Luglio Agosto 2023 - Nefrologo in corsia

Nefrite tubulointerstiziale clozapina-indotta

Abstract

La nefrite tubulointerstiziale rappresenta una comune causa di insufficienza renale acuta, nei due terzi dei casi è associata a farmaci (per lo più antimicrobici e FANS), nel 5-10% dei casi è associata a infezioni (batteriche/virali/parassitarie), nel 5-10% dei casi è idiopatica (è il caso della TINU sindrome caratterizzata da nefrite interstiziale e uveite bilaterale, e della sindrome da anticorpi antimembrana basale glomerulare) e infine nel 10% dei casi si associa a malattie sistemiche (sarcoidosi, sindrome di Sjogren, LES). La patogenesi è basata su una risposta immune cellulo-mediata e nella maggior parte dei casi rimuovere l’agente causale è il gold standard della terapia. Tuttavia, una percentuale di pazienti, in un range variabile dal 30% al 70% dei casi, non recupera pienamente la funzione renale, a causa della rapida trasformazione dell’infiltrato cellulare interstiziale in vaste aeree di fibrosi [1].

La clozapina è un antipsicotico atipico di seconda generazione usualmente utilizzato per il trattamento della schizofrenia resistente ad altri tipi di trattamento; può causare severi effetti avversi, tra cui il più noto è una severa e potenzialmente fatale neutropenia, inoltre sono riconosciuti una serie di eventi avversi non comuni tra cui epatite, pancreatite, vasculite. In letteratura sono descritti dei casi di nefrite tubulointerstiziale acuta associata all’utilizzo della clozapina, sebbene tale complicanza sia rara.  È necessario che il personale medico che utilizza questo farmaco sia a conoscenza di questo potenziale e serio effetto collaterale [2].

Descriviamo il caso di uomo di 48 anni che sviluppò insufficienza renale acuta dopo l’inizio della terapia con clozapina.

Parole chiave: Nefrite tubulointestiziale, insufficienza renale acuta, clozapina

Case report

Un uomo di 48 venne ricoverato il primo ottobre 2020 nel reparto di Psichiatria dell’Ospedale di Vizzolo per stato delirante in nota piscosi schizoaffettiva, tale patologia era nota sin dal 2004. Nessun altro problema clinico rilevante segnalato in anamnesi. Veniva impostata all’ingresso terapia con Clozapina (mai assunta prima) titolata sino ad un dosaggio di 200 mg/die, Citalopram e Aloperidolo. In data 15/10 comparivano febbre, faringodinia e sindrome diarroica, accompagnati da rialzo degli indici di flogosi (PCR, fibrinogeno, D-dimero e ferritina). Il paziente veniva trasferito presso l’U.O. di Medicina Interna del nostro nosocomio per approfondimento diagnostico, tuttavia i dati laboratoristici e iconografici non fornivano elementi orientativi di tipo eziopatogenico. Veniva empiricamente impostata terapia con Cefriataxone e fluconazolo. Successivamente il paziente, stabile dal punto di vista clinico, veniva ritrasferito presso il Reparto di Psichiatria per titolazione della terapia con Clozapina. A questo punto si assisteva alla ricomparsa di febbre, accompagnata da marcata astenia, inappetenza e, dato nuovo, progressivo rialzo dei valori di creatinina (in ingresso paria a 0,8 mg/dl) sino ad un picco di 5 mg/dl. A questo punto nel sospetto di tossicità da farmaci la clozapina veniva sospesa e sostituita con Olanzapina.

Ecograficamente entrambi i reni presentavano aumento dell’ecogenicità corticale come nei casi di nefropatia di grado moderato, senza franche lesioni focali apprezzabili né “formazioni calcolotiche”. L’esame urine delle 24 ore mostrava una proteinuria di poco superiore al grammo. Gli esami ematici mirati ad indagare l’eziologia dell’insufficienza renale acuta mostravano esclusivamente p-ANCA positività, ma negatività dell’MPO e del PR3, nella norma il dosaggio di C3, C4 e immoglobuline, negativi ANA ed ENA. Si segnala inoltre negatività del pannello virale per epatite B, C, HIV, CMV, Toxoplasma, EBV; negativi inoltre tutti gli esami colturali effettuati su sangue e urine. Data la pandemia in corso, inoltre, sono stati più volte eseguiti tamponi N/F per ricerca di SARS-CoV-2 e tampone rettale risultati sempre negativi.

Persistendo la sintomatologia febbrile in associazione al rialzo degli indici di flogosi (PCR persistentemente elevata e leucocitosi neutrofila) e in assenza di franchi richiami d’organo, si decideva di effettuare esame PET TAC che escludeva focolai settici o lesioni neoplastiche caratterizzate da elevata proliferazione cellulare. Avendo escluso la natura infettiva/neoplastica della febbre, in considerazione dei valori di creatininemia stabilmente elevati, di proteinuria 1 grammo/24 ore e cilindruria e al sopravvenuto esito di positività di p-ANCA, si decideva di sottoporre il paziente ad agobiopsia renale sinistra ecoguidata. L’esame istologico (microscopia ottica e immunofluorescenza) mostrava una nefrite tubulointerstiziale diffusa di grado moderato-severo in assenza di lesioni glomerulari e vascolari.

Pertanto, in accordo ai colleghi psichiatri, si decideva di avviare terapia steroidea a basse dosi per os (prednisone 25 mg/die) il cui dosaggio è stato gradualmente scalato per un periodo complessivo di 2 mesi. In dimissione la creatinina si attestava su valori pari a 2,32 mg/dl e ai controlli successivi dopo 1 e 2 mesi risultava rispettivamente paria a 1,53 mg/dl e 1,22 mg/dl; si assisteva inoltre di pari passo ad una riduzione della PCR (7 mg/l) e della leucocitosi, ad una negativizzazione della proteinuria (proteinuria delle 24 ore 0,12 grammi). Si concordava con i colleghi psichiatri sulla non reintroduzione della clozapina.

 

Discussione

Ci sono quattordici case report in letteratura riguardanti l’associazione tra glomerulonefrite interstiziale e clozapina [317]. I pazienti dei report in questione sono 9 uomini e 5 donne, l’età varia da 24 a 69 anni e l’analisi dei casi dimostra variabilità nella presentazione dei sintomi dopo l’avvio della terapia in un range temporale compreso tra alcuni giorni e 3 mesi. La posologia di clozapina assunta variava da un minimo di 25 mg ad un massimo di 700 mg/die.  I sintomi comuni includevano febbre, eosinofilia e proteinuria. In sei di questi casi è stata effettuata la biopsia renale che mostrava nefrite interstiziale acuta, la clozapina fu sospesa in tutti i casi e i pazienti vennero trattati con terapia di supporto, steroidi e, in alcuni casi, emodialisi.

Nel caso nel nostro paziente i sintomi sistemici febbre e rialzo degli indici infiammatori (incremento dei globuli bianchi, eosinofilia, incremento della PCR) iniziavano a comparire circa 15 giorni dopo l’inizio della terapia, mentre la comparsa dell’insufficienza renale acuta con proteinuria circa 40 giorni dopo (Tabella e Figura 1).

Dato anamnestico Valore massimo Dopo 4 settimane Dopo 8 settimane Dopo 12 settimane
Proteinuria (g/24h) 1 0,3 0,12 0
Creatinina (mg/dl) 0,8 5 2,32 1,22 1,06
Proteina C reattiva (mg/l) 128 14 7 5
Eosinofili (x103/μl) 1,1 7,5 6,1 3,2 2,4
Tabella 1 – Figura 1. Andamento della funzione renale, della proteina C reattiva e del valore degli eosinofili durante il ricovero e il follow-up.

Ci sono circa 100 farmaci associati in letteratura alla comparsa di nefrite interstiziale acuta che includono anche diversi antibiotici (penicilline, chinolonici, Beta lattamici) che il paziente ha assunto ma successivamente alla comparsa del corteo sintomatologico.

La diagnosi di nefropatia tubulointerstiziale da clozapina sembra essere verosimile (Figura 2), anche il timing di presentazione coincide con quanto riportato in letteratura. I valori di creatinina dopo due mesi di osservazione sono scesi, senza ancora ritornare ai valori basali. Nella letteratura citata in precedenza la funzione renale ritornò al basale in sei casi, migliorò ma non tornò al basale in 5 casi, in un caso non ci furono rialzi della creatinina, mentre in due casi il follow-up non è riportato.

Il nostro caso vuole mettere in luce una seria complicanza, poco conosciuta, di un importante farmaco antipsicotico usato largamente nel trattamento della schizofrenia resistente.

Per quel che concerne la positività dei p-ANCA (con dosaggio quantitativo negativo) segnaliamo in letteratura la presenza di vasculite ANCA associata iatrogena in associazione a diversi farmaci, tra cui compare la clozapina . In particolar modo un case report giapponese [5] riporta la storia di una donna di 48 anni in terapia con clozapina che sviluppò febbre, mialgie, atralgie e rash cutaneo con positività dei p-ANCA con la necessità di avviare terapia steroidea, i cui sintomi regredirono con la sospensione della clozapina e lo steroide venne gradualmente sospeso. Nel caso del nostro paziente segnaliamo esclusivamente la positività degli ANCA senza sintomi clinici corrispettivi e in assenza di segni bioptici suggestivi. Proseguirà follow-up laboratoristico degli ANCA. Il meccanismo patogenetico con cui la clozapina induce danno tubulointerstiziale non è noto [17, 17].

Diversi studi presenti in letteratura analizzano i possibili effetti avversi della clozapina su altri organi/tessuti, in particolar modo in un recente lavoro condotto su topi sottoposti ad una dieta ad elevato contenuto di grassi si è visto che il gruppo sottoposto a terapia con clozapina rispetto al gruppo controllo sviluppava in una percentuale maggiore obesità, insufficienza renale, intolleranza glucidica, fegato steatosico e danno retinico. Inoltre, essi presentavano maggiore espressione di specie reattive dell’ossigeno e di IL-1 ed un minore livello di enzimi antiossidanti (superossidodismutasi, glutatione e catalasi). Per di più si è visto che i topi trattati con clozapina presentavano un bilancio negativo del cromo, elemento che partecipa al metabolismo delle proteine, dei lipidi e dei carboidrati ed ha effetti positivi sui pazienti obesi, nefropatici e diabetici; la maggiore percentuale di cromo è riassorbita a livello del tubulo prossimale renale, ma una certa quantità viene escreta nelle urine, i topi con danno renale mostravano una maggiore quantità di cromo urinario [18].

Figura 2a-2b. Severo e diffuso infiltrato infiammatorio interstiziale, prevalentemente linfomonocitario e plasmacellulare. Focolai di scleroatrofia tubulointerstiziale. Cilindri tubulari proteici.
Figura 2a-2b. Severo e diffuso infiltrato infiammatorio interstiziale, prevalentemente linfomonocitario e plasmacellulare. Focolai di scleroatrofia tubulointerstiziale. Cilindri tubulari proteici.

 

Conclusioni

L’utilizzo prolungato del farmaco è stato associato ad un incremento della sindrome metabolica con un conseguente aumento del rischio cardiovascolare e della mortalità.

 

Ringraziamenti

Un ringraziamento particolare alla professoressa Manuela Nebuloni del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche, settore Anatomia Patologica dell’università degli studi di Milano, per la disponibilità, l’analisi dei campioni istologici e la creazione delle immagini per il completamento di questo lavoro.

 

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