Gennaio Febbraio 2022 - Editoriali

Dialisi peritoneale: cosa ci ha insegnato la pandemia da Covid-19?

Abstract

In questi mesi contraddistinti dalla pandemia da Covid-19, il lockdown a domicilio è stato considerato una strategia fondamentale per rallentare il diffondersi del virus. Anche la domiciliazione terapeutica ha rappresentato una parte importante del confinamento. La dialisi peritoneale, pur essendo praticata autonomamente dal paziente a casa propria con un’efficacia depurativa sovrapponibile all’emodialisi, è ancora oggi utilizzata solo da circa l’11% della popolazione in dialisi. Nei pazienti in dialisi peritoneale si è osservato globalmente una ridotta incidenza di infezione da SARS-Cov-2 rispetto ai pazienti in emodialisi. Questi ultimi devono recarsi più volte la settimana in ospedale esponendosi al rischio di contagio. La domiciliazione della metodica si è dimostrata il principale fattore protettivo che ha permesso ai pazienti in dialisi peritoneale di esser meno coinvolti dalla pandemia. Gli strumenti logistici ed economici messi in campo in aiuto alla sanità italiana dovrebbero stimolare anche una maggiore utilizzazione della dialisi peritoneale con l’assistenza infermieristica domiciliare e con incentivi economici per i caregiver. Serve altresì una maggiore collaborazione tra le Unità di nefrologia per permettere a tutti i pazienti di accedere alla dialisi peritoneale anche se non disponibile nella sede di residenza.

Parole chiave: dialisi peritoneale, pandemia da COVID-19, teledialisi

La dialisi peritoneale (DP) è utilizzata dall’11% dei pazienti con Malattia Renale Cronica in fase terminale (ESRD): circa 4 milioni di soggetti in tutto il mondo si affidano a questa metodica dialitica domiciliare [13]. Numerosi studi hanno dimostrato che i pazienti in DP hanno una sopravvivenza simile a quella dei pazienti in emodialisi (HD) [47], sia utilizzando la tecnica manuale (CAPD) che quella automatizzata (APD) con una qualità di vita indicata migliore in APD [810].

In Italia si stima che i pazienti in DP siano 4130 (10%) mentre quelli in HD 45300 (90%) e che la DP abbia una prevalenza e una incidenza media rispettivamente di 70 pmp (range 56-138) e di 153 pmp (range 118-234) [11]. Circa il 15% dei Centri dialisi pubblici italiani non contemplano la DP come opzione dialitica, sottraendo ai pazienti il loro diritto alla scelta del trattamento e amplificando lo squilibrio d’uso tra le due metodiche. I dati più recenti del censimento del Gruppo di Progetto di Dialisi Peritoneale (Figura 1) confermano la grande differenza tra il numero dei pazienti in HD e quelli in DP nella popolazione dialitica italiana, differenza non giustificabile dalle sole presunte controindicazioni clinico/anatomiche che possono escludere i pazienti dalla DP (es. ADPKD, obesità).

Figura 1: Censimento del Gruppo di Progetto di Dialisi Peritoneale della Società Italiana di Nefrologia
Figura 1: Censimento del Gruppo di Progetto di Dialisi Peritoneale della Società Italiana di Nefrologia, 2016 (https://dialisiperitoneale.org/archivio-censimenti/). I dati incompleti del censimento 2019 (165 vs 230 Centri, dati non pubblicati) documentano un’incidenza in DP del 21.9% e una prevalenza del 17.1%.

Anche le condizioni logistiche e sociali, che non di rado obbligano il paziente a scegliere la dialisi extracorporea, possono essere superate da un aiuto anche esterno alla famiglia e dai dispositivi tecnologici di cui oggi disponiamo (Figura 2). Il contributo economico per il caregiver, l’assistenza infermieristica domiciliare, la teledialisi e gli altri ausili telematici oggi disponibili potrebbero quindi concorrere ad aumentare significativamente l’utilizzo della DP. La sua localizzazione domiciliare ha da sempre un effetto positivo sulla qualità di vita del paziente che si trova a gestire in parziale autonomia la propria disabilità in un ambiente conosciuto e confortevole. “Fare la dialisi a casa” è un concetto che rassicura il paziente e maschera la condizione di malattia che spesso sta alla base della sua scarsa collaborazione nella gestione della patologia. I trattamenti dialitici domiciliari sono il migliore approccio terapeutico per l’integrazione socioculturale e familiare e migliorano la responsabilizzazione dei pazienti circa il loro stato di salute.

Figura 2: Fattori che possono impedire l’esecuzione della dialisi peritoneale
Figura 2: Fattori che possono impedire l’esecuzione della dialisi peritoneale

Queste considerazioni sono diventate ancora più forti in questi mesi segnati dalla pandemia da SARS-Cov-2 durante i quali sono stati molteplici gli appelli ad evitare gli accessi alle strutture sanitarie. I pazienti con ESRD hanno un aumentato rischio di infezione da COVID-19 [12,13] non solo per le comorbidità di cui sono affetti e per la ridotta efficienza del loro sistema immunitario [1416], ma anche per la necessità di accedere frequentemente ad ambienti ospedalieri potenzialmente fonti di contagio. Le difficoltà di trasporto, le carenze strutturali e logistiche dei Centri dialisi e la numerosità del personale coinvolto hanno fatto sì che l’infezione da SARS-Cov-2 si diffondesse nel 2.3% dei dializzati rispetto allo 0.4% della popolazione generale [12].

Il 28 marzo 2020, in piena pandemia, l’International Society of Peritoneal Dialysis pubblicava le strategie consigliate per la prevenzione del COVID-19 nei pazienti in DP: “People on PD should stay at home. Hospital visits should be minimized for only urgent indications (eg suspected peritonitis). Consultations should otherwise be conducted by telehealth” [17]. La messa in atto di queste indicazioni e i provvedimenti presi in virtù delle diverse esperienze di ciascun Centro, hanno permesso ai pazienti in DP di essere monitorizzati a domicilio, riducendo il rischio di contagio. Il setting domestico della metodica è verosimilmente stato il principale “responsabile” della ridotta prevalenza del COVID-19 nei pazienti in DP rispetto a quelli in HD segnalata sia dalle esperienze italiane che da quella cinese [1821].

Questa drammatica esperienza dovrebbe quindi costituire il trampolino di lancio per un più diffuso utilizzo della DP, anche se non è ipotizzabile che tutte le Nefrologie possano offrirla: per la sua corretta gestione sono necessarie un’organizzazione infermieristica strutturata e una datata esperienza del team su un appropriato numero di pazienti. Quindi, per una maggiore diffusione della metodica, sono fondamentali la collaborazione e lo scambio di informazioni tra le Nefrologie con e senza DP al fine di indirizzare la scelta del paziente verso il trattamento per lui più opportuno, anche se disponibile in altra sede. Il concetto di “rete” può rappresentare la soluzione alle pressanti richieste di prestazioni specialistiche che una Società sempre più esigente rivolge a una Sanità destinata ad avere sempre meno operatori [22]. È necessario modificare e ampliare i percorsi e i collegamenti tra le Nefrologie per offrire ai pazienti tutti i trattamenti praticabili, anche a domicilio: dalla terapia conservativa con la dieta fortemente ipoproteica, alla dialisi domiciliare (HD/DP), alla medicina palliativa. Già nel 2010 le European Renal Best Practice raccomandavano: “All RRT centres should try and provide, or support in collaboration with other centres, all available treatment options…to make sure that all patients can select the modality that is most suitable for them” [23].

La scelta deve essere poi supportata da strumenti che ne favoriscono l’esecuzione. I pazienti con ERSD sono sempre più anziani e fragili, spesso soli e con scarse risorse finanziarie: questo può impedire l’uso della DP non per volontà del paziente, che invece gioverebbe di un processo depurativo verosimilmente più adatto alle sue condizioni cliniche, ma per l’assenza di supporti che potrebbero permettere di superare gli impedimenti al trattamento. La drammatica esperienza della pandemia dovrebbe stimolare il mondo nefrologico e le istituzioni competenti a mettere in atto tutte le direttive che già precedentemente erano state promulgate per implementare la dialisi domiciliare [2426]. Inoltre, ad aprile 2020 il Ministero della Salute ha emanato una circolare che invitava gli assessorati regionali ad aumentare l’utilizzo dell’emodialisi domiciliare e della dialisi peritoneale per limitare gli accessi ospedalieri. E ancora, l’11 gennaio 2022 il Ministro della Salute On. Speranza, in risposta all’On. Fabiola Bologna ad un Question Time alla Camera dei deputati, sulla dialisi domiciliare ha così replicato:

“…Il Piano nazionale di cronicità approvato in Conferenza Stato-Regioni nel 2016 prevede la promozione di trattamenti appropriati ed individualizzati del paziente e la personalizzazione della terapia dialitica, mantenendo il paziente al proprio domicilio… Da un punto di vista assistenziale, il DPCM 12 gennaio 2017 ha completamente aggiornato l’elenco delle prestazioni di dialisi introducendo prestazioni dedicate proprio alla dialisi domiciliare… Questo concorrerà ad ampliare il numero di soggetti cronici assistiti presso il proprio domicilio, che saranno in totale circa un milione e mezzo, pari al 10% della popolazione over 65…” [27].

La pandemia da SARS-Cov-2 sta rappresentando una drammatica prova per tutto il Servizio Sanitario Nazionale e da questa tragica realtà la Nefrologia deve trarre importanti insegnamenti per migliorare la qualità di vita dei pazienti con ESRD. Gli strumenti epidemiologici, organizzativi ed economici sembrano ora disponibili per fare della DP il trattamento dialitico domiciliare più logico ed immediato. È però fondamentale che anche i nefrologi credano fortemente nei vantaggi di questa metodica che per imporsi richiede convinte azioni di informazione e di collaborazione.

 

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