ed alto rischio sono stati trattati mediante la Terapia B (Prednisone 1 mg/kg ≤12-16 settimane con decalage in 8 settimane); 6 pazienti mediante la Terapia C (Prednisone 1 mg/kg ≥20-24 settimane con decalage in 8 settimane) ed infine 6 pazienti steroido-resistenti mediante la Terapia D (decalage steroide + ciclosporina 3-5 mg/kg per 2 anni).

Risultati: Una remissione completa è stata osservata nel 37,5% dei pazienti sottoposti a Terapia B, nell’83,3% dei pazienti in Terapia C e nel 66,6% dei pazienti in Terapia D.

I pazienti in Terapia B hanno recidivato in maniera statisticamente maggiore rispetto ai pazienti degli altri gruppi (P <0.01). Gli effetti collaterali sono stati di scarsa entità clinica. Conclusioni: In considerazione della potenziale citotossicità degli alchilanti, gli steroidi sono una valida alternativa nell’indurre e mantenere nel tempo la remissione clinica, se somministrati con uno schema d’induzione più aggressivo. In caso di steroido-resistenza o rapida ricaduta, la ciclosporina è una valida alternativa agli agenti alchilanti.

 

Parole chiave: sindrome nefrosica, terapia steroidea, ciclosporina, nefropatia membranosa idiopatica

Introduzione

La nefropatia membranosa idiopatica (IMN) è la causa più comune di sindrome nefrosica nell’adulto e rappresenta circa il 15-36% di tutte le biopsie renali [1]. L’incidenza è maggiore dalla quarta decade di vita in poi, con un picco nella fascia d’età fra i 40 e i 60 anni, e si attesta attorno a 1,2-1,7 casi per 100.000 abitanti, con maggiore prevalenza nel sesso maschile (M:F = 2:1) [2]. Cause secondarie di nefropatia membranosa includono malattie autoimmuni, virus dell’epatite B e C, farmaci e tumori [3]. 

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Recidiva di Sindrome Nefrosica da lesioni minime in gravidanza

Abstract

La comparsa di sindrome nefrosica durante la gravidanza è considerata un evento eccezionale, la cui incidenza si pone intorno a valori di 0.012 -0.025% di tutte le gravidanze, è ancora più rara quando la causa è rappresentata dalla glomerulonefrite a lesioni minime. In questo articolo descriveremo il caso di una paziente con diagnosi istologica di glomerulonefrite a lesioni minime, con una storia di frequenti recidive. In remissione completa dal 2013 dopo trattamento con ciclosporina sospesa nel maggio 2017, inizia gravidanza mantenutasi regolare fino alla 23esima settimana, con comparsa di recidiva di sindrome nefrosica. Trattata con steroidi in bolo prima e per os successivamente, la sindrome nefrosica è andata rapidamente in remissione e la paziente ha partorito un feto vivo e vitale con parto indotto alla 37 settimana.

I pochi dati presenti in letteratura confermano che la recidiva di glomerulonefrite a lesioni minime in gravidanza va trattata rapidamente con steroidi, i quali producono una rapida remissione e possono salvaguardare sia la gravida che il feto da danni anche gravi.

Parole chiave: Glomerulonefrite a lesioni minime, gravidanza, sindrome nefrosica, steroide.

INTRODUZIONE

La glomerulonefrite a lesioni minime è definita dalla normalità dei glomeruli all’esame in microscopia ottica, e dalla presenza all’esame ultrastrutturale glomerulare della fusione dei pedicelli dei podociti. La glomerulonefrite a lesioni minime si caratterizza per la presenza di proteinuria e per la sensibilità all’uso di steroidi.

 

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