Il paziente in trattamento emodialitico cronico: terapie tipiche, modalità somministrative, farmacocinetica e farmacodinamica

Abstract

La polifarmacologia dei pazienti in emodialisi è nota: da una indagine di prevalenza in ottobre 2019 nel nostro centro dialisi di Trieste si è osservato che su una popolazione di 154 emodializzati il numero dei farmaci assunti per os a domicilio era in media di 8,3 e che quelle infusi per via endovenosa in fine dialisi era di 2,2. Tra i farmaci più frequentemente utilizzati nei pazienti emodializzati erano gli antipertensivi (90%) gli inibitori di pompa (73%), gli antianginosi-antiaritmici (68%). Il 50% dei pazienti assumeva almeno tre farmaci per il controllo CKD – MBD. Solo il 7% della popolazione assumeva farmaci antalgici oppiacei per il controllo del dolore. Nel caso clinico 1 si descrive un paziente emodializzato affetto da cheratoacantoma recidivante trattato con metotrexate intralesionale con un evidente guarigione della lesione, ma che ha sviluppato una aplasia midollare. Nel caso clinico 2 si descrive un paziente emodializzato affetto da calcifilassi coinvolgente l’80% della superficie corporea che oltra alla terapia di supporto è stato trattato con Sodio Tiosolfato. L’effetto collaterale più grave del STS è l’ipotensione.

Premesse

Il carico farmacologico dei pazienti in emodialisi è elevato: da una indagine di prevalenza in ottobre 2019 nel nostro centro dialisi di Trieste si è osservato che su una popolazione di 154 emodializzati il numero dei farmaci assunti per os a domicilio era in media di 8,3 e che quelle infusi per via endovenosa in fine dialisi era di 2,2.

Tra i farmaci più frequentemente utilizzati nei pazienti emodializzati erano gli antipertensivi (90%), gli inibitori di pompa (73%), gli antianginosi-antiaritmici (68%). Il 50% dei pazienti assumeva almeno tre farmaci per il controllo CKD – MBD. Solo il 7% della popolazione assumeva farmaci antalgici oppiacei per il controllo del dolore.

In questo articolo mi limiterò a descrivere due farmaci che per la loro rarità e peculiarità possono essere di interesse nefrologico.

 

Caso Clinico 1

Un uomo di 70 anni, pastore, in emodialisi da 4 anni, con cheratoacantoma recidivante e necessità di terapia intralesionale di 50 mg metotrexate (MTX) al volto con ottimo risultato clinico.

Cheratoacantoma prima (sinistra) e dopo (destra) trattamento intralesionale con metotrexate
Fig. 1: Cheratoacantoma prima (sinistra) e dopo (destra) trattamento intralesionale con metotrexate

Una settimana dopo il trattamento intralesionale il paziente viene ricoverato per broncopolmonite, mucosite del cavo orale, leucopenia (GB 1170/uL), severa anemia (Hb 8.6 g/dL), piastrinopenia (PLT 70000/uL). Livelli tossici di MTX ematico (0.38 uml/L).

Iniziava supplementazione di folati e emodialisi con membrana ad alta permeabilità quotidiana per 7 giorni. Si assisteva a una regressione delle manifestazioni cliniche e laboratoristiche e azzeramento dei livelli ematici di MTX.

Successivamente alla ripresa della malattia da cheratoacantoma, la lesione veniva asportata chirurgicamente ma, a distanza di qualche mese, si verificava una nuova recidiva non più trattabile.

Farmacodinamica metotrexate:

  • Antimetabolita analogo dell’acido folico con attività antineoplastica e immunosppressiva
  • Lega e inibisce l’enzima diidrofolato riduttasi inibendo la sintesi delle purine e del timidilato con conseguente inibizione della sintesi del DNA e RNA
  • Peso molecolare 454,4 g/mol.

Farmocinetica metotrexate:

  • Assorbimento: L’assorbimento orale è dose dipendente. Nel paziente digiuno il picco ematico di Metotrexate somministrato per os si raggiunge in 1-2 ore
  • Legame con proteine plasmatiche: Dal 50% al 70% di Metotrexate somministrato si lega in maniera reversibile alle proteine plasmatiche, principalmente all’albumina
  • Distribuzione: Volumi di distribuzione apparente, diffusione tissutale: Dopo somministrazione endovenosa il volume di distribuzione iniziale è di circa 0,18 l/kg (18% del peso corporeo) e il volume di distribuzione allo steady-state è di circa 0,4-0,8 l/kg (dal 40% all’80% del peso corporeo)
  • Eliminazione: Metotrexate viene eliminato con le urine, le feci e la bile. La clearance di Metotrexate dal plasma è di circa 110 mg/min/m2, di cui più del 90% è dovuta all’emuntorio renale (quando la funzionalità renale è integra). Circa il 43% della dose somministrata compare nelle urine nella prima ora.

Conclusione

  • Non consigliare il metotrexate intralesionale nei dializzati, ma se necessario in off label (1,2,3)
  • Utilizzare dosi intralesionali di 12,5-25 mg (fiale da 25 mg/ml; 2ml)
  • Somministrare al paziente entro la prima ora calcio folinato fino a 100 mg
  • Procedere all’ emodialisi con filtri High Flux o High Cut off subito dopo la somministrazione e quotidianamente
  • Monitorare metotrexatemia ogni 24 ore.

 

Caso Clinico 2

Uomo di 30 anni con uno stato protrombotico in sindrome da anticorpi antifosfolipidi, LES, pregressa embolia polmonare e TVP con posizionamento di filtro cavale, ipertensione arteriosa, ipotiroidismo, ipogonadismo in monorene dalla nascita e grave obesità.

Il paziente, in trattamento emodialitico, era stato operato di resezione gastrica (sleeve gastrectomy) complicata da fistola gastrica e pancreatite. Vi erano episodi infettivi sistemici e presenza di vaste ulcere diffuse su 80% superficie corporea secondarie a calcifilassi. Veniva trattato con terapia di supporto, dialisi quotidiana, camera iperbarica, e Sodio Tiosolfato.

Figura 2. Lesioni da calcifilassi (particolare arti inferiori)
Figura 2. Lesioni da calcifilassi (particolare arti inferiori)

Farmacocinetica e farmacodinamica del sodio tiosolfato:

  • Distribuzione: IV: Vd: Tiosulfate: 0.15 L/kg (Howland 2011)
  • Emivita: Thiosulfate: ~3 hours (Howland 2011); prolungata nell’ insufficienza renale fino ad ~9 giorni
  • Escrezione: Urine (~20% a 50% thiosulfate immodificato)
  • Peso molecolare: 176 gr /mol.

Indicazioni all’utilizzo del Sodio Tiosolfato ( STS)

  • Antidoto per avvelenamento da cianuro
  • Calcifilassi (uso off label): uso ev, non è stabilita la dose ottimale
  • Pazienti in emodialisi 25 grammi 3 X settimana ultima ora o dopo la seduta dialitica. La terapia deve continuare fino a risoluzione dei sintomi
  • Monitorizzare la acidosi non anion gap, ipocalcemia (Ackermann 2007; Auriemma 2011; Cicone 2004; Nigwekar 2013; Subramaniam 2008; Hackett 2011).

Meccanismo d’azione del Sodio Tiosolfato (STS)

  • STS è un agente chelante del Calcio e del Ferro
  • STS sposta gli ioni Calcio dai depositi di Calcio verso la formazione di Calcio Tiosolfato che viene escreto dai reni o dal dializzatore
  • L’elevate concentrazione di fosforo conduce ad uno switch fenotipico da adipocita a quello osteoblastico. Il STS in maniera dose dipendente inibisce sia le calcificazioni dell’adipocita che le calcificazioni della struttura muscolare liscia dei vasi. Studi su culture cellulari dimostrano che l’adipocita facilita queste calcificazioni del tessuto muscolare liscio dei vasi mediante cambiamenti della secrezione della Leptina e del Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF)
  • Il meccanismo del STS nel trattamento della calcifilassi non è chiaro.

Farmacocinetica del STS nei pazienti in emodialisi:

I livelli di STS sono stati misurati 15 minuti dalla fine dell’infusione e prima e dopo la sessione dialitica successiva. In maniera conforme a precedenti studi su cani anurici, sono state riscontrati livelli del farmaco a 2 giorni dal trattamento dialitico con una emivita elevata paria a 8 ore [4].

Reazioni avverse:

  • Cardiovascolare: ipotensione
  • Sistema nervoso centrale: disorientamento, sensazione di flushing, cefalea, gusto di salato
  • Gastrointestinale: nausea e vomito
  • Ematologiche: allungamento del tempo di sanguinamento.

Conclusione

Nella nostra esperienza in un paziente con calcifilassi e coinvolgimento nell’ 80% della superficie corporea, l’ipotensione era la complicanza più temibile all’ infusione di STS, soprattutto quando veniva somministrato durante la seduta emodialitica.

Venivano pertanto somministrati quotidianamente 12 grammi in infusione lenta in 6 ore, nel post dialisi.

 

Bibliografia

  1. Goebeler M, Lurz C, Kolve-Goebeler ME, et al. Pancytopenia after treatment of keratoacanthoma by single lesional methotrexate infiltration. Arch Dermatol. 2001;137(8):1104–1105.
  2. Cohen PR, Schulze KE, Nelson BR. Pancytopenia after a single intradermal infiltration of methotrexate. J Drugs Dermatol. 2005;4(5):648–651.
  3. Flynn KN, Johnson MS, Brink WC et al. Pancytopenia, mucositis, and hepatotoxicity after intralesional methotrexate injection in a patient treated with peritoneal dialysis. Am J Health Syst Pharm 2012; 69: 578–582.
  4. Brucculeri M, Cheigh J, Bauer G, Serur D Long-term intravenous sodium thiosulfate in the treatment of a patient with calciphylaxis. Semin Dial 2005 Sep-Oct; 18(5):431-434.

Il paziente con insufficienza renale cronica. Terapie tipiche, modalità di somministrazione, farmacocinetica e farmacodinamica

Abstract

Negli anni sessanta alcuni studiosi notarono che pazienti con insufficienza renale avevano un rischio maggiore di sviluppare reazioni avverse da farmaci rispetto pazienti con funzione normale. Ricercatori dimostrarono che una funzione renale ridotta modificava non solo l’eliminazione, ma anche l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l’eliminazione non renale dei farmaci; questi aspetti nel loro insieme rappresentano la Farmacocinetica (PK) le cui regole fondamentali furono descritte da Calvin Kunin e Luzius Dettli. Ma per calcolare la giusta dose dei farmaci è necessario conoscere non solo la PK, ma anche la Farmacodinamica (PD) che rappresenta l’effetto terapeutico raggiunto dal farmaco, regolato dal coefficiente di Hill.  Un ulteriore supporto alla farmacoterapia è fornita dalla Farmacogenomica che studia le variazioni genetiche responsabili del metabolismo, trasporto, e target dell’azione dei farmaci, utile per guidarci alla selezione del farmaco e alla sua dose ideale per un determinato paziente. Infine nell’articolo verrà accennato a nuove tecnologie nel campo dell’ingegneria per studiare la tossicità renale, la PK e la fisiologia del rene, come ad esempio il Kidney-on-a-chip che mima le funzioni renali in fisiologia e nella patologia, andando a sostituire approcci tradizionali di studio che si basano sull’animale e sull’uomo.

Cenni storici: Perché ci poniamo il problema della somministrazione dei farmaci nella IRC?

Nel 1966, Smith riportò la comparsa di avventi avversi dopo assunzione di farmaci in pazienti ospedalizzati e riscontrò che le persone con urea > 40 mg/dl avevano una probabilità aumentata di 2.5 volte rispetto i pazienti che avevano urea < 20 mg/dl [1]. Queste osservazioni stimolarono la ricerca a fare luce sulla aumentata frequenza di reazioni avverse da farmaci in IRC.
Oggi sappiamo che l’insufficienza renale modifica non solo la clearance renale dei farmaci, ma anche tutti quei processi che rappresentano le fasi della Farmacocinetica (PK) e che nel loro insieme sono conosciuti con l’acronimo ADME : Assorbimento dalla sede di somministrazione, Distribuzione nei vari tessuti, Eliminazione dal corpo attraverso il Metabolismo e l’Escrezione [2]. I primi studi sul ruolo della insufficienza renale cronica nell’ADME iniziarono negli anni ’50 con Calvin Kuning che fece uno studio sistemico sull’allungamento dell’emivita dei farmaci nell’ambito della IRC [3].
Successivamente Luzius Dettli fu il primo a dimostrare una correlazione fra la frazione del farmaco eliminato (che è inversamente proporzionale all’ emivita T1/2) e la funzione renale: questa era una correlazione lineare che permetteva ai medici di allora di derivare la dose idonea di molti farmaci da somministrare ai pazienti con IRC [3]:

Eliminazione del farmaco e funzione renale (3)
Fig. 1 Eliminazione del farmaco e funzione renale [3]. La costante del tasso di eliminazione (Ke=0.693/T1/2), dipende linearmente dal GFR. Il tasso della eliminazione non renale (Ke non ren) è calcolata Ke -Keren. La dose (D) è adattata alla funzione renale proporzionalmente alla Ke e quindi inversamente alla T1/2. D% norm è la dose modificata come espressione della % della dose normale.

Come la creatinina sierica anche l’emivita (T1/2) ha una dipendenza iperbolica rispetto alla funzione renale (GFR), ossia maggiore è la frazione di eliminazione del farmaco per via renale e maggiore è l’emivita del farmaco. Tuttavia c’è un range non critico di GFR (> o = a 60 ml/min) per il quale non è determinante per la PK del farmaco, quindi non è necessario modificare la dose del farmaco quando la funzione renale è uguale o superiore a 60 ml/min [3;4]: vedi fig sottostante.

Fig: Emivita (T1/2) e funzione renale (f ren) [3].
Fig. 2 Emivita (T1/2) e funzione renale (f ren) [3].

Una seconda deduzione di L. Dettli fu che l’adeguamento della dose di un farmaco nell’insufficienza renale cronica poteva essere eseguito sia riducendo la dose in modo inversamente proporzionale alla emivita del farmaco (regola Dettli 1), sia prolungando l’intervallo di somministrazione direttamente proporzionale all’emivita del farmaco (regola Dettli 2). Queste regole potevano portare però a dosaggi dei farmaci eccessivamente bassi, specie per i pazienti nelle terapie intensive con IRC che richiedevano un rapido raggiungimento del range terapeutico. Una terza regola di C Kuning utilizza dosi più elevate dai farmaci rispetto le regole di Dettli; in particolare prevede la somministrazione della prima dose del farmaco uguale a quella somministrata a pazienti con funzione renale normale e la dose di mantenimento è poi modificata a seconda della sua emivita: se è più breve dell’intervallo di somministrazione la dose non va modificata [3; 4]. In generale resta comunque la regola che nei pazienti con IRC è indicato iniziare con la dose normale del farmaco; la dose di mantenimento poi è modificata a seconda del grado di insufficienza renale ed emivita del farmaco, ossia se l’emivita è più breve degli intervalli di somministrazione di solito non sono necessari aggiustamenti della dose [3]. L’effetto della somministrazione sulla concentrazione del farmaco in pazienti con IRC secondo l’applicazione delle tre regole di Kunning (nero) , di Dettli 1 (blu) e Dettli 2 (rosso) sono evidenziate nel grafico seguente :

Fig. Aggiustamento della dose e IRC (3). T1/2 GFR ml/min
Fig. 3 Aggiustamento della dose e IRC [3]. T1/2 GFR ml/min

Perché nella IRC la PK si modifica al punto da rendere necessario un adeguamento della dose del farmaco?

Perché l’ADME, che rappresenta i processi della PK, si modifica in relazione con all’insorgenza e all’evoluzione della IRC.

Fig Panoramica dei processi di PK [5].
Fig. 4 Panoramica dei processi di PK [5].

Alcuni esempi nei quali l’IRC può modificare l’ADME:
L’Assorbimento può aumentare o ridursi a causa di un transito intestinale aumentato, oppure per il pH gastrico aumentato o la presenza di edema di parete intestinale.
La Distribuzione (fase in cui il farmaco lascia reversibilmente il torrente circolatorio ed entra nell’interstizio e poi nelle cellule dei tessuti) si modifica in caso di ritenzione di liquidi cui consegue un volume di distribuzione (Vd) aumentato e come pure avviene in caso di riduzione di massa magra; la riduzione della capacità di legame del farmaci ai tessuti determina un Vd ridotto; mentre il Vd può aumentare quando il legame dei farmaci alle proteine plasmatiche (principalmente albumina e alfa acido glicoproteina AAG) si riduce come nel caso di malnutrizione e proteinuria, rendendo il farmaco libero di attraversare le membrane e distribuirsi fuori dallo spazio vascolare (ci sono però anche evidenze nelle quali è riportato che l’AAG nella IRC può aumentare essendo una proteina della fase acuta infiammatoria) [5].
Pochi farmaci vengono escreti immodificati dai reni. Il Metabolismo (epatico, intestinale e renale) è la principale via di eliminazione dei farmaci e avviene attraverso due fasi: una fase dipendente dalla attività degli enzimi citocromo CYP (ossido/riduzione) e una fase in cui il metabolismo dei farmaci è dipendente dall’enzima UGT-glucoronosiltransferasi (coniugazione). Nella IRC le tossine uremiche possono inibire gli enzimi, possono ridurne l’attività e l’espressione genica [5, 6, 7, 8].
A seguire esempi di citocromo P450 e UDP-glucoronosiltransferasi espressi a livello renale nell’uomo e i corrispettivi substrati e inibitori [6]:

ENZIMA SUBSTRATO INIBITORE
CYP3A5 Amlodipina, Atorvastatina, Ciclosporina, Fentanil Diltiazem Ritonavir, Carbamazepina, Tacrolimus, …

Diltiazem

Ritornavir etc

UGT2B7 ldosterone, Acido Arachidonico, Codeina, FANS, Morfina, … Fluconazolo etc

L’Escrezione dei farmaci avviene per via biliare e renale. L’escrezione renale si modifica in caso di IRC in quanto il grado di eliminazione dipende dalla filtrazione glomerulare, dalla secrezione tubolare attiva e dal riassorbimento tubolare. Nella IRC le tossine uremiche possono inibire i trasportatori e possono competere con i farmaci per la secrezione attiva [5].

Fig. Trasportatori renali di importanza clinica [6].
Fig. 5 Trasportatori renali di importanza clinica [6].

Esempi di substrati e inibitori dei trasportatori del tubulo renale:

TRASPORTATORE SUBSTRATO INIBITORE
ABCB1 Dabigatran, Digossina, … Amiodarone, Carvedilolo, …
SLC22A2 Metformina, … Cimetidina, trimethoprim, …

 

La Farmacocinetica (PK) determina la modifica della dose dei farmaci da somministrare in presenza di IRC: alcuni esempi.

In presenza di IRC l’Assorbimento si modifica per l’aumento del pH gastrico cui consegue la riduzione dell’assorbimento di FUROSEMIDE e FERRO e la riduzione della loro biodisponibilità circa del 20% e 50% rispettivamente e perciò può essere richiesto un aumento della loro dose [5]. In presenza di IRC l’Escrezione urinaria si modifica e di conseguenza un farmaco come il LITIO che ha una escrezione urinaria per filtrazione e a cui segue il riassorbimento tubulare, è richiesta una riduzione della dose per per evitare l’effetto neurotossico da accumulo (NB: la furosemide aumenta l’escrezione del Litio riducendone l’assorbimento tubulare, ma in caso di insufficienza renale acuta può associarsi una neurotossicità secondaria a disidratazione) [8].
In presenza di IRC la Distribuzione ed Escrezione può modificarsi come nel seguente esempio: la DIGOSSINA è escreta per filtrazione renale e secrezione renale (a questo livello possono agire degli inibitori della secrezione come amiodarone e carvedilolo) e il Vd può essere ridotto come conseguenza della riduzione del 50% dei siti di legame tissutali della digossina rappresentati dalle pompe Na e K ATPasi [5]: ne consegue un possibile aumento della concentrazione del farmaco che, presentando uno stretto indice terapeutico e in presenza di IRC, è a rischio di tossicità [5, 8]. In presenza di IRC anche il Metabolismo e l’Escrezione possono modificarsi.
I farmaci NAO: APIXABAN è Metabolizzato da un citocromo epatico ed escreto nelle feci mentre è escreto dal rene per il 25% e quindi non necessita di grosse modifiche della dose in IRC; il RIVAROXABAN è escreto nel 66% nelle urine e in parte nelle feci e pertanto la sua dose deve essere modificata nella IRC. Fra i BETA-BLOCCANTI si segnalano il metoprololo, propranololo con metabolismo epatico per i quali non è necessario modificare la dose in IRC, l’atenololo, presenta escrezione urinaria ed è indicato ridurne la dose, mentre il bisoprololo che presenta una escrezione urinaria del 30% è indicata una riduzione di dose in IRC avanzata. Il Sotalolo presenta una escrezione renale, non legata a proteine, ed è necessario ridurne la dose in IRC per un rischio pro-aritmico. L’amiodarone, come agente antiaritmico, è metabolizzato a livello epatico, il legame proteico è 99% e non sono necessarie modifiche in IRC [6 – 9].
La maggior parte degli ACE INIBITORI è Escreta per via renale (perindopril, lisinopril) e richiede adeguamento del dosaggio; ciò non è necessario per il fosinopril che è Escreto per via epatobiliare come il ramipril il quale però ha anche una escrezione renale [9].
L’eparina non frazionata (calcica o sodica) presenta una eliminazione per via Metabolica a livello epatico e endoteliale e non richiede modifiche sostanziali della dose, mentre l’eparina a basso peso molecolare (enoxaparina) e il fondaparinux sono Escreti per via renale e richiedono adeguamento del dosaggio in IRC [8, 10].
Tra gli ipoglicemizzanti orali la glipizide, pioglitazone, linagliptin hanno un Metabolismo epatico, mentre metformina e insulina umana hanno un’Escrezione renale con conseguente necessità di riduzione del dosaggio in IRC [11, 12].
Da questi esempi si deduce come la PK rappresenti l’effetto del nostro organismo sul farmaco e la sua conoscenza permette di definire la dose corretta di almeno la metà dei farmaci nei pazienti con malattia renale.

 

L’adeguamento della dose dei farmaci nella insufficienza renale non è solo una questione di Farmacocinetica (PK), ma anche di Farmacodinamica (PD).

La Farmacodinamica descrive la relazione tra la concentrazione di un farmaco e il suo effetto sul nostro organismo. Raggiunta la concentrazione desiderata e non tossica del farmaco con corretta modalità di somministrazione a seconda di una PK concentrazione o dose dipendente, quale sarà l’effetto del farmaco?

L’effetto è descritto dall’equazione sigmoidea di Hill (a forma di “S”) che correla l’effetto con la concentrazione del farmaco [3]. L’effetto infatti non è lineare con la concentrazione, ma è descritto dal modello sigmoideo dell’effetto massimo (Emax). Il coefficiente di Hill descrive il grado di sigmoidicità della curva ovvero quanto sia più o meno difficile raggiungere l’effetto massimo del farmaco: se H è pari a 1 (oppure valore basso) il farmaco non arriva (o arriva dopo) a Emax; mentre se H ha un valore di 4 (alto) il farmaco arriva prima alla Emax [3, 7]. Quindi l’effetto terapeutico di un farmaco dipende dal suo coefficiente di Hill.

Fig. Curva sigmoidea di concentrazione/ effetto (3)
Fig. 6 Curva sigmoidea di concentrazione/ effetto [3]

I parametri di Farmacodinamica definiti per la funzione renale normale potrebbero modificarsi nella insufficienza renale (Fig 7). Quando il coefficiente di Hill si riduce (A) la dose deve essere aumentata. Quando Emax è ridotto (B) deve essere aumentata la dose del farmaco o un altro deve essere associato. Quando Emax aumenta (C) vi sono gli effetti combinati additivi di due farmaci. Quando la concentrazione che determina CE50 aumenta (D) è necessario una dose maggiore. Al contrario quando CE50 si riduce (E) la dose deve essere ridotta.

E’ esperienza comune fra i nefrologi che la dose della furosemide non deve essere ridotta, ma piuttosto aumentata per ottenere effetto diuretico nell’insufficienza renale, come conseguenza di un CE50 più elevato e una ridotta potenza e sensibilità

Fig. 7 Nell'immagine sono espressi in grafico alcuni esempi di curve sigmoidee che caratterizzano l’effetto dei farmaci durante l’ IRC: si deduce che dalla forma della curva dipende la dose del farmaco che spesso va ridotta, ma non sempre, al fine di raggiungere l’effetto massimo [7].
Fig. 7 Nell’immagine sono espressi in grafico alcuni esempi di curve sigmoidee che caratterizzano l’effetto dei farmaci durante l’ IRC: si deduce che dalla forma della curva dipende la dose del farmaco che spesso va ridotta, ma non sempre, al fine di raggiungere l’effetto massimo [7].

A Farmacodinamiche (PD) diverse conseguono diverse modalità di somministrazione del farmaco, ed ecco alcuni esempi: vi è un intervallo di somministrazione diverso dei farmaci APIXABAN per 2 /die e Rivaroxaban per 1 /die (Fig. sotto). La furosemide presenta una CE50 (concentrazione che evoca il 50% della risposta massima) aumentata e durante la IRC si deve aumentare la dose anche di 10 volte in quanto il farmaco diviene meno potente e servono concentrazioni intra-tubolari molto più alte per avere un effetto diuretico [13, 14]. L’ototossicità è concentrazione dipendente, ed è meno probabile con la somministrazione ev. continua piuttosto che a boli [13].

APIXABAN x 2 /die RIVAROXABAN x 1 /die
Fig. 8 PD diversa cui consegue una somministrazione diversa: APIXABAN x 2 /die RIVAROXABAN x 1 /die [13]

In conclusione la Farmacodinamica descrive le relazioni tra la concentrazione di un farmaco e il loro effetto, che può essere quello desiderato, ma anche tossico oppure non esserci proprio.

 

Un ulteriore fattore che modifica l’effetto del farmaco sul nostro organismo è la Farmacogenomica.

La Farmacogenomica identifica le variazioni genetiche presenti nei geni responsabili del Metabolismo, Trasporto e nel Recettore del farmaco: questa variazioni possono aumentare il rischio della tossicità o inefficacia del farmaco. Somministrando lo stesso farmaco alla stessa dose a tutti i pazienti c’è il rischio di avere in un certo numero di pazienti una tossicità o inefficacia del farmaco: la conoscenza della Farmacogenomica può aiutare nella scelta del farmaco e la dose più appropriata per il singolo paziente. Qui sotto sono riportati esempi di alleli con le corrispettive variazioni genetiche e fenotipo significative in Farmacogenomica e la conseguente pratica clinica da applicare [15, 16].

 

Esempi di geni ed alleli con corrispettive variazioni causali e fenotipi [15].

GENI e ALLELI

VARIAZIONI

FENOTIPI

CYP2C9

rs1799853 (T)

rs1799853 (T)

ridotta funzione

*3

rs1057910 (C)

ridotta funzione

VKORC1

-1639G>A

rs9923231

aumentata sensibilità a warfarin

Esempi di associazione farmaco-gene ed effetti clinici [15]

FARMACO

GENE

EFFETTO CLINICO

Warfarin

CYP2C9 Uso basse dosi se è uno scarso metabolizzatore

Warfarin

CYP4F2

Uso basse dosi se vi è ridotta attività

Warfarin

VKORC1

Uso basse dosi se vi è un aumento di sensibilità (- 1639>A)

Clopidogrel

CYP2C19

Utilizzare altro antiaggregante se basso metabolizzatore, da monitorare per rischio sanguinolento se ultrarapido metabolizzatore

Simvastatina

SLCO1B1

Uso basse dosi o cambiare farmaco se basso trasportatore

Azatioprina

TPMT Se ridotta funzione TPMT alto rischio di tossicità

 

Riflessione

Abbiamo visto come la riduzione della funzione renale determina modifiche nella PK e PD dei farmaci. Ne consegue che farmaci di uso comune possono avere un profilo di rischio aumentato in pazienti con insufficienza renale cronica. E’ noto che i trial clinici spesso escludono i pazienti con IRC: da ciò deriva la necessità estrapolare i dati disponibili dalla popolazione generale ai pazienti con danno renale.

 

Nuove tecnologie nell’approccio alla fisiopatologia.

Per ottenere dei dati sugli effetti di farmaci in pazienti con IRC, oltre agli studi in vitro (riprodotti in provetta) e in vivo (riprodotti in essere vivente), oggi ci sono gli studi in silico i quali con simulazioni matematiche elaborano i dati vitro/vivo al fine di ottenere previsioni degli effetti dei farmaci nell’IRC: i dati così ottenuti devono essere poi verificati mediante comparazioni in vivo [17]. Una nuova tecnologia ingegneristica ha integrato cellule tubulari renali con dispositivi microfluidi creando un cosiddetto “Kidney-on-a-chip”; una delle applicazioni di questo innovativo approccio è anche lo studio della nefrotossicità da farmaci [18].

 

Effetti avversi e tossicità da farmaci in IRC: pratica clinica.

Con le premesse sul significato della PK e della PD, non sorprende che le reazioni avverse e la tossicità da farmaci siano maggiori nei pazienti con insufficienza renale rispetto pazienti con normale funzione renale. In uno studio condotto in un ospedale in Cina sono stati valutati i farmaci somministrati a pazienti con diversi gradi di insufficienza renale ed è emersa una prescrizione errata nel 15% dei casi, e maggiore era il grado di insufficienza renale, maggiore era la possibilità di prescrizione inappropriata; i farmaci più coinvolti si sono dimostrati essere i nutraceutici e soluzioni elettrolitiche (es KCl, Calcio Gluconato), gli antibiotici/antivirali (piperacillina tazobactam, levofloxacina, ceftazidime, entecavir, lamivudina) [19].
Uno studio canadese ha messo in evidenza un altro aspetto delicato nell’ambito della tossicità da farmaci in pazienti con IRC. Questo studio ha mostrato come un appropriato training sull’uso dei farmaci in pazienti con IRC rivolto alle farmacie di “comunità” ha migliorato l’incidenza di problemi relati all’assunzione dei farmaci e l’aderenza alla terapia nei pazienti con IRC [20], “notoriamente molto cospicua” in termini numerici.
Infine è noto che per la gestione quotidiana del paziente con IRC ci vengono in aiuto numerose tabelle pubblicate in riviste scientifiche che riportano le dosi dei farmaci adeguate al grado di IRC [21].

Es:

FARMACO

DOSAGGIO USUALE

DOSAGGIO sec GFR ml/min

> 50 10 – 50 <10
Bisoprololo

10 mg al giorno

100% 75%. 50%

 

Conclusione

È difficile standardizzare l’utilizzo dei farmaci nella IRC. Il nefrologo deve essere analitico nella scelta del farmaco e per tale motivo deve essere un buon conoscitore della PK e PD, e capace di districarsi nella ragnatela dei coefficienti ad essi correlati. Sopra ogni deduzione teorica, frutto di attente analisi dei principi delle cinetiche dei farmaci, vale sempre e comunque la nostra conoscenza clinica del paziente che abbiamo innanzi che è unico e al quale dobbiamo adeguare la sua terapia come un vestito sartoriale.

 

Bibliografia

  1. Reindenberg M.M. ‘Early Research on Renal Function and Drug Action’; J Clin Pharmacol, 2012; 52: 7S-9S.
  2. Rodieux F. ‘Effect of Kidney Function on Drug Kinetics and Dosing in Neonates, Infants, and Children’; Clin Pharmacokinet, 2015; 52: 1183-1204.
  3. Hartmann B. ‘Drug therapy in patients with chronic renal failure’; Deutsches Arzteblatt International 2010; 107 (37): 647-56.
  4. Aymanns C. ‘Review on pharmacokinetics and pharmacodynamics and the aging kidney’; Clin J Am Soc Nephrol 2010; 5: 314-327.
  5. Schijvens A.M. ‘Pharmacokinetics in children with chronic kidney disease’; Pediatric Nephrology 2020 Jul; 35 (7): 1153-1172. doi: 10.1007/s00467-019-04304-9. Epub 2019 Aug 2.
  6. O. Miners ‘The Role of the Kidney in Drug Elimination: Transport, Metabolism, and the Impact of Kidney Disease on Drug Clearance’; Clinical Pharmacology & Therapeutics 2017; 102 (3): 436-449.
  7. Liu ‘Metabolic Enzyme System and Transport Pathways in Chronic Kidney Diseases’; Current Drug Metabolism 2018; 19: 568-576.
  8. N. Lea -Henry ‘Clinical Pharmacokinetics in Kidney Disease Fundamental Principles’; Clin J Am Soc Nephrol 2018; 13: 1085-1095.
  9. D. Sinha ‘Clinical Pharmacology of Antihypertensive Therapy for the Treatment of Hypertension in CKD’; Clin J Am Soc Nephrol 2019; 14 (5): 757-764.
  10. Harder ‘Renal Profiles of Anticoagulants’; J Clin Pharmacol 2012; 52: 964-975.
  11. Amouts ‘Glucose-lowering drugs in patients with chronic kidney disease: a narrative review on pharmacokinetic properties’; Nephrol Dial Transplant 2014; 29: 1284-1300.
  12. J. Scheen ‘Pharmacokinetic considerations for the treatment of diabetes in patients with chronic kidney disease’; Expert Opinion on Drug Metabolism & Toxicology; 2013: 9 (5): 529-550.
  13. Keller ‘Clinical Pharmacodynamics Principles of Drug Response and Alterations in Kidney Disease’; Clin J Am Soc Nephrol 2018; 13: 1413-1420.
  14. H. Ellison ‘Clinical Pharmacology in Diuretic Use’; Clin J Am Soc Nephrol 2019; 14: 1248-1257.
  15. M. Adams ‘Clinical Pharmacogenomics Applications in Nephrology‘; Clin J Am Soc Nephrol 2018; 13: 1561-1571.
  16. Padulles ‘Developments in renal pharmacogenomics and applications in chronic kidney disease’; Pharmacogenoimics and Personalized Medicine; 2014: (7): 251-266.
  17. Maass ‘Translational Assessment of Drug-Induced Proximal Tubule Injury Using a Kidney Microphysiological System’; Pharmacometrics Syst. Pharmacol. 2019; 8: 316-325.
  18. Kim ‘Organ-on-a-chip and the kidney’; Kidney Res Clin Pract 2015; 34: 165-169.
  19. Yang ‘Inappropriateness of medication prescriptions about chronic kidney disease patients without dialysis therapy in a Chinese tertiary teaching hospital’; Therapeutics and Clinical Risk Management 2016; 12: 1517-1524.
  20. Lalonde ‘Community Pharmacist Training-and-Communication Network and Drug-Related Problems in Patients With CKD: A Multicenter, Cluster-Randomized, Controlled Trial’; Am J Kidney Dis 2017; 70 (3): 386-396.
  21. Y. Munar ‘Drug Dosing Adjustments in Patients with Chronic Kidney Disease’; Am Family Physician; 2007: 75 (10): 1487-1496.

Tossicità renale da farmaci antineoplastici

Abstract

L’onconefrologia è una recente disciplina sorta in campo nefrologico e oncologico, volta ad esplorare le numerose connessioni tra patologie neoplastiche e renali. Tra i numerosi campi di applicazione dell’onconefrologia, un ruolo significativo è ricoperto dalla gestione degli eventi avversi in corso di terapia antineoplastica attraverso una analisi individualizzata dei fattori di rischio del paziente, delle caratteristiche dei farmaci oncologici prescritti e l’instaurazione di un preciso follow-up che spesso prosegue anche al termine del trattamento oncologico. Lo scopo di questa revisione è, oltre che descrivere i fattori di rischio per la nefrotossicità da farmaci antitumorali, analizzare le principali criticità onco-nefrologiche legate alle specifiche classi di farmaci. I chemioterapici classici presentano un profilo variabile di tossicità renale, per la maggior parte dei casi ben definito, che consente di mettere in campo delle collaudate strategie terapeutiche per la gestione degli eventi avversi renali. Le terapie a bersaglio molecolare e i farmaci immunoterapici nonostante abbiano dimostrato di migliorare significativamente la prognosi a breve e lungo termine in numerose neoplasie presentano un ampio profilo di tossicità renale ancora in fase di definizione. La costante analisi dei report relativi alle specifiche molecole, associata ad un a condotta proattiva per la definizione istologica delle lesioni renali in questo contesto clinico, è la chiave per completare rapidamente la definizione del profilo di sicurezza ampliando contestualmente la platea dei pazienti che potranno beneficiare  dei nuovi farmaci antineoplastici.

Parole chiave: Danno renale acuto, AKI, cisplatino, gemcitabina, anti-VEGF, immunoterapia, bevacizumab

Introduzione

L’onconefrologia è una recente disciplina nata in campo nefrologico che studia le numerose interrelazioni tra malattie renali e patologie oncologiche [1].  I recenti progressi a livello di diagnosi e terapia hanno infatti portato ad un significativo incremento della sopravvivenza dei pazienti affetti da patologie oncologiche; contestualmente è emerso l’impatto che le patologie renali esercitano in senso prognostico e terapeutico in questa categoria di pazienti. Il danno renale acuto (acute kidney injury [AKI]), sia esso di natura pre -post o intra-renale è sicuramente la sindrome clinica nefrologica maggiormente riscontrata nei pazienti oncologici. Frequentemente, questa sindrome clinica si inserisce in un contesto complesso, caratterizzato dalla presenza di altre sindromi cliniche nefrologiche, quali una preesistente malattia renale cronica o quadri di sindrome nefrosica e/o nefritica riconducibili ad un danno glomerulare. (figura 1). Tra le cause di AKI, un ruolo preminente è esercitato dalla terapia antineoplastica: in tale ottica un’attenta analisi onco-nefrologica risulta imprescindibile, al fine di minimizzare il potenziale impatto negativo a livello multi-organo, al momento della prescrizione, durante il trattamento e, in alcuni casi, al termine del ciclo terapeutico. In questa sede, sono analizzati gli effetti renali a breve e a lungo termine conseguenti alla terapia con farmaci chemioterapici classici, farmaci a bersaglio molecolare e farmaci immunoterapici.

Figura 1. Spettro dei meccanismi di danno renale in corso di patologia neoplastica
Figura 1. Spettro dei meccanismi di danno renale in corso di patologia neoplastica

 

Fattori di rischio per danno renale in corso di terapia con farmaci antineoplastici

Non tutti i pazienti trattati con farmaci antineoplastici nefrotossici presentano danno renale; ciò può dipendere da numerosi fattori che, se presenti, incrementano il rischio di nefrotossicità. In generale, è possibile identificare: 1) fattori dipendenti dalla neoplasia; 2) fattori legati alla tossicità innata del farmaco; 3) fattori dipendenti dal paziente; 4) fattori legati al metabolismo renale dei farmaci oncologici (figura 2) [2].

Fattori di rischio per nefrotossicità da famaci antitumorali
Figura 2. Fattori di rischio per nefrotossicità da famaci antitumorali

Fattori dipendenti dalla neoplasia. Alcune neoplasie possono esercitare un effetto nefrotossico diretto; come avviene nel mieloma multiplo, nei casi di infiltrazione renale in corso di linfomi, del danno intra-renale nel corso delle GN paraneoplastiche o post-renale in corso di neoplasie del tratto urinario. È inoltre frequente un effetto nefrotossico indiretto di alcune neoplasie che possono causare AKI pre-renale per deplezione di volume vera (es. disidratazione conseguente a vomito, diarrea o eccessiva diuresi), o relativa, (es. insufficienza epatica). Infine alcune neoplasie possono causare alterazioni metaboliche come iper/ipocalcemia e iperuricemia, potenziando l’effetto nefrotossico del trattamento oncologico.

Fattori legati alla tossicità innata del farmaco. Il potenziale nefrotossico dei farmaci può dipendere da un effetto diretto, da una prolungata esposizione o da un’elevata dose cumulativa, anche in assenza di altri fattori di rischio. Ad esempio, successivamente alla somministrazione di alcuni trattamenti oncologici (es. methotrexate) è possibile osservare un danno diretto per precipitazione del farmaco o diretto tossico per azione dei metaboliti a livello tubulare. Infine, il danno indotto della molecola anti-tumorale può sommarsi agli effetti di altri nefrotossici noti, su tutti i farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), gli aminoglicosidi e i mezzi di contrasto iodati.

Fattori dipendenti dal paziente. Alcuni pazienti, a parità di esposizione a nefrotossici, hanno un maggior rischio di sviluppare danno renale. Le categorie maggiormente a rischio sono soggetti anziani (età superiore a 65 anni) e quelli affetti da malattia renale cronica (chronic kidney disease [CKD]) o che già hanno presentato episodi di AKI. E’ possibile che la presenza di un background genetico sfavorevole sia un ulteriore fattore di rischio. In particolare, è noto che la presenza di polimorfismi a carico del citrocromo P-450 renale, possa causare una ridotta attività metabolica intra-renale e contestuale accumulo di farmaci nefrotossici. Una ridotta escrezione cellulare dei farmaci a seguito di mutazioni causanti ridotta attività dei trasportatori apicali e delle proteine carrier, può favorire l’accumulo intra-cellulare di molecole nefrotossiche. Infine, le differenze individuali su base genetica, in termini di iperreattività del sistema immunitario, possono in parte spiegare la maggiore predisposizione di alcuni pazienti allo sviluppo di danno immunomediato in corso di trattamento oncologico.

Fattori legati al metabolismo renale dei farmaci oncologici. Il metabolismo renale dei farmaci rappresenta un ulteriore fattore che può incrementarne la tossicità. I reni, a causa dell’elevato apporto di sangue che ricevono (circa il 25% della gittata cardiaca) sono contestualmente esposti in maniera superiore rispetto agli altri organi ai potenziali effetti tossici dei farmaci. In particolare, l’ansa di Henle e il tubulo collettore sono particolarmente vulnerabili al danno tossico ischemico come conseguenza di un ambiente cellulare ed extracellulare relativamente ipossico e dell’elevata attività concentrante che innalza i livelli locali dei farmaci e dei loro metaboliti. L’elevata attività metabolica espone inoltre ad un incremento della produzione di specie reattive dell’ossigeno che contribuiscono al mantenimento del danno d’organo attraverso meccanismi di alchilazione degli acidi nucleici, degenerazione proteica, perossidazione lipidica e danno strutturale del DNA. Il tubulo prossimale è interessato da danno tossico successivamente all’uptake cellulare del farmaco dal circolo peritubulare.

Dall’analisi dei sopracitati meccanismi di danno renale in corso di terapia oncologica emerge come l’effetto nefrotossico sia spesso multifattoriale. Dal momento che una quota rilevante di questi effetti dipende da fattori non modificabili legati ai pazienti, anche l’efficacia degli interventi messi in atto con il fine di ridurre o regredire il danno renale, sarà limitata.

 

Danno renale in corso di terapia con chemioterapici classici

La trattazione organica degli effetti avversi renali dei chemioterapici classici non è possibile in questa sede; suggeriamo pertanto alcune risorse specifiche [3, 4]. In questo contesto ci concentreremo sui composti a base di platino, ifosfamide, e gemcitabina.

 

Cisplatino

Il cisplatino è un potente chemioterapico utilizzato per il trattamento di un elevato numero di neoplasie. La nefrotossicità rappresenta un effetto avverso frequente e spesso può limitare il proseguo della terapia oncologica, oltre che determinare conseguenze negative a carico della funzione renale a breve e a lungo termine. Il danno renale acuto si osserva nel 30% dei pazienti [5] ed è conseguente a un principale interessamento del tubulo prossimale, (in particolare il suo segmento S3). Ciò che sottende al danno tubulare sono prevalentemente effetti tossici diretti, l’induzione di ischemia tubulare per diminuita vascolarizzazione tubulare, l’accumulo di metaboliti cellulari tossici e lo stato infiammatorio locale [6]. In oltre metà dei pazienti che presentano AKI in corso di terapia con cisplatino si riscontra ipomagnesemia, che a sua volta può potenziare l’entità del danno renale. Altre possibili manifestazioni del danno renale sono la sindrome di Fanconi, la acidosi tubulare renale di tipo 1 e nefropatia sodio disperdente; in alcuni pazienti è stato descritto un quadro clinico ed istologico di microangiopatia trombotica.

Tra i principali fattori che hanno dimostrato di poter incrementare il rischio del danno renale si annoverano 1) l’incremento del picco di concentrazione libera del farmaco a livello sierico, 2) aver praticato precedentemente dei cicli di chemioterapia a base di platino, 3) la presenza di una malattia renale cronica già al momento dell’inizio del trattamento chemioterapico, e 4) l’uso concomitante di altri agenti nefrotossici.

Alla luce dei fattori di rischio prima citati, sono stati proposti diversi approcci che sottendono a ridurre la concentrazione libera di farmaco [6], in particolare l’idratazione con soluzione salina nel danno renale acuto e l’utilizzo di dosi inferiori di farmaco (o la sostituzione con analoghi del cisplatino) nelle forme con evidenza di danno cronico. Tra gli analoghi del cisplatino, il carboplatino ha dimostrato di avere un potenziale nefrotossico significativamente ridotto se la dose è adattata alla funzione renale (formula di Calvert )[7].

 

Ifosfamide

L’ifosfamide è una mostarda azotata che, al pari del cisplatino, è utilizzata nel trattamento di un gran numero di neoplasie solide, in particolare tumori della linea germinale, sarcomi e linfomi non Hodgkin. Noti effetti collaterali del trattamento con ifosfamide sono la cistite emorragica, la sindrome da inappropriata secrezione di ADH e la tossicità diretta a carico del tubulo prossimale.

Le principali manifestazioni cliniche comprendono AKI associata a ipofosfatemia, sindrome di Fanconi (glicosuria, bicarbonaturia, aminoaciduria, proteinuria tubulare) e acidosi tubulare renale distale o prossimale [8].

Il maggiore determinante del danno renale è costituito dalla dose cumulativa del farmaco: per dosi cumulative inferiori a 60 g/m2, l’insorgenza di AKI è possibile ma le conseguenze nel lungo termine sono rare. Nei pazienti che invece hanno ricevuto una dose cumulativa superiore a 120 g/m2, oltre ad un danno renale acuto è frequente il riscontro di compromissione persistente della funzione renale [9].

La riduzione della dose cumulativa, l’assicurazione di una corretta idratazione e l’abolizione dell’esposizione ad altri farmaci nefrotossici noti, rappresentano al momento gli unici strumenti per limitare l’insorgenza e l’entità del danno renale nei pazienti trattati con ifosfamide.

 

Gemcitabina

La Gemcitabina è un antagonista delle pirimidine utilizzato come antitumorale in particolare nei carcinomi della vescica, mammella, polmone (non a piccole cellule), ovaio e pancreas. Il principale evento avverso renale è il danno renale acuto, nella maggior parte dei casi conseguente all’insorgenza di microangiopatia trombotica (TMA), che è preceduto da ipertensione arteriosa resistente e, successivamente, si palesa con segni di interessamento sistemico quali alterazioni neurologiche e lesioni ischemiche periferiche; secondo alcune casistiche, la TMA in corso di gemcitabina si osserva in circa 1% dei pazienti [10]. Tra i fattori di rischio si annovera la pregressa esposizione a mitomicina C, la presenza di CKD ed il superamento di una dose cumulativa di 20000 mg/m2 [11].

Nonostante il rischio incrementato di presentare eventi avversi, il trattamento con Gemcitabina è stato proposto, con opportuna riduzione di dosaggio, anche nei pazienti con CKD avanzata e talvolta in end stage renal disease (ESRD) in emodialisi. Plasmasferesi, rituximab ed eculizumab sono stati proposti per il trattamento della TMA [12,13], ma allo stato attuale la sospensione del farmaco e la terapia di supporto restano le uniche misure di provata efficacia [14].

 

Danno renale in corso di terapia con farmaci a bersaglio molecolare

Il miglioramento delle conoscenze relative alla fisiopatologia dei tumori, ha permesso negli ultimi due decenni, di sviluppare dei farmaci diretti contro i meccanismi molecolari alla base della crescita, della progressione e della diffusione metastatica delle neoplasie. Questi agenti antineoplastici, definiti collettivamente come “farmaci a bersaglio molecolare” o “target therapy” hanno radicalmente migliorato la prognosi a breve e lungo termine dei pazienti affetti da neoplasie solide e ematologiche [15]. Nonostante l’ampia diffusione dei farmaci a bersaglio molecolare, il profilo di sicurezza degli stessi è in corso di definizione a seguito di un numero crescente di eventi avversi riportati a seguito del loro estensivo utilizzo. Gli eventi avversi renali sono un’evenienza che è stata frequentemente riportata in studi osservazionali, principalmente nella fase post marketing. Ciò può essere una conseguenza dell’esclusione dai trial randomizzati controllati di fase 3 dei pazienti con funzione renale ridotta, in particolare dei pazienti anziani che rappresentano metà dei malati oncologici [15]. Come i chemioterapici tradizionali, la nefrotossicità da farmaci a bersaglio molecolare può coinvolgere tutti i segmenti del nefrone. Concentreremo la nostra attenzione sugli effetti renali dei farmaci antiangiogenetici riferendo i lettori alla pubblicazione di Porta e colleghi per l’analisi sistematica degli effetti avversi renali dei farmaci a bersaglio molecolare [15].

 

Farmaci antiangiogenetici

L’iperespressione del vascular endothelial growth factor (VEGF) o del suo recettore (VEGFr) sono elementi chiave della neo-angiogenesi tumorale. Gli inibitori del VEGF (es. bevacizumab, afilbercept), o dell’attività delle tirosin-kinasi associate al VEGFr (TKi) (es. sunitinib, sorafenib, pazopanib) sono i principali anti tumorali in uso ad azione anti neoangiogenetica. Essi riducono la perfusione tumorale attraverso una inibizione del microcircolo e della proliferazione endoteliale neoplastica.

La forma A del VEGF (VEGF-A) è abbondantemente prodotta a livello dei podociti, delle cellule mesangiali e tubulari, mentre il VEGFr è espresso a livello delle cellule mesangiali e tubulari [16]. Il VEGF-A esercita un ruolo fondamentale nella formazione e mantenimento della barriera di filtrazione glomerulare; in sua assenza i podociti e le cellule endoteliali sono incapaci di maturare e proliferare. L’inibizione eccessiva del VEGF-A è causa di tossicità  podocitaria e mesangiolisi [17].

Dall’alterazione dell’omeostasi glomerulare derivano verosimilmente le principali lesioni istologiche; la TMA è maggiormente descritta in corso di terapia con i ligandi del VEGF, mentre le podocitopatie (es. malattia a lesioni minime e glomerulosclerosi focale e segmentaria variante “collapsing”) sono state osservate principalmente in corso di terapia con TKi [18-19].

Dal punto di vista clinico, si osservano proteinuria, ipertensione arteriosa di nuovo riscontro (o esacerbazione di ipertensione preesistente), AKI (con o senza proteinuria) e raramente alterazioni elettrolitiche come ipofosfatemia, ipocalcemia e iponatremia [15]. Tali alterazioni renali, se persistenti, possono causare una riduzione persistente del filtrato glomerulare, fino alla malattia renale cronica terminale. Il riscontro di proteinuria è un’evenienza frequente nei pazienti trattati con Bevacizumab (circa il 13%); solo nel 2% dei casi si tratta di proteinuria ad alto grado (> 3,5 g/24h o ³ 4+ al dipstick urinario o riscontro di sindrome nefrosica) [20].

Allo stato attuale il trattamento della proteinuria in corso di farmaci antiangiogenetici non è sostenuto da evidenze di qualità; appare tuttavia importante monitorare questo dato prima, durante e dopo ogni ciclo terapeutico, preferendo la raccolta delle urine delle 24 ore all’esame su stick urinario. Un approccio iniziale consiste nell’introduzione o nel potenziamento della terapia con ACEi o ARBs al fine di ridurre i fenomeni di ipertensione glomerulare. Tuttavia, in caso di riscontro di proteinuria >2 g/24h, è necessario valutare la prosecuzione della terapia oncologica o la sua sospensione temporanea; d’altra parte, la sindrome nefrosica rappresenta un’indicazione assoluta alla sospensione definitiva del farmaco.

Le alterazioni microvascolari in corso di farmaci antiangiogenetici possono comparire in qualsiasi momento del ciclo terapeutico e non sono dose correlate, contrariamente a quanto si osserva nei pazienti trattati con chemioterapici classici. Le lesioni istologiche sono solitamente limitate al rene con pattern di microangiopatia trombotica (trombosi glomerulare) mentre le arteriole sono solitamente risparmiate o presentano modesti segni di endoteliosi. Il danno renale è solitamente autolimitante e reversibile con la sospensione del farmaco. Alcuni autori hanno suggerito, in alcuni casi, la ripresa della terapia ad un dosaggio inferiore con stretto monitoraggio clinico [19].

La terapia con farmaci antiangiogenetici causa ipertensione arteriosa nel 30-80% dei pazienti. Il legame del VEGF con il suo recettore a livello endoteliale media infatti effetti di vasodilatazione attraverso l’incrementata produzione di ossido nitrico e il rilascio di prostaclina-12 e causa inoltre un incremento della permeabilità vascolare; questi effetti vengono inibiti in corso di terapia con inibitori dell’angiogenesi [15].

Contrariamente al riscontro di proteinuria e TMA che possono essere considerati effetti off-target, l’ipertensione è espressione di un effetto terapeutico diretto a livello del blocco della cascata del segnale VEGF-dipendente ed è diretta espressione dell’entità dell’effetto antineoplastico della terapia [21], osservabile nella quasi totalità dei pazienti. Appare pertanto fondamentale, prima dell’inizio della terapia con farmaci inibitori dell’angiogenesi, raggiungere un ottimale controllo pressorio. Sebbene non siano al momento presenti delle linee guida condivise in merito al trattamento dell’ipertensione in corso di terapia con farmaci antiangiogenetici, i calcio antagonisti associati o meno con ARBs e ACEi sono una ragionevole prima scelta [22].

 

Danno renale in corso di terapia con farmaci immunoterapici

Gli inibitori dell’immuno-checkpoint (Immuno Check Point Inhibitors, [ICIs]) rappresentano una nuova classe di farmaci immunoterapici che ha profondamente rivoluzionato la terapia di diverse forme di neoplasie (sia solide che ematologiche), migliorandone significativamente la prognosi, risultando efficace in circa un quarto dei pazienti affetti da neoplasia avanzata [23]. Gli anticorpi monoclonali appartenenti a questa classe di farmaci esplicano la loro azione attraverso l’inibizione dell’attività di alcune specifiche molecole coinvolte nella downregulation del sistema immunitario, i cosidetti “immuno checkpoint”, e la conseguente attivazione della risposta immunitaria specifica diretta verso gli antigeni tumorali. I due target di questa classe di farmaci sono rappresentati dal cytotoxic T-lymphocyte–associated antigen 4 (CTLA-4) a dal programmed death 1 pathway (PD-1/PD-Ligand-1[PD-L1]), espressi su diversi tipi di cellule quali linfociti T e cellule presentanti l’antigene [APCs]. Il ruolo fisiologico di tali pathway molecolari è quello di regolare in maniera negativa l’attivazione del sistema immunitario, con il fine mantenere la self-tolerance e prevenire il danno tissutale secondario ad un’incontrollata attività del sistema immunitario. CTLA-4 è responsabile dell’inibizione dei linfociti T antigene-specifici espressi a livello linfonodale, attraverso il legame competitivo con il recettore co-stimolatore CD28 sulla superficie dei T linfociti e con la molecola B7 (CD80/86) sulle superficie dell’APCs.  PD-1 è una molecola con attività co-inibitoria espressa sulla superficie dei linfociti T, attivata dall’interazione con PD-L1, in seguito alla presentazione dell’antigene da parte delle APCs. L’iperespressione di PD-L1 è stata descritta quale meccanismo di evasione della risposta immunitaria dell’ospite da parte cellule tumorali. Attualmente, sette differenti molecole con azione sul sistema dell’immunocheckpoint sono state approvate dalla Food and Drugs Aministration statunitense: un anticorpo monoclonale anti CTLA-4, tre anticorpi monoclonali anti PD-1 e tre anticorpi monoclonali antiPD-L1.

Il medesimo meccanismo d’azione alla base dell’efficacia terapeutica degli ICIs è verosimilmente responsabile della nefrotossicità osservata in una percentuale compresa tra 3 e 17% dei pazienti trattati con tali terapie. Una prima ipotesi patogenetica ipotizza una perdita di tolleranza nei confronti di antigeni self espressi a livello renale [24], mentre una seconda ipotesi patogenetica chiama in causa l’attivazione di una risposta immunitaria cellulo-mediata innescata dall’esposizione ad antigeni non-self (principalmente farmaci) con conseguente danno tissutale cellulo-mediato a livello renale [25].

Il più comune quadro istopatologico descritto nei casi di AKI osservati in corso di terapia con ICIs è la TIN: in un recente studio multicentrico, Cortazar et al descrivono un quadro istologico di AIN nel 93% dei pazienti con evidenza di AKI sottoposti ad agobiopsia renale [26]. Il restante 7% dei casi descritti, coerentemente con quanto riportato in precedenti case report e case series, era rappresentato da necrosi tubulare acuta e da una varietà di quadri di danno glomerulare (GN necrotico-crescentica paucimmune ANCA-negativa, C3 glomerulopathy, anti-GBM disease).

I dati presenti in letteratura permettono di identificare fattori di rischio per lo sviluppo di AKI nei pazienti in terapia con ICIs: l’utilizzo di farmaci noti quali responsabili di TIN (i.e. FANS, inibitori di pompa protonica), la combinazione di più farmaci che agiscono sul sistema dell’immuno check-point (anti CTLA-4 in associazione con inibitori di PD-1/PD-L1) e la presenza di un quadro di malattia renale cronica al momento dell’inizio della terapia con ICIs [27].

Le caratteristiche cliniche della nefrotossicità in corso di terapia con ICIs mostrano, nella maggior parte dei casi, le stesse peculiarità cliniche osservate nei casi di nefrite interstiziale acuta da farmaci con evidenza di danno renale acuto associato a piuria sterile e proteinuria subnefrosica [26, 28]. Il danno tubulare in corso di terapia con ICIs può manifestarsi anche con un quadro di acidosi tubulare renale distale, in assenza di danno renale acuto: tale quadro clinico è stato correlato ad un’attività autoimmunitaria diretta contro le cellule intercalate di tipo A del tubulo contorto distale, con conseguente alterazione della funzione dell’H+-ATPasi e della Cl-/HCO3- ATPasi [29-30]. Nei casi di interessamento glomerulare è possibile, invece, osservare differenti sindrome cliniche nefrologiche, in relazione allo specifico quadro istologico descritto: sindrome nefrosica, sindrome nefritica o insufficienza renale rapidamente evolutiva [27].

Il ruolo della biopsia renale nella nefrotossicità da ICIs è attualmente oggetto di un profondo dibattito. Le Linee Guida della Società America di Oncologia Clinica indicano l’inizio della terapia immunosoppressiva nei casi di AKI in pazienti trattati con ICIs (una volta escluse cause prerenali e postrenali di AKI) senza porre indicazione all’esecuzione di agobiopsia renale [31].

Per quanto la nefrite interstiziale acuta sia il danno istologico più frequentemente osservato nei casi di nefrotossicità da ICIs, tale approccio diagnostico-terapeutico espone una percentuale non trascurabile di pazienti ad un trattamento immunosoppressivo non necessario. In tale ottica la biopsia renale, qualora non controindicata, appare uno strumento imprescindibile per la gestione della nefrotossicità da ICIs.

La sospensione della terapia con ICIs e la terapia steroidea rappresentano i capisaldi del trattamento della AIN associata ad inibitori dell’immuno checkpoint. L’utilizzo di dosi di prednisone pari a 0.8-1 mg/kg/die (o equivalenti), fino ad un massimo di 60-80 mg/die ha mostrato un’eccellente prognosi nei pazienti con AKI stadio I e II; nei pazienti con AKI stadio III l’inizio della terapia orale è generalmente preceduto dall’utilizzo di corticosteroidi per via endovenosa (fino a 3 dosi consecutive).

I dati presenti in Letteratura suggeriscono una correlazione tra la risposta clinica e la durata della terapia steroidea: la durata raccomandata della terapia è compresa tra 8 e 12 settimane, con un lento scalaggio della terapia steroidea, finalizzato a ridurre il rischio di recidive.

Accanto alla durata della terapia steroidea, anche la dose iniziale sembrerebbe essere associata alla prognosi renale dei pazienti con AIN indotta da ICIs. Un recente lavoro pubblicato da Manohar et alii mostra come i pazienti con risposta completa presentassero dosi iniziali di prednisone significativamente superiori rispetto a coloro che mostravano una risposta parziale (2.79 mg/kg/mese vs 1.74 mg/kg/mese) [28].

La possibilità di riprendere la terapia con ICIs, una volta risoltosi l’episodio di danno renale acuto, è stata valutata in diversi Studi, partendo dall’evidenza che, spesso, tale terapia è l’unica disponibile per la gestione della patologia neoplastica. I dati recentemente pubblicati da Cortazar et al, mostrano una bassa percentuale (23%) di recidive di danno renale acuto in seguito alla ripresa della terapia con inibitori dell’immuno checkpoint. Il principale fattore di rischio per recidiva di AKi sembra essere riconducibile alla durata dell’intervallo tra l’episodio di danno renale acuto e la ripresa della terapia con ICIs (2.05 mesi nei soggetti che non mostravano recidiva di AKI vs 1.4 mesi nei soggetti con recidiva di AKI). È interessante sottolineare, tuttavia, come solo un soggetto tra coloro che avevano presentato una recidiva di AKI non abbia presentato una risposta completa alla terapia steroidea [26].

 

Conclusioni

La nefrotossicità da farmaci antineoplastici rappresenta una delle maggiori sfide dell’onconefrologia, sintetizzando al meglio quella che è la natura multidisciplinare della gestione del paziente oncologico.
La costante espansione dell’armamentario di farmaci antitumorali a disposizione per la gestione del paziente oncologico, ha sicuramente contribuito ad ampliare il concetto di “nefrotossicità da farmaci antitumorali” che, attualmente, abbraccia un eterogeneo gruppo di meccanismi patogenetici e un’importante variabilità di sindromi cliniche nefrologiche. Alla luce di tale complessità, la gestione di tali eventi avversi, rende imprescindibile la figura dello specialista nefrologo, quale riferimento nella diagnosi (es. indicazione all’esecuzione di agobiopsia renale) e nella terapia (es. indicazione alla terapia steroidea, indicazione alla terapia sostitutiva della funzione renale).
Il ruolo del nefrologo diventa di essenziale importanza in un percorso personalizzato, che parte dalla valutazione preliminare volta a inquadrare i fattori di rischio (sia quelli relativi allo schema terapeutico proposto sia quelli intrinseci dello specifico paziente), coadiuva l’oncologo nella scelta di farmaci e schemi terapeutici adeguati alla funzione renale del paziente, prosegue con il monitoraggio durante il trattamento e, spesso, si prolunga in un follow-up nel lungo periodo, anche successivo alla conclusione del ciclo terapeutico.

 

Bibliografia

  1. Pani A, Porta C, Cosmai L, Melis P, Floris M, Piras D, Gallieni M, Rosner M, Ponticelli C. Glomerular diseases and cancer: evaluation of underlying malignancy. J Nephrol. 2016 Apr;29(2):143-152).
  2. Perazella MA. Onco-nephrology: renal toxicities of chemotherapeutic agents. Clin J Am Soc Nephrol. 2012 Oct;7(10):1713-21.
  3. Sahni V, Choudhury D, Ahmed Z. Chemotherapy-associated renal dysfunction. Nat Rev Nephrol. 2009 Aug;5(8):450-62. doi: 10.1038/nrneph.2009.97.
  4. Nicolaysen A. Nephrotoxic Chemotherapy Agents: Old and New. Adv Chronic Kidney Dis. 2020 Jan;27(1):38-49.
  5. Latcha S, Jaimes EA, Patil S, Glezerman IG, Mehta S, Flombaum CD. Long-Term Renal Outcomes after Cisplatin Treatment. Clin J Am Soc Nephrol. 2016 Jul 7;11(7):1173-9.
  6. Pabla N, Dong Z. Cisplatin nephrotoxicity: mechanisms and renoprotective strategies. Kidney Int. 2008;73(9):994-1007.
  7. Calvert AH, Newell DR, Gumbrell LA, O’Reilly S, Burnell M, Boxall FE, Siddik ZH, Judson IR, Gore ME, Wiltshaw E. Carboplatin dosage: prospective evaluation of a simple formula based on renal function. J Clin Oncol. 1989 Nov;7(11):1748-56.
  8. Stöhr W, Paulides M, Bielack S, Jürgens H, Treuner J, Rossi R, Langer T, Beck JD. Ifosfamide-induced nephrotoxicity in 593 sarcoma patients: a report from the Late Effects Surveillance System. Pediatr Blood Cancer. 2007 Apr;48(4):447-52.
  9. Skinner R, Cotterill SJ, Stevens MC. Risk factors for nephrotoxicity after ifosfamide treatment in children: a UKCCSG Late Effects Group study. United Kingdom Children’s Cancer Study Group. Br J Cancer. 2000 May;82(10):1636-45.
  10. Leal F, Macedo LT, Carvalheira JB. Gemcitabine-related thrombotic microangiopathy: a single-centre retrospective series. J Chemother. 2014 Jun;26(3):169-72.
  11. Saif MW, Xyla V, Makrilia N, Bliziotis I, Syrigos K. Thrombotic microangiopathy associated with gemcitabine: rare but real. Expert Opin Drug Saf. 2009 May;8(3):257-60.
  12. Bharthuar A, Egloff L, Becker J, George M, Lohr JW, Deeb G, Iyer RV. Rituximab-based therapy for gemcitabine-induced hemolytic uremic syndrome in a patient with metastatic pancreatic adenocarcinoma: a case report. Cancer Chemother Pharmacol. 2009 Jun;64(1):177-81.
  13. Starck M, Wendtner CM. Use of eculizumab in refractory gemcitabine-induced thrombotic microangiopathy. Br J Haematol. 2013 Dec 4. doi: 10.1111/bjh.12686.
  14. Izzedine H, Perazella MA. Thrombotic microangiopathy, cancer, and cancer drugs. Am J Kidney Dis. 2015 Nov;66(5):857-68.
  15. Porta C, Cosmai L, Gallieni M, Pedrazzoli P, Malberti F. Renal effects of targeted anticancer therapies. Nat Rev Nephrol 2015; 11: 354-70).
  16. Izzedine, H., Rixe, O., Billemont, B., Baumelou, A. & Deray, G. Angiogenesis inhibitor therapies: focus on kidney toxicity and hypertension. Am. J. Kidney Dis. 50, 203–218 (2007).
  17. Syrigos, K. N., Karapanagiotou, E., Boura, P., Manegold, C. & Harrington, K. Bevacizumab-induced hypertension: pathogenesis and management. Biodrugs 25, 159–169 (2011).
  18. Izzedine H, Escudier B, Lhomme L, et al. Anti-VEGF ssociated kidney diseases: an 8-year monocentric observational study. Medicine (Baltimore). 2014;93:333-339).
  19. Izzedine H, Perazella MA. Thrombotic microangiopathy, cancer, and cancer drugs. Am J Kidney Dis. 2015 Nov;66(5):857-68.
  20. Wu S, Kim C, Baer L, Zhu X. Bevacizumab increases risk for severe proteinuria in cancer patients. J Am Soc Nephrol. 2010 Aug;21(8):1381-9.
  21. Robinson ES, Khankin EV, Karumanchi SA, Humphreys BD. Hypertension induced by vascular endothelial growth factor signaling pathway inhibition: mechanisms and potential use as a biomarker. Semin Nephrol. 2010;30(6):591-601. doi:10.1016/j.semnephrol.2010.09.007).
  22. Plummer C, Michael A, Shaikh G, Stewart M, Buckley L, Miles T, Ograbek A, McCormack T. Expert recommendations on the management of hypertension in patients with ovarian and cervical cancer receiving bevacizumab in the UK. Br J Cancer. 2019 Jul;121(2):109-116”.
  23. Thompson JA. New NCCN guidelines: recognition and management of immunotherapy-related toxicity. J Natl Compr Canc Netw. 2018;16(5S):594-596.
  24. Murakami N, Motwani S, Riella LV. Renal complications of immune checkpoint blockade. Curr Probl Cancer. 2017 Mar-Apr;41(2):100-110.
  25. Shirali AC, Perazella MA, Gettinger S. Association of Acute Interstitial Nephritis With Programmed Cell Death 1 Inhibitor Therapy in Lung Cancer Patients. Am J Kidney Dis 2016;68:287-91.
  26. Cortazar FB, Kibbelaar ZA, Glezerman IG, et al. Clinical features and outcomes of immune checkpoint inhibitorassociated AKI: a multicenter study. J Am Soc Nephrol. 2020;31:435–446.
  27. Hermann SM, Perazzella MA. Immune Checkpoint Inhibitors and Immune-Related Adverse Renal Events. Kidney Int Rep. 2020;8:1139-1148.
  28. Manohar S, Ghamrawi R, Chengappa M, et al. Acute interstitial nephritis and checkpoint inhibitor therapy. Single center experience of management and drug rechallenge. Kidney 360. 2020;1:16–24.
  29. Charmetant X, Teuma C, Lake J, et al. A new expression of immune checkpoint inhibitors’ renal toxicity: when distal tubular acidosis precedes creatinine elevation. Clin Kidney J. 2019;13:42–45.
  30. Herrmann SM, Alexander MP, Romero MF, Zand L. Renal Tubular Acidosis and Immune Checkpoint Inhibitor Therapy: An Immune-Related Adverse Event of PD-1 Inhibitor-A Report of 3 Cases. Kidney Med. 2020 Aug 11;2(5):657-662.
  31. Brahmer JR, Lacchetti C, Schneider BJ, et al. Management of Immune-related adverse events in patients treated with immune checkpoint inhibitor therapy: American Society of Clinical Oncology Clinical Practice Guideline. J Clin Oncol. 2018;36:1714–1768.

 

Tossici ambientali e tossicità renale diretta da farmaci. Antibiotici

Abstract

Gli antibiotici sono una causa relativamente comune di danno renale acuto che si verifica principalmente nei pazienti con fattori di rischio sottostanti. Le reazioni avverse da antibiotici possono essere classificate di tipo A quando sono prevedibili, ne conosciamo la causa e spesso sono dose dipendenti e di tipo B quando si manifestano in modo imprevedibile, sono indipendenti dalla dose e dovuti a fenomeni di ipersensibilità e/o immunoallergici . Tutti i compartimenti del rene sono soggetti a danno da antibiotici che, dal punto di vista clinico, si traducono in disfunzioni tubulari, insufficienza renale acuta, sindrome nefritica e insufficienza renale cronica. I farmaci maggiormente responsabili sono vancomicina, aminoglicosidi e beta lattamine. La comparsa di insufficienza renale acuta correla con la durata della degenza ed il rischio di morte. Diventa quindi di fondamentale importanza clinica conoscere gli antibiotici con potenziale effetto nefrotossico in modo da stabilirne il dosaggio sulla base della funzione renale e correggere tutti i fattori che ne possono potenziare la tossicità.

Parole chiave: nefrotossicità, tossicità renale diretta da antibiotici, antibiotici, reazioni avverse da farmaci

Introduzione

Dal rapporto nazionale sull’uso dei farmaci in Italia nel 2018 [1], la spesa per antimicrobici per uso sistemico si aggira intorno ai 3 miliardi di Euro che rappresenta una percentuale sul totale di spesa del 13%. Gli antimicrobici generali per uso sistemico rappresentano la terza categoria terapeutica a maggior spesa pubblica per il 2018 (48,23 euro pro capite). Il posizionamento complessivo di questa categoria è prevalentemente giustificato dalla spesa derivante dall’acquisto di questi medicinali da parte delle strutture sanitarie pubbliche (35,16 euro pro capite); al contrario il contributo dato dall’assistenza farmaceutica convenzionata risulta di minore entità (13,07 euro pro capite). La dose definita giornaliera (DDD) è stata calcolata di 23 che significa che sono state prescritte 23 DDD di antibiotici ogni mille abitanti al giorno e si può considerare che 23 persone su 1000, cioè il 2.3%, hanno ricevuto in media ogni giorno una DDD di antimicrobici. Prevalenza d’uso e spesa sono più elevati in età pediatrica per poi diminuire nell’età adulta e innalzarsi sopra i 55 anni di età.  Le categorie a maggior consumo sono le associazioni di penicilline, i chinoloni, le cefalosporine di III e IV generazione. Vi sono importanti differenze d’uso tra le regioni italiane, le dosi prescritte variano da 11,2 della P.A. di Bolzano a 24,7 della Campania che, insieme a Umbria, Calabria, Puglia, Lazio, Marche e Basilicata, sono le regioni con dosi e costo medio per giornate di terapia superiori alla media nazionale. Questi dati dimostrano che in Italia vi è un enorme consumo di antibiotici e che probabilmente le differenze d’uso rappresentano anche livelli diversi di appropriatezza.

Gli antibiotici, come noto,  sono una causa relativamente comune di danno renale acuto che si verifica principalmente nei pazienti con fattori di rischio sottostanti. Le reazioni avverse da antibiotici possono essere classificate di tipo A quando sono prevedibili, ne conosciamo la causa e spesso sono dose dipendenti e di tipo B quando si manifestano in modo imprevedibile, sono indipendenti dalla dose e dovuti a fenomeni di ipersensibilità e/o immunoallergici [2]. La malattia renale indotta da farmaci è una causa frequente di disfunzione renale, tuttavia è necessario uno standard per identificare e caratterizzare lo spettro di questi disturbi. Un gruppo di esperti internazionali ha definito quattro fenotipi per la malattia renale indotta da farmaci basati sulla presentazione clinica: insufficienza renale acuta (IRA) sia di tipo A che B; nefropatia glomerulare (rara e non segnalata senza IRA); danno tubulare con lesioni isolate o generalizzate; infine nefropatia da calcoli o da cristalluria [3].

 

Epidemiologia

Durante l’ospedalizzazione è frequente la comparsa di IRA, in corso di terapia antibiotica,; un recente lavoro, che analizza esclusivamente pazienti in terapia antimicrobica, riporta un’incidenza di poco meno del 20% durante un anno di osservazione. I pazienti che hanno sviluppato IRA erano più frequentemente ipertesi e diabetici ed assumevano farmaci nefrotossici concomitanti. I farmaci maggiormente responsabili erano vancomicina, aminoglicosidi e beta lattamine. La comparsa di IRA correlava in modo significativo con il rischio di morte [4].

Nel registro di farmacovigilanza francese il 3% delle reazioni avverse sono classificate come IRA; di queste il 15% ha necessitato dialisi. Nel 30% dei casi il farmaco responsabile è un antibiotico. Gli antibiotici più facilmente implicati sono gli aminoglicosidi, le beta lattamine e i chinolonici [5].

L’epidemiologia dell’IRA nelle terapie intensive usando i criteri KDIGO supera il 50%; aminoglicosidi e glicopeptidi sono in terapia del 10% dei pazienti con IRA. La presenza di ipertensione, diabete, patologia cardiovascolare e severità della malattia all’ingresso sono fattori di rischio di sviluppare IRA. La severità dell’IRA si associa ad aumento della mortalità e la funzione renale alla dimissione è peggiore nei pazienti che avevano sviluppato IRA [6]. Nel paziente critico avvengono modificazioni della farmacocinetica che coinvolgono soprattutto la clearance del farmaco con possibilità di raggiungere elevati livelli di antibiotico nel sangue e conseguente tossicità. Gli antibiotici più usati nelle terapie intensive sono la vancomicina, il merrem, le cefalosporine e la piperacillina, tutti con una clearance renale [7].

 

Farmaci più frequentemente in causa

Vancomicina

L’incidenza di nefropatia da vancomicina varia dal 5 al 40% in relazione anche ai fattori di rischio presenti ed ai livelli ematici di vancomicina. Il meccanismo con cui si verifica la nefrotossicità, per quanto non completamente chiarito, è riconducibile ad un danno cellulare secondario a ossidazione e disfunzione mitocondriale con susseguente apoptosi cellulare. La nefrotossicità si manifesta generalmente fra il 4° e 8° giorno di terapia [8].

Dal punto di vista morfologico, la vancomicina può produrre lesioni riconducibili a Necrosi Tubulare Acuta (ATN) con ostruzione tubulare dovuta a cilindri composti da aggregati di vancomicina e uromodulina [9] ma anche nefriti tubulo-interstiziali acute con possibili granulomi [10].

L’incidenza di nefrotossicità da vancomicina aumenta con l’aumentare dei livelli ematici e vi è una associazione con livelli ematici superiori a 15 mg/dl, con l’essere ricoverati in terapia intensiva e con il concomitante impiego di altri farmaci nefrotossici [11]. L’incidenza di nefrotossicità sembra maggiore con la somministrazione intermittente rispetto alla continua ed i livelli che devono essere mantenuti, per evitare tossicità,  nella somministrazione continua sono tra 20 e 30 mg/l [12].

Per ottimizzare l’uso della vancomicina nel trattamento di infezioni gravi causate da MRSA (massimizzare l’efficacia clinica e ridurre al minimo il rischio di IRA), le ultime linee guida raccomandano di mirare a un rapporto AUC / MICBMD da 400 a 600 (ipotizzando una MICBMD di 1 mg / L) in pazienti sia adulti che pediatrici. L’AUC deve essere monitorata utilizzando 2 concentrazioni postdose (ovvero, una concentrazione massima misurata dopo la fase iniziale di distribuzione tissutale della vancomicina e un livello minimo misurato prima della dose successiva), utilizzando preferibilmente programmi software con metodo Bayesiano. Il monitoraggio del trough-level  potrebbe essere insufficiente a guidare il dosaggio di vancomicina in tutti i pazienti [13].

Molti sono i fattori di rischio segnalati; i più frequenti sono la dose di farmaco sopra i 4 gr/die, i livelli ematici sopra 15 mg/l, la durata della terapia, l’età, il peso corporeo, la funzione renale, la concomitante somministrazione di altri farmaci nefrotossici e il ricovero in terapia intensiva. La comparsa di nefrotossicità da vancomicina è associata con una più lunga ospedalizzazione, aumento dei costi e rischio di morte [14].

Negli ultimi anni numerosi studi hanno segnalato un aumento nell’incidenza di nefrotossicità con il concomitante impiego di piperacillina tazobactam. In una recente metanalisi condotta su 15 studi pubblicati e 17 abstracts presentati a congressi che comprendevano 24,799 pazienti, l’incidenza complessiva di danno renale acuto era del 16.7%, 22.2% per l’associazione vancomicina/ piperacillina-tazobactam e 12.9% per le terapie di confronto (sola vacomicina, solo piperacillina-tazobactam o combinazione di vancomicina e beta-lattamine) [15].

Riassumendo i fattori di rischio legati alla terapia con vancomicina sono la dose totale, i livelli ematici, la durata della terapia; dose di carico e infusione intermittente rimangono fattori di rischio incerti. I fattori di rischio legati al paziente sono l’obesità, la severità della malattia, il ricovero in terapia intensiva, la presenza di IRC e concomitante somministrazione di nefrotossine soprattutto aminoglicosidi e piperacillina- tazobactam [8].

Antibiotici Beta-Lattamici

L’impiego di beta-lattamine può causare necrosi tubulare che è rara con le penicilline, poco comune con le cefalosporine ma a maggior rischio con i carbapenemi. Il meccanismo è riconducibile a tossicità respiratoria, inattivazione mitocondriale dopo trasporto all’interno della cellula e perossidazione lipidica. L’imipenem viene commercializzato con un inibitore nefroprotettivo del trasporto all’interno della cellula renale [16].

Oltre alla tossicità da necrosi tubulare le beta lattamine sono in grado di indurre nefrite tubulo interstiziale (TIN) acuta. In una revisione bioptica, le beta lattamine sono associate con il 55% di TIN indotte da antibiotici. L’Amoxicillina è il farmaco più frequentemente coinvolto [17]. L’amoxicillina è inoltre causa di IRA da cristalluria e conseguente nefropatia ostruttiva [18].

L’incidenza di nefrotossicità da beta lattamine si aggira intorno all’8% e  vi è un’associazione fra livelli ematici di farmaco ed episodio di nefrotossicità. La concentrazione soglia per la quale c’è un rischi del 50% di sviluppare nefrotossicità varia a seconda degli antibiotici (piperacillina, Cmin >452.65 mg/L; meropenem, Cmin >44.45 mg/L) (Cmin: campione prelevato 2 ore prima della prossima dose)[19].

In un’analisi retrospettiva si è valutata la comparsa di tossicità renale in pazienti sottoposti a terapia  con cefalosporine sia orali che parenterali (622.456 pazienti esposti a 901.908 cicli di cefalosporine orali e 326.867 esposti a 487.630 cicli di cefalosporine parenterali durante il periodo di studio di 3 anni). La nefrotossicità era più frequente nei maschi e nei soggetti sottoposti a terapia parenterale. In più del 50% dei pazienti tale tossicità era completamente reversibile nei mesi successivi ma il 17% dei soggetti con nefrotossicità necessitava di terapia sostitutiva [20].

L’incidenza di nefrotossicità sembra sovrapponibile nei pazienti trattati con terapia intermittente o continua. I fattori predittivi di IRA sono ipotensione, scompenso cardiaco, terapia con piperacillina tazobactam e concomitante impiego di farmaci nefrotossici [21].

Aminoglicosidi

Gli aminoglicosidi inducono tossicità renale con caratteristiche diverse: dall’IRA non oligurica a disfunzioni della cellula tubulare che possono essere diffuse o coinvolgere solo alcuni segmenti del nefrone e meccanismi di trasporto determinando sindromi Fanconi-like, Bartter-like e acidosi tubulare distale. Gli aminoglicosidi più cationici sono più nefrotossici. La velocità di filtrazione glomerulare diminuisce come evento relativamente tardivo, di solito almeno 5-7 giorni dopo l’inizio della terapia e si risolve completamento nella quasi totalità dei pazienti.

I fattori di rischio che sono costantemente segnalati per la nefrotossicità includono la scelta dell’aminoglicoside, la durata della terapia, la dose totale, la presenza di ipotensione e deplezione di volume, le concentrazioni sieriche elevate, la presenza di malattia epatica concomitante e uso di altri farmaci nefrotossici. La presenza di insufficienza renale preesistente e l’età avanzata sono ulteriori fattori di rischio [22].

Le cellule tubulari sono in grado di trasportare gli aminoglicosidi mediante endocitosi attraverso la membrana apicale. Gli aminoglicosidi si legano ai fosfolipidi di membrana e, alterandone turnover e metabolismo, determinano fosfolipidosi e conseguente morte cellulare. Accumulandosi nei lisosomi e nel reticolo endoplasmatico, quando raggiungono una certa concentrazione, portano a rottura della membrana con conseguente liberazione nel citosol del farmaco stesso e di catepsine e conseguente apoptosi e morte cellulare. Gli aminoglicosidi sono inoltre in grado di inibire molti trasportatori di membrana con conseguente deficit di riassorbimento di calcio, magnesio, sodio e potassio. Infine, attivano il Calcium Sensing Receptor (CaSR) con aumento del calcio intracellulare e conseguente morte cellulare. Lo spargimento di tessuti e residui cellulari nel lume tubulare porta a ostruzione e riduce la funzione escretoria dei nefroni colpiti. L’aumentata pressione idrostatica all’interno del tubulo e nella capsula di Bowman riduce il gradiente di pressione di filtrazione e, quindi, la velocità di filtrazione glomerulare (GFR).Tuttavia, la sola ostruzione tubulare non giustifica la riduzione del filtrato nei casi più lievi o nelle prime fasi del danno. Gli aminoglicosidi hanno infatti effetti diretti anche a livello glomerulare: producono contrazione e proliferazione mesangiale e, legandosi alle cariche negative della barriera di filtrazione, determinano proteinuria. A livello vascolare inducono  vasocostrizione dell’arteriola afferente con conseguente diminuzione del flusso e del filtrato glomerulare. Il peggioramento successivo della funzione renale viene allora spiegato dai meccanismi di ostruzione tubulare e contrazione mesangiale e vascolare. Contemporaneamente si innesca un processo infiammatorio scatenato da detriti cellulari e sostanze intracellulari che amplifica il danno [23].

La prevalenza di tossicità varia in letteratura dal 10 al 25% ma raggiunge valori superiori al 50% se l’indagine è condotta nelle terapie intensive e su soggetti con importanti fattori di rischio come il diabete, l’IR, l’ipotensione, il concomitante impiego di altre nefrotossine. In terapia intensiva, la mortalità è più elevata nei pazienti che sviluppano IRA rispetto ai pazienti che non la sviluppano (44.5%  e 29.1% rispettivamente) [24, 25].

Anche una singola dose di gentamicina è in grado di indurre IRA nel 10% dei soggetti. La maggioranza dei pazienti presenta però un modesto rialzo della creatinina che si risolve in pochi giorni o settimane [26].

Negli ultimi 40 anni il monitoraggio terapeutico (TDM) è stato parte integrante della gestione dei pazienti durante il trattamento con un aminoglicoside. Il TDM ha contribuito a ridurre l’incidenza di eventi avversi osservati con questa classe di antibatterici [27]. Elevati livelli di Cmin e AUC nel corso dei giorni sono associati a comparsa di tossicità. Per questo motivo si raccomanda un monitoraggio routinario dei livelli ematici durante la terapia con aminoglicosidi [28].

L ’incidenza di nefrotossicità da amikacina è meno frequente rispetto alla tossicità generata da altri aminoglicosidi. Inoltre, la somministrazione in dose unica riduce la nefrotossicità pur mantenendo efficacia terapeutica e semplifica i processi di monitoraggio [27].

Polimixine

La colistina era, ed è tuttora, l’unico agente polimixinico disponibile per via parenterale in Europa.

Dopo la filtrazione glomerulare, la colistina viene assorbita dalle cellule dei tubuli prossimali. L’accumulo intracellulare è una precondizione per il danno renale mediato dalla colistina e i mitocondri delle cellule tubulari prossimali potrebbero essere un sito primario di danno. Anche in questo caso il meccanismo con cui si instaura tossicità passa attraverso l’accumulo intracellulare, il danno mitocondriale e l’apoptosi cellulare [29, 30].

L’incidenza di nefrotossicità da polimixine varia dal 24 al 74% per la colistina e dal 21 al 46% per la polimixina B [31]. Un recentissimo lavoro definisce che non vi sono significative differenze in merito alla nefrotossicità fra le polimixine. La prevalenza della nefrotossicità è aumentata significativamente nel corso degli anni. Negli anni ’70 le percentuali riportate per questo evento erano intorno al 2%, con un graduale aumento, raggiungendo il 26% nel 2015 e il 27% nel 2016. L’aumentata incidenza è verosimilmente da imputare ai criteri utilizzati per definirla. Gli studi che usano l’aumento della creatinina danno una prevalenza del 14%, gli studi che usano i criteri RIFLE del 39% [32].

I fattori di rischio per nefrotossicità legati al paziente  sono l’età, l’obesità, concomitante impiego di farmaci nefrotossici, presenza di diabete, ipoalbuminemia e ricovero in terapia intensiva . I fattori legati al farmaco sono la dose somministrata (dosi di colistina ≥5 mg / kg / die; dose totale > 270 mg per colistina e ≥200 mg per PMB), concentrazione sierica (concentrazioni di 3,33 mg / L e 2,42 mg / L sono i breakpoint predittivi della concentrazione sierica per la nefrotossicità al giorno 7 e alla fine della terapia, rispettivamente) [33].

In uno studio multicentrico retrospettivo, la comparsa di nefrotossicità da polimixina B risultava più frequente con la monosomministrazione rispetto alla somministrazione 2 volte al giorno con un’incidenza del 47% e del 17%  rispettivamente. L’episodio di nefrotossicità avveniva dopo 7 giorni di terapia e si risolveva nel 78% dei casi. Nessun paziente richiedeva terapia sostitutiva [34]. Ovviamente le strategie per minimizzare la tossicità riguardano la possibilità di limitare i fattori di rischio. Recentemente si è ipotizzato l’impiego di antiossidanti o di cilastatina che in vitro hanno dimostrato di ridurre la nefrotossicità indotta da gentamicina, colistina e vancomicina. Per quanto riguarda la modalità di somministrazione, al momento  il suggerimento è dividere in due la dose e infondere il farmaco in circa 1 ora [30].

Fluorochinoloni, Macrolidi e Oxazolidinoni

I fluorochinoloni determinano sia nefriti intersiziali acute con, a volte, associati aspetti granulomatosi, vasculiti, necrosi tubulare e cristalluria [35,36]. La cristalluria si può associare ad aspetti di nefrite interstiziale con granulomi ed i fattori di rischio sembrano essere l’età, la bassa massa corporea, l’impiego di ACE-inibitori e la preesistente insufficienza renale [37].

Nefriti interstiziali acute sono state segnalate sia con l’impiego di macrolidi che oxazolidinoni [38, 39, 40].

La Clindamicina è causa di insufficienza renale acuta secondaria a nefrite interstiziale nel 75% dei casi e nel restante determina necrosi tubulare acuta. Nonostante la maggioranza dei pazienti richieda trattamento sostitutivo, vi è recupero della funzione renale nella pressoché totalità dei pazienti dopo circa 2 mesi [41, 42].

Farmaci antitubercolari

L’incidenza di IRA in pazienti in trattamento per tubercolosi è di circa il 7%; si manifesta prevalentemente nei primi 2 mesi ma può avverarsi anche fino a sei mesi dall’inizio della terapia. Il tempo medio di recupero della funzione renale è di circa 40 giorni (range, 1–180 giorni). I fattori che predicono il recupero renale sono la presenza di febbre, eruzione cutanea e disturbi gastrointestinali all’inizio dell’IRA. Poiché la presenza di febbre e rash si associano alla nefrite interstiziale è verosimile che la patogenesi sia legata a questa patologia indotta da rifampicina (43). In un recente lavoro, infatti, la presenza di nefrite tubulo interstiziale è stata confermata alla biopsia renale [44].

Nuovi farmaci

Oritavancina e dalbavancina presentano un profilo di nefrotossicità migliore rispetto a quello della vancomicina mentre la televancina presenta effetti collaterali più frequenti. Sia  Ceftaroline che Ceftobiprole hanno le stesse caratteristiche di tossicità delle altre cefalosporine. Il Tedizolid ha un profilo di sicurezza migliore rispetto al linezolid mentre il Radezolid deve ancora essere valutato in trial di fase III [45].

Il Relebactam, inibitore delle β-lactamasi, può ripristinare l’attività dell’imipenem contro i patogeni gram-negativi non sensibili a Imipenem. In un recente trial, l’impiego di imipenem/relebactam è stato confrontato con colistina+imipenem in pazienti con infezioni non suscettibili all’Imipenem. I tassi di risposta clinica favorevoli erano superiori del 31% con IMI / REL rispetto a colistina + IMI al giorno 28. La mortalità per tutte le cause al giorno 28 era inferiore del 20% con IMI / REL. La nefrotossicità era significativamente inferiore con IMI / REL rispetto a colistina + IMI  (10%) vs 56% rispettivamente) [46].

Anche l’associazione imipenem/vaborbactam (nuovo inibitore delle β-lattamasidi con uno spettro microbico tale da coprire gli enterobatteri produttori di carbapenemasi) risulta più favorevole in termini di tossicità rispetto alla miglior terapia a disposizione (polymyxina, carbapenemico, aminoglicoside, tigeciclina o ceftazidime-avibactam ). L’impiego di imipenem/vaborbactam  è associato a miglioramento clinico, diminuita mortalità e ridotta nefrotossicità [47].

 

Conclusioni

I medici devono conoscere la potenziale nefrotossicità di numerosi antibiotici ed i meccanismi per cui e con cui si manifesta. A questa consapevolezza si deve aggiungere il riconoscimento di tutti i fattori di rischio che possono contribuire all’insorgenza di tossicità renale in quanto spesso la causa di IRA è multifattoriale. Il monitoraggio dei livelli ematici, quando è possibile, contribuisce a adeguare la dose in modo da evitare livelli tossici. Poiché la clearance renale rimane uno dei fattori più importanti nel determinare i livelli ematici di molti antibiotici, è necessario conoscere la funzione renale prima di iniziare la terapia e continuare a monitorarla. Il riconoscimento precoce di tossicità renale e la successiva sospensione dell’antibiotico responsabile, permette di recuperare il danno renale che risulta reversibile nella maggioranza dei casi. Particolare attenzione deve essere posta in modo da evitare la contemporanea somministrazione di altri farmaci nefrotossici ed ulteriori insulti renali quali l’ipotensione e la disidratazione.

 

Bibliografia

  1. Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto Nazionale Anno 2018. Roma: Agenzia Italiana del Farmaco, 2019
  2. Awdishu L, Mehta RL. The 6R’s of drug induced nephrotoxicity . BMC Nephrol. 2017 Apr 3;18(1):124. doi: 10.1186/s12882-017-0536-3
  3. Mehta RL, Awdishu L, Davenport A et al. Phenotype standardization for drug-induced kidney disease. Kidney Int. 2015 Aug;88(2):226-34. doi: 10.1038/ki.2015.115
  4. Khalili H, Bairami S, Kargar M. Antibiotics induced acute kidney injury: incidence, risk factors, onset time and outcome. Acta Med Iran. 2013;51(12):871-8
  5. Pierson-Marchandise M, Gras V, Moragny J et al. The drugs that mostly frequently induce acute kidney injury: a case – noncase study of a pharmacovigilance database. Br J Clin Pharmacol. 2017 Jun;83(6):1341-1349. doi: 10.1111/bcp.13216
  6. Hoste EAJ, Bagshaw SM, Bellomo R et al. Epidemiology of acute kidney injury in critically ill patients: the multinational AKI-EPI study. Intensive Care Med. 2015 Aug;41(8):1411-23. doi: 10.1007/s00134-015-3934-7
  7. Zamoner W, de Freitas FM, Garms DS et al. Pharmacokinetics and pharmacodynamics of antibiotics in critically ill acute kidney injury patients. Pharmacol Res Perspect. 2016 Nov 24;4(6):e00280. doi: 10.1002/prp2.280
  8. Filippone EJ, Kraft WK, Farber JL. The Nephrotoxicity of Vancomycin. Clin Pharmacol Ther. 2017 Sep;102(3):459-469. doi: 10.1002/cpt.726
  9. Luque Y, Louis K, Chantal Jouanneau C et al. Vancomycin-Associated Cast Nephropathy. J Am Soc Nephrol. 2017 Jun;28(6):1723-1728. doi: 10.1681/ASN.2016080867
  10. Rossert J. Drug-induced acute interstitial nephritis. Kidney International 2001; 60: 804-17
  11. van Hal S J, Paterson D L, Lodise T P. Systematic review and meta-analysis of vancomycin-induced nephrotoxicity associated with dosing schedules that maintain troughs between 15 and 20 milligrams per liter. Antimicrob Agents Chemother. 2013 Feb;57(2):734-44. doi: 10.1128/AAC.01568-12
  12. Álvarez R, López Cortés LE, Molina J et al. 2016. Optimizing the clinical use of vancomycin. Antimicrob Agents Chemother 60:2601–2609. doi:10.1128/AAC.03147-14
  13. Rybak MJ, Le J, Lodise TP et al. Therapeutic monitoring of vancomycin for serious methicillin-resistant Staphylococcus aureus infections: A revised consensus guideline and review by the American Society of Health-System Pharmacists, the Infectious Diseases Society of America, the Pediatric Infectious Diseases Society, and the Society of Infectious Diseases Pharmacists. Am J Health Syst Pharm. 2020 May 19;77(11):835-864. doi: 10.1093/ajhp/zxaa036
  14. Jeffres MN. The Whole Price of Vancomycin: Toxicities, Troughs, and Time. Drugs. 2017 Jul;77(11):1143-1154. doi: 10.1007/s40265-017-0764-7
  15. Luther MK, Timbrook TT, Caffrey AR et al. Vancomycin Plus Piperacillin-Tazobactam and Acute Kidney Injury in Adults: A Systematic Review and Meta-Analysis. Crit Care Med. 2018 Jan;46(1):12-20. doi: 10.1097/CCM.0000000000002769
  16. Tune BM. Nephrotoxicity of beta-lactam antibiotics: mechanisms and strategies for prevention. Pediatr Nephrol. 1997 Dec;11(6):768-72. doi: 10.1007/s00467005038
  17. Muriithi AK, Leung N, Valeri AM et al. Biopsy-proven acute interstitial nephritis, 1993-2011: a case series. Am J Kidney Dis. 2014 Oct;64(4):558-66. doi: 10.1053/j.ajkd.2014.04.027
  18. Fritz G, Barner C, Schindler R et al. Amoxicillin-induced acute renal failure. Nephrol Dial Transplant. 2003 Aug;18(8):1660-2. doi: 10.1093/ndt/gfg236
  19. Imani S, Buscher H, Marriott D et al. Too much of a good thing: a retrospective study of β-lactam concentration-toxicity relationships. J Antimicrob Chemother. 2017 Oct 1;72(10):2891-2897. doi: 10.1093/jac/dkx209
  20. Macy E, Contreras R. Adverse reactions associated with oral and parenteral use of cephalosporins: A retrospective population-based analysis. J Allergy Clin Immunol. 2015 Mar;135(3):745-52.e5. doi: 10.1016/j.jaci.2014.07.062
  21. Cotner SE, Rutter WC, Burgess DR et al. Influence of β-Lactam Infusion Strategy on Acute Kidney Injury. Antimicrob Agents Chemother. 2017 Sep 22;61(10):e00871-17. doi: 10.1128/AAC.00871-17
  22. Savoldi S. Kidney damage by antibiotics and chemotherapy . G Ital Nefrol. 2012 Sep-Oct;29 Suppl 56:S41-8
  23. Lopez-Novoa JM, Quiros Y, Vicente L et al. New insights into the mechanism of aminoglycoside nephrotoxicity: an integrative point of view. Kidney Int. 2011 Jan;79(1):33-45. doi: 10.1038/ki.2010.337
  24. Selby NM, Shaw S, Woodier N et al. Gentamicin-associated acute kidney injury. QJM. 2009 Dec;102(12):873-80. doi: 10.1093/qjmed/hcp143
  25. Oliveira JF, Silva CA, Barbieri CD et al. Prevalence and risk factors for aminoglycoside nephrotoxicity in intensive care units. Antimicrob Agents Chemother. 2009 Jul;53(7):2887-91. doi: 10.1128/AAC.01430-08
  26. Hayward RS, Harding J, Molloy R et al. Adverse effects of a single dose of gentamicin in adults: a systematic review. Br J Clin Pharmacol. 2018 Feb;84(2):223-238. doi: 10.1111/bcp.13439
  27. Jenkins A, Thomson AH, Brown NM et al. Amikacin use and therapeutic drug monitoring in adults: do dose regimens and drug exposures affect either outcome or adverse events? A systematic review. J Antimicrob Chemother. 2016 Oct;71(10):2754-9. doi: 10.1093/jac/dkw250
  28. Abdul-Aziz MH, Alffenaar JWC, Bassetti M et al. Antimicrobial therapeutic drug monitoring in critically ill adult patients: a Position Paper. Intensive Care Med. 2020 Jun;46(6):1127-1153. doi: 10.1007/s00134-020-06050-1
  29. Gai Z, Samodelov SL, Kullak-Ublick GA, Visentin M. Molecular Mechanisms of Colistin-Induced Nephrotoxicity. Molecules. 2019 Feb 12;24(3):653. doi: 10.3390/molecules24030653
  30. Nation RL, Rigatto MHP, Falci DR et al. Polymyxin Acute Kidney Injury: Dosing and Other Strategies to Reduce Toxicity. Antibiotics (Basel). 2019 Mar 14;8(1):24. doi: 10.3390/antibiotics8010024
  31. Vardakas KZ, FalagasME. Colistin versus polymyxin B for the treatment of patients with multidrug-resistant Gram-negative infections: a systematic review and meta-analysis. Int J Antimicrob Agents . 2017 Feb;49(2):233-238. doi: 10.1016/j.ijantimicag.2016.07.023
  32. Oliota AF, Penteado ST, Tonin FS et al. Nephrotoxicity prevalence in patients treated with polymyxins: a systematic review with meta-analysis of observational studies. Diagn Microbiol Infect Dis. 2019 May;94(1):41-49. doi: 10.1016/j.diagmicrobio.2018.11.008
  33. Pogue JM, Ortwine JK, Keith S Kaye KS. Are there any ways around the exposure-limiting nephrotoxicity of the polymyxins? Int J Antimicrob Agents. 2016 Dec;48(6):622-626. doi: 10.1016/j.ijantimicag.2016.11.001
  34. Okoduwa A, Ahmed N, Guo Y et al. Nephrotoxicity Associated with Intravenous Polymyxin B Once- versus Twice-Daily Dosing Regimen. Antimicrob Agents Chemother. 2018 Jul 27;62(8):e00025-18. doi: 10.1128/AAC.00025-18
  35. Ramalakshmi S, Bastacky S, Johnson JP. Levofloxacin-induced granulomatous interstitial nephritis. Am J Kidney Dis. 2003 Feb;41(2):E7. doi: 10.1053/ajkd.2003.50064
  36. Shih DJ, Korbet SM, Rydel JJ et al. Renal vasculitis associated with ciprofloxacin. Am J Kidney Dis. 1995 Sep;26(3):516-9. doi: 10.1016/0272-6386(95)90500-6
  37. Goli R, Mukku KK, Raju SB et al. Acute Ciprofloxacin-Induced Crystal Nephropathy with Granulomatous Interstitial Nephritis. Indian J Nephrol. May-Jun 2017;27(3):231-233. doi: 10.4103/0971-4065.200522
  38. Soni N, Harrington JW, Weiss R et al: Pediatr Infect Dis J. Recurrent acute interstitial nephritis induced by azithromycin. 2004 Oct;23(10):965-6. doi: 10.1097/01.inf.0000141753.41486.ff.
  39. Mansoor GA, Panner BJ, Ornt DB. Azithromycin-induced acute interstitial nephritis. Ann Intern Med. 1993 Oct 1;119(7 Pt 1):636-7. doi: 10.7326/0003-4819-119-7_part_1-199310010-00027
  40. Esposito L, Kamar N, Guilbeau-Frugier C et al. Linezolid-induced interstitial nephritis in a kidney-transplant patient. Clin Nephrol. 2007 Nov;68(5):327-9. doi: 10.5414/cnp68327
  41. Xie H, Chen H, Hu Y et al: Clindamycin-induced acute kidney injury: large biopsy case series. Am J Nephrol. 2013;38(3):179-83. doi: 10.1159/000354088
  42. Wan H, Hu Z, Wang J et al. Clindamycin-induced Kidney Diseases: A Retrospective Analysis of 50 Patients. Intern Med. 2016;55(11):1433-7. doi: 10.2169/internalmedicine.55.6084
  43. Chang CH, Chen YF, Wu VC et al. Acute kidney injury due to anti-tuberculosis drugs: a five-year experience in an aging population. BMC Infect Dis. 2014 Jan 13;14:23. doi: 10.1186/1471-2334-14-23
  44. Sakashita K, Murata K, Takahashi Y et al. A Case Series of Acute Kidney Injury During Anti-tuberculosis Treatment. Intern Med. 2019 Feb 15;58(4):521-527. doi: 10.2169/internalmedicine.0813-18
  45. Bassetti M, Righi E. Safety profiles of old and new antimicrobials for the treatment of MRSA infections. Expert Opin Drug Saf. 2016;15(4):467-81. doi: 10.1517/14740338.2016.1142528
  46. Motsch J, de Oliveira CM, Stus V et al. RESTORE-IMI 1: A Multicenter, Randomized, Double-blind Trial Comparing Efficacy and Safety of Imipenem/Relebactam vs Colistin Plus Imipenem in Patients With Imipenem-nonsusceptible Bacterial Infections. Clin Infect Dis. 2020 Apr 15;70(9):1799-1808. doi: 10.1093/cid/ciz530
  47. Wunderink RG, Giamarellos-Bourboulis EJ, Rahav G et al. Effect and Safety of Meropenem-Vaborbactam versus Best-Available Therapy in Patients with Carbapenem-Resistant Enterobacteriaceae Infections: The TANGO II Randomized Clinical Trial. Infect Dis Ther. 2018 Dec;7(4):439-455. doi: 10.1007/s40121-018-0214-1

Farmaci antinfiammatori non steroidei

Abstract

I farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS) rappresentano una delle classi di farmaci maggiormente prescritta ed utilizzata a livello globale, con milioni di somministrazioni quotidiane, e con un mercato mondiale in ulteriore espansione.

La situazione italiana, invece, appare in controtendenza, come dimostrato dai report annuali dell’Agenzia del Farmaco (AIFA), con un lento progressivo decremento sia della prescrizione che dell’utilizzo complessivo includendo quello da automedicazione (over-the-counter). Sebbene la prescrizione ed il consumo di FANS in Italia riconosca differenze evidenti tra le regioni settentrionali e quelle meridionali, si conferma comunque la progressiva contrazione annuale del mercato.

Nonostante siano ben conosciuti gli effetti collaterali e tossici di questa classe di farmaci a carico di diversi organi ed apparati, le segnalazioni di eventi avversi (AEs) renali risultano minimali nei registri AIFA se rapportate agli effetti collaterali su altri organi ed apparati. La sottostima degli eventi avversi renali risulta ancora più evidente se si considera che nella popolazione geriatrica italiana, generalmente sottoposta a multiterapia farmacologica (in media 6.7 sostanze pro-capite), i FANS rappresentano il 32% delle prescrizioni risultando la quarta classe di farmaci più prescritta dopo antiulcera, antitrombotici e ipolipemizzanti.

Nella review sono elencate in sintesi le principali complicanze (alterazioni funzionali o comparsa di danno istologicamente definito) renali da FANS, le condizioni favorenti indispensabili per il determinismo del danno e cenni sui possibili meccanismi patogenetici.

Resta però evidente, pur a fronte di una sicura e non meglio quantificabile sottostima degli eventi avversi , che la loro frequenza sia abbastanza contenuta nella popolazione generale aumentando discretamente in quella a rischio.

La conoscenza dei meccanismi farmacologici e delle condizioni cliniche coinvolte nella genesi degli eventi avversi renali associati ai FANS, nonché l’epidemiologia e la frequenza delle complicanze, possono certamente contribuire alla acquisizione di una appropriatezza prescrittiva in equilibrio tra demonizzazioni semplicistiche e sottovalutazioni colpevoli. La accuratezza della diagnosi sulla causa del dolore risulta quindi prioritaria per la scelta terapeutica ragionata sul bilancio rischio-beneficio.

Al nefrologo esperto compete quindi  la responsabile (in)formazione sull’approccio non semplicistico e fai-da-te della terapia antalgica nei soggetti anziani ad alto rischio renale.

Introduzione

I farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS) rappresentano una delle classi di farmaci maggiormente prescritta ed utilizzata a livello globale [1]. Essi costituiscono una numerosa famiglia di principi attivi utilizzati quotidianamente per il trattamento del dolore e dell’infiammazione tissutale da patologie prevalentemente osteoarticolari croniche o come trattamento di stati dolorosi acuti. Sia gli effetti terapeutici che quelli avversi derivano dal meccanismo d’azione di inibizione dell’enzima Ciclossigenasi (COX) che impedisce la ossidazione dell’acido arachidonico nella famiglia degli eicosanoidi da cui derivano prostanoidi (prostaglandine e trombossani) gli effettori, tra l’altro ma non esclusivamente, della flogosi.

Si stima che giornalmente più di 30 milioni di persone faccia uso di questi farmaci che rappresentano circa il 60% del mercato di analgesici negli USA [2].

Le previsioni di investimento del mercato dell’industria farmaceutica mondiale stimano un incremento del 5,8% del tasso di crescita del rendimento del settore tra il 2020-2027 a causa dell’espansione di patologie cronico-degenerative anche legate allo stile di vita [3]. Il valore del mercato mondiale dei FANS, in continuo incremento, è stimato oggi intorno ai 24 miliardi di dollari per il 2027, laddove raggiungeva appena la cifra di 1 miliardo di dollari nel 1984 [4].

Nonostante ciò il trend di utilizzo dei FANS in Italia appare da alcuni anni in controtendenza registrando una riduzione media di circa 5% tra il 2014-2019 (Fig.1), sebbene con differenze regionali [5]. La DDD/1000 abitanti die (dose definita giornaliera) per i FANS si è progressivamente ridotta da 22.8 del 2014 al 18.2 del 2019 con una netta prevalenza dei FANS tradizionali (13.4 DDD/1000 abitanti die) rispetto ai COXIB (COX-2 inhibitors) e Oxicam (3.8 e 0.9, rispettivamente).

Dal Rapporto OsMed di AIFA 2019, infatti, emerge una significativa differenza nella prescrizione e consumo di FANS tra alcune regioni del meridione rispetto a quelle del nord dell’Italia. Il consumo di FANS in Calabria raggiunge le 29 DDD vs le 10.9 DDD dell’Emilia Romagna. A questi dati andrebbe aggiunta la quota di consumo legata all’automedicazione (over-the-counter).

Oltre a ciò, di rilievo per le potenziali implicazioni in termini di complicanze legate all’utilizzo di questa classe di farmaci in soggetti a maggior rischio di danno renale, è interessante segnalare che l’esposizione ai FANS è piuttosto elevata nei soggetti con età >65 anni (32.8% in media) con una prevalenza del genere femminile (35,7% vs 29.0%) [6]. Questo ultimo aspetto assume rilevanza clinica in considerazione della maggiore prevalenza di plurime condizioni comorbide nei soggetti anziani e quindi della elevata prevalenza di politerapia nella popolazione fragile.

Si stima che in Italia nel corso del 2018, nell’intera popolazione geriatrica (circa 14 milioni di soggetti; 6 milioni maschi), sia stata prescritta una media di 6.7 sostanze farmacologiche diverse per utilizzatore, media che aumenta con l’aumentare della decade di età sino a 7.8 sostanze farmacologiche diverse per la classe di età >80 anni. Inoltre, nel corso del 2018, si stima che oltre il 66% circa degli utilizzatori anziani abbia ricevuto la prescrizione di ≥5 sostanze diverse e che poco più del 22% dei soggetti di età ≥65 anni abbia assunto almeno 10 principi attivi diversi.  Tali dati sono indicativi di un frequente ricorso alla politerapia negli over-sessantacinquenni [6].

Sempre nel medesimo rapporto OsMed relativo al consumo di farmaci in Italia nel 2018, tra le categorie terapeutiche maggiormente prescritte nella popolazione geriatrica i FANS risultano al quarto posto (32.8% in media) dopo i farmaci antiulcera, farmaci antitrombotici e farmaci ipolipemizzanti [6].

Risulta quindi facilmente intuibile come la categoria di pazienti più fragile per età sia anche quella soggetta a maggiore rischio di complicanze non solo per gli effetti diretti dei farmaci quanto anche per le potenziali interazioni sfavorevoli tra formulazioni terapeutiche differenti e simultaneamente assunte quotidianamente: il 10% circa di utilizzatori di FANS presenta rischio di interazione farmacologica per contemporanea assunzione di un altro FANS, di antitrombotici e anticoagulanti o di steroidi.

Come atteso, questi farmaci vengono utilizzati per brevi periodi: in media ogni utilizzatore viene trattato per 41 giorni, il 50% per meno di un mese e oltre la metà riceve una sola prescrizione all’anno, senza marcate differenze tra le diverse aree geografiche [5].

Un reale quadro della diffusione e di utilizzo di questa classe di farmaci rappresenta una sfida di non facile ed univoca interpretazione essendo i dati della letteratura estremamente variabili, limitati a specifici studi o specifici setting clinici o popolazioni differenti e risultando non infrequentemente tra loro conflittuali. Pertanto si è qui scelto di definire l’entità della diffusione di utilizzo di questa classe di farmaci nell’ambito di uno spaccato di real-life dell’Italia come quello derivante dall’analisi dei flussi farmaceutici e delle prescrizioni risultanti nei database nazionali e dell’Agenzia del farmaco.  In Italia, la rilevazione dei dati di prescrizione farmaceutica in medicina generale è una realtà ormai consolidata da alcuni anni. Presso il Ministero della Salute è stato istituito l’Osservatorio Nazionale sull’Impiego dei Medicinali (OsMed) che permette l’acquisizione di diversi flussi informativi relativi alla prescrizione di farmaci a livello nazionale e regionale. I dati dell’OsMed, relativi al consumo dei farmaci in Italia, si riferiscono all’uso territoriale dei medicinali prescritti a carico del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e all’acquisto privato da parte dei cittadini, con o senza ricetta medica (OTC, over the counter).

 

1 Le origini

Le proprietà antipiretiche ed analgesiche delle foglie e della corteccia del salice, da cui si estraeva una sostanza amara, erano note sin dall’antichità tanto da essere citate nelle osservazioni contenute nel Corpus Hippocraticum. Ma l’azione antidolorifica e antipiretica di alcune piante era già nota tra i Sumeri e nell’antico Egitto. La storia moderna del capostipite dei FANS, il salicilato, inizia però solo nel XVIII secolo con l’osservazione del reverendo Edward Stone, oggetto di una comunicazione alla Royal Society, sull’effetto antipiretico dei salicilati e continua nel XIX secolo con la l’estrazione e la sintesi chimica del principio attivo. Solo nel 1897 venne sintetizzato da un chimico impiegato presso i laboratori Bayer, Felix Hoffmann, l’acido acetilsalicilico (ASA) e solo due anni dopo ne fu iniziata la commercializzazione. L’ASA composto presentava gli stessi effetti terapeutici dell’acido salicilico, ma con minori effetti collaterali soprattutto a livello gastroenterico.

Fu solo dopo circa 70 anni che il farmacologo John Vane scoprì il meccanismo di azione dei FANS mediante la dimostrazione dell’inibizione della produzione delle prostaglandine e dei prostanoidi nel sito di infiammazione [7]. Originariamente impiegato quasi esclusivamente per l’effetto antipiretico e antiinfiammatorio, ASA divenne presto una pietra miliare nella storia medicina e dell’umanità per la prevenzione degli eventi cardio-e cerebrovascolari grazie alla sua efficacia come antiaggregante. Per tale scoperta e per le conseguenze dell’impiego in molteplici campi della medicina Vane fu insignito del premio Nobel nel 1982.

Dall’epoca della scoperta del capostipite dei FANS, l’ASA, altre classi di composti furono sintetizzate e commercializzate, aumentando notevolmente la famiglia dei FANS oggi disponibili, nella continua ricerca di farmaci che migliorassero il rapporto tra efficacia terapeutica e contenimento degli effetti collaterali o tossici.

 

2 Meccanismo d’azione e Classificazione dei FANS

La maggior parte dei FANS sono composti acidi con biodisponibilità relativamente alta, elevato legame alle proteine plasmatiche e con metabolismo prevalentemente epatico, sebbene sia riportata una glicuronazione a livello renale per alcuni principi farmacologici (es. naprossene, ibuprofene, ketoprofene) [8].

Ad oggi oltre 20 farmaci sono disponibili in commercio ed altri sono in fase di sperimentazione.

I FANS sono classificati in gruppi in base alla struttura chimica dei composti (Tab.1) o in base alla prevalente capacità di inibizione delle isoforme di COX.

La funzione antiinfiammatoria dei FANS è legata alla capacità di inibizione delle prostaglandine e della biosintesi dei prostanoidi attraverso il blocco di COX. La famiglia dei prostanoidi, derivanti dall’ossidazione dell’acido arachidonico (AA) catalizzata da COX, include prostaglandine (PG), protacicline, isoprostani e trombossani tutti mediatori dell’infiammazione, ma con caratteristiche differenti includendo sia membri con azione di vasocostrizione (prostaglandine, isoprostani, trombossani, etc.) che di vasodilatazione (PGI2, prostaciclina). I membri della famiglia dei eicosanoidi, alla quale appartengono i prostanoidi, presentano però effetti regolatori anche in condizioni fisiologiche o parafisiologiche.

Sia gli effetti terapeutici antipiretici, antiinfiammatori e analgesici, sia quelli avversi dei FANS (a livello gastrico, cardiovascolare, renale etc.) sono legati all’inibizione di COX ed alla riduzione della produzione di prostaglandine (PG) come PGE2 e PGI2.

Nel corso dell’ultimo decennio del secolo scorso sono state scoperte due isoforme dell’enzima COX (COX-1 e COX-2), strutturalmente differenti nel sito di attività, ma non per lo step enzimatico di ossidazione di AA in PGG2 che, attraverso la sequela di perossidazioni, genera la famiglia dei prostanoidi. A queste due principali isoforme si è aggiunta recentemente la scoperta di una terza (COX-3) con funzione ancora non completamente nota [9].

I primi studi in vivo sulle isoforme di COX avevano suggerito che la sintesi di COX-2 fosse indotta nelle cellule, vasi e animali, da uno stimolo infiammatorio, laddove COX-1 risultasse costitutivamente espressa nei tessuti agendo come enzima protettivo e regolatorio [10].

Attualmente, invece, è ormai ben consolidato che questa semplicistica interpretazione non risulta corretta essendo ben dimostrato che COX-2 sia costitutivamente espressa in punti chiave dell’organismo come cervello, polmone, timo, intestino e rene [11]. Nell’intestino, ad esempio, COX-2 insieme a COX-1 protegge la mucosa da insulti lesivi, mentre nel rene l’espressione costitutiva di COX-2, mediante NFAT, regola GFR e flusso ematico (Fig. 2).

I FANS tradizionali, non selettivi, sono in grado di inibire entrambe le isoforme di COX, mentre i più recenti COXIB presentano una alta specificità per la COX-2 mantenendo così il desiderato effetto antiinfiammatorio ma riducendo, ipoteticamente, gli effetti avversi ritenuti più strettamente legati al blocco della COX-1. Alla fine degli anni 90 furono così introdotti nel mercato FANS COX-2 selettivi (Celecoxib, Rofecoxib, Etoricoxib) per il trattamento del dolore e di infiammazione, ma disegnati per ridurre gli effetti indesiderati gastrici associati con i FANS tradizionali come Diclofenac. Tuttavia, poiché né i nuovi COXIB, né i vecchi FANS risultavano selettivi nel blocco di COX-2 “inducibile” nel sito di infiammazione rispetto alla forma di COX-2 “costitutiva” (endotelio, cuore, rene) con funzione di protezione cardiovascolare ed endoteliale, essi indussero effetti cardiovascolari anche gravi attribuiti. Gli studi VIGOR e APPROVe dei primi anni del 2000 sancirono definitivamente il rischio di eventi cardiovascolari (infarto miocardico acuto) in corso di trattamento con Rofecoxib [12, 13].

Dopo oltre 20 anni di ricerca non è ancora completamente chiaro il meccanismo in base al quale COX-2 svolga il suo ruolo protettivo in campo cardio-vascolare. Sebbene sia ormai generalmente accettato che la Prostaciclina (PGI2) rappresenti il prostanoide più potente nella protezione cardiovascolare non è ancora ben definito il ruolo di COX-2 nella produzione endoteliale di prostaciclina.

Recentemente sono state avanzate ipotesi circa il ruolo del rene nella protezione cardiovascolare. Infatti è noto che COX-2 sia costitutivamente espresso in diversi distretti del nefrone e del parenchima renale e, precisamente nei fibroblasti interstiziali della midollare renale, nel glomerulo, nelle cellule tubulari (tratto spesso della branca ascendente di Henle), nella macula densa e nell’endotelio vascolare contribuendo alla regolazione di molteplici meccanismi omeostatici renali quali il rilascio di renina, escrezione di sodio, regolazione del flusso ematico renale e della pressione arteriosa sistemica [14, 15]. E’ pertanto ipotizzabile che gli effetti dei FANS sull’inibizione di COX-2 a livello renale possano spiegare le ripercussioni e gli effetti indesiderati di questi farmaci a livello cardiovascolare [16].

 

3 FANS e danno renale

3.1 Epidemiologia

Si stima che tra 1-5% dei pazienti che assumono FANS possa presentare un evento avverso renale [8].

Nonostante, quindi, un danno renale da uso di FANS (in genere AKI) riguardi apparentemente una percentuale cumulativa abbastanza limitata di pazienti, la potenzialità di danno renale in gruppi di pazienti ad alto rischio (CKD, ipertensione, insufficienza cardiaca, esposizione a mezzo di contrasto iodato, terapia diuretica, mieloma, etc) è così nota che, in ambito nefrologico, una delle cinque raccomandazioni dell’iniziativa “Choosing Wisely Italy (doing more does not mean doing better)” in collaborazione con  la Società Italiana di Nefrologia, risulta proprio l’astensione dalla prescrizione di FANS ai soggetti a rischio renale. Le linee guida internazionali richiamano l’attenzione al rischio di nefrotossicità e insufficienza renale acuta (AKI) da FANS soprattutto per i soggetti con riduzione di eGFR e anziani [17].

Dai dati pubblicati in letteratura, il rischio di danno renale da FANS è, però, molto variabile e dipende da molti fattori tra i quali non ultimo il tipo e la qualità del trial. In una metaanalisi, Zhang e coll. avevano valutato i dati di 10 su 3789 citazioni, per un totale di oltre 1.600.000 partecipanti esposti a FANS, per i quali era definito l’endpoint di AKI. Gli autori trovavano che l’uso FANS elevava di 1,5 volte il rischio di AKI nella popolazione generale e di oltre 2 volte nei pazienti con CKD e anziani; inoltre non risultava alcun rilevante vantaggio nell’uso di COXIB vs FANS tradizionali [18]. Analoghi risultati sono stati segnalati in un’altra revisione sistematica e metaanalisi di trial osservazionali per la definizione del rischio di AKI in soggetti trattati con FANS [19]. Nel trial PRECISION, RCT per la valutazione della non-inferiorità di Celecoxib vs Naprossene e Ibuprofen nel rischio di eventi cardiovascolari e renali in 24.000 pazienti con artrite, gli eventi renali per i tre FANS rispettivamente interessarono 0.7%, 0.9% e 1.1% dei pazienti, con una differenza statisticamente significativa solo tra Celecoxib vs Ibuprofen (hazard ratio, 0.61; 95% CI, 0.44 to 0.85; P=0.004) [20].

Sebbene gli eventi avversi da farmaci (ADR) rappresentino per i FANS circa il 20-25% delle segnalazioni, il coinvolgimento renale risulta molto scarso nei database delle agenzie del farmaco nazionali.

Una verifica effettuata on-line nel febbraio 2021 nel database dell’Agenzia del farmaco italiana (AIFA) e relativa alle segnalazioni (ADR) nel periodo 2019-2020 per i primi dieci FANS più utilizzati, evidenzia un tasso di segnalazione di eventi avversi renali che oscilla in media tra 0% e 1.4%. Anche considerando la scarsa propensione alla segnalazione degli eventi avversi da farmaci da parte dei medici italiani, il tasso di eventi renali risulta costantemente e per tutti i FANS sensibilmente inferiore a quello delle segnalazioni per eventi avversi da FANS a livello gastrointestinale e cutaneo (20-30% circa). Risultati simili sono quelli segnalati da Bouck e coll. in uno studio osservazionale canadese di popolazione nel quale il tasso di danno renale, danno cardiovascolare e morte dopo esposizione ai FANS in circa 35.500 soggetti con ipertensione, CKD e insufficienza cardiaca risultava basso (0.1% per eventi renali, 0.8% per complicanze cardiovascolari e 0.1% per morte), ma, soprattutto non si riscontrava differenza in termini di outcome tra i soggetti esposti ed i non esposti ai FANS [21]. Tali evidenze risultano sostanzialmente in linea con i risultati di un altro studio per rischio di AKI, iperkaliemia e mortalità da tutte le cause nella popolazione anziana dell’Ontario (Canada) esposta o no ai FANS (46.107 vs 46.107 pazienti). Utilizzando i dati di più database nazionali, inclusi quelli laboratoristici per la definizione dello stadio AKI secondo in criteri KDIGO, gli Autori trovavano che i pazienti anziani utilizzatori di FANS presentavano un rischio maggiore di AKI o iperkaliemia entro 30g rispetto ai non soggetti non utilizzatori [(0.82% vs 0.59%, con differenza di rischio di 0.23% (95% CI0.13-0.34)] [22]. Sebbene, quindi, il rischio di sviluppare AKI o iperkaliemia da utilizzo di FANS nella popolazione anziana risulti maggiore che in quella non esposta al farmaco, la differenza del rischio risulta in verità molto bassa. In particolare, il numero di soggetti che è necessario esporre al farmaco per riscontrare un evento avverso (Number Needed to Harm, NNH) è, secondo gli Autori, di 427 pazienti per un evento di AKI (AKI stadio I nel 79% dei casi) e di 756 pazienti trattati per un evento di iperkaliemia.

Questi risultati devono però indurre cautela per il rischio di sottovalutazione dei potenziali problemi legato all’uso di FANS in soggetti vulnerabili in considerazione delle molteplici variabili connesse con l’insorgenza ed il rischio di danno d’organo da esposizione ai farmaci ed ai FANS nello specifico. Infatti i meccanismi di danno d’organo indotto dal farmaco sono raramente espressione della singola esposizione al tossico, quanto piuttosto della sommatoria di una serie complessa di condizioni che dipendono oltre dalle caratteristiche chimiche del farmaco stesso, dall’interazione farmaco-paziente, dalle concomitanti terapie, dalle condizioni generali, anagrafiche, etniche del paziente e dalla presenza di specifiche comorbidità [23].

Comunque, indipendentemente dalla dimensione del fenomeno, gli studi osservazionali e quelli di intervento confermano che i danni renali da FANS non risultano significativamente differenti in base alla maggiore o minore selettività per COX-2. Infatti le osservazioni sulla localizzazione di COX-2 costitutiva a livello renale e dell’aumento della sua espressione sotto determinate condizioni cliniche, note per essere associate a massimale dipendenza dall’azione delle PG per il mantenimento dell’omeostasi renale, confermano quanto evidenziato dagli studi osservazionali di popolazione.

Il fatto che COX-2 espressa nel rene sia il crocevia della regolazione e della sintesi di PG necessarie, in determinate condizioni patologiche al mantenimento dell’emodinamica renale (renal blood flow -RBF- e GFR), funzione podocitaria, secrezione reninica, funzione tubulare (handling tubulare di sodio, potassio e acqua), intervenendo sui meccanismi di vasocostrizione sistemica e sul bilancio nella sintesi di prostanoidi e trombossani, rende ragione delle molteplici espressioni fenotipiche del danno renale secondario all’inibizione di COX.

 

3.2 La via delle Prostaglandine

Le PG sono sostanze ubiquitarie ed influenzano le varie funzioni renali insieme ad altri sistemi ed apparati dell’organismo. Concettualmente possono essere considerate sostanze ad azione ormonale locale (autacoidi) in considerazione della loro attività paracrina o autocrina. L’attività biologica delle PG è limitata al sito di produzione a causa della brevità dell’emivita in circolo. Esse derivano da un unico precursore fosfolipidico di membrana, l’acido arachidonico (AA), per azione catalitica della COX che rappresenta lo step limitante sul quale agisce il blocco esercitato dai FANS. L’inibizione della COX da aspirina è irreversibile, mentre quello degli altri FANS è reversibile.

L’AA è, però, anche il precursore di altri metaboliti attivi a livello vascolare ed endoteliale: leucotrieni (LT) ed eicosanoidi. La 5-Lipoossigenasi (5-LOX) catalizza la ossidazione di AA nei metaboliti con azione pro-infiammatoria e vasocostrittrice (leucotrieni). Si ritiene che esista un bilancio tra l’attività catalitica di COX e 5-LOX per l’AA nel network della flogosi per la sintesi di fattori con attività reciprocamente opposta e di controregolazione. È probabile che l’inibizione di COX da parte dei FANS possa in qualche modo alterare il bilancio tra i metaboliti derivanti dall’azione di COX e LOX, risultando così nella insorgenza degli effetti indesiderati dei FANS a livello renale. Questo shunt dell’attività catalitica di AA da COX (inibita dai FANS) a LOX è detta “shunt hypothesis” o anche “COX to LOX shunting” (Fig.3). Si ipotizza, infatti, che la produzione prevalente di leucotrieni, secondaria al blocco COX, possa essere coinvolto nella genesi della sindrome nefrosica che si associa a nefrite interstiziale acuta da FANS [24].

Lo sbilanciamento a favore della sintesi di LT (vasocostrittori) a causa dello shunt “COX to LOX” dei processi enzimatici ossidativi dell’AA può chiarire, almeno in parte, sia la genesi dell’ipertensione che dell’Insufficienza renale acuta da FANS. In effetti è comunemente accettato che l’insufficienza renale acuta da FANS si sviluppi, a causa del blocco della sintesi di PG, in tutte quelle condizioni cliniche nelle quali l’emodinamica renale è garantita principalmente dalla presenza di attività delle PG. Lo shunt di AA verso la via LOX, a seguito del blocco di COX da somministrazione di FANS, porta così ad un’eccessiva sintesi extra-renale di peptidi-leucotrieni (LTD4) con effetto vasocostrittore e contestuale deficit di sintesi di fattori vasodilatatori (PG). I fattori vasocostrittori inducono a livello sistemico ipertensione ed a livello glomerulare vasocostrizione dell’arteriola afferente con marcata riduzione del flusso ematico e della pressione di filtrazione intraglomerulare [25].

Esiste un secondo meccanismo attraverso il quale i FANS potrebbero potenziare l’effetto e la sintesi di fattori vasocostrittori: l’inibizione contemporanea della via COX e di enzimi che inattivano i LT.

Comunque venga determinato, è verosimile che il potenziale effetto nefrotossico nel suo insieme, esercitato da FANS tradizionali o COXIB, sia da correlare alla perturbazione dell’equilibrio tra i metaboliti derivanti dall’azione di COX e di LOX.

 

4 Nefrotossicità da FANS

In considerazione della molteplicità delle popolazioni cellulari e dei siti di espressione di COX-2 lungo il nefrone, nell’interstizio della midollare e nei vasi e della varietà e complessità della funzione delle PG, non sorprende che esista una stretta interazione tra attività prostaglandinica e funzione renale. La localizzazione dell’espressione di COX-2 costitutiva a livello renale giustifica il ruolo nel controllo dell’emodinamica glomerulare e del meccanismo del feedback tubulo-glomerulare.

Le PG sono coinvolte nel rilascio di renina, nella regolazione del tono vascolare, nella regolazione dell’emodinamica locale, nell’omeostasi di acqua e del sodio, nonché nei meccanismi di bilancio tubulare del potassio.

Un’importante premessa è però doverosa: in condizioni di normale funzione renale e di normale bilancio idro-elettrolitico e volemico le PG non rappresentano i principali mediatori di tali meccanismi omeostatici. Le PG operano tipicamente in sinergia con una molteplicità di altri mediatori i quali, anche in assenza di attività prostaglandinica, sono comunque in grado di preservare il bilancio omeostatico. La sintesi di PG è incrementata a seguito di stimoli secondari a condizioni di stress del sistema omeostatico che si verifica in alcune condizioni patologiche come, ad esempio, condizioni di ipovolemia o di ischemia. Pertanto, l’inibizione della sintesi di PG secondaria all’uso di FANS è potenzialmente la causa di complicazioni pressoché esclusivamente nei soggetti ad altro rischio con ridotta perfusione renale per concomitanti condizioni patologiche renali e sistemiche piuttosto che nei soggetti sani.

 

4.1 Effetto di FANS su GFR

La dimostrazione della presenza di COX-2 nella macula densa dell’uomo, nei podociti e nelle cellule muscolari lisce delle arteriole renali suggerisce che le PG derivanti dall’attività di tale via enzimatica contribuiscano alla regolazione dell’emodinamica renale, probabilmente attraverso la produzione di mediatori conazione vasodilatatoria come PGI2 e PGH2. Tuttavia, come già detto, il ruolo di COX-2 nella regolazione dell’emodinamica renale si manifesta solo in specifiche condizioni cliniche caratterizzate dalla stretta dipendenza della attività prostaglandinica. Queste condizioni cliniche, tutte caratterizzate da stati iper-reninemici, includono, per esempio, l’ipovolemia e la deplezione di sodio, la stenosi dell’arteria renale, la riduzione della massa nefronica, la nefrite lupica, la cirrosi scompensata, l’insufficienza cardiaca ed infine il trattamento con farmaci che interferiscono con il sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS). Nei pazienti a rischio la contrazione del volume circolante induce risposte pressorie sistemiche attraverso la via adrenergica e il RAAS. In queste condizioni sono proprio le PG vasodilatatorie che a livello renale garantiscono una azione di controbilanciamento della vasocostrizione sistemica da noradrenalina e angiotensina II. Pertanto, è la produzione e l’attività delle PG ad azione vasodilatatoria, in condizioni di ipoperfusione renale, che contribuisce al mantenimento dell’emodinamica renale locale. PGE2, PGI2 e PGD2 risultano i responsabili dello shift del flusso ematico dai nefroni corticali a quelli juxtamidollari.

L’utilizzo di FANS da parte di soggetti in queste condizioni specifiche determina la perdita della funzione protettiva vasodilatatrice locale delle PG sulla preponderante azione vasocostrittrice sistemica con declino rapido della pressione di filtrazione glomerulare.

La simultanea associazione di farmaci inibitori di RAAS ai diuretici, in soggetti vulnerabili come gli anziani, rappresenta l’associazione di maggior rischio per la comparsa di aventi avversi da uso di FANS, soprattutto se in condizioni climatiche avverse (periodo estivo) (triple whammy) [26].

Precedenti osservazioni di rari casi di acuta riduzione del GFR dopo somministrazione di inibitori non selettivi di COX in soggetti sani, aveva suggerito l’ipotesi di un ruolo di COX-1 nel mantenimento dell’emodinamica renale. Tuttavia è ormai noto che anche i COXIB possono indurre la stessa riduzione temporanea del GFR [27].

 

4.2 AKI

Diversamente dalla riduzione acuta del GFR, generalmente reversibile, secondaria esposizione ai FANS e dipendente dalla perdita del bilancio controregolatorio esercitato dalle PG vasodilatatorie in presenza di fattori di rischio, come descritto precedentemente, una piccola ma non trascurabile quota di pazienti può presentare i segni di un danno renale acuto. È improbabile che pazienti con normale funzione renale sviluppino AKI secondaria all’uso di FANS contrariamente a quanto può accadere in pazienti con storia di ipertensione arteriosa, nota insufficienza renale, scompenso cardiaco congestizio, diabete mellito, cirrosi epatica scompensata. Inoltre, l’uso concomitante di altri farmaci potenzialmente nefrotossici (aminoglicosidi, cisplatino, mezzo di contrasto iodato, etc,) in presenza di fattori precipitanti (ipovolemia) possono aumentare il rischio di indurre AKI principalmente, ma non esclusivamente, dovuto a Nefrite Interstiziale Acuta (NIA).

I FANS rappresentano una classe ben nota di farmaci potenzialmente incriminati nella genesi di quadri di NIA [28]. NIA secondaria all’uso di FANS, così come le forme di NIA indotta da farmaci in genere, richiede una esposizione variabile da alcuni giorni a diverse settimane potendo insorgere, raramente, anche a distanza di tempo dall’inizio della terapia. Tuttavia, dal punto di vista clinico, NIA da FANS presenta alcune peculiarità. Diversamente da altre forme di NIA indotta da farmaci, quella secondaria ai FANS generalmente presenta sintomi extrarenali, espressione più tipica della reazione immuno-allergica sistemica (rash cutaneo, febbre ed eosinofiluria), solo in una molto ridotta percentuale di casi [28].

L’ecografia renale evidenzia la presenza di incremento dell’ecogenicità della corticale che appare uguale o superiore a quella del fegato. In assenza di rapido miglioramento della funzione renale dopo sospensione del FANS incriminato o di altri indizi clinico-laboratoristici, però, il ventaglio diagnostico differenziale potrebbe risultare ancora piuttosto ampio tanto da rendere utile o, in alcuni casi, indispensabile, l’accertamento bioptico [29]. L’assenza di manifestazioni da iper-sensibilità allergica in presenza di un sedimento urinario normale sono elementi importanti per distinguere una NIA rispetto ad altre forme di danno renale come la necrosi tubulate acuta (NTA).

Comune ad altre cause di NIA da farmaci è invece l’aspetto istologico caratterizzato di marcata infiltrazione infiammatoria interstiziale linfo-monocitaria, con prevalente presenza di CD+4 e CD+8, e di eosinofili associata a quadri di tubulite.

È utile segnalare che, in caso di soggetti con multi-trattamento farmacologico, individuare il trigger della reazione immuno-allergica alla base della NIA potrebbe non essere semplice o immediato. Infatti sono ormai numerose le segnalazioni di NIA da inibitori di pompa protonica (PPI) che, pressoché sistematicamente, vengono prescritti simultaneamente alla terapia con i FANS al fine di prevenire i più frequenti eventi avversi a carico del tratto gastrico [30, 31].

AKI da FANS è generalmente reversibile dopo sospensione del farmaco incriminato e un breve ciclo di terapia steroidea di 1-2 mesi [29].

Tutti le classi di FANS sono potenzialmente causa di NIA, anche se gli aril-propionici (Profeni) sembrano più frequentemente associati a tale complicanza.  Nonostante le reazioni di ipersensibilità ritardata, come nel caso di NIA da farmaci, dipendano dalla specifica sostanza cui il paziente è stato esposto, è possibile la comparsa di fenomeni di cross-reattività, per somiglianza strutturale, tra farmaci diversi appartenenti alla stessa sottofamiglia. Perciò, ad esempio, un paziente che ha sviluppato NIA secondaria a ibuprofene, potrebbe presentare una recidiva in caso di esposizione al fenoprofene [32].

 

4.3 Sindrome nefrosica associata ad AKI

L’esposizione ai FANS è stata riconosciuta, da tempo, quale causa di una seconda forma di AKI da NIA associata sindrome nefrosica conclamata. Le caratteristiche cliniche, l’assenza di fattori di rischio noti e la fisiopatologia distinguono questa specifica forma dalle AKI associate a FANS e dalla classica forma di NIA farmaco-indotta, che riconosce una patogenesi legata alla ipersensibilità ritardata. Le manifestazioni cliniche di questa specifica sindrome di AKI indotta da FANS sono variabili. I pazienti possono presentarsi con il classico quadro clinico della sindrome nefrosica caratterizzato da edemi, oliguria, urine schiumose, proteinuria >3.5 g/die, ipoalbuminemia e AKI. L’ematuria è in genere solo microscopica e comunque meno frequente che nelle altre forme di NIA associata a farmaci. La presenta contemporanea di rapido declino del GFR e comparsa ex abrupto di sindrome nefrosica rappresenta un potente indizio di sospetto per l’associazione patogenetica all’esposizione ai FANS essendo state riportata, tale associazione, solo eccezionalmente in altri casi di NIA-farmaco-indotta. È stato suggerito che la suscettibilità alla associazione di proteinuria in queste forme di NIA potrebbe essere collegato all’incremento della sintesi di LT, secondario allo shift dell’AA verso la via di 5-LOX, e che questi possano attivare i linfociti T-helper determinando la fusione dei processi pedicillari dei podociti glomerulari. Nessuno studio, ha però finora, confermato questa ipotesi.

Sebbene i FANS rappresentino una delle cause più frequenti di NIA farmaco-indotta, l’incidenza di sindrome nefrosica sembra abbastanza bassa. In due case-series di NIA-indotta da FANS solo 3 su 121 pazienti presentavano una sindrome nefrosica [33].

I quadri istologici che sottendono questa specifica forma di nefrotossicità da FANS sono riconducibili a due quadri istologici: 1) lesioni di Glomerulopatia a Lesioni Minime (minimal change disease; MCD); e 2) di Glomerulopatia Membranosa (membranous nephropathy; MN).

La MCD è certamente il riscontro istologico più comune e risulta la forma di più probabile riscontro in caso di insorgenza di sindrome nefrosica associata a AKI severa da esposizione a i FANS.

La biopsia renale invariabilmente evidenzia il tipico pattern della NIA caratterizzata da infiltrato flogistico interstiziale costituito prevalentemente da T-linfociti con presenza, in minore entità, di altre popolazioni cellulari come eosinofili, macrofagi e plasmacellule.  I glomeruli appaiono, come atteso, normali e ben conservati alla microscopia ottica, ma con estesa fusione dei processi pedicillari alla microscopia elettronica. In alcuni pazienti, possono associarsi anche lesioni tubulari acute (necrosi tubulare acuta). Come usuale nelle AKI da FANS, diversamente per le altre forme di AKI da farmaci, anche in questa specifica forma associata a sindrome nefrosica i segni e sintomi extra-renali (rash cutaneo, febbre, eosinofilia, eosinofiluria) sono per lo più assenti [34, 35].

La sindrome nefrosica associata al pattern istologico della MN, una forma paradigmatica di danno della membrana basale glomerulare da immunocomplessi, è l’altra condizione riscontrabile con biopsia renale [36]. La presenza di depositi elettrondensi subepiteliali lungo le anse capillari del glomerulo e la completa fusione dei processi pedicillari dei podociti sono le caratteristiche salienti di questa forma. Diversamente dalla MCD, i quadri causati da MN molto meno frequentemente presentano segni di marcata infiltrazione flogistica linfo-monocitaria interstiziale. Tale differenza istologica spiega il perché i pazienti con MCD indotta da FANS presentino AKI anche severa associata a sindrome nefrosica, laddove i pazienti con MN presentino solo sindrome nefrosica con funzione renale conservata.

Altra caratteristica distintiva della MN da FANS, come nelle altre forme di MN secondaria, è la presenza all’immunoistochimica di IgG1 laddove la classe di IgG delle forme di MN primitiva è IgG4 [37] e l’assenza di PLA2R all’immunistochimica.

Entrambe le forme sono reversibili, anche rapidamente, dopo sospensione dei FANS, sebbene casi di recidiva di sindrome nefrosica possano insorgere per nuova esposizione.

Nella MCD associata a AKI un precoce e breve ciclo di terapia steroidea (1-2 mesi) può indurre una risposta più rapida e remissione completa.

Non sembra vi siano differenze tra l’esposizione ai FANS tradizionali (non selettivi) e COXIB per il rischio di comparsa di complicanza renali proteinuriche.

Un recente lavoro di revisione sistematica osservazione di pazienti esposti (n. 2620) o no (n. 10454) ai FANS e con diagnosi di sindrome nefrosica, utilizzando multipli database del Sistema Sanitario britannico, ha evidenziato un rischio più alto di sindrome nefrosica per i pazienti esposti ai FANS (OR 1.34; 95% CI 1.06-1.70). Inoltre il rischio aumentava per esposizioni prolungate (> 15gg) e sembrava attenuarsi dopo 2 anni dalla sospensione dei FANS [38]. Non si riscontravano differenze tra FANS non selettivi e COX-2 inibitori.  Tali dati devono essere però considerati con molta cautela per la possibile presenza di bias dovuti al lungo periodo in esame (1989-2017), alla scarsa prevalenza di biopsie renali di conferma (11%) ed alla presenza di scarsa incidenza delle note espressioni istologiche associate ai FANS (MCD e MN erano riscontrate in solo 15/167 pazienti) rispetto a quadri istopatologici difficilmente correlabili, per meccanismi patogenetici differenti, all’esposizione a questi farmaci.

 

4.4 CKD

Non molti studi dimostrano l’effetto a lungo termine dell’esposizione prolungata ai FANS in termini di insorgenza o progressione di CKD. Nonostante ciò è stato dimostrato che l’uso di FANS giornaliero per oltre un anno di durata aumenti il rischio di sviluppare CKD. Un recente studio nella popolazione anziana mostra che l’uso di dosi elevate e per periodi prolungati, indipendentemente dalla selettività per COX, aumenti significativamente il rischio di CKD [39].

Nonostante sia ben noto che l’utilizzo prolungato ed a dosi elevate di FANS possa determinare una più rapida progressione di CKD, ancora una percentuale non trascurabile di soggetti con nefropatia cronica è esposta a tale rischio. La percentuale di pazienti CKD esposta ai FANS si riduce drasticamente in caso di eGFR marcatamente ridotto o, ancora di più, in caso di “referral” del paziente al follow-up dello specialista nefrologo. L’essere presi carico dal Nefrologo riduce il ricorso ai FANS per i pazienti CKD ed aumenta l’impiego di analgesici alternativi [40].

I dati disponibili in letteratura, infine, risultano ancora meno chiari per quanto riguarda il presunto ruolo degli analgesici nella induzione di CKD. Ad esempio, il paracetamolo, considerato essere sostanzialmente non nefrotossico tanto che il suo uso risulta diffusamente consentito anche per i pazienti con CKD avanzata, è stato indagato in studi osservazionali, per il potenziale ruolo nella genesi di Nefropatia da Analgesici. Uno studio del 2001 che indagava il ruolo causale di paracetamolo e aspirina nella CKD suggeriva che l’uso regolare per oltre 2 mesi aumentava il rischio di CKD di 2.5 volte rispetto ai soggetti “non users” [41]. I risultati ai quali giunsero gli Autori, però, non erano scevri da critiche per la possibilità che le stesse cause del dolore trattato con paracetamolo potevano per sé stesse essere responsabili della nefropatia cronica.

Al contrario, un altro studio caso-controllo retrospettivo su 4742 casi di nefropatia occorsa in utilizzatori acuti e cronici di paracetamolo, non aveva evidenziato alcun incremento del rischio di nefropatia da analgesici anche nei soggetti con uso cumulativo di oltre1 Kg di paracetamolo [42].

 

4.5 Necrosi della papilla renale

La necrosi della papilla renale con nefrite interstiziale è una ben nota e storica complicazione dell’uso cronico (o abuso) di fenacetina ormai pressoché scomparsa e non più disponibile per uso clinico. Sebbene la fenacetina, come acetaminofene o paracetamolo, che ne sono metaboliti derivati, non agiscano specificatamente come FANS e presentino principalmente indicazioni analgesiche ed antipiretiche, il loro uso prolungato per molti anni (oltre 10-20), specie se associato a salicilati e caffeina, è stato riconosciuto come causa di danno cronico renale e di necrosi della papilla renale. La necrosi papillare non è però una patognomonica complicanza della nefropatia da analgesici potendosi riscontrare anche in altre condizioni cliniche come diabete mellito, pielonefriti, ostruzione delle vie urinarie, nefropatia in corso di anemia falciforme, tubercolosi renale e nefropatia da reflusso. In studi preclinici pressoché tutti i FANS possono essere causa di necrosi della papilla renale in modelli animali. Sebbene la tossicità clinica sia eccezionalmente rara, è però stata riportata per alcuni farmaci come ibuprofen, fenilbutazone, fenoprofene ed acido mefenamico.

Il tipico, ma ormai storico, profilo del candidato alla insorgenza della rara necrosi della papilla renale indotta dai FANS è una donna di mezza età con storia di abuso di analgesici da banco (OTC) per emicrania.

Le manifestazioni renali includono dolore acuto al fianco, ematuria macroscopica, possibile ostruzione ureterale ed idronefrosi, insufficienza renale di vario grado. Infezioni urinarie e ipertensione sono riscontri secondari ed ancillari. Attualmente quadri di necrosi della papilla renale indotta da FANS sono assolutamente rari, sebbene l’abuso di questi farmaci (soprattutto ibuprofen) sia stato correlato al progressivo declino della funzione renale da danno cronico (CKD). Storicamente l’urografia dimostrava la presenza di segno dell’anello in caso di necrosi della papilla con distacco completo. Attualmente la TC con e senza contrasto è considerato il miglior approccio diagnostico per immagini, consentendo anche la definizione di calcificazioni papillari e dell’assottigliamento del parenchima renale con corticalizzazione dei calici. Il meccanismo causativo della necrosi della papilla renale non è completamente chiarito dal momento che altre condizioni comorbide e concomitanti, come diabete mellito, infezioni urinarie calcolosi ostruenti, risultano spesso associate nella patogenesi. È altamente probabile che, in corso di condizioni favorenti come l’ipoperfusione renale cronica con rarefazione della vascolarizzazione locale, la riduzione della sintesi di PG vasodilatatrici indotta dai FANS, possa determinare un ulteriore riduzione della già bassa tensione di ossigeno (PaO 2 circa 10 mmHg) nella parte più profonda della midollare renale inducendo necrosi della papilla. In modelli sperimentali di topo transgenico l’attività di COX-2 costitutiva espressa a livello della midollare profonda sembra svolgere un importante ruolo nella preservazione funzionale dell’handling dell’acqua e del sodio e nel mantenimento dell’integrità strutturale della papilla renale [43].

 

4.6 Ritenzione idroelettrolitica e iperpotassiemia

Le PG possono agire sia come stimolo che come inibizione del trasporto di soluti e acqua a diversi livelli del nefrone. Almeno tre distinti effetti sono descritti ed attribuiti all’azione delle PG (soprattutto PGE2) a livello della porzione baso-laterale delle cellule del tubulo renale: 1) stimolo del riassorbimento basale di acqua; 2) inibizione del riassorbimento stimolato dalla vasopressina; 3) inibizione del riassorbimento di sodio.

Il meccanismo attraverso il quale PGE2 contribuisce alla natriuresi coinvolge una modifica delle resistenze locali nel microcircolo midollare. Infatti sebbene un aumento nell’espressione di COX-2 costitutiva a livello della macula densa e del tratto corticale spesso della branca ascendente dell’ansa di Henle (cTAL) sia indotto da una dieta a basso apporto di sale, lo stesso incremento dell’espressione di COX-2 a livello dell’interstizio della midollare è invece indotto da una dieta ad alto apporto di sodio. L’aumento di PGE2 che ne deriva provoca la dilatazione del tratto discendente dei vasa recta aumentano il flusso ematico nella midollare profonda inducendo così incremento della pressione e dell’ipotonicità midollare e, di conseguenza potenziamento dell’escrezione di sodio.

PG inoltre agisce su cTAL e sull’epitelio del dotto collettore inibendo la sintesi di cAMP e modificando i meccanismi di trasporto si acqua e soluti a questi livelli. Pertanto l’azione di PG intrarenale risulta, in sintesi, in un effetto natriuretico e nel riassorbimento di acqua.

Queste azioni delle PG, che contribuiscono alla modulazione e regolazione renale della escrezione di sale e di acqua, verrebbero alterate dall’utilizzo di FANS determinando così alcuni degli effetti collaterali più frequenti associati a questi farmaci.

Ritenzione di sodio e comparsa di edemi sono due tra i più frequenti effetti collaterali dei FANS: è stato riportato che essi occorrano in oltre il 5% dei pazienti trattati [44]. Inoltre, dati aggiornati, suggeriscono l’assenza di differenze significative tra FANS non selettivi e COXIB sulla capacità di indurre eventi avversi legati alla ritenzione di liquidi e di elettroliti. Infatti anche i COX-2 inibitori, in soggetti sani esposti sia a ristretto che a normale apporto di sale, hanno dimostrato, in studi separati, di provocare una transitoria riduzione dell’escrezione di sodio similare a quella dei FANS tradizionali [44, 45, 46].

L’edema, generalmente localizzato agli arti inferiori, è un evento avverso frequentemente riportato negli studi clinici e nella terapia con FANS. Sia per i COX-2selettivi che per i FANS tradizionali la formazione di edema con incremento ponderale clinicamente rilevante appare un evento dose-dipendente in circa il 30-50% dei casi [47]. Un confronto diretto tra COXIB (Rofecoxib e Celecoxib) per la comparsa di edema in corso di trattamento è desumibile dallo studio SUCCESS VI, nel quale, differentemente da altri studi, il doppio dei pazienti in Rofecoxib rispetto a quelli trattati con Celecoxib sperimentavano una significativa ritenzione di liquidi e destabilizzazione del controllo pressorio [48]. La maggioranza di altri studi, però, non dimostra una significativa differenza tra i FANS non selettivi rispetto ai COXIB anche di più recente generazione (Etoricoxib). Il rischio di scompenso congestizio, la più seria complicanza della ritenzione idrosalina, è stata riportata come evento non frequente e stimabile intorno o inferiore a 1% [20].

È ben nota l’azione delle PG nel trasporto del potassio. L’iperkaliemia indotta dai FANS viene attribuita all’effetto diretto su aldosterone piuttosto che ad una azione diretta sulle cellule epiteliali del tubulo renale e del dotto collettore. In condizioni normali l’escrezione del potassio dipende da due principali fattori: a) una adeguata disponibilità di sodio al livello del dotto collettore; b) presenza di aldosterone. L’inibizione di COX dovuto ai FANS determina, come precedentemente anticipato, due effetti che condizionano l’escrezione del potassio: 1) la riduzione della disponibilità di sodio a livello distale del tubulo sia per riduzione della quota filtrata che per aumentato riassorbimento; 2) l’inibizione della sintesi di PG a livello della macula densa interferisce, riducendola, la secrezione di renina, riducendo, infine la cascata che porta allo stimolo della sintesi surrenalica di aldosterone.  L’effetto dei FANS, pertanto, inibendo la sintesi di PG e quindi di renina, induce una condizione di ipoaldosteronismo iporeninemico.

Indipendentemente dalla selettività di inibizione di COX, l’uso di FANS è stato associato all’insorgenza di iperkaliemia, sebbene alcuni autori riportino un maggior rischio per Rofecoxib, Celecoxib, Diclofenac ed Indometacina.

Una preesistente decurtazione lieve-moderata del GFR, la presenza di condizioni cliniche come diabete mellito, età avanzata, scompenso cardiaco cronico, o infine, l’associazione a trattamenti farmacologici che interferiscono con il sistema RAAS (ACE-inibitori, sartani, beta-bloccanti, diuretici risparmiatori di potassio, supplementazioni di potassio) elevano significativamente il rischio di iperkaliemia da FANS. In tali condizioni di rischio l’ipoaldosteronismo iporeninemico indotto dai FANS determina uno stato di acidosi tubulare di tipo 4 (RTA-4) che si manifestano con severi quadri di iperkaliemia in pazienti suscettibili [49].

 

4.7 Ipertensione associata ai FANS

È noto che l’uso di FANS possa determinare un aumento dei valori pressori soprattutto nei soggetti ipertesi e già in trattamento. I meccanismi attraverso i quali si esplicherebbe questo effetto collaterale sono probabilmente molteplici oltre a quello derivante dalla espansione volemica da ritenzione idrosalina. I FANS sono sospettati di alterare il controllo farmacologico dell’ipertensione soprattutto in soggetti in trattamento con ACE-inibitori e beta-bloccanti. Diversi meccanismi patogenetici sono stati proposti per spiegare l’incremento dei valori pressori indotti da FANS. Oltre all’espansione volemica ed alla riduzione dell’escrezione renale di sodio, l’inibizione della sintesi di PG con effetto vasodilatatorio, potrebbe indurre reazioni sistemiche di incremento delle resistenze probabilmente anche indotte dalla perdita della regolazione della sintesi di endotelina-1 (ET-1). ET-1 agirebbe a livello renale potenziando la ritenzione di acqua e sale e a livello sistemico incrementando le resistenze vascolari.

Questi ipotetici meccanismi sono stati invocati per la spiegazione della “resistenza” ai farmaci indotta dall’assunzione di FANS (diuretici, antiipertensivi).

L’effetto ipertensivo dei FANS appare sostanzialmente un “effetto di classe”, scarsamente dipendente dalla selettività di inibizione di COX (dati di letteratura contrastanti e non conclusivi), ma dipendente dalla dose e dalla durata dell’emivita del farmaco.

In genere l’incremento pressorio (soprattutto sistolico) risulta modesto ed in media di pochi mmHg (3-6), ma questo dato espressione della media di gruppo potrebbe sottostimare effetti clinicamente significativi nel singolo paziente. Non di meno, l’importanza e le ricadute, in termini epidemiologici, di piccole variazioni deli valori pressori possono essere anche molto rilevanti. Infatti in molti grandi trials, persistenti anche se apparentemente modesti incrementi dei valori pressorio sistolici di appena 3 mmHg, spiegavano un incremento del 10-20% di quadri di scompenso cardiaco congestizio, un 15-20% di stroke e 12% di incremento del rischio di angina [15].

Tali evidenze suggeriscono il mantenimento di un adeguato controllo dei valori pressori in soggetti ipertesi con importanti comorbidità cardiovascolari in corso di trattamento con FANS, eventualmente associando consigli per una riduzione dell’apporto di sale con la dieta o trattamento diuretico appropriato.

 

5 Conclusioni

La nefrotossicità da FANS si esprime con un ventaglio abbastanza esteso di manifestazioni differenti per importanza, frequenza ed impatto clinico. Inoltre gli eventi avversi attribuiti all’uso di FANS, soprattutto in specifiche condizioni di rischio, sembrano essere piuttosto un effetto di classe che non principalmente legate alla selettività del meccanismo di inibizione di COX.

Gli eventi avversi renali, per la differente espressione clinica che possono manifestare, risultano verosimilmente molto sottostimati e poco segnalati nell’ambito della farmacovigilanza della pratica clinica quotidiana.  Ciò nonostante, una non trascurabile quota di popolazione a potenziale rischio di eventi avversi (anziani, policomorbidi e in politerapia farmacologica) è quotidianamente esposta al rischio di complicanze renali e cardiovascolari FANS-correlate, probabilmente spesso sub-cliniche ma non per questo meno pericolose. Pazienti considerati ad alto rischio per eventi avversi renali, come pazienti con gradi avanzati di CKD, ipertesi trattati con farmaci che interferiscono con sistema RAAS, pazienti con riduzione della volemia efficace, cirrosi, insufficienza cardiaca congestizia, diabete mellito, lupus, dovrebbero essere trattati con molta precauzione e sottoposti ad una più stringente sorveglianza clinica per il potenziale rischio di ipertensione, edemi e declino del GFR. La durata, la dose e l’emivita del farmaco antiifiammatorio sembra correlato al rischio di induzione dell’evento avverso renale. Pertanto la terapia per i soggetti a rischio, laddove necessaria e non sostituibile, deve essere effettuata per la minore durata possibile.

E’ ben dimostrato come il “referral” nefrologico dei pazienti anziani con CKD o a rischio di eventi avversi renali riduca sensibilmente non solo i rischi di complicanze da esposizione ai FANS, ma anche la loro prescrizione da parte del medico di famiglia, per esempio, suggerendo un approccio meno “semplicistico” al trattamento del dolore e degli stati infiammatori anche attraverso l’utilizzo di trattamenti antalgici alternativi o ricorrendo alla competenza dei centri specializzati nella terapia del dolore.

Trend (2014-2019) del consumo annuo di FANS
Figura 1. Trend (2014-2019) del consumo annuo di FANS in Italia in DDD (dose definita giornaliera) e del costo medio complessivo per DDD. Dati AIFA: da Rapporto OsMed 2020.

 

 Principali classi farmacologiche dei FANS.
Tabella 1. Principali classi farmacologiche dei FANS.

 

Enzima COX costitutivo e inducibile e principali siti di espressione.
Figura 2.  Enzima COX costitutivo e inducibile e principali siti di espressione. COX-1 è ubiquitario e costitutivamente espresso in tutti i tessuti. COX-2 è costitutivamente espresso in specifici siti all’interno di rene, tratto gastroenterico, cervello, polmone e timo. Le vie trascrizionali del gene COX-2 costitutivo sono note solo nel rene (NFAT). La forma inducibile di COX-2 è espressa nel sito di infiammazione e in tessuto neoplastico. La via trascrizionale della forma inducibile di COX-2 include NF-kB, NFAT e CREB. L’inibizione della forma inducibile di COX-2 rappresenta il target terapeutico della classe dei FANS, mentre l’inibizione simultanea delle forme costitutive di COX-1 e COX-2 condizione l’insorgenza degli effetti collaterali ed eventi avversi. (NFAT: nuclear factor of active transcrizione T cell; NF-kB: nuclear factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells;  CREB:  cAMP response element-binding protein).

 

Inibizione di COX da FANS e meccanismo di AKI
Figura 3. Inibizione di COX da FANS e meccanismo di AKI via “COX to LOX shunting hypothesis”

 

Bibliografia

  1. Holubek WJ. Chapter 37: Nonsteroidal anti-inflammatory drugs. In: Hoffman RS, Howland M, Lewin NA, et al, eds. Goldfrank’s Toxicologic Emergencies. 10th ed. New York, NY: McGraw-Hill; 2015.
  2. Conaghan PG. A turbulent decade for NSAIDs: update on current concepts of classification, epidemiology, comparative efficacy, and toxicity. Rheumatol Int. 2011;32(6):1491-1502.
  3. https://www.globenewswire.com/news-release/2020/05/28/2040374/0/en/NSAIDs-Market-to-Reach-USD-24-35-Billion-by-2027-Surging-Research-on-Selective-Cyclooxygenase-2-Inhibitors-to-Boost-Growth-Fortune-Business-Insights.html.
  4. Feder BJ. The boom in arthritis drugs. New York Times. 23 April, 1982: D1-D4.
  5. Rapporto Osmed 2019. https://www.aifa.gov.it/web/guest/-/l-uso-dei-farmaci-in-italia-rapporto-osmed-2019.
  6. L’Uso dei Farmaci in Italia. Rapporto Osmed 2018. https://www.aifa.gov.it/web/guest/-/rapporto-osmed-20-1.
  7. Montinari RM, Minelli S, De Caterina R. The first 3500 years of aspirin history from its roots – A concise summary. Vascul Pharmacol. 2019 Feb;113:1-8. doi: 10.1016/j.vph.2018.10.008.
  8. Harirforoosh S, Jamali F. Renal adverse effects of non-steroidal anti-inflammatory drugs. Expert Opin Drug Saf. 2009; 8(6):669-81.
  9. Vavies NM, Good RL, Roupe KA, Yanez JA. Cyclooxigenase -3: axiom, dogma, anomaly, enigma of splice error?. Not as easy as 1, 2, 3. J Pharm Pharm Sci 2004; 7(2): 217-26.
  10. Vane JR, Mitchell JA, Appleton I, Tomlinson A, Bishop-Bailey D, Croxtall J et al. Inducible isoforms of cyclooxygenase and nitric-oxide synthase in infl Proc Natl Acad Sci. 1994. 91: 2046–2050.
  11. Kirkby NS, Zaiss AK, Urquhart P, Jiao J, Austin PJ, Al-Yamani M et al. LC-MS/MS confirms that COX-1 drives vascular prostacyclin whilst gene expression pattern reveals non-vascular sites of COX-2 expression. PLoS One 2013; 8: e69524.
  12. Bombardier C, Laine L, Reicin A, Shapiro D, Burgos-Vargas R, Davis B et al. Comparison of upper gastrointestinal toxicity of rofecoxib and naproxen in patients with rheumatoid arthritis. VIGOR Study Group. N Engl J Med 2000; 343: 1520–1528.
  13. Bresalier RS, Sandler RS, Quan H, Bolognese JA, Oxenius B, Horgan K et al. Cardiovascular events associated with rofecoxib in a colorectal adenoma chemoprevention trial. N Engl J Med 2005; 352: 1092–1102.
  14. Harris RC. COX-2 and the kidney. J Cardiovasc Pharmacol 2006; 47 (Suppl 1): S37–S42.
  15. Gambaro G, Perazella M. Adverse renal effects of anti-inflammatory agents: evaluation of selective and non-selective cyclooxygenase inhibitors. J Intern Medicine 2003; 253: 643-652.
  16. Mitchell JA and Kirby SN. Eicosanoids, prostacyclin and cyclooxygenase in the cardiovascular system. British J Pharmacol 2019; 176: 1038-50.
  17. Kidney Disease: Improving Global Outcomes CKD Work Group. KDIGO clinical practice guideline for the evaluation and management of chronickidney disease. Kidney Int Suppl 2012; 3: 1–150.
  18. Zhang X, Donnan PT, Bell S, Guthrie B.Non-steroidal anti-inflammatory drug induced acute kidney injury in the community dwelling general populationand people with chronic kidney disease: systematic review and meta-analysis. BMC Nephrology 2017; 18: 256 doi 10.1186/s12882-017-0673-8.
  19. Ungprasert P, Cheungpasitporn W, Crowson CS, Matteson EL. dividual non-steroidal anti-inflammatory drugs and risk of acute kidney injury: A systematic review and meta-analysis of observational studies. Europ J Intern Med 2015; 26: 285-91.
  20. Nissen SE, Yeomans ND, Solomon DH et al for the PRECISION Trial Investigators. Cardiovascular Safety of Celecoxib, Naproxen, or Ibuprofen for Arthritis. New Engl J Med 2016; 375 (26):2519-29.
  21. Bouck Z, Mecredy GC, Ivers NM, Barua M, Martin D, Austin PC, Tepper J, Mhatia RS. Frequency and associations of prescription nonsteroidal anti-inflammatory drug use among patients with a musculoskeletal disorder and hypertension, heart failure, or chronic kidney disease. JAMA Intern Medic 2018; 178 (11):1516-25.
  22. Nash DN, Markle-Reid M, Brimble KS, McArthur E, Soshanov PS, Fink JC, Weir MA, Garg AX. Nonsteroidal anti-inflammatory drug use and risk of acute kidney injury and hyperkalemia in older adults: a population-based study. Nephrol Dial Transplant 2019; 34: 1145-54.
  23. Perazella MA. Pharmacology behind common drug nephrotoxicities. Clin J Am Soc Nephrol 2018; 13: 1897–1908.
  24. Whelton A. Nephrotoxicity of nonsteroidal anti-inflammatory drugs: physiologic foundations and clinicalimplications. Am J Med 1999; 106(5B): 13S–24S.
  25. Gulbins E, Parekh N, Rauterberg EW, Schlottmann K, Steinhausen M. Cysteinyl leukotriene actions on the microcirculation of the normal and split hydronephrotic rat kidney. Eur J Clin Invest 1991; 21: 184–96.
  26. Mangoni AA, Kholmurodova F, Mayner L, Hakendorf P, Woodman RJ. The concomitant use of diuretics, non-steroidal anti-inflammatory drugs, and angiotensin-converting enzyme inhibitors or angiotensin receptor blockers (triple whammy), extreme heat, and in-hospital acute kidney injury in older medical patients. Adv Ther. 2017 Nov;34(11):2534-41.
  27. Swan SK, Rudy DW, Lasseter KC et al. Effect of cyclooxygenase-2 inhibition on renal function in elderly persons receiving a low-salt diet. A randomized, controlled trial. Ann Intern Med 2000; 133: 1–9.
  28. Rossert J. Drug-induced acute interstitial nephritis. Kidney Int. 2001; 60: 804-817.
  29. Moledina DG and Perazella MA. Drug-induced acute interstitial nephritis. Clin J Am Soc Nephrol 2017; 12: 2046–2049.
  30. Moledina DG and Perazella MA. PPIs and kidney disease: from AIN to CKD. J Nephrol. 2016; 29:611–616.
  31. Praga M, Sevillano A, Auñón P, González E. Changes in the aetiology, clinical presentation and management of acute interstitial nephritis, an increasingly common cause of acute kidney injury. Nephrol Dial Transplant. 2015; 30: 1472–1479.
  32. Raghavan R and Shawar S. Mechanisms of drug-induced interstitial nephritis. Adv Chronic Kidney Dis. 2017;24(2):64-71.
  33. Praga M, Gonzàlez E. Acute interstitial nephritis. Kidney Int. 2010; 77: 956-61.
  34. Porile JL, Bakris GL, Garella S: Acute interstitial nephritis with glomerulopathy due to nonsteroidal anti-inflammatory agents: a review of its clinical spectrum and effects of steroid therapy. J Clin Pharmacol 1990; 30: 468–475.
  35. Alper AB Jr., Meleg-Smith S, Krane NK. Nephrotic syndrome and interstitial nephritis associated with celecoxib. Am J Kidney Dis 2002; 40: 1086–90.
  36. Radford MG Jr, Holley KE, Grande JP, Larson TS, Wagoner RD, Donadio JV, McCarthy JT. Reversible membranous nephropathy associated with the use of nonsteroidal anti-inflammatory drugs. JAMA. 1996; 276(6):466-469.
  37. Nawaz FA, Larsen CP, Troxell ML. Membranous nephropathy and nonsteroidal anti-inflammatory agents. Am J Kidney Dis 2013; 62: 1012–1017.
  38. Bakhriansyah M, Souverein PC, van den Hoogen Martijn WF, de Boer A, Klungel Olaf H. Risk of nephrotic syndrome for non-steroidal anti-inflammatory drug users. CJASN 2019; 14: 1355–1362.
  39. Chiu HY, Huang HL, Li CH, Chen HA, Yeh CL, Chiu SH, Lin WC, Cheng YP, Tsai TF, Ho SY. Increased risk of chronic kidney disease in rheumatoid arthritis associated with cardiovascular complications – a national population-based cohort study. PLoS One. 2015 Sep 25;10(9):e0136508.
  40. Zhan M, St.Peter WL, Doerfler RM, Woods CM, Blumenthal JB, Diamantidis CJ, Hsu CY, Lash JP, Lustigova E, Mahone EB, Ojo AO, Slaven A, Strauss L,Taliercio JJ, Winkelmayer WC, Xie D, Fink JC, and the Chronic Renal Insufficiency Cohort (CRIC) Study Investigators. Patterns of NSAIDs use and their association with other analgesic use in CKD. CJASN 2017; 12: 1778–1786.
  41. Fored M, Ejerblad E, Lindblad P, et al. Acetaminophen, aspirin, and chronic renal failure. N Engl J Med. 2001; 345(25):1801–1808.
  42. Kelkar M, Cleves M, Foster H, Hogan W, James L, Martin B. Acute and chronic acetominophen use and renal disease: a case-control study using pharmacy and medical claims. J Manag Care Pharm. 2012;18(3):234–246.
  43. Zhang MZ, Wang S, Wang  Y, Zhang  Y, Hao  CM, Harris  Renal medullary interstitial COX-2 (Cyclooxygenase-2) is essential in preventing salt-sensitive hypertension and maintaining renal inner medulla/papilla structural integrity. Hypertension. 2018; 72(5): 1172-1179.
  44. Whelton A. Nephrotoxicity of nonsteroidal anti-inflammatorydrugs: physiologic foundations and clinical implications. Am J Med 1999; 106(5B): 13S–24S.
  45. Rossat J, Maillard M, Nussberger J, Brunner HR, Burnier M.Renal effects of selective cyclooxygenase-2 inhibition in normotensive salt-depleted subjects. Clin Pharmacol Ther 1999; 66: 76–84.
  46. Swan SK, Rudy DW, Lasseter KC et al. Effect of cyclooxygenase-2 inhibition on renal function in elderly persons receiving a low-salt diet. A randomized, controlled trial. Ann Intern Med 2000; 6133: 1–9.
  47. Gertz BJ, Krupa D, Bolognese JA, Sperling RS, Reicin A. A comparison of adverse renovascular experiences among osteoartritis patients treated with rofecoxib and comparator non-selective non-steroidal anti-inflammatory agents. Curr Med Res Opin 2002; 18: 82–91.
  48. Whelton A, Fort JG, Puma JA, Normandin D, Bello AE, Verburg KM. Cyclooxygenase-2-specific inhibitors and cardiorenal function: a randomized, controlled trial of celecoxib and rofecoxib in older hypertensive osteoarthritis patients. Am J Therapeut 2001; 8: 85–95.
  49. Hay E, Derazon H, Bukish N, Katz L, Kruglyakov I, Armoni M. Fatal hyperkalemia related to combined therapy with a COX-2 inhibitor, ACE inhibitor and potassium rich diet. J Emerg Med 2002; 22: 349–52.

Droghe d’abuso e rene

Abstract

Presentiamo un caso di insufficienza renale acuta con necessità di Trattamento dialitico in un paziente tossicodipendente in terapia di mantenimento con Metadone.

Il caso ci consente di analizzare gli effetti renali delle principali droghe di abuso, sottolineando lo spostamento avvenuto dalle quattro “vecchie sorelle” (ovvero Marijuana, Cocaina, Eroina e Anfetamine) alle nuove droghe sintetiche (soprattutto Catinoni e Cannabinoidi sintetici) con i problemi di grande diffusione, facile ottenimento, mancata regolamentazione e difficile riconoscimento analitico che sollevano importanti interrogativi medici e legali. Dal punto di vista del Nefrologo è fondamentale alzare la guardia per fare emergere questo tipo di patologia ed estendere le indagini cercando comunque di riconoscere le sostanze potenzialmente in causa.

Parole Chiave: Danno renale acuto; Insufficienza renale acuta; Droghe d’abuso; Rabdomiolisi

Introduzione

Per definire i rapporti tra droghe di abuso e rene è  necessario innanzitutto caratterizzare e definire le proprietà delle sostanze di cui andiamo a trattare. Come vedremo per alcune di queste i confini tra farmaco e sostanza di abuso sono labili, definiti  talora soltanto dal setting di utilizzo della sostanza.

Cerchiamo allora per un primo inquadramento di utilizzare gli strumenti moderni di ricerca medica  che utilizziamo ogni volta che facciamo una ricerca bibliografica.

Se utilizziamo PubMed con la definizione di ingresso di “street drugs/recreational drugs” il vocabolario MESH ci restituirà “Illicit Drugs” e spiegherà che si tratta di “sostanze prodotte, ottenute  o vendute illegalmente”,  sottolineandone poi la frequente “grossolana  impurità fonte di tossicità inaspettate” [1].  Il termine è stato introdotto fin dal 1977, ma la voce è stata modificata recentemente  (2020) eliminando i riferimenti alle motivazioni che inducono all’ uso in precedenza riportate nella definizione, concentrandosi sulla illiceità di tali sostanze.  Il termine precisa inoltre che la natura illegale può scaturire anche dal fatto di essere farmaci forniti in assenza di prescrizione. Da questo punto di vista nella letteratura si può distinguere in effetti un utilizzo improprio (“misuse” di farmaci prescritti , ad esempio analgesici, in dosi non appropriate) da un abuso  (“abuse” cioè l’uso ai fini di ottenere un effetto psicotropo: euforia o alterato stato mentale o evitare la crisi di astinenza).

Il sito italiano dei Carabinieri, quindi di una capillare forza pubblica impegnata nella prevenzione e repressione del fenomeno, riporta la definizione WHO che definisce sostanze stupefacenti “sostanze di origine vegetale o sintetica che agendo sul sistema nervoso centrale provocano stati di dipendenza fisica e/o psichica” sottolineando quindi l’ effetto centrale ed i fenomeni di dipendenza e tolleranza [2]. A partire dall’ effetto sul SNC ne deriva la suddivisione in droghe deprimenti, stimolanti ed allucinogene (tabella 1).

OPPIACEI

STIMOLANTI DEPRESSIVI ALLUCINOGENI CANNABIS e derivati

Oppio

Cocaina

Barbiturici Mescalina Marijuana
Morfina Amfetamine Tranquillanti L.S.D. Hashish
Eroina Crack 2,5-Dimethoxy-4-methylamphetamine

(DOM)

Olio di hashish
Metadone Ecstasy o M.D.M.A.

Tabella 1 (modificata da http://www.carabinieri.it)

L’alcool etilico ha un ruolo di primo piano essendo una droga legale, socialmente accettata, con una diffusione amplissima ed una severa sequela di patologie principalmente a carico del SNC ed epatiche, ma anche cardiache e, con minore impatto e meno sottolineate, renali [3; 4].

 

Il caso clinico

Maschio di 37 anni seguito dal SERT in trattamento con Metadone.  A domicilio comparsa di febbre ed agitazione psicomotoria con possibile crisi comiziale che lo induce a presentarsi in Pronto Soccorso. Esegue TC cranica priva di reperti patologici. All’ EEG: discreti segni di sofferenza encefalica diffusa; assenza di grafoelementi irritativi tipici. Gli esami urgenti eseguiti evidenziano  glicemia 271 mg/dl, Urea 21 mg/dl, creatininemia 1,1 mg/dl; sodiemia 138 mEq/l, potassiemia  3,64 mEq/l;  bilirubina totale 0,52 mg/dl; AST (GOT)  22 U/l; ALT (GPT) 19 U/l; PCR 3,2 mg/l. Veniva inoltre eseguita una rachicentesi  (rivelatasi un poco indaginosa) che al esame chimico-fisico mostrava un liquor torbido, rosato;  glucosio 96 mg/dl, proteine 107 mg/dl, con 75/ul elementi nucleati per il 72% polinucleati e 28% mononucleati (insieme con la segnalazione di numerose emazie e possibili elementi figurati dal sangue per probabile contaminazione).  Il colturale era poi risultato negativo mentre la colorazione di Gram mostrava emazie (++) e leucociti (+). La Nested Multiplex PCR per batteri (Pneumococco, Meningococco, Streptococcus Agalactiae, Listeria, E.Coli, Haemofilus Influenzae), per virus (CMV, Enterovirus, Herpes Simplex 1 e 2, Human Herpesvirus 6, Human parechovirus, Varicella Zoster)  e Torula Neoformans era negativa.

Le sierologie per Borrelia e per HCV risultavano negative mentre del pattern per il Virus B della Epatite erano positivi soltanto gli anticorpi anti HBsAg ad alto titolo (858 mUI /ml), esito di verisimile vaccinazione.

Ricoverato in Reparto semiintensivo già il giorno seguente,  a diuresi conservata,  la creatininemia saliva rapidamente (5,45 mg/dl); Urea 65 mg/dl; AST (GOT) 133 U/l; ALT (GPT)  33 U/l; PCR 49,9 mg/l; Procalcitonina 0,81 ng/ml; CK totali 12615 U/l; Mioglobina 11414,5 ug/l. Il quadro era a questo punto suggestivo di una sepsi e diagnostico di rabdomiolisi associata inducendo ad iniziare una una CRRT isovolemica previo cateterismo venoso femorale. Un esame a fresco del sedimento urinario da parte del Nefrologo mostrava massiva cristalluria di urati con presenza di cellule tubulari molto danneggiate spesso raccolte a formare cilindri; l’esame chimico-fisico urinario mostrava marcata positività per  emoglobina in assenza di emazie.

Già in Pronto soccorso era stati eseguiti i dosaggi di Benzodiazepine urinarie (1264 ng/ml; coerenti con la terapia della crisi convulsiva), Metadone urinario (>1000 ng/ml; coerente con la terapia cronica in atto), Cannabinoidi urinari (>100 ng/ml; <50 negativo) mentre negative risultavano le ricerche urinarie di Oppiacei, Cocaina, Barbiturici e Anfetamine.

Il giorno seguente gli indici di miolisi apparivano in ulteriore incremento (CPK 75218 U/l; mioglobinemia 11414,5 ug/l; AST (GOT) 565 U/l) con quadro emodinamico stabile e diuresi attiva in terapia con diuretico.

In terza giornata proseguendo CRRT creatininemia 4,43 mg/dl; Urea 64 mg/dl; AST (GOT) 495 U/l; ALT (GPT) 127 U/l; CK Totali 49818 U/l; Mioglobinemia 6910 ug/l. PCR 25 mg/l. Hb 10,1 g/dl; GB 15000/ul.

In quinta giornata proseguendo terapia sostitutiva con HD intermittente veniva trasferito in Nefrologia  ed in 8^ giornata veniva sottoposto ad agobiopsia renale sx ecoguidata real time: la manovra era priva di complicanze.

Questa mostrava frustoli di parenchima renale comprendenti, nei vari livelli istologici esaminati, sino a 27 glomeruli con aspetti ischemici e congesti. Il quadro morfologico era dominato (Fig.1) da fenomeni di necrosi tubulare con aspetti rigenerativi, detriti cellulari endotubulari ed un intenso infiltrato tubulo/peritubulare linfo-monocitario ed eosinofilo in presenza di cilindri pigmentati (mioglobina).  Minima fibrosi interstiziale. I vasi arteriosi, specialmente quelli di piccolo calibro, presentano note di ispessimento parietale. L’esame tramite immunofluorescenza diretta (IFD) ha evidenziato alcuni aspetti aspecifici (deboli depositi capillari di IgA e focali deboli depositi capillari di C3 e IgM) ed è apparso negativo per C1q, C4, IgG e per le catene leggere (Kappa e Lambda). L’insieme dei reperti, anche in considerazione dei dati clinici, appare riferibile ad una necrosi tubulare acuta (esotossica) associata a mioglobinuria.

Seguiva una breve fase poliurica con miglioramento della funzione renale che consentiva la sospensione del trattamento dialitico e la rimozione del cvc femorale. Il decorso ulteriore era complicato da una broncopolmonite basale destra trattata la quale in 20^ giornata veniva dimesso con creatininemia 2,0 mg/dl. A 30 giorni dalla dimissione la creatininemia era 1,24 mg/dl e l’ esame urine era privo di alterazioni.

Il caso presentato è insieme classico di una frequente forma di tossicità renale in corso di abuso di sostanze psicotrope (NTA con cilindruria in corso di mioglobinuria) ma negative erano le ricerche delle droghe d’abuso più classiche coinvolte in questi quadri (Oppiacei, Cocaina, Anfetamine).

Cerchiamo prima di tutto di esaminare le sindromi renali associate all’abuso di droghe.

 

OPPIACEI:

Dalla incisione della capsula immatura del papavero da oppio (Papaver Somniferum), originario della Anatolia, si ottiene un lattice che si rapprende all’ aria formando una massa gommosa brunastra che può essere formata in pani o per ulteriore essicazione trasformata in polvere: è questo l’oppio grezzo il cui primo uso medico era stato il trattamento della dissenteria. L’ oppio grezzo può già essere fumato senza ulteriori trasformazioni e questo utilizzo si era diffuso principalmente in oriente nel XVIII° secolo; esso contiene circa una trentina di alcaloidi naturali, di cui il più potente è la morfina (estratta da Sertürner nel 1806). La sua azione è mediata dal legame a recettori specifici nel SNC (Recettori Oppioidi i cui normali ligandi sono i cosiddetti oppioidi endogeni: endorfine, encefaline e dinorfine) appartenenti a tre tipi diversi (m, il principale;  k e d). La morfina può essere sottoposta ad un processo chimico di acetilazione ottenendo la diacetil-morfina o Eroina che si caratterizza per la maggiore liposolubilità con più rapida penetrazione nel tessuto nervoso con intenso effetto psicotropo. Il Metadone, oppioide sintetico, è caratterizzato da efficacia per via orale analoga alla morfina e lunga durata di azione nella soppressione dei sintomi da astinenza; la crisi da astinenza di questo farmaco è a sua volta caratterizzata da sintomi più lievi ma di maggiore durata.  I farmaci morfinosimili inducono analgesia, sonnolenza, cambiamento del umore e obnubilazione; alcuni provocano euforia. La prima somministrazione di morfina può essere peraltro spiacevole associandosi a nausea e vomito. Sono caratterizzati da tolleranza e dipendenza fisica; la intossicazione acuta da coma, miosi pupillare e depressione respiratoria.

L’ Eroina, principale oppiaceo di abuso, non ha applicazioni terapeutiche; per la sua assunzione può essere sniffata, assunta per os, fumata, iniettata in vena da sola o associata alla cocaina, iniettata sottocute (skinpopping). Data la sua linea di produzione completamente illegale si caratterizza per la impurità sia chimica per la presenza di additivi ed adulteranti (mannitolo, saccarosio, glucosio, lattosio, caffeina etc.) che microbiologica con possibilità di trasmettere nel uso parenterale Epatite B e C, HIV, endocarditi batteriche e fungine, infezioni cutanee e sepsi da piogeni.

Le complicanze renali del uso di oppiacei sono numerose (tabella 2) e comprendono la Rabdomiolisi con insufficienza renale acuta in corso di mioglobinuria; questa è in genere determinata dalla perdita di coscienza con lunga permanenza a terra con ischemia dei muscoli, vasi muscolari e nervi sottoposti a pressione diretta.

Quadri renali associati con l’abuso parenterale di Eroina:

1)  Glomerulosclerosi Focale e Segmentaria (FSGS) 5) Nefrite interstiziale (anche granulomatosa)
2)  Glomerulonefrite Membrano Proliferativa (MPGN) 6) Amiloidosi
3)  Glomerulonefrite a lesioni minime 7) Vasculiti
4)  Glomerulonefrite a depositi mesangiali di IgA 8) IRA mioglobinurica
Tabella 2: Quadri renali segnalati in letteratura come associati al abuso parenterale di eroina

Tuttavia i quadri renali segnalati sono tanti e diversi e tra essi è interessante rivalutare la storia della glomerulonefrite associata (Heroin Associated Nephropathy o HAN), una forma  ampiamente proteinurica con sindrome nefrosica descritta per la prima volta nel 1970 [5]. Nell’abstract erano riportati tre casi (2 eroinomani ed un cocainomane) con apparenti lesioni minime; successivamente ad una seconda biopsia uno sviluppa una glomerulonefrite membranosa.

Le segnalazioni  successive mostrano tuttavia quadri di volta in volta diversi: GNMP con depositi di IgM e complemento, GN con aspetti di GN  acuta, GSFS, glomerulosclerosi  globali.

Dal punto di vista clinico quando strettamente definita si caratterizzava per una massiva proteinuria, più spesso con S. Nefrosica, che compariva  dopo protratto uso di eroina (anni). Si trattava di una forma resistente alla terapia immunosoppressiva, spesso con presenza all’ esordio di IRC e rapida evoluzione verso l’ uremia in 6-48 mesi.

In realtà nel tempo la descrizione della HAN deviava decisamente tra le due sponde del Atlantico.

Negli Stati Uniti viene segnalata con grande prevalenza in questo quadro una  GSFS; si tratta soprattutto di pazienti di razza nera [6]. Il quadro appare  privo di aspetti proliferativi, di solito senza depositi immuni ma talora con IgM e C3 focale e segmentario. Un ulteriore confondente viene ad essere in seguito la positività HIV.

In Europa viceversa a prevalere è una GNMP [7]; si tratta di pazienti di razza bianca, caratterizzati da positività per HCV, talora HBsAg ed HIV.

Nel tempo si è assistito alla scomparsa quasi completa alla fine degli anni ’80 dei casi di HAN. A ciò avrebbero contribuito l’ epidemia di HIV con l’ incremento di casi di HIVAN, le misure igieniche correlate all’ HIV stessa, la migliore purezza della eroina, il riconoscimento che le forme di GNMP in pazienti HCV + erano evidentemente correlate all’ infezione (crioglobulinemiche o meno che fossero) [8].

Dagli studi sperimentali effettuati nel tempo emerge che le cellule mesangiali  non sono in grado di metabolizzare l’ eroina [9]; tuttavia la morfina riduce l’ attività delle 72 kDa metalloproteinasi riducendo la degradazione della matrice mesangiale, stimola la proliferazione delle cellule mesangiali e la sintesi di collagene [10]. Riduce l’ efficacia della fagocitosi delle macromolecole ed aumenta la deposizione di IC nel mesangio [11].

Un’altra rara complicanza renale del abuso parenterale di oppiacei  severamente proteinurica e di solito con IRC evidente già all’ esordio è la Amiloidosi; si tratta di una Amiloidosi AA associata ad infezioni croniche,  soprattutto cutanee negli  “Skin Poppers”. La prognosi è pessima sia dal punto di vista del rene che per quanto riguarda la sopravvivenza complessiva [12] con il 65% dei pazienti in dialisi entro un mese dalla diagnosi ed una mortalità per sepsi vicina al 50% con una mediana di sopravvivenza di 19 mesi.

Un nuovo problema emergente nasce ora dalla prescrizione medica di farmaci psicotropi , benzodiazepine ma anche  oppiacei per il trattamento del dolore,  in pazienti anziani  che tende a trasformarsi successivamente in abuso [13]. Si tratta più spesso di donne anziane, che vivono sole con molteplici problemi di salute e spesso trattate con polifarmacia, talora con precedenti psichiatrici.

La riduzione del filtrato glomerulare in questo quadro può essere un fattore aggravante se si confronta l’uso dei FANS vs l’uso degli oppiacei, associato con un aumento delle ospedalizzazioni e della mortalità complessiva [14].

 

COCAINA:

Estratta dalle foglie di un arbusto sudamericano, più esattamente Boliviano,  (Erytroxylon Coca) è attualmente la droga più usata negli USA.

Si calcola che 23 milioni di americani l’abbiano provata almeno una volta; 3,6 milioni sarebbero i consumatori abituali. Uno studio sulla popolazione universitaria ha mostrato un 6% di users [15].

Possiamo distinguere due forme di Cocaina: la Cocaina Idrocloruro, solubile in acqua e instabile al calore, somministrabile per via orale, endovenosa e per inalazione e la Cocaina alcaloide (Freebase, Crack),  ottenuta per alcalinizzazione del sale,  non idrosolubile e stabile al calore che deve essere fumata. La prima inizia il suo effetto in 1-5 minuti e raggiunge il picco in 20-60 minuti mentre il Crack inizia il suo effetto in secondi raggiungendo il picco in un minuto.

La Cocaina agisce con effetto simpaticomimetico per blocco del reuptake di Dopamina per combinazione col recettore deputato al riassorbimento per cui il mediatore resta nello spazio sinaptico più a lungo prolungando così l’effetto dopaminergico sulla cellula postsinaptica [15].

L’attivazione simpatica si traduce in un effetto stimolante ed euforizzante.

Ne possono conseguire effetti collaterali importanti a livello sistemico (tachicardia, ipertensione arteriosa, tachipnea, ipertermia, midriasi, agitazione, delirio, reazioni psicotiche) Cardiaco (Scompenso ventricolare sx, Endocardite, Miocardite, dissecazione aortica, Infarto, aritmie, arresto cardiaco) Neurologico (agitazione, iperattività, TIA, Ictus, convulsioni)  Respiratorio (edema polmonare acuto, ipertensione polmonare, polmonite interstiziale, emorragie, infarti) del Tratto Gastroenterico (ischemia mesenterica, epatite, necrosi epatica) Vascolari (vasculiti, trombosi, tromboflebiti) e, non ultima, la Rabdomiolisi [16].

A livello Renale gli effetti della Cocaina sono mediati dal rilascio di catecolamine e dal incremento dello stress ossidativo che aumentano il fabbisogno metabolico mentre la contemporanea attivazione del RAS e del sistema delle endoteline e la inibizione della vasodilatazione indotta da Ossido Nitrico induce un vasospasmo e conseguente ischemia; su questo si sovrappone ed integra un effetto procoagulante e di aggregazione piastrinica attivati attraverso incremento del trombossano  e riduzione della antitrombina III.

La cocaina è in effetti un potente vasocostrittore che agisce attraverso la inibizione centrale dell’ uptake sinaptico di catecolamine, il blocco del re-uptake di noradrenalina nelle terminazioni periferiche ed il rilascio di catecolamine dalla midollare surrenale.

Non sorprende allora che nel quadro della tossicità acuta domini essenzialmente la insufficienza renale acuta in cui rabdomiolisi, ipertensione maligna e microangiopatia trombotica fanno la parte del leone anche se talora può esserci anche una più rara nefrite interstiziale acuta [17] a sostenere il quadro.

La possibilità del raro infarto renale deve essere sempre tenuta presente in questo setting,  annunciato da dolore lombare e/o al fianco, macroematuria  incremento della creatininemia e delle LDH [18; 19].

La rabdomiolisi da cocaina  presenta eziologia multifattoriale; il sospetto deve sorgere principalmente in presenza di ipertermia, convulsioni, agitazione o ottundimento del sensorio. La diagnosi si basa sul incremento degli enzimi muscolari (CPK, LDH) nel siero [19]; un’altra chiave diagnostica è il rilievo di positività degli stick urinari per l’emoglobina in assenza di globuli rossi al esame microscopico delle urine, che può corrispondere alla presenza di mioglobina.

Nella Insufficienza Renale Cronica l’uso di cocaina si associa peraltro a scarso controllo pressorio, progressione più rapida delle nefropatie con IRC, aumentata morbilità e mortalità, aumentata incidenza di infezioni nei dializzati [15]. E’ descritto un aumento della sclerosi/fibrosi a livello glomerulare che troverebbe giustificazione nella inibizione della sintesi della metalloproteinasi-2 con ridotta degradazione della matrice mesangiale, incremento dello stress ossidativo per riduzione del contenuto in glutatione nelle cellule renali in coltura e la attivazione del RAS con stimolo della produzione di TGF-b [20].

Infine la cocaina sembra accelerare l’aterogenesi sia a livello renale che a livello sistemico nell’animale da esperimento e nel uomo [15-17; 21-23].

 

CANNABIS:

Al  genere Cannabis appartengono piante di specie diverse (Cannabis Indica, Cannabis Sativa) (Figura 1)  che erano coltivate in passato per ottenerne fibre tessili (Canapa).

FIGURA 1 Coltivazione di Cannabis
Figura1: Coltivazione di Cannabis

Esistono numerose cultivar a diverso contenuto di TetraHidroCannabinolo (THC), che insieme al Cannabidiolo costituiscono i più abbondanti fitocannabinoidi;  dalla resina della pianta si ricava l’ Hashish, più potente, mentre dalle infiorescenze femminili si ottiene la Marijuana. Vengono più spesso fumate con completa combustione oppure riscaldate e vaporizzate, anche attraverso sigarette elettroniche, ed assorbite per via respiratoria ma possono anche essere assunte per ingestione con effetto più lento ma di maggior durata. Gli effetti dei fitocannabinoidi sono mediati da due diversi recettori: CB1 e CB2. Il THC, principale componente psicoattivo della cannabis,  è parziale agonista di entrambi [24]. Il rene presenta recettori CB1 e CB2 i cui effetti fisiologici sono poco conosciuti; CB1 è stato identificato nell’ uomo nelle cellule dei tubuli convoluto prossimale, distale e collettori mentre CB2 è stato identificato in coltura sulle cellule mesangiali, tubulari prossimali ed in alcuni casi sui podociti in coltura [25]. I cannabinoidi avrebbero inoltre un effetto vasodilatatore sulla vascolatura renale non mediato da un meccanismo recettoriale.

Da oltre 10 anni in Italia i medici possono prescrivere preparazioni magistrali contenenti sostanze attive vegetali a base di cannabis per uso medico da prepararsi in strutture preposte; dal 2007 è possibile l’importazione di diversi farmaci registrati altrove contenenti fitocannabinoidi. Dal 2014 lo Stabilimento Chimico Farmaceutico Militare di Firenze produce una canapa indicata come FM2.   Non esistendo indicazioni autorizzate la prescrizione avviene sotto responsabilità del medico che deve raccogliere il consenso informato e indicare sulla ricetta le esigenze particolari che ne giustificano l’utilizzo. Come previsto dal Decreto Ministeriale del 9 novembre 2015 , la prescrizione di cannabis “a uso medico” in Italia è limitata al suo impegno nel dolore cronico principalmente neurogeno e quello associato a sclerosi multipla oltre che a lesioni del midollo spinale; alla nausea e vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per HIV; come stimolante dell’appetito nella cachessia, anoressia, perdita dell’appetito in pazienti oncologici o affetti da AIDS e nell’anoressia nervosa; effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie abituali; riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella sindrome di Gilles de la Tourette [26].  Ne è stato anche preconizzato l’ utilizzo per trattare alcuni sintomi presenti nella insufficienza renale cronica terminale e per ridurre l’ utilizzo di oppioidi in questo quadro [27]. Quanto alla possibile patologia renale acuta o cronica nei consumatori abituali i dati sono al momento attuale non indicativi [28] se si escludono le forme in genere pre-renali secondarie alla peraltro rara “Cannabinoid Hyperemesis Syndrome” [29]. Perfino nel problematico campo del trapianto di rene né l’uso nel ricevente [30] né nel donatore vivente [31] pare avere effetti sulla sopravvivenza del paziente, del donatore o del rene trapiantato.

 

ALLUCINOGENI: LSD E PSILOBICINA:

Se la Dietilamide del Acido Lisergico  (LSD), potente serotoninergico, è attualmente studiata per le sue potenzialità di utilizzo come farmaco psichiatrico [32] tuttavia l’interesse nefrologico appare  trascurabile salvo una segnalazione di rabdomiolisi associata più al uso della camicia di forza come contenimento di uno stato di agitazione dissociativa che alla sostanza  in sé [33].

Più interessanti per il nefrologo appaiono i funghi del genere Psilocybes (Magic Mushrooms) di cui i più noti interessano le americhe essendo famoso lo Psilocybes Cubensis  un fungo sudamericano già conosciuto dagli Aztechi. Sono segnalati infatti casi di rabdomiolisi associata con l’assunzione [34, 35]. Bisogna sapere che in Italia esiste una varietà della specie, spontanea (Psilocybe Semilanceata ) o funghetto comune che ha le stesse proprietà.  Altri prodotti d’ abuso sono i solventi che, sniffati in colle, vernici etc. danno sintomi simili alla intossicazione alcoolica con anche brevi fenomeni allucinatorii. In particolare il Toluene è stato associato a numerose manifestazioni renali  ( principalmente interstiziali dalla Sindrome di Fanconi alla acidosi tubulare distale ma anche forme glomerulari proteinuriche e fino alla sindrome di Goodpasture) [36].

 

ANFETAMINE E ECSTASY:

L’anfetamina (MDA: 3,4 Metilen Dioxy Anfetamina) è un farmaco con proprietà anoressizzanti e psicostimolanti. Agonista indiretto del sistema catecolaminergico, agisce soprattutto a livello centrale inibendo la ricaptazione di noradrenalina e dopamina dalla fessura sinaptica. La sua azione si traduce quindi in una maggiore permanenza di neurotrasmettitore a livello sinaptico.

Molto simile (differisce dalla MDA soltanto per la presenza di un metile sul gruppo amminico) la MDMA  (3,4-metilenediossimetamfetamina),  più comunemente nota come Ecstasy è una metanfetamina dagli spiccati effetti eccitanti ed entactogeni (aumenta la socialità e la emotività), anche se non propriamente allucinogeni [37].

Sono farmaci di sintesi, assunti per via orale, spesso in “rave party” con balli di gruppo protratti; l’iperattività fisica in ambienti caldi può condurre ad ipertermia. Inoltre nell’animale da esperimento l’MDMA può dare febbre. Effetti indesiderati lievi sono anoressia, nausea, vomito, cefalea, trisma, e crampi. Più severi convulsioni, iperpiressia, disfunzione epatica, rabdomiolisi, coagulazione intravascolare disseminata ed IRA.

 

NUOVE DROGHE SINTETICHE: CATINONI E CANNABINOIDI:  

Il qat (Catha edulis), è una  pianta originaria dell’Etiopia diffusa nella penisola Arabica. La sua coltivazione e l’ uso sono molto presenti in Yemen.

Le foglie contengono un alcaloide (Catinone) dall’azione stimolante, che causa stati di eccitazione e di euforia, e provoca dipendenza. La sostanza, simil-anfetaminica, ha spiccato effetto psicotropo, euforizzante e spegne fame e fatica; ha anche un importante effetto analgesico.

I Catinoni sintetici [38] sono sostanze prodotte chimicamente che riproducono questi effetti; ne esistono un numero molto grande (Methcatinone, Methedrone, Methylone etc.) ed anzi per essere più chiari ne vengono sintetizzati continuamente di nuovi. Non sono conosciuti e quindi non sono formalmente illegali; vengono commercializzati per uso animale e comunque non umano, prodotti il più spesso in Asia e facilmente reperibili in Internet  indicati con nomi di fantasia o con nomi generici (Salt Baths). Il fatto di essere sostanze sempre nuove e diverse fa si che non siano comunemente dosate nei liquidi biologici.

La tossicità è per alcuni versi simile a quella delle anfetamine (tachicardia, ipertensione, agitazione psicomotoria, aggressività etc.) mentre a livello renale si possono avere incrementi della creatininemia con quadri di insufficienza renale acuta, iposodiemia, iperpotassiemia, iperuricemia; si può avere un danno muscoloscheletrico fino alla rabdomiolisi.

Allo stesso modo i cannabinoidi sintetici [39] sono anche essi prodotti chimicamente ed interagiscono con i recettori dei cannabinoidi con potenza simile o anche  di molto superiore al prodotto naturale ed hanno strutture diverse tali da non essere rilevati dagli abituali dosaggi. Sono indicati con nomi generici (legal Highs; Erbal Highgs; spices), talora con sigle (K2, K3) o nomi di fantasia e possono essere facilmente ottenuti in Internet, indicati il più spesso come misture di vegetali cui sono stati addizionati “non per uso umano” , che possono essere fumati ma anche come compresse, capsule o polveri ingeribili oppure liquidi da utilizzare nelle “sigarette elettroniche”  [40]. Se ne conoscono oltre 200 e se ne sintetizzano continuamente di nuovi; la loro diffusione è stata ampia soprattutto tra i giovani. Gli effetti sono spesso “individuali” dipendendo da dosi e vie di somministrazione. Comprendono sedazione, atassia, midriasi, tachicardia, euforia, agitazione psicomotoria ma anche allucinazioni, deliri, convulsioni, rabdomiolisi, depressione respiratoria, insufficienza renale acuta [41]. Ancora una volta i comuni esami tossicologici (compreso il dosaggio del THC) risultano negativi.

 

LA KETAMINA:

La Ketamina è un anestetico dissociativo che induce depressione del sistema talamo-corticale e attivazione del sistema limbico; la sua indicazione è principalmente per piccoli interventi  in cui induce una ridotta inibizione respiratoria con anche il mantenimento di riflessi protettivi delle vie aeree (specie uso pediatrico e veterinario).  L’uso è limitato dalla induzione nella fase di risveglio di uno stato sognante vivace (piacevole o spiacevole) fino a veri e propri stati allucinatorii. Ha effetti antidepressivi e sono in corso sperimentazioni per l’utilizzo in psichiatria e del tutto recentemente un suo enantiomero è stato infine approvato dalla FDA per l’ utilizzo nelle depressioni resistenti alle usuali terapie [42].

Con dosi inferiori a quelle per uso anestetico somministrate per via endovenosa, intramuscolare, attraverso la mucosa nasale o aggiunte al fumo può essere utilizzata come droga d’abuso per esaltare l’esperienza sessuale in rave parties e per ottenere effetti di estraniazione (K-hole) con sensazione di “uscita dal corpo” [43]. Gli effetti acuti della Ketamina includono tachicardia, ipertensione, aumento  della frequenza o depressione respiratoria, aumento delle secrezioni bronchiali, nausea e vomito. Può associarsi a rabdomiolisi inducendo ipertono muscolare e agitazione psicomotoria [44].  Nell’uso cronico presenta in particolare una tossicità gastroenterica probabilmente diretta  che si esprime con dolore epigastrico, dilatazione delle vie biliari e colestasi. Per il Nefrologo sono però soprattutto interessanti  i danni a carico del tratto urinario causati dal abuso cronico. Il primo report di una sindrome urologica risale al 2007 [45]; da allora numerosi sono i report in letteratura. I sintomi riportati comprendono disuria, pollchiuria, urgenza, incontinenza e macroematuria. La vescica è l’ organo più spesso coinvolto e la cistoscopia può evidenziare eritema, edema ed ulcerazioni mentre le biopsie possono mostrare infiltrati eosinofili ed infiltrazione di mastcellen. La radiologia può dimostrare una vescica di volume ridotto con parete ispessita con l’ infiammazione che si estende a livello perivescicale.A livello renale vi può essere evidenza di idronefrosi e insufficienza renale. Anche in questo caso prevale l’ ipotesi di una tossicità diretta del farmaco e/o dei metaboliti. Il tempo necessario sarebbe di 1-4 anni.

 

Tornando al caso clinico

Nel tentativo di chiarire il più possibile il quadro del nostro paziente abbiamo esteso i dosaggi alle droghe non comunemente ricercate.

Abbiamo inviato pertanto un campione urinario raccolto al inizio della nostra storia ad un laboratorio specializzato per la ricerca di Catinoni Sintetici; questa risultava negativa; il laboratorio però precisava nel suo referto che le analisi eseguite non potevano essere considerate esaustive per tutti i catinoni continuamente immessi sul mercato clandestino. Inoltre segnalava che nel contesto delle analisi eseguite era emersa invece la presenza di Ketamina e del suo metabolita Norketamina.

 

Conclusioni

Il caso presentato era paradigmatico di come sia mutato il quadro del abuso di sostanze a scopo voluttuario negli ultimi 20 anni; non più solo le sostanze note ben classificate e sottoposte a controlli che possiamo dosare facilmente nei nostri presidi  ma una pletora di nuove sostanze che sfuggono ai controlli e che non risultano nemmeno formalmente illegali. Il problema che ne scaturisce è enorme in quanto si continuano a dosare le quattro “vecchie sorelle”  ovvero Marijuana, Cocaina, Eroina e Anfetamine mancando così di poter rivelare le droghe di abuso più diffuse attualmente.

Se pensiamo soltanto  ai test di controllo obbligatori per molte professioni ci rendiamo conto di quanto sia pericolosa questa condizione di “invisibilità” delle droghe sintetiche. Oltretutto le droghe sintetiche possono rappresentare porte di ingresso a sindromi psichiatriche severe.

Naturalmente gli “abuser” sono il più delle volte consumatori di molteplici sostanze ed anche per questo in presenza di patologie suggestive non ci si deve fermare alle sostanze più “classiche”.

Dal punto di vista più strettamente nefrologico l’ invito deve essere a intensificare il più possibile le ricerche nei casi sospetti di nefrotossicità da sostanze d’abuso in quanto questi pazienti spesso sono esposti a sostanze diverse e molteplici sono i danni possibili correlati ad esse.

 

Aspetti di danno tubulare correlati con mioglobinuria
Figura 2: Aspetti di danno tubulare correlati con mioglobinuria. 1) cilindro ialino endotubulare con detriti cellulari ed assottigliamento di parete in presenza di aspetti infiammatori acuti tubulari e peritubulari. EE 20X. 2) infiltrato linfo-monocitario e granulocitario anche eosinofilo peritubulare con aggressione della parete del tubulo. PAS 40X. 3) cilindri granulari eosinofili (mioglobina) EE 40X. 4) danno tubulare con aree di rarefazione ed assottigliamento epiteliale ed altre di rigenerazione. PAS 40X

 

Bibliografia

  1. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/mesh/?term=street+drugs%2Frecreational+drugs.
  2. http://www.carabinieri.it/cittadino/consigli/tematici/questioni-di-vita/tossicodipendenza-da-sostanze-stupefacenti/le-principali-droghe.
  3. De Marchi S, Cecchin E., Basile A., Bertotti A., Nardini R., Bartoli E.: Renal tubular dysfunction in chronic alcohol abuse-effects of abstinence. N Engl J Med 329, 1927-34, 1993.
  4. Varga ZV, Matyas C., Paloczi J., Pacher P.: Alcohol Misuse and Kidney Injury: Epidemiological Evidence and Potential Mechanisms. Alcohol Res 38 (2), 283-88, 2017.
  5. Mc Ginn JT et Al: Nephrotic syndrome in heroin and cocain addicts (Abs.). Clin Res 18: 699A, 1970.
  6. Rao TKS, Nicastri, AD, Friedman EA : Natural History of Heroin-Associated Nephropathy. N Engl J Med: 290:19-23, 1974.
  7. Do Sameiro Faria M, Sampaio S, Faria V and Carvalho E: Nephropathy associated with heroin abuse in Caucasian patients. Nephrol Dial Transplant 18: 2308–2313, 2003.
  8. Friedman E, Tao TK: Disappearance of uremia due to heroin-associated nephropathy. Am J Kidney Dis. 25(5):689-93, 1995.
  9. Singhal PC, Gibbons N, Abramovici M: Long term effects of morphine on mesangial cell proliferation and matrix synthesis. Kidney International, Vol. 41, 1560-1570, 1992.
  10. Sagar S, Sorbi D, Arbeit LA, Singhal PC: Morphine modulates 72-kDa matrix metalloproteinase. Am J Physiol.267(4 Pt 2):F654-9, 1994.
  11. Patel J, Manjappa N, Bhat R, Mehrotra P, Bhaskaran M, Singhal PC: Role of oxidative stress and heme oxygenase activity in morphine-induced glomerular epithelial cell growth. Am J Physiol Renal Physiol. 285(5):F861-9, 2003.
  12. Connolly JO, Gillmore JD, Lachmann HJ, Davenport A, Hawkins PN, Woolfson RG: Renal amyloidosis in intravenous drug users. QJM. Nov;99(11):737-42, 2006.
  13. Simoni-Wastila L, Yang HK: Psychoactive drug abuse in older adults. Am J Geriatr Pharmacother. 4(4):380-94. 2006.
  14. Novick TK, Surapaneni A, Shin JI, Alexander GC, Inker LA, Wright EA, Chang AR, Grams ME: Associations of Opioid Prescriptions with Death and Hospitalization across the Spectrum of Estimated GFR. Clin J Am Soc Nephrol. 14(11):1581-1589, 2019.
  15. Nzerue CM, Hewan-Lowe K, and  Riley LJ, Jr: Cocaine and the Kidney: A Synthesis of Pathophysiologic  and Clinical Perspectives. American Journal of Kidney Diseases, Vol 35, No 5 (May): pp 783-795, 2000.
  16. Zimmerman JL: Cocaine Intoxication. Crit Care Clin 28: 517-526, 2012.
  17. Goel N, James M. Pullman JM and Coco M: Cocaine and kidney injury: a kaleidoscope of pathology. Clin Kidney J  7: 513–517, 2014.
  18. Furaz K, Bernis Carro C, Cirugeda García A, Pérez de José A, and Sánchez Tomero JA: Renal infarction and acute renal failure due to cocaine use. Nefrología; 28 (3) 347-349, 2008.
  19. Mudoni A, Caccetta F, Caroppo M, Musio F, Accogli A, Zacheo MD, Burzo MD, Nuzzo V: Insufficienza renale acuta e rabdomiolisi dopo overdose di cocaina: caso clinico e review della letteratura.  G Ital Nefrol Mar;35(2). 2018.
  20. Jaffe JA and Kimmel PL: Chronic Nephropathies of Cocaine and Heroin Abuse: A Critical Review. Clin J Am Soc Nephrol 1: 655–667, 2006.
  21. Di Paolo N, Fineschi V, Di Paolo M, Wetly CV, Garosi G, Del Vecchio MT, Bianciardi G: Kidney vascular damage and cocaine. Clin Nephrol. 47(5):298-303, 1997.
  22. Fogo A, Superdock KR, Atkinson JB: Severe arteriosclerosis in the kidney of a cocaine addict. Am J Kidney Dis. 20(5):513-5, 1992.
  23. Van der Woude FJ, Waldherr R: Severe renal arterio-arteriolosclerosis after cocaine use. Nephrol Dial Transplant. 14(2):434-5, 1999.
  24. Rein JL: The nephrologist’s guide to cannabis and cannabinoids. Curr Opin Nephrol Hypertens, 29:248–257, 2020.
  25. Park F., Potukuchi P.K., Moradi ,and Kovesdy C.P.: Cannabinoids and the kidney: effects in health and disease. Am J Physiol Renal Physiol  313: F1124–F1132, 2017.
  26. Decreto del Ministero della Salute 9 novembre 2015: Funzioni di Organismo statale per la cannabis previsto dagli articoli 23 e 28 della convenzione unica sugli stupefacenti del 1961, come modificata nel 1972. (GU Serie Generale n.279 del 30-11-2015).
  27. Ho C., Martinusen D., and Lo C.: A Review of Cannabis in Chronic Kidney Disease Symptom Management. Canadian Journal of Kidney Health and Disease Volume 6: 1–14, 2019.
  28. Park F.,Potukuchi P.K., Moradi H., and Kovesdy C.P.: Cannabinoids and the kidney: effects in health and disease. Am J Physiol Renal Physiol 313: F1124–F1132, 2017.
  29. Galli J.A., Andari Sawaya R., and Friedenberg F.K.: Cannabinoid Hyperemesis Syndrome. Curr Drug Abuse Rev. December ; 4(4): 241–249. 2011.
  30. Greenan G.,  Ahmad S.B., Anders M.G.,Leeser A., Bromberg J.S., Niederhaus S.V.: Recreational marijuana use is not associated with worse outcomes after renal transplantation. Clinical Transplantation 30: 1340-46, 2016.
  31. Ruckle D., Keheila M., West B.,Baron P., Villicana R., Mattison B.,Thomas A., Thomas J., De Vera M., Kore A., Wai P.  and Baldwin D.D.: Should donors who have used marijuana be considered candidates for living kidney donation?  Clinical Kidney Journal, vol. 12, no. 3, 437–442. 2019.
  32. Liechti M.E.: Modern Clinical Research on LSD. Neuropsychopharmacology 42, 2114–2127, 2017.
  33. Mercieca J., Brown E.A.: Acute renal failòure due to rhabdomyolisis associated with the use of a straitjacket in lysergide intoxication. British Medical Journal 288: 1949-50, 1984.
  34. Bickel M, Ditting T, Watz H, Roesler A, Weidauer S, Jacobi V, Gueller S, Betz C, Fichtlscherer S, Stein J. Severe rhabdomyolysis, acute renal failure and posterior encephalopathy after ‘magic mushroom’ abuse. Eur J Emerg Med. Dec;12(6):306-8, 2005.
  35. Austin E, Myronc HS, Summerbelld RK, Mackenzie CA: Acute renal injury cause by confirmed Psilocybe cubensis mushroom ingestion. Medical Mycology Case Reports 23 55–57, 2019.
  36. Tang HL, Chu KH, Cheuk A, Tsang WK, Chan HW, Tong KL. Renal tubular acidosis and severe hypophosphataemia due to toluene inhalation. Hong Kong Med J. Feb;11(1):50-3, 2005.
  37. Christophersen AS. Amphetamine designer drugs – an overview and epidemiology. Toxicol Lett. Mar 15;112-113:127-31, 2000.
  38. Karila L, Megarbane B, Cottencin O and Lejoyeux M: Synthetic Cathinones: A New Public Health Problem. Current Neuropharmacology, 13, 12-20, 2015.
  39. Ford BM,Tai S, Fantegrossi WE and Prather PL: Synthetic Pot: Not Your Grandfather’s Marijuana. Trends Pharmacol Sci. March ; 38(3): 257–276, 2017.
  40. Karila L, Benyamina A, Blecha L, Cottencin O and Billieux J: The synthetic Cannabinoids Phenomenon. Current Pharmaceutical Design 22: 6420-6425, 2016.
  41. Wang GS, Hoyte C: Novel drugs of abuse. Pediatrics in Review 40(2): 71-78, 2019.
  42. Trujillo KA, Iniguez SD: Ketamine beyond anesthesia: Antidepressant effects and abuse potential. Behav Brain Res September 15; 394: 112841 2020.
  43. Bokor G, Anderson PD: Ketamine: An Update on Its Abuse. Journal of Pharmacy Practice Dec;27(6):582-6, 2014.
  44. Tsai SF, Tsai JL and Chen CH: A patient with severe Rhabdomyolysis and high levels of creatinine kinase had renal functions fully recovered after haemodialysis: a case report. Journal of International Medical Research  Dec 25:300060519888105, 2019.
  45. Shahani R, Streutker C, Dickson B, Stewart RJ: Ketamine-associated ulcerative Cystitis: a new clinical entity. Urology 69(5): 810-12, 2007.

Tossici ambientali e tossicità renale diretta da farmaci: erbe e piante

Abstract

La medicina tradizionale rappresenta un metodo di cura assai diffuso nel mondo. Nonostante il riscontro da parte dell’WHO di una progressiva diffusione degli organismi nazionali deputati al controllo della produzione e distribuzione dei fitoterapici, il rischio di loro effetti collaterali tossici risulta elevato anche se la reale incidenza non è nota. Questi rischi conseguono in gran parte all’autoprescrizione sostenuta dal presupposto che ciò che è naturale non è pericoloso per la salute. Il fatturato dell’industria fitoterapica è in progressivo aumento favorito dalla facilità con cui i prodotti possono essere acquistati senza ricetta medica nelle farmacie di alcuni paesi oppure online.

In particolare, le erbe cinesi possono essere nefrotossiche e i clinici dovrebbero considerare la possibilità di un loro ruolo in alcuni casi di AKI o CKD a genesi misconosciuta. Inoltre, nella raccolta dell’anamnesi farmacologica dei pazienti affetti da CKD o trapiantati di rene è necessario escludere l’ assunzione di alcuni fitoterapici di uso comune che possono risultare controindicati per possibili interazioni con farmaci della medicina convenzionale.

Parole chiave : medicina tradizionale, fitoterapia, erbe cinesi, Acido Aristolochico, nefrotossicità.

Introduzione

In base ai dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) la Medicina Tradizionale (MT) e la Medicina Complementare (MC) rappresentano oggi il principale trattamento medico essendo utilizzate dall’88 % della popolazione mondiale, soprattutto nei paesi in via di sviluppo [1].

La WHO riconosce 9 tipi di MT e MC: l’agopuntura, la medicina ayurvedica, la chiropratica, l’omeopatia, la naturopatia, la medicina a base di erbe, l’osteopatia, la medicina tradizionale cinese e la medicina unani.

Nel report della WHO, oltre alla MT e MC, viene introdotto il concetto di Medicina Integrativa (MI) che ha lo scopo di fondere le conoscenze e la pratica della MT e MC con la medicina convenzionale. Dal 1999 al 2018 in gran parte dei 194 Stati Membri mondiali, inclusi in 6 Regioni (Regione Africana, Americana, Mediterranea, Europea , Sud Est Asiatico e Pacifico dell’Ovest) , si è riscontrata una progressiva introduzione sia di una politica specifica che di commissioni di esperti dedicati al controllo e alla sicurezza della MT e della MC.

Come detto, la fitoterapia è uno dei 9 tipi di MT. Il termine fitoterapia deriva dal greco phyton (pianta), therapeia (cura). L’utilizzo delle piante a scopo curativo risale a migliaia di anni or sono. Ad esempio la Serenoa Repens (saw palmetto), ancora disponibile in commercio, veniva utilizzata dagli egiziani per la cura dei disturbi urinari conseguenti all’ipertrofia prostatica già nel XV secolo A.C. [2].

Il fatturato annuo dell’industria fitoterapica è in continuo aumento nel mondo. Nel 2012 negli USA, solo per i prodotti a base di erbe cinesi (EC), è stato stimato essere pari a 83.1 bilioni di dollari, un incremento del 20% rispetto agli anni precedenti.

Sempre secondo il report della WHO [1], negli ultimi 20 anni sono progressivamente aumentati gli stati (134/194) che presentano un sistema di controllo della produzione dei fitoterapici, in alcuni casi sovrapponibile a quello riguardanti i farmaci convenzionali. Risulta in crescita anche il numero di nazioni che mettono in atto le good manufacturing practice (GMPs) (77 paesi nel 2005, 93 nel 2012) e sistemi di registrazione delle erbe medicinali. Se l’Europa rappresenta il continente con il maggior numero di paesi aventi un regolamento nazionale, l’Italia risulta non aver risposto al sondaggio per cui non vi sono dati disponibili.

Infine, per quanto riguarda i sistemi di vendita dei fitoterapici, prevale la dispensazione senza prescrizione medica tramite farmacie o altri outlets; solo al secondo posto risultano le farmacie con ricetta medica obbligatoria. La vendita libera da parte di terapisti, traditional practitioners e mercati privi di qualsiasi controllo (online, telemarketing oppure on street) appare fortunatamente in lieve calo rispetto al passato. Nonostante ciò l’autoprescrizione è un fenomeno assai diffuso per cui il Medico di Medicina generale e lo specialista devono raccogliere un’attenta anamnesi farmacologica al fine di evidenziare potenziali interazioni tra “tossici” non dichiarati (erbe comprese) o prevenire complicanze emorragiche in corso di una procedura interventistica (esempio in nefrologia cateterismi venosi, biopsie renali) o di un intervento chirurgico.

La diffusione dell’uso dei prodotti a base di erbe ha comportato un’aumentata segnalazione dei loro effetti indesiderati. Un’osservazione interessante consiste nel fatto che non tutte le persone che utilizzano EC sviluppano complicanze renali. La tossicità può dipendere, infatti, sia dai costituenti chimici della pianta (fattori intrinseci) che dalla presenza di contaminanti (fattori estrinseci) quali i metalli pesanti (piombo, mercurio e cadmio), pesticidi, erbicidi, microorganismi, tossine microbiche (aflatossine) e isotopi radioattivi. Processi non corretti di conservazione o pretrattamento fisico-chimico (adulterazione) delle EC possono causare nefrotossicità. Recentemente sono stati descritti casi di AKI e CKD in seguito all’utilizzo di prodotti a base di Carthamus Tinctorius (erba utilizzata come purgante, antipiretico, analgesico) contaminati da Auramina O. Si tratta di un colorante carcinogeno industriale non commestibile che esalta le caratteristiche cromatiche simil-zafferano del cartamo permettendo una vendita a prezzo maggiore [3]. Infine, il danno tossico da fitoterapici può dipendere da fattori legati al paziente, quali il sesso e l’età oltre alle comorbidità (malattie renali croniche, allergie) [4].

Collegandosi al sito https://nccih.nih.gov/ è possibile accedere alla banca dati americana del National Center of Complementary and Integrative Health (NCCIH), istituzione nata negli anni ’90. Rapidamente si possono avere informazioni riguardanti tutti i trattamenti , elencati in ordine alfabetico dalla “a” alla “z” (dall’agopuntura allo zinco), utili sia per i consumatori che per i professionisti della salute con possibilità di consultare le pubblicazioni scientifiche e gli studi randomizzati controllati relativi all’argomento d’interesse.

Aggiornamenti in materia si possono ottenere anche dalla European Medicines Agency (EMA) collegandosi al sito https://www.ema.europa.eu/en.

Focalizzaremo ora l’attenzione su alcune piante che possono direttamente causare nefropatia ed altre in grado di determinare pericolose interazioni farmacologiche con conseguenti pericoli per la salute dei pazienti.

 

Nefrotossicità da preparati a base di erbe cinesi

L’incidenza della nefrotossicità indotta dalle EC non è nota in quanto gli eventi avversi sono documentati prevalentemente tramite case reports o series. Questa scarsità di dati determina una falsa sensazione di rarità di eventi.

I principali costituenti nefrotossici delle EC sono gli acidi aristolocici (AA) e i composti alcaloidi ( 5, 6). Gli AA rappresentano una famiglia di fitochimici cancerogeni, mutageni e nefrotossici e derivano da piante quali l’Aristolochia Contorta Bunge, l’Aristolochia Manshuriensis Kom, la Clematis Chinensis Osbeck , la Aristolochia Cathcartii Hook. Anche l’Asarum heterotropoides appartiene alla famiglia delle Aristolochiaceae e contiene AA in percentuali diverse a seconda delle varie parti della pianta. La radice dell’Asarum (Asari radix e Rhizoma) presenta basse concentrazioni di AA e pertanto non risulta tossico per il trattamento delle cefalee o di stati infiammatori mentre la pianta intera (Asarum plant), in particolar modo fiori e gambo, ne contiene elevate concentrazioni risultando altamente tossica [3]. L’AA gioca un ruolo patogenetico importante anche nella nefropatia endemica dei Balcani (BEN) che non risulta però oggetto di trattazione. Gli alcaloidi nefrotossici sono derivati dal Tripterygium regelii Sprague e Takeda, dalla Stephania Tetranda S. Moore, dallo Strychnos nux-vomica Linn e dall’Aconitum carmichaeli Debx. In aggiunta, le EC possono contenere antrachinoni, flavonoidi e glicosidi nefrotossici. I prodotti a base di EC sono considerati più pericolosi rispetto ad altri rimedi tradizionali perché costituiti da misture di diversi elementi, spesso associati alla presenza di metalli pesanti (es. arsenico, cadmio, mercurio).

Le possibili manifestazioni della nefrotossicità da EC sono l’AKI, la CKD, la nefrolitiasi, la rabdomiolisi, la sindrome di Fanconi e il carcinoma uroteliale.

 

AKI

In molti pazienti la causa di AKI non è nota. Nei soggetti biopsiati sono stati osservati casi di necrosi tubulare acuta (NTA) o di nefrite interstiziale acuta (NIA) [7, 8].

I flavonoidi sono composti idrosolubili, polifenolici delle piante superiori. In Cina sono molto utilizzati per la cura del diabete (ad esempio Taxus Celebica che contiene la sciadopitisina) ma anche in Europa vengono commercializzati centinaia di prodotti indicati per la terapia della fragilità vascolare e di malattie epatiche

Nel 1994 Lin [7] descrisse 2 pazienti con AKI da sciadopitisina. Alla biopsia renale il quadro istologico evidenziava una NIA con NTA. Lee [8] riportò il caso di una paziente che sviluppò insufficienza epatica acuta, anemia emolitica autoimmune con trombocitopenia dopo l’ingestione di un estratto d’acqua calda di Cupressus funebris Endl , ricco in flavonoidi. La biopsia renale evidenziò NTA, NIA e casts emoglobinici. Un altro case report riporta una reazione da ipersensibilità in seguito all’assunzione di frutti e thè (ottenuto dalle foglie) di Crataegus Orientalis (9), detto anche Biancospino dell’Anatolia, ricco in flavonoidi. Clinicamente il paziente presentava citolisi epatica e AKI da NIA.

Infine, Zangh [10] descrisse 6 casi di NTA da andrografolide (principale costituente della Andrographis paniculata , nome vernicolare chuan xin lian) somministrata per via endovenosa, ampiamente utilizzata in Cina per il trattamento delle infezioni delle vie respiratorie e della dissenteria. Il meccanismo di tossicità renale non risulta ancora noto.

 

CKD

L’AA è il principale responsabile della CKD.

Le prime segnalazioni di CKD da nefropatia interstiziale a rapida evoluzione risalgono al 1993 e riguardano 9 donne sottoposte a regime dietetico a Bruxelles [11]. Le pillole dovevano contenere polveri di radici di Stefania tetranda e Magnolia officinalis, raccolte in Cina e quindi distribuite alle farmacie del Belgio senza essere sottoposte ad alcun controllo. Il sospetto di una nefropatia da AA (NAA) fu confermato nel 1996 grazie alla dimostrazione con l’HPLC (High Performance Liquid Chromatography) della presenza degli AA I e II nella miscela dietetica nonché degli addotti DNA-AAI nel tessuto renale dei pazienti uremici biopsiati. Si comprese che vi era stato un tragico errore nei costituenti delle pillole conseguente all’utilizzo dei nomi vernacolari da parte della popolazione indigena deputata alla raccolta delle erbe. Essendo molto simili tra loro (Han Fan Ji per la Stefania tetranda, Guan Fan Ji per l’Aristolochia fangchi) la Aristolochia era stata utilizzata al posto della Stefania. Nel 1998 il numero di pazienti affette da NAA in Belgio salì da 9 a 128, gran parte delle quali giunse all’uremia [12] . Anche in questa situazione colpì il fatto che solo una parte delle donne trattate sviluppò la nefropatia. Nel 2008 lo stesso autore belga definì la NAA come un “problema mondiale”, decisamente sottostimato se riferito alla popolarità della Medicina Tradizionale in paesi come l’India, Taiwan, Cina e Giappone [12, 13, 14].

Gli erboristi taiwanesi, consumatori dei loro prodotti, risultano ad elevato rischio di morte per neoplasie del rene e delle vie urinarie rispetto alla restante popolazione [15]. La loro preparazione si basa su una cultura esclusivamente familiare, tramandata di generazione in generazione.

Il quadro clinico tipico della NAA è caratterizzato da CKD a rapida evoluzione in uremia, proteinuria tubulare, normotensione arteriosa, anemizzazione. Nel 30-50% dei casi è’ stata descritta una insufficienza aortica da fenfluramina (aggiunta a scopo anoressizzante) non reversibile con la sospensione del trattamento e con il trapianto di rene [16]. Il quadro istologico renale evidenzia estesa fibrosi interstiziale ed atrofia tubulare in assenza per lo più di infiltrati infiammatori interstiziali. Nei rari casi in cui quest’ultimi sono stati evidenziati , si è supposto un ulteriore meccanismo immunologico di danno e il trattamento steroideo ha permesso un rallentamento dell’evolutività dell’IR [17]. I glomeruli si presentano ischemici, collassati con raggrinzimento delle membrane basali glomerulari.

Altra espressione clinica della NAA è rappresentata dalla sindrome di Fanconi che si manifesta prevalentemente nella popolazione del Giappone , Taiwan e Corea [18]. Infine, è stata descritta una NTA a progressivo decorso verso l’uremia determinata dall’Aristolochia manshuriensis Kom (Guanmutong o GMT) molto utilizzata in Cina, ma anche negli USA e in Europa, per patologie urinarie e cardiovascolari . Questa forma di NTA è particolarmente grave in quanto non presenta segni di rigenerazione cellulare e si associa ad un danno delle cellule endoteliali dei capillari peritubulari [19].

Nel 2002 la International Agency for Research on Cancer (IARC) ha dichiarato l’AA ( in modo particolare l’AAI) carcinogeno per l’urotelio (20) in quanto circa la metà dei pazienti affetti da NAA sviluppa neoplasie uroteliali a distanza di 2-6 anni dall’assunzione di AA. Anche i pazienti colpiti da BEN hanno una mortalità specifica per carcinomi dell’urotelio superiore di 50 volte rispetto al resto d’Europa [20, 21]. Le neoplasie possono essere più o meno invasive  e le sedi più colpite sono rappresentate dalla pelvi e dal  tratto lombare-addominale degli ureteri. Per tale motivo i pazienti affetti da NAA, candidati a trapianto di rene, devono essere sottoposti a nefroureterectomia preventiva; nonostante ciò si sono registrati alcuni casi di neoplasia vescicale a 15 anni dal trapianto.

Infine, sono stati descritti casi di nefrite interstiziale cronica conseguente all’utilizzo di pillole contenenti antrachinoni estratti dal rabarbaro (Rhizoma rhei) e di nefropatia cronica ipokaliemica associata con l’assunzione di Glycyrrhiza glabra (liquerizia) come sedativo della tosse [22 , 23]. La liquerizia ha determinato in alcuni casi, oltre alla nefropatia ipokaliemica, anche rabdomiolisi [22].

 

Nefrolitiasi

Tale complicanza non risulta frequentemente associata all’utilizzo di EC. Vi sono case reports [24, 25] che descrivono calcolosi costituita da efedrina, nor-efedrina e pseudoefredina in pazienti che hanno assunto a lungo pillole contenenti Ephedra sinica (ephedra/ma huang) per il trattamento di patologie delle vie respiratorie. Per tale motivo dal 2004 l’FDA ha proibito l’utilizzo di integratori alimentari contenenti ephedra negli Stati Uniti.

Sono stati descritti , inoltre, casi di ipertensione arteriosa, necrosi della papilla e ritenzione urinaria [26] . Anche in Iran è ancora diffuso l’utilizzo dei frutti delle piante del genere Aristolochi (bottae, olivieri e Hyrcana Davis) per la cura della cefalea, dei dolori al rachide, dell’ansia e a scopo disintossicante [26].

 

Possibili complicanze derivate dall’assunzione di alcuni prodotti fitoterapici nei pazienti nefropatici

Verranno prese in considerazione alcune erbe particolarmente utilizzate quali: I’Echinacea, il Ginkgo biloba , l’Erba di S. Giovanni, il Ginseng e l’Aglio.

a) Echinacea.
L’Echinacea (Echinacea Angustifolia, Echinacea purpurea) viene prescritta per la prevenzione delle malattie da raffreddamento e delle infezioni del tratto urinario. In Germania, dove è considerata farmaco etico, viene utilizzata anche per il trattamento della sindrome da affaticamento cronico. Ha un’azione immunostimolante aspecifica e le cellule bersaglio sono rappresentate da macrofagi, monociti, leucociti polimorfonucleati, linfociti T (T4,T8 e NK) . L’azione immunostimolante è dovuta sia alla frazione liposolubile che a quella idrosolubile come i derivati dell’acido caffeico , in particolare l’acido cicorico. L’ attività locale si basa sulla capacità dell’Echinacea di accelerare la rigenerazione tissutale e di localizzare l’infezione determinata principalmente dall’inibizione della jaluronidasi. L a somministrazione deve avvenire a cicli (consigliato un mese di trattamento seguito da 15 giorni di pausa per 3 volte) al fine di evitare l’epatotossicità da accumulo. Inoltre, è sconsigliata la prescrizione di Echinacea ai pazienti in trattamento con amiodarone e ketoconazolo. Con particolare riferimento ai pazienti nefropatici, inibendo il CYP3A4 , può aumentare i livelli sierici di farmaci come alprazolam, calcio antagonisti, inibitori delle proteasi e ridurre l’efficacia di immunosoppressori quali il tacrolimus e la ciclosporina [27]. Non deve, infine, essere prescritta a pazienti affetti da patologie autoimmunitarie (es. connettiviti).

b) Gingko biloba.
La pianta di Gingko è antichissima ; si rinviene in Cina dove è prescritta da millenni dagli erboristi locali per il trattamento sintomatico dell’insufficienza cerebrale lieve o moderata e delle arteriopatie periferiche, della malattia di Raynoud, dell’acrocianosi e delle vertigini di verisimile origine vascolare. Il suo utilizzo è decisamente aumentato anche in Europa, soprattutto in Germania dove è considerato farmaco etico e viene prescritto per il trattamento del Morbo di Alzheimer . Notoriamente il Gingko ha effetto antiossidante e riduce l’aggregazione piastrinica attraverso l’inibizione del PAF (Platelets Activating Factor) . Per le possibili complicanze emorragiche, anche cerebrali, non va somministrato a pazienti in terapia con anticoagulanti orali e antiaggreganti quali warfarina, ASA, FANS, ticlopidina, clopidogrel, aglio [28]. Inoltre, va assolutamente sospeso almeno 3-7 giorni prima di un intervento chirurgico [28].

c) Erba di S. Giovanni.

L’erba di S. Giovanni ( Hypericum perforatum, St. John’s wort) è una pianta ubiquitaria, così chiamata perché ha la massima fioritura il 24 giugno. Uno dei suoi principali costituenti è l’iperforina, inibitore dell’uptake della serotonina, della noradrenalina e della dopamina [29]. Trova indicazione nel trattamento delle depressioni lievi-moderate. Ha attività ansiolitica ed antiinfiammatoria. Come topico, l’olio di iperico viene prescritto per il trattamento di ferite e ulcerazioni della cute. Mentre in vivo l’iperico è un induttore di alcuni isoenzimi del citocromo P450 come il CYP3A4, in vitro sembra essere un inibitore. Particolare attenzione deve essere posta, pertanto, nei pazienti in terapia con ciclosporina e tacrolimus (glomerulonefriti, trapianto) in quanto ne riduce i livelli sierici [29]. Può ridurre a livelli sub-terapeutici anche la concentrazione di farmaci quali la digossina, l’omeprazolo, le statine, l’indinavir e altri antiretrovirali inibitori delle proteasi e della transcriptasi [29].

d) Ginseng.

Il Ginseng asiatico (Panax ginseng C.A. Meyer) è utilizzato nelle convalescenze, in caso di astenia, perdita di concentrazione e memoria, stati di stress. Sebbene secondo l’OMS 2002 il Ginseng non presenti controindicazioni assolute, dati di letteratura sconsigliano la somministrazione a pazienti già in terapia con anticoagulanti per possibili interazioni in senso sia protrombotico che emorragico [20]. Potenzia, inoltre, l’effetto farmacologico di corticosteroidi, insulina, calcio-antagonisti ed estrogeni [30].

e) Aglio.
L’aglio (Allium sativum L.) viene utilizzato per il trattamento dell’ipertensione lieve e come antielmintico. Riduce il livelli ematici di colesterolo, LDL-colesterolo e dei trigliceridi. Deve essere sospeso almeno 5-7 giorni prima di un intervento chirurgico in quanto aumenta il tempo di sanguinamento; per tale motivo è sconsigliato anche in gravidanza. Non deve essere assunto da pazienti già in terapia con ASA e warfarina. Potenzia l’effetto degli ACE-inibitori determinando ipotensione [31].

Concludiamo questa presentazione ricordando che vi sono numerosi studi sull’animale che dimostrano una protezione da parte dei fitoterapici nei confronti della tossicità farmaco indotta (soprattutto chemioterapici e antibiotici). Ad esempio l’estratto acquoso dell’aglio (Allium sativum) ha effetti protettivi nei confronti della nefrotossicità da metotrexate, gli estratti di liquerizia (Glycyrrhizia Glabra) e di Ribes diacanthum verso il cisplatino, le foglie di Ginkgo Biloba verso la nefropatia da gentamicina [32, 33]. Il meccanismo d’azione principale si basa sulle proprietà antiossidanti e anti-infiammatorie delle piante. Sebbene promettenti questi effetti protettivi non sono stati indagati sull’uomo ma rappresentano un possibile futuro impiego della MI.

 

Bibliografia

  1. WHO: WHO Traditional Medicine Strategy 2014-2023, December 2013. Available at: http://www.who.int/medicines/publications/traditional/trm_strategy14_23/en/. Accessed March 15, 2017.
  2. Wilt TJ, Ishani A, Stark G, MacDonal R, Lau J, Mulrow C. Saw Palmetto extracts for treatment of benign prostatic hyperplasia: a systematic review. JAMA 1998; 280:1604.
  3. Liu SH, Chuang WC; Lam W, Jiang Z, Cheng YC: Safety surveillance of traditional Chinese medicine: current and future. Drug Saf 38: 117-128, 2015.
  4. Bo Yang, Yun Xie, Maojuan Guo, Mitchell H Rosner, Hongtao Yang and Claudio Ronco. Nephrotoxicity and Chinese herbal medicine. CJASN 13: 1605-1611, 2018.
  5.  Xu XL, Yang LJ, Jiang JG: Renal toxic ingredients and their toxicology from traditional Chinese medicine. Expert Opin Drug Metab Toxicol 12: 149–159, 2016.
  6. Lv W, Piao JH, Jiang JG: Typical toxic components in traditional Chinese medicine. Expert Opin Drug Saf 11: 985–1002, 2012.
  7.  Lin JL,HoYS: Flavonoid-induced acute nephropathy.Am J Kidney Dis 23: 433–440, 1994.
  8. Lee JJ, Chen HC: Flavonoid-induced acute nephropathy by Cupressus funebris Endl (Mourning Cypress). AmJ KidneyDis 48:e81–e85, 2006.
  9.  Crataegus oxyacantha (Hawthorn). Monograph. Altern Med Rev 15: 164–167, 2010.
  10. Zhang WX, Zhang ZM, Zhang ZQ, Wang Y, Zhou W: Andrographolide induced acute kidney injury: Analysis of 26 cases reported in Chinese Literature. Nephrology (Carlton) 19: 21–26, 2014.
  11. Vanherweghem JL, Depierreux M, Tielemans C, Abramowicz D, Dratwa M, Jadouul M, Richard C, Vandervelde D, Verbeelen D, Vanhaelen-Fastre R, Vanhaelen M. Rapidly progressive interstitial fibrosis in young women: association with slimming regimen including Chinese herbs. Lancet 1993; 341: 387-91.
  12. Vanherweghem JL. Misuse of herbal remedies: the case of an outbreak of terminal renal failure in Belgium (Chinese Herbs Nephropathy). J Altern Complement Med 1998; 14: 273-9.
  13. Debelle FD, Vanherweghem JL, Nortier JL. Aristolochic acid nephropathy: a worldwide problem. Kidney Int 2008; 74: 158-69.
  14. Ming-Nan L, Jung-Nien L, Pau-Chung C, Wei-Lum T, Ya-Yin C, Jing-Shiang H, Jung-Der W. Increased risks of chronic kidney disease associated with prescribed Chinese herbal products suspected to contain aristolochic acid. Nephrology 2009; 14: 227-34.
  15. Hsiao-Yu Y, Jung-der W, Tsai-Chang L, Pau-Chung C. Increased mortality risk for cancers of the kidney and other urinary organs among Chinese Herbalist. J Epidemiol 2009; 19(1) : 17-23.
  16. Unger P, Nortier J, Muniz Martinez MC, Plein D, Vandenbossche JL, Vereerstraeten P, Vanherweghem L. High prevalence of fenfluramine-related aortic regurgitation in women with end-stage renal disease secondary to Chinese herb nephropathy. Nephrol Dial Transplant 2003; 18 : 906-10 Muniz-Martinez MC, Nortier J.
  17. Vereerstraeten P, Vanherweghem JL. Steroid therapy in chronic interstitial renal fibrosis: the case of Chinese-herb nephropathy. Nephrol Dial Transplant 2002; 17 : 2033-37.
  18. Sangho L, Taewon L, Byungcheol L, Hyuckjai C, Munho Y, Chun-Gyoo I, Myungjae K. Fanconi’s syndrome and subsequent progressive renal failure caused by a Chinese herb containing aristolochic acid. Nephrology 2004; 9: 126-9.
  19. Yang L, Xiaomei L, Haiyan W. Possible mechanism explaining the tendency towards interstitial fibrosis in aristolochic acid-induced acute tubular necrosis. Nephrol Dial Transplant 2007; 22 : 445-56.
  20. Basmias G, Boletis J. Balkan nephropathy: evolution of our knowledge. Am J Kidney Dis 2008; 52: 606-16.
  21. De Jonge H, Vanrenterghem Y. Aristolochic acid: the common culprit of Chinese herbs nephropathy and Balkan endemic nephropathy. Nephrol Dial Transplant 2008; 23: 39-41.
  22. Saito T, TsuboiY, FujisawaG, SakumaN,Honda K,OkadaK, Saito K, Ishikawa S, Saito T: An autopsy case of licorice-induced hypokalemic rhabdomyolysis associated with acute renal failure: Special reference to profound calcium deposition in skeletal and cardiac muscle. Nippon Jinzo Gakkai Shi 36: 1308–1314, 1994.
  23. Liu SH, Chuang , WC e al: Safety surveillance of traditional Chinese medicine: current and future. Drug Saf 38: 117-128, 2015.
  24. Blau JJ: Ephedrine nephrolitiasis associated with chronic ephedrine abuse. J Urol 160: 825, 1998.
  25. Powell T, Hsu FF et al. Ma-huang strikes away: Ephedrine nephrolitiasis. Am J Kidney Dis 32:153-159, 1998.
  26. Mohammad Reza Ardalan, Laleh Khodaie et al. Herbs and hazard. IJKD 2015;9:14-7, 2015.
  27. Gatto R. Echinacea . In: Fitoterapia: istruzioni per l’uso, 2007:116-19.
  28. Gatto R. Ginkgo biloba. In: Fitoterapia: istruzioni per l’uso, 2007: 127-31.
  29. Gatto R. Hypericum perforatum L. In: Fitoterapia: istruzioni per l’uso, 2007: 145-49.
  30. Gatto R. Panax ginseng C.A. Meyer In: Fitoterapia: istruzioni per l’uso, 2007: 164-68.
  31. Gatto R. Allium sativum L. In: Fitoterapia: istruzioni per l’uso, 2007: 63-6.
  32.  KhajaviRad A, Mohebbati R, Hosseinian S. Drug-induced nephrotoxicity and medicinal plants. IJKD 2017; 11:169-179.
  33. Heidari-Soreshjani S, Asadi-Samani M, Yang Q, Saeedi-Boroujeni A. Phytotherapy of nephrotoxicity-induced by cancer drugs: an updated review. J Nephropathol. 2017, 6(3): 254-263.

Metalli pesanti

Abstract

In biochimica i Metalli Pesanti  (MP) vengono definiti come composti cationici in grado di formare dei complessi citoplasmatici intracellulari: in tal classificazione rientrano sia gli elementi in traccia come Arsenico, cobalto, ferro e iodio ma anche i MP propriamente detti che sono tossici anche a basse concentrazioni come cadmio, mercurio, cromo e piombo.

Sono oltre 30 i composti metallici in grado di causare danno renale; i MP più comunemente coinvolti nelle patologie renali sono arsenico, bario, cadmio, cobalto, rame, piombo, litio, mercurio platino, tallio; la loro tossicità dipende da fattori fisici (stato fisico, temperatura), da fattori chimici (solubilità e cinetica) ma anche da fattori biochimici come il tropismo per le catene mitocondriali umane.

Il rene è un organo bersaglio per i MP, a causa della sua abilità nello riassorbire e concentrare i metalli divalenti; gran parte degli effetti si esplicano a livello del segmento convoluto del tubulo prossimale. La forma ionizzata del MP è responsabile di tossicità cellulare diretta verso la membrana apicale del tubulo prossimale; la forma non ionizzata o inerte del MP viene coniugata con metallotioneine e glutatione, rilasciata nel sangue dal fegato e infine riassorbita  per endocitosi nel semento S1 del tubulo prossimale.
L’entità e la modalità del danno renale dipende dal tipo di metallo, dalla dose e dal tempo di esposizione.

L’approccio terapeutico in presenza di una intossicazione acuta da metalli pesanti prevede misure di supporto (fluidi e.v, supporto inotropo, ventilatorio, emotrasfusioni), la decontaminazione (lavanda gastrica, emetici, carbone attivo), le metodiche depurative extracorporee (quando indicate) e ovviamente la terapia chelante.

Definizione

Non vi è una definizione universalmente accettata di metallo pesante (MP); in senso strettamente fisico-chimico si tende a definire MP sia una sostanza con un peso atomico superiore a 20 che un elemento con un peso specifico cinque volte superiore a quello dell’acqua oppure una sostanza con una densità superiore a 5 gr/cm3; in ambito specificatamente biochimico, i MP vengono definiti come composti principalmente cationici in grado di formare dei complessi citoplasmatici intracellulari: in tal classificazione rientrano sia gli elementi in traccia, cioè quegli elementi che presenti a concentrazioni inferiori a 1 mcg/kg di peso corporeo sono essenziali alla nostra sopravvivenza, come Arsenico, cobalto, ferro e iodio (si pensi al ruolo del cobalto nella vitaminaB12 o al ferro nella emoglobina) ma anche i MP propriamente detti che sono tossici anche a basse concentrazioni come cadmio, mercurio, cromo e piombo.
I MP si trovano in certi preparati per la agricoltura e in alcuni prodotti industriali come i pesticidi, le batterie, le leghe metalliche, i coloranti nella industria tessile, i cosmetici, i derivati dallo smaltimento di apparecchi elettronici nonché alcune sostanze per uso medico e odontoiatrico; inoltre alcuni fenomeni naturali come i terremoti e le eruzioni vulcaniche nonché i prodotti di combustione nel corso di estesi incendi possono causare repentini e talvolta imprevedibili danni ambientali dalla emissione di MP. Per esempio nel corso dell’incendio della cattedrale di Notre Dame il 15 Aprile 2019 furono rilasciati i prodotti della combustione di oltre 400 tonnellate di piombo; alcuni degli abitanti del quartiere parigino Ile de la Cité svilupparono intossicazione acuta di piombo con patologie respiratorie, cardiovascolari e anche insufficienza renale associata ad anomalie urinarie [1]; analoghi scenari clinici si registrarono in seguito ai tragici episodi dell’11 Settembre 2001 a New york City specie tra i pompieri e il personale delle squadre di soccorso. [2] L’eccessiva e la prolungata esposizione ai MP è responsabile di diversi quadri patologici a carico di diversi organi e apparati nonché di neoplasie e patologie fetali.
Sono oltre 30 i composti metallici in grado di causare danno renale; i MP più comunemente coinvolti nelle patologie renali sono arsenico, bario, cadmio, cobalto, rame, piombo, litio, mercurio platino, tallio; la loro tossicità dipende da fattori fisici quali lo stato (liquido-solido-gassoso), la temperatura e la capacità di assorbimento, da fattori chimici (solubilità, cinetica) ma anche da fattori biochimici come il tropismo per le catene mitocondriali umane.

 

Meccanismi della Tossicità renale dei Metalli Pesanti

Il rene è un organo bersaglio per i MP, a causa della sua abilità nello riassorbire e concentrare i metalli divalenti; gran parte degli effetti si esplicano a livello del segmento convoluto del tubulo prossimale sebbene il litio sia responsabile anche di danno glomerulare e il piombo e il platino siano tossici anche a livello tubulare distale. [3] La forma ionizzata del MP è responsabile di tossicità cellulare diretta verso la membrana apicale del tubulo prossimale con disaccoppiamento della catena respiratoria mitocontriale e con il conseguente rilascio di numerosi segnali proapoptici come specie reattive dello ossigeno e citochine; la forma non ionizzata o inerte del MP viene coniugata con metallotioneine e glutatione, rilasciata nel sangue dal fegato e infine riassorbite per endocitosi nel semento S1 del tubulo prossimale.
L’entità e la modalità del danno renale dipende dal tipo di metallo, dalla dose e dal tempo di esposizione; una esposizione prolungata al cromo al litio, al mercurio o al piombo determinerà una patologia cronica tubulo-interstiziale; una intossicazione acuta da arsenico, cadmio, rame o cromo causare una insufficienza renale acuta (AKI) con necrosi tubulare prossimale massiva; ancora l’esposizione a bismuto, tallio o mercurio è responsabile anche di glomerulopatie con proteinuria anche di range nefrosico. [4] A titolo di esempio alcuni prodotti per la agricoltura combinati a pesticidi sono responsabili della Nefropatia Agricola dello Sri-Lanka ove cromo e piombo, insieme al pesticida glifosfato sono responsabili di una tipica nefropatia tubulo-interstiziale in pazienti senza i comuni fattori rischio (diabete-ipertensione-glomerulopatie-calcoli renali); analogo quadro si riscontra nella Nefropatia Mesoamericana ove l’esposizione a temperature elevate in agricoltori a contatto con un suolo contaminato con arsenico e cromo si esplica in una nefropatia tubulo-interstiziale con elevata atrofia tubulare, glomerulosclerosi e con una proteinuria di lieve entità. [5-6]

 

Approccio Terapeutico

L’approccio terapeutico in presenza di una intossicazione acuta da metalli pesanti prevede misure di supporto (fluidi e.v, supporto inotropo, ventilatorio, emotrasfusioni), la decontaminazione (lavanda gastrica, emetici, carbone attivo), le metodiche depurative extracorporee (quando indicate) e ovviamente la terapia chelante.
La chelazione è una reazione chimica in cui solitamente un atomo metallico, comportandosi da acido di Lewis, viene legato da un reagente detto chelante tramite più di un legame coordinativo. In ambito biologico, tramite chelazione l’emoglobina lega il ferro e la clorofilla lega il magnesio. La terapia chelante, argomento prettamente tossicologico, riveste però rilevanza nefrologica, in quanto alcuni chelanti presentano anche nefrotossicità (Tab 1).

CHELANTE USO TERAPEUTICO NEFROTOSSICITA’
Dimercaprolo (BAL) intossicazione acuta arsenico

intossicazione acuta mercurio

intossicazione acuta piombo

 

_

Acido Dimercaptosuccinico (DMSA) intossicazione acuta piombo

intossicazione acuta arsenico

intossicazione acuta mercurio

_

Dimercapto-Propano sulfonato (DMPS) intossicazione acuta severa arsenico

intossicazione acuta severa mercurio

_

Penicillamina intossicazione acuta rame

intossicazione acuta oro

intossicazione acuta arsenico

intossicazione acuta piombo

artrite reumatoide

SI

Acido Etilene diaminotetracetico (EDTA) intossicazione acuta piombo

SI

Deferoxamina intossicazione acuta ferro

sovraccarico marziale

SI

Tabella 1 Principali Chelanti e Indicazioni Terapeutiche

 

Piombo

Il Piombo (Pb) rappresenta sicuramente il più antico esempio di tossicità da metalli pesanti ed evidenze di avvelenamento da piombo risalgono alla antica Roma. Il Pb è sicuramente il MP più diffuso e ben nota è la sua nefrotossicità.

Fonti di Esposizione
La contaminazione può avvenire attraverso l’aria, gli alimenti e l’acqua. Il Pb esiste in tre diverse forme: il piombo metallico, il piombo inorganico (Sali di piombo solubili in acqua) e il piombo organico (piombo tetrametile) che è la forma più tossica.

Intossicazione Acuta
L’intossicazione acuta è una forma estremamente rara è avviene dopo ingestione accidentale o intenzionale di Sali inorganici o la inalazione di piombo tetrametile.

Intossicazione Cronica
Vernici al piombo, acque contaminate, terracotta smaltate al piombo e alcuni rimedi orientali a base di erbe medicinali sono fonti potenziali di esposizione al piombo. Sono particolarmente esposti i lavoratori nelle industrie delle munizioni, batterie, e pompe infusionali.
Il piombo tetrametile contamina anche le emissioni di motori di auto con additivi antidetonanti. [7]

Meccanismo di danno renale

Esposizione Acuta
L’intossicazione acuta da piombo distrugge l’architettura del tubulo prossimale, con modifiche istologiche quali inclusi eosinofili intranucleari nelle cellule tubulari, espressione di complessi Pb-proteina e di rigonfiamento mitocondriale. [8]

Esposizione Cronica
Il danno si estende sia al tubulo prossimale che al tubulo distale con incrementata secrezione di urati, vasocostrizione e glomerulosclerosi con ipertensione e fibrosi interstiziale. [9]

Caratteristiche Cliniche e di Laboratorio

Esposizione Acuta
L’avvelenamento da Pb produce sapore metallico, nausea, vomito, dolore addominale diffuse, parestesia, affaticamento muscolare, l’anemia può presentarsi anche con crisi emolitiche.
La nefropatia può manifestarsi come necrosi tubulare acuta, con ematuria, cilindruria e aminoaciduria fino ad una franca anuria con AKI. Questo quadro si manifesta di norma entro 48 ore dalla esposizione. Una tossicità severa, con livelli ematici di piombo 5superori a 50 μg/dL può colpire il sistema nervoso centrale con paralisi, tremori, riduzione della conduzione nervosa e papilledema. [9]

Esposizione Cronica
I più comuni sintomi sono rappresentati da mialgie, astenia, dispnea, anoressia e dolore addominale. Il danno tubulare si manifesta con glicosuria, aminoaciduria e fosfaturia (Sindrome Fanconi-like).
Indagini di laboratorio
Sono elementi di comune riscontro: anemia normocromica o ipocromica con caratteristici granuli citplasmatici basofili, elevato numero di reticolotici; incremento dei valori ematici di urea, creatinina e acido urico. Urine a basso peso specifico con glicosuria e aminoaciduria. I livelli ematici di Pb sono indice di esposizione recente; il test di elezione per valutare i livelli ematici di piombo è il test di mobilizzazione con acido etilene diamino tetraacetico (EDTA). [8-9]

Trattamento della Intossicazione Acuta

Trattamento di Supporto
La lavanda gastrica e la decontaminazione con carbone attivato sono indicate nel coso della ingestione di sali di piombo. Vengono somministrati fluidi e assicurata la diuresi con diuretici dell’ansa, specie per rimuovere i chelanti. [9]

Agenti Chelanti
Nella intossicazione da piombo inorganico vi è indicazione nell’uso di EDTA, dimercaprolo (BAL), acido dimercaptosuccinico (DMSA) e la D-Penicillamina

Tecniche Dialitiche
Le tecniche dialitiche sono inefficaci poiché il 95% del piombo è allocato all’interno degli eritrociti; tuttavia trovano indicazione alla rimozione dei chelanti essendo questi nefrotossici; parecchi studi individuano nella bicarbonato dialisi (HD) la tecnica preferita in questo ambito [10]. L’emivita ematica del piombo è di circa 9 ore quando vengono combinate HD e terapia con EDTA mentre l’emivita è di 96 ore qualora l’EDTA venga utilizzato da solo [10]. La Dialisi Peritoneale (DP), la emoperfusione (EP), la Plasmaferesi (TPA) e le metodiche dialitiche continue (CRRT) sono generalmente inefficaci.

 

Mercurio

Il mercurio (Hg) è un liquido bianco argenteo che è volatile a temperature ambiente a causa della sua elevata tensione di vapore. Esiste in tre forme: inorganico, organico ed elementare.
Fonti di Esposizione
Le fonti di esposizione di più comune riscontro sono rappresentate dalle amalgame dentali e dalla dieta. Le amalgame rappresentano la fonte principale di mercurio inorganico mentre alcune specie ittiche sono ricche di Hg inorganico. La patologia occupazionale riguarda principalmente odontoiatri, operai nel settore dei cloralcali e delle leghe metalliche. [11]

Meccanismo di danno renale
Hg induce danno epiteliali e necrosi nella pars recta del tubulo prossimale. In seguito ad una esposizione acuta, è comune l’insorgenza di necrosi tubulare acuta oligoanurica. [11]

Caratteristiche Cliniche e di Laboratorio

Esposizione Acuta
Hg elementare presente nei vapori produce dopo poche ore brividi, vomito, diarrea e dispnea acuta; vengono descritte forme severe di polmonite interstiziale e sintomi neurologici con ipotensione e salivazione profusa.

Esposizione Cronica
L’esposizione alla forma organica di Hg cause manifestazioni cutanee e disturbi neurologici come atassia, parestesie e sordità.
Hg è responsabile di diversi tipi di danno renale come una sindrome nefrosica con una nefropatia membranosa e disfunzione tubulare con elevata escrezione urinaria di albumina, transferrina, proteina legante il retinolo, e betagalattosidasi. [12]

Indagini di Laboratorio
Una concentrazione ematica maggiore di 45 mg/dL è suggestiva di avvelenamento acuto

Trattamento della Intossicazione Acuta

Trattamento di Supporto
In presenza di intossicazione acuta è necessario ricorrere ad una immediata decontaminazione intestinale e la rapida somministrazione di chelanti, insieme ad un supporto emodinamico e ventilatorio intensivo.

Agenti Chelanti
Il trattamento con chelanti va considerato nei pazienti con sintomatologia acuta, specie se a carico del sistema nervosa centrale. I più utilizzati sono BAL, il dimercapto-1-propano sulfonato (DMPS) e il DMSA.

Tecniche Dialitiche
Il legame alle proteine plasmatiche del HG è del 95% e il volume di distribuzione è ampio: per tal ragione HD, PDed EP sono scarsamente efficaci.HD si è invece mostrata efficace nella eliminazione dei chelanti, largamente idro-solubili. La emofiltrazione veno-venosa continua (CVVH) è più efficace nella rimozione del complesso Hg-DMPS rispetto alla HD. In merito alle altre tecniche dialitiche la TPA sembra essere particolarmente promettente nella rimozione del mercurio inorganico ed estremamente efficace in associazione alla terapia chelante. [13]

 

Cadmio

Il cadmio (Cd) è responsabile di severa tossicità nell’uomo: in letteratura sono descritti parecchi casi di intossicazione cronica mentre sono assai rari i casi intossicazione acuta per ingestione orale o inalazione di vapori contaminati.

Fonti di esposizione
L’esposizione al Cd è spesso la conseguenza della ingestione di cibi contaminati o di una esposizione in ambienti lavorativi a rischio come nella produzione di batterie e leghe metalliche.

Meccanismo di danno renale

Esposizione Acuta
La forma ionizzata, libera del Cd è quella primariamente responsabile della intossicazione acuta; induce tossicità cellulare attraverso la riduzione del trasporto di glucosio e fosfato e la inibizione della catena respiratoria mitocondriale con rottura della membrana della cellula tubulare del nefrone prossimale. [14]

Esposizione Cronica
Dopo ingestione o inalazione Cd viene trasportato la fegato e al rene dopo il suo legame con la metallotioneina; spesso vi è evidenza di una nefropatia cronica tubulo-interstiziale con accumulo del metallo nel segmento S1 del tubulo prossimale e nella midollare; ciò induce apoptosi e attivazione della cascata citochinica con conseguente estensione del danno tubulare.

Caratteristiche Cliniche e di Laboratorio

Esposizione Acuta
I sintomi di tossicità includono dispnea, nausea, vertigini, vomito, ipotensione , shock, insufficienza epatica e AKI.

Esposizione Cronica
Nel corso della esposizione cronica sono descritti enfisema polmonare, tosse, insufficienza renale cronica (CKD) e ulcerazioni gastrointestinali.
Il danno renale da Cd può manifestarsi con proteinuria, glicosuria, iperfosfaturia, aminoaciduria ipercalciuria e poliuria con perdita della capacità della contrazione urinaria.

Indagini di Laboratorio
L’esposizione al Cd viene determinata misurando l’escrezione urinaria nelle 24 ore. Una elevata escrezione di B2 microglobulina è ritenuta un marker di tossicità renale da Cd. [14]

Trattamento della Intossicazione Acuta

Trattamento di Supporto
Entro tre ore dalla ingestione è raccomandabile la decontaminazione gastrointestinale, con supporto emodinamico e respiratorio; viene del tutto sconsigliato il ricorso alla diuresi forzata con diuretici a causa della elevata nefrotossicità del Cd.

Agenti Chelanti
Il Cd viene rapidamente immagazzinato negli eritrociti e legato alla metallotioneina. Non vi sono antidoti alla tossicità da cadmio; i chelanti noti accrescono la nefrotossicità del Cd.

Terapie Dialitiche
I trattamenti depurative extracorporei sono inefficaci; HD, TPA e CRRT sono utilizzati per rimovere i chelanti utilizzati nella insufficienza renale acuta causata dal cadmio. [15]

 

Cisplatino

Il Cisplatino (Cp)è un agente antineoplasitco di norma utilizzato nella terapia di alcune neoplasie solide ed ematologiche; tuttavia il CP ha diversi effetti collaterali quali nefrotossicità, la neurotossicità, la tossicità midollare e la ototossicità.

Fonti di Esposizione
La tipica fonte di esposizione è la chemioterapia.

Meccanismo di danno renale
La tossicità è dose-correlata. Cp è una forte tossina tubulare che danneggia principalmente il segmento S3 del tubulo prossimale; il nefrone distale può anche venire coinvolto; l’evento più precoce è la inibizione della sintesi proteica, causata dalla formazione, attraverso la via enzimatica del Citocromo P-450 radicali idrossilici altamente reattivi che producono il danno legandosi al DNA. [16]

Caratteristiche cliniche e di laboratorio
Il sovradosaggio di Cp si manifesta con nausea severa, vomito, perdita dell’udito e oligoanuria con ematuria e cilindri nelle urine. L’osmolarità urinaria è simile a quella del plasma; questo difetto nella concentrazione urinaria riflette principalmente il danno mediato dal Cp a livello dell’ansa di Henle.

Indagini di laboratorio
Il danno epatico, espresso da elevati livelli di aspartato transferasi (AST), alanina transferasi (ALT), gamma-glutamil transferasi (GGT), e incremento della concentrazione della bilirubina
Le alterazioni dei valori di creatininemia e azotemia sono comuni nella intossicazione di Cp e frequentemente associati alla anemia, a causa del deficit di eritropoietina indotto dal danno renale,

Trattamento della Intossicazione

Misure di Supporto
La misura di trattamento più efficace nel prevenire la tossicità da CP è l’idratazione, il ripristino dell’equlibrio idro-elettrolitico, l’incremento della diuresi e la terapia antiemetica. La mielodepressione spesso richiede il ricorso a fattori stimolanti la granulocitopoiesi. [16]

Agenti Chelanti
Non vi è un chelante specifico per la intossicazione da CP. La amifostina è un adiuvante citoprotettivo, un tiofosfato organico che può ridurre il danno indotto da ciplatino donando un gruppo tiolico con attività protettiva.

Tecniche dialitiche
HD riesce a ridurre la quota libera di cisplatino nel plasma, ma una discreta quota viene legata alle proteine plasmatiche rapidamente e non può essere quindi eliminata con questa tecnica; inoltre dopo la seduta dialitica una discreta quota di Cp si riversa nel plasma proveniente dalla quota mobilizzata dal pool scambiabile intracellulare.
La TPA sembra in grado di rimuovere sia la quota legata alle proteine che la foma libera; sono state condotte con successo 3-4 sedute di TPA scambiando 3 Litri di plasma. [17]

 

Arsenico

L’arsenico (As) esiste in forme inorganiche (Gas arsine, arsenito e arseniato) e in forma organiche (As trivalente e As pentavalente).
Una esposizione a dosi elevate di arsenico può causare severa tossicità sistemica e un rapido deterioramento delle condizioni generali fino al decesso.

Fonti di Esposizione
Le forme più tossiche sono rappresentate da AS trivalente e dallo arsenico; erbicidi, pesticidi, rimedi omeopatici e acqua cibi contaminati sono fonti comuni di intossicazione.

Meccanismi di danno renale
I composti dell’AS sono ben assorbiti dopo l’ingestione o l’inalazione; dal torrente ematico vengono strettamente legati alla emoglobina; dopo 24 ore si accumula nei tessuti molli; dopo 2 settimane AS viene incorporato nei capelli e nelle unghie.
L’AS trivalente, la forma più tossica, si lega avidamente ai gruppi sulfidrilici e interferisce con numerosi enzimi, inibendo la catena respiratoria e disacoppiando la fasforilazione ossidativa. [8]

Caratteristiche Cliniche e laboratorio

Esposizione Acuta
L’esposizione acuta può manifestarsi dopo ingestione o inalazione di elevate quantità di polveri di arsenico o in tentativi di avvelenamento o condotte suicidarie. I sintomi includono nusea, vomito, dolore addominale e diarrea. Questi sintomi solo seguiti celermente da un rash maculo-papulare diffuso, disidratazione, instabilità emodinamica e distress respiratorio.
AKI può presentarsi con anuria e necrosi tubulare acuta, proteinuria, ematuria; il danno renale viene ampliato dalla ipotensione e dalla emolisi. [18]

Esposizione Cronica
Nella esposizione cronica la neuropatia periferica e la encefalopatia con deficit cognitivo sono le manifestazioni predominanti.

Indagini di Laboratorio
Nelle intossicazioni acute la misurazione dei livelli urinari di AS sono più importanti dei livelli ematici in quanto As viene rapidamente eliminato dal sangue. L’escrezione di più di nelle urine delle 24 ore è suggestivo di tossicità da AS: l’esposizione cronica viene confermata anch’essa dalla concentrazione urinaria nelle urine delle 24 ore.

Trattamento della Intossicazione Acuta

Misure di Supporto
Il primo passo è rappresentato dalla eliminazione della fonte di esposizione; la decontaminazione gastrointestinale con carbone attivo e la diuresi forzata sono fortemente raccomandate, con particolare riguardo alle performances cardiovascolari e alla somministrazione di elettroliti.

Agenti Chelanti
In pazienti critici, con severe intossicazioni è raccomandabile l’utilizzo del BAL e dello DMS, che rappresentano i chelanti più utilizzati.

Tecniche Dialitiche
HD ha capacità molto limitate nella rimozione dello AS ma è utile nella rimozione dei chelanti, nefrotossici; inoltre rappresenta la terapia di primo impiego nei casi di AKI da intossicazione da AS. CVVH e la emodiafiltrazione veno-venosa continua (CVHDF)con membrane ad elevate performances depurative vengono preferite qualora emergesse instabilità emodinamica; le emotrasfusioni vengono spesso utilizzate nelle intossicazioni severe da AS, spesso insieme alle tecniche dialitiche extracorporee. [18] LA DP e la EP sono inefficaci e pertanto non vengono utilizzate.

 

Litio

Il litio (Li) in forma di carbonato è comunemente prescritto nel trattamento del disturbo maniaco depressivo bipolare; il Li può causare elevata tossicità.

Fonti di Esposizione
L’ingestione di Li può avvenire sia nelle terapie croniche che in caso di sovradosaggio accidentale o a scopo suicidario; la terapia antidepressiva può inoltre comportare una eccessiva e prolungata esposizione.

Meccanismi di Danno Renale
Il Li carbonato è quasi del tutto completamente assorbito e distribuito entro 8 ore nello spazio intravascolare; quindi vi è una repentina scomparsa dal plasma e una lenta fase escretoria; il 95% della dose viene infatti eliminata con le urine tra il 30 % e il 60% nelle prime 12 ore e dal 70 al 40% nei successivi 10-14 giorni. Li è uno ione di piccole dimensioni non legato alle proteine; quindi la sua diffusibilità tra i compartimenti intra ed extracellulari è molto lenta. [19]

Caratteristiche Cliniche e di laboratorio
Il paziente con intossicazione acuta da Li presenta stupor, tremori, confusione, instabilità emodinamica, vomito, diarrea, iperreflessia e AKI, spesso con poliuria e cilindri nel sedimento. L’ingestione cronica di LI è inoltre una causa comune di diabete insipido nefrogenico, acidosi tubulare renale, sindrome nefrosica (minimal change e glomeruloscleori focale e segmentale)nonché nefropatia cronica intersitiziale. [19]

Indagini di laboratorio
Il range terapeutico del Litio è 0.4-1.2 mmol/L: valori superiori a 1.2 mmol/L sono da intendersi come tossici; anche valori all’interno del range terapeutico non permettono di escludere una eccessiva esposizione. [19]

Trattamento della Intossicazione acuta
Misure di Supporto

La lavanda gastrica e la somministrazione degli emetici va effettuata entro 8 ore dalla overdose acuta; i pazienti con funzione renale normale devono essere trattati con la rapida infusione di soluzione fisiologica per incrementare l’eliminazione urinaria di Litio; se il paziente presenta segni di intossicazione con coma, convulsioni e insufficienza renale acuta è necessario ricorrere celermente ad trattamento depurativo extracorporeo. E’ raccomandabile un adeguato supporto ventilatorio ed emodinamico.

Agenti chelanti
Non sono attualmente disponibili agenti chelanti specifici per la intossicazione da Li .

Terapie Dialitiche
Per implementare l’eliminazione del Li quando I livelli ematici sono superiori a 3.5 mmol/l, come in caso di intossicazione acuta , varie modalità dialitiche sono in grado di garantire risultati adeguati; essendo una molecola di piccole dimensioni e non legata a proteine Li viene rapidamente rimosso dalla HD con simultanea correzione dell’equilibrio acido base e dei disordini elettrolitici. La HD ad elevata efficienza è il trattamento di prima scelta.
Le tecniche miste diffusive e convettive come la emodiafiltrazione e la dialisi con membrane ad alto flusso (I.e polisulfone, poliamide, polimetilmetacrilato (PMMA) sembrerebbero garantire uguale efficienza e rappresentano una utile alternativa alla HD nella intossicazione acuta da Li. L’efficienza della terapia dialitica intermittente è limitata però da un elevato rebound post dialitico dei livelli di Li, a causa dello shift della molecole dallo spazio intracellulare.
Il Li può essere rimosso con la PD sebbene la clearance sia minore che in HD. PD potrebbe essere considerata una alternativa solo qualora la HD non sia eseguibile. [20] Le esperienze in merito all’utilizzo della EP su carbone attivo o su resina è molto limitato; queste tecniche pertanto non vengono utilizzate .
La CVVH e la CVVHDF presentano un buon tasso di depurazione ematica e controllano in modo adeguato il rebound post-dialitico; tuttavia in caso di intossicazione acuta non riducono cosi rapidamente i valori ematici di Li come in HD; pertanto il trattamento ideale sembrerebbe rappresentato dalla combinazione della HD che assicura una rapida rimozione del Li seguita da CVVH che ottimizzerebbe il rebound post-dialitico. [20]

 

Altri metalli pesanti

Vi sono pochi lavori che riportano casi di AKI causati da intossicazione acuta da altri metalli; uranio, bismuto, tallio, cromo, ram, alluminio e vanadio sono occasionalmente responsabili di severe intossicazioni acute, spesso con necessità di supporto emodinamico e respiratorio; il trattamento di in questi casi non è ben codificato [21-22] (Tab 2)

Terapia Dialitica e chelante nella Intossicazione acuta da Metalli Pesanti [22]
METALLO HD PD CVVH CVVHDF TPE HP CHELANTE
Arsenico HD + DMSA or HD + BAL PD + DMSA or PD + BAL ? ?   ?   ? BAL, DMSA,

D-penicillamine

Barium             SI SI ? SI   ?   ?
Bismuto            SI SI ? ?   ?   ? BAL, DMSA, DMPS
Cadmio           No No No No No No Calcium-EDTA
Rame HD+Dpenicillamina ? ? CVVHDF+Dpenicillamina No SI D-penicillamine, BAL
Piombo            No No No No   ?   No Calcium-sodium-EDTA, BAL, DMSA
Litio             SI SI SI SI No No No
Mercurio           No No No CVVHDF + DMPS ? No BAL, DMSA, DMPS (inorganic only)
Platino           SI SI ? ? SI No No
Thallio HD + Blue Prussia ? ? ? No No Blue Prussia
BAL,(dimercaprolo); CVVH (continuous venovenous hemofiltration); CVVHDF (continuous venovenous hemodiafiltration); DMPS (dimercapo-1-propano sulfonato); DMSA, (acido dimercaptosuccinico); EDTA, (acido etilenediamino tetra-acetico); HD (emodialisi); HP (Emoperfusione); PD,(Dialisi Peritoneale); TPE, (therapeutic plasma exchange)
Tabella 2 Terapia Dialitica e chelante della Intossicazione acuta da MP, adattata da Lentini P Critical Care Nephrology Book 3rd edition)

 

Biomarkers e danno Renale

Le note limitazioni temporali della creatinina ematica come indice di alterata funzionalità renale hanno portato alla ricerca di marcatori urinari e plasmatici più precoci.
Uno dei biomarker più promettenti è la lipocalina associata alla gelatinosi neutrofila (neutrophil gelatinase-associated lipocalin-NGAL); elevati livelli di NGAL urinario sembrano predire il danno renale e la necessità di trattamento dialitico in lavoratori adetti alle saldature, nella elevata esposizione a cromo e piombo. [23] Peddemenas e coll hanno dimostrato che la presenza di elevati livelli urinari di KIM-1 (Kidney injury molecule) sono correlati positivamente con le concentrazioni urinarie di cadmio e il danno renale precoce da cadmio. [23]

Conclusioni

I progressi nella sicurezza delle produzioni industrtiali hanno reso la tossicità da metalli pesanti sempre meno frequente, specie nei paesi industrializzati; tuttavia rimane ancora una entità ben presente nei paesi in via di sviluppo; in presenza di una insufficienza renale acuta di cause sconosciuta, specie in presenza di una anamnesi suggestiva, di un incidente industriale ad elevato impatto ambientale o di una calamità naturale è doveroso proporre una diagnosi differenziale con la intossicazione acuta da MP; allo stesso modo, in presenza di una nefropatia di origine ignota o di anomali reperti urinari e, specie in assenza dei tradizionali fattori di rischio cardiovascolari, le intossicazioni croniche da MP dovranno essere comunque escluse.
La tossicità acuta differisce in modo netto dalla tossicità cronica nella presentazione clinica, nella diagnostica e nell’approccio terapeutico; i trattamenti depurativi, specie quelli extracorporei, anche se non specifici come la chelazione, si mostrano decisive nell’implementare il processo depurativo e contenere la tossicità dei chelanti.
L’uso delle CRRT, in particolare della CVVH della CVVHDF, seppur ancora non bene codificate sembrano mostrare i maggiori vantaggi depurativi in presenza di una intossicazione acuta specie in presenza di instabilità emodinamica.

 

Bibliografia

    1. Nossiter A. Notre-Dame Fired 4-15-19. New York Times July, 31 2019
    2. O’Donnell N New study looks at effects of heavy metals, other pollutants on rescue workers USA Today Jan 9, 2018
    3. Sabolic I. Common mechanisms in nephropathy induced by toxic metals. Nephron Physiol 2006;104:107–114.
    4. Barbier O, Jacquillet G, Tauc M, Cougnon M. Effects of heavy metals on and handling by the kidney. Nephron Physiol 2005;99:105–110.
    5. Jayasumana et al. Simultaneous Exposure to multiple heavy metals and glyphosate may contribute to Sri Lankan agricultural Nephropathy BMC Nephrology (2015) 16:103
    6. Correa-Rotter R et al CKD of Unknown Origin in Central America: the case of Mesoamerican Nephropathy Am J Kidney Dis. 63(3):506-520.
    7. Patrick L. Lead toxicity: A review of the literature. Part 1: Exposure, evaluation, and treatment. Altern Med Rev 2006;11:2–22.
    8. Fowler B. Mechanisms of kidney cell injury from metals. Environ Health Perspect 1992;100:57–63.
    9. Seyfart G. Poison Index: Heavy Metals Intoxication, (4th ed.). Berlin: Pabst Science Publishers, 1997; 90–97; 390-410.
    10. Pedersen RS. Lead poisoning treated with haemodialysis. Scand J Urol Nephrol 1978;12:189–190.
    11. Clarkson TW, Magos L, Myers GJ. The toxicology of mercury: Current exposures and clinical manifestations. N Engl J Med 2003;349:1731–1737.
    12. Zalups R. Molecular interactions with mercury in the kidney. Pharmacol Rev 2003;52:113–143.
    13. Pai P, Thomas S, Hoenich N, et al. Treatment of a case of severe mercuric salt overdose with DMPS (dimercapo-1-propane sulphonate) and continuous haemofiltration. Nephrol Dial Transplant 2000;15:1889–1890.
    14. Sauder P, Livardjani F, Jaeger A, Kopferschmitt J. J Toxicol Clin Toxicol 1998;26:189–197.
    15. Wu X, Jin T, Wang Z, et al. Urinary calcium as a biomarker of renal dysfunction in a general population exposed to cadmium. J Occup Environ Med 2001;43:898–904.
    16. Basnakian AG, Apostolov EO, Yin X, et al. Cisplatin nephrotoxicity is mediated by deoxyribonuclease I. J Am Soc Nephrol 2005;16:697–702.
    17. Hofman G, Bauernhofer T, Krippl P, et al. Plasmapheresis reverses all side-effects of a cisplatin overdose: A case report and treatment recommendation. BMC Cancer 2006;6:1–7.
    18. Aposhian HV, Maiorino RM, Dart DC. Biochemical toxicology of arsenic. Rev Biochem Toxicol 1989;10:265–271.
    19. Aurell M, Svalander C, Wallin L, Alling C. Renal function and biopsy findings in patients on long-term lithium treatment. Kidney Int 1981;20:663–670.
    20. Peces R, Fernàndez EJ, Regidor D, et al. Treatment of acute lithium intoxication with high-flux haemodialysis membranes. Nefrologìa 2006;26:372–378.
    21. Paul B Tchounwou, Clement G Yedjou, Anita K Patlolla, and Dwayne J Sutton. Heavy Metals Toxicity and the Environment. Molecular, Clinical and Environmental Toxicology 2012;101: 133-164
    22. Lentini P et al Heavy metals, Lead an the Kidney. Critical Care Nephrology Book , 3rd edition 1324-1330 , 2019.
    23. Valérie Pennemans, Liesbeth M De Winter, Elke Munters et al The association between urinary kidney injury molecule 1 and urinary cadmium in elderly during long-term, low-dose cadmium exposure: a pilot study. Environmental Health 2011, 10:77.

Un mondo sempre più complesso: tossici ambientali e nefropatie

Abstract

Si stima che siano circa 70.000 le persone alle quali, ogni anno in Italia, viene diagnosticata una nefropatia direttamente o indirettamente causata dall’inquinamento ambientale di aria, acqua e suolo. In aggiunta a descrivere alcuni aspetti epidemiologici delle nefropatie in Italia, vengono qui  prese in esame le evidenze prodotte in tema di  inquinamento e malattie renali dovute alla presenza di sostanze nefrotossiche disperse negli ambienti di vita quotidiana.

Introduzione: La dimensione epidemiologica delle nefropatie in Italia

Nella decima Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-10) le malattie dell’apparato urinario sono classificate nel capitolo XIV, sezione N, e suddivise in 40 gruppi omogenei da N00 a N39 per le malattie non neoplastiche; nella sezione II, gruppi C64-C68 per le 5 categorie di tumori che colpiscono l’apparato urinario. Si tratta di una specificazione importante, che introduce alla dimensione epidemiologica delle centinaia di nefropatie in generale, e alla loro vasta diversità in particolare (ICD-10). Alle malattie non tumorali del rene e dell’uretere sono attribuiti più di 10.000 morti annue in Italia, dove rappresentano la 12° causa di morte. A queste morti si aggiungono i circa 4.000 decessi causati dai tumori del rene e dell’uretere (ISTAT 2017). In questo contesto, le malattie croniche renali ei tumori del rene e dell’uretere meritano un cenno a parte. In Italia, dati dallo studio CARHES permettono di stimare che circa l’8% della popolazione sia affetta da una malattia cronica renale (MCR) di stadio 1-5 [1], mentre sono circa 13.500 le persone (9.000 uomini e 4500 donne) che si ammalano ogni anno di tumori renali [2]. Altri importanti parametri che caratterizzano l’epidemiologia della malattia cronica renale includono le persone  sottoposte a dialisi (tra 15 e 20 ogni 100.000 abitanti in Friuli Venezia Giulia), quelle sottoposte a trapianto di rene – erano 2117 nel 2018 in tutta Italia [3] e le circa 126.000 persone viventi in Italia dopo diagnosi di tumore renale (AIOM 2018). In sintesi, numeri e costi delle nefropatie in Italia possono essere così riassunti:

  • 8%-10% della popolazione vive con una malattia renale cronica (=5/6 milioni di cittadini);
  • 000 Italiani in dialisi sostitutiva renale;
  • 000 nuovi casi annui di tumori renali;
  • 000 persone viventi dopo diagnosi di tumore renale:
  • 000 morti annui per nefropatie;
  • 500 morti annui per tumori renali;
  • Costo della dialisi: da 29.800€/persona/anno (Peritoneale) a 43.800€/persona/anno (Esterna)
  • Trapianto: 52.000€ /persona primo anno;
  • 15.000€/persona/anno dopo il trapianto
  • Trattamento tumore renale: 20.000-40.000 + le spese di follow-up

Le nefropatie, nel complesso, rappresentano quindi un gruppo di patologie che colpiscono una larga parte della popolazione italiana con alti costi economici.

 

I principali tossici ambientali

In Italia, su circa 12.000 aree a rischio ambientale/sanitario 58 siti sono stati censiti ad alto interesse nazionale per le bonifiche ambientali, di cui due situati in Friuli Venezia Giulia (Figura 1). Gli studi ambientali compiuti in questi siti sono stati di grande ausilio per monitorare sia la presenza dei principali tossici ambientali (Figura 1; Tabelle 1,2,3) che lo stato di salute delle popolazioni che vivono in prossimità di tali aree ad alto rischio ambientale [4].

Mappa dei 58 siti italiani a rischio ambientale sanitario
Figura 1: Mappa dei 58 siti italiani a rischio ambientale sanitario
Caratteristiche e fonti emissive dei particolati
Tabella 1: Caratteristiche e fonti emissive dei particolati. Epidemiol Prev 2013; 37(4-5) suppl 2: 1-86
Caratteristiche e fonti emissive degli inquinanti gassosi
Tabella 2: Caratteristiche e fonti emissive degli inquinanti gassosi (Fonte: EPI PREV..) Epidemiol Prev 2013; 37(4-5) suppl 2: 1-86
Inquinanti atmosferici classificati in base alla sorgente emissiva
Tabella 3: Inquinanti atmosferici classificati in base alla sorgente emissiva

Come si può evincere dalle figure e dalle tabelle sopra presentate e tratte dal volume “Inquinamento Atmosferico e salute Umana” pubblicato come supplemento alla rivista Epidemiologa e Prevenzione nel 2013, sono centinaia i tossici ambientale che inquinando l’aria, il suolo, e l’acqua mettono a rischio la salute umana causando vari tipi di malattie, incluse le nefropatie.  Nell’insieme degli inquinanti, vanno menzionati i tossici del suolo e del sottosuolo (Antimonio, Arsenico, Berillio, Cadmio, Cobalto, Cromo totale, Cromo esavalente, Mercurio, Piombo, Nichel, Zinco, Cianuri, Rame, Vanadio, Idrocarburi, IPA, Benzene, Xilene), tra i quali gli inquinanti maggiormente presenti sono gli IPA e i metalli pesanti; gli inquinanti delle acque (Arsenico, Selenio, Alluminio, Ferro, Manganese, Nichel, Piombo, Cianuri, Cobalto, Cromo totale, Cromo esavalente, Solfati, Nitriti, BTEX, alifatici clorurati cancerogeni e non cancerogeni, IPA singoli e totali, e Idrocarburi); e gli inquinanti dell’aria elencati in tabella 2 tra i quali un cenno particolare per la loro ubiquità meritano i particolati (PM).

superamento dei limiti giornalieri per PM10 in varie città Italiane
Tabella 4: superamento dei limiti giornalieri per PM10 in varie città Italiane

Come si può vedere dalla tabella 4, sono molte e città italiane in cui i livelli di PM10 (i particolati sono classificati in base alle dimensioni delle particelle – p-es-. PM10 sono le particelle di diametro 10 micron, PM2.5 di diametro 2.5 micron, il particolato fine più pericoloso per la salute) hanno superato i limiti giornalieri previsti dalla legislazione corrente. Ai fini della salute umana, è necessario qui segnalare la discrepanza per quanto riguarda la concentrazione di PM10 e di PM2.5 nell’aria  tra i limiti di legge e le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) [4].  Per esempio, mentre le direttive europee prevedono per il PM10 una concentrazione media annuale di 40ug/m3 , le raccomandazioni dell’OMS indicano che essa non sia superiore a 20ug/m3 . È evidente che la misura dei potenziali danni sanitari varia a seconda che si prendano in considerazione i limiti delle direttive europee o le raccomandazioni dell’OMS.   

 

Tossici ambientali e nefropatie, evidenze epidemiologiche

In generale, si stima che l’inquinamento atmosferico da PM2.5  sia la quinta causa di morte nel mondo con circa 4.2 milioni di decessi attribuibili (7.6% di tutte le morti).

www.thelancet.com Vol 389 May 13, 2017

Per quanto riguarda, invece, le malattie croniche renali,  è stato stimato che l’inquinamento da PM2.5, nel 2016, abbia causato 6.950.000 malattie come descritto in tabella 5

Bowe B, et al. BMJ Open 2019;9:e022450. doi:10.1136/bmjopen-2018-022450

MONDO: 6.950.000 (101/105)
INDIA: 1.092.000 (108/105)
CINA: 766.000 (49/105)
NIGERIA: 195.000 (200/105)
RUSSIA: 170.000 (83/105)
USA: 163.000 (35/105)
BANGLADESH: 136.000 (121/105)
GIAPPONE: 135.000 (45/105)
PAKISTAN:107.000 (89/105)
INDONESIA: 77.000 (45/105)
ITALIA: 72.000 (56/105)
BRASILE: 69.000 (37/105)
Tabella 5: Numero di casi incidenti e tasso di incidenza per malattie renali croniche causate dal PM2.5

E’ interessante sottolineare che se le raccomandazioni dell’OMS fossero rispettate, il numero di malati nel mondo per malattie renali croniche sarebbe inferiore del 28% a quello stimato per gli attuali livelli di inquinamento da PM2.5. Ciò significa che, in Italia, nel 2016 avremmo avuto  48.000 casi di malattie renali croniche anziché 72.000 (-33%).

Negli Stati Uniti, uno studio di coorte con follow-up medio di 8.5 anni condotto tra  2,482,737 veterani ha valutato l’associazione tra PM2.5e rischio di  filtrato glomerulare (60 ml/min per 1.73mq); incidenza di malattie croniche renali ed end stage kidney disease [5]. I risultati hanno dimostrato che un aumento di 10ug/m3 in PM2.5 implica:

  • 21% di aumento del rischio di filtrato glomerulare;
  • 27% di aumento rischio di malattia cronica renale
  • 26% di aumento rischio di end stage kidney disease
  • diminuzione della sopravvivenza

La tabella 6 tratta da una revisione molto esaustiva di cui si consiglia la lettura per un approfondimento del tema qui trattato- sintetizza  gli effetti dell’inquinamento da metalli pesanti sulle malattie renali.

Effetti di alcuni metalli pesanti sulle malattie renali
Tabella 6: Effetti di alcuni metalli pesanti sulle malattie renali. Xin Xu et al. Nature Reviews Nephrology 2018; 14(5):313 e segg.”

In particolare, va notato che per un numero elevato di pesticidi il cui uso è molto diffuso in agricoltura è dimostrata la loro nefrotossicità, tra cui paraquat, glifosato e insetticidi a base di organo clorine. Inoltre, alcuni studi hanno associato l’esposizione a sostanze chimiche di uso industriali (quali gli ftalati, il bisfenolo A e gli acidi perfluoroakilici presenti negli shampoo,  nei cosmetici e nelle confezioni dei cibi) [6].

In Italia, lo studio epidemiologico SENTIERI condotto nelle 58 aree a rischio ambientale ha riportato alcune evidenze suggestive di una associazione tra esposizione a metalli pesanti e malattie  renali in   aree quali Taranto e il Litorale Flegreo e Agro Aversano (dove è stato registrato un eccesso di mortalità per insufficienza renale del 12% tra i maschi e dell’8% nelle donne).

 

Conclusioni

In questa rassegna è stata esaminata la dimensione epidemiologica delle malattie renali in Italia, la dimensione dell’inquinamento ambientale di aria acqua e suolo e le evidenze scientifiche che associano l’esposizione umana a tossici ambientali con le nefropatie. Nell’insieme emerge con chiarezza che l’inquinamento ambientale  sia associato, ogni anno in Italia, a circa 70.000 casi di nefropatie che potrebbero essere ridotte del 33% se i limiti della Unione Europea fossero coerenti con le raccomandazioni dell’OMS in tema di inquinamento ambientale.

 

Bibliografia

  1. Garofalo C et al, Giornale Italiano di Nefrologia, 2012, Supplemento 58:S3-S11
  2. AIOM/AIRTUM: I Numeri del Cancro in Italia, 2019. Pagine 190-191
  3. Report 2018 del Centro Nazionale Trapianti
  4. Epidemiol Prev 2013; 37(4-5) suppl 2: 1-86
  5. J Am Soc Nephrol 29; 218-230, 2018
  6. Xin Xu et al. Nature Reviews Nephrology 2018; 14(5):313 e segg.

Indici di predittività di maturazione della fistola artero-venosa per emodialisi nel mapping vascolare preoperatorio

Abstract

La fistola artero-venosa (FAV) rappresenta l’accesso vascolare di prima scelta per il trattamento emodialitico, il suo allestimento non può prescindere da una corretta valutazione preoperatoria finalizzata ad individuare i vasi eleggibili e a stimare la possibilità di riuscita dell’intervento. L’eco-color Doppler fornisce una serie di dati morfologici e funzionali in grado di ottimizzare il numero di accessi vascolari utilizzabili ai fini dialitici. Scopo dello studio è stato quello di individuare parametri eco-color Doppler preoperatori in grado di predire la maturazione della FAV. Sono stati arruolati 44 pazienti, allestite 44 FAV. In fase preoperatoria sono stati valutati: il calibro della vena cefalica e dell’arteria radiale; la portata dell’arteria radiale; il calibro, gli indici di resistenza e la portata dell’arteria omerale. È stato inoltre eseguito il test di iperemia reattiva. La valutazione postoperatoria condotta a 30 giorni dall’allestimento della FAV ha misurato: la portata della FAV; gli indici di resistenza dell’arteria omerale; il calibro della vena efferente dalla FAV. I risultati hanno mostrato una correlazione tra la portata della FAV e il calibro della vena cefalica, il calibro dell’arteria radiale e dell’arteria omerale. La portata dell’accesso vascolare correlava inoltre con la riduzione degli IR dopo test dell’iperemia e, in fase postoperatoria, con il calibro della vena cefalica efferente l’anastomosi. Suddivisi i pazienti in due gruppi: gruppo “A” (pazienti con FAV mature) e gruppo “B” (pazienti con FAV non mature), si sono evidenziate differenze statisticamente significative tra i dati eco-color Doppler dei due gruppi. La creazione di curve ROC ha permesso di individuare parametri e valori cut-off (Δ IR = 0.15; Δ portata = 150 ml/m) capaci di predire il buon esito della FAV. In conclusione, lo studio identifica misure che potrebbero essere utili, assieme ad altre, per la realizzazione di uno score in grado di predire il buon esito dell’accesso vascolare.

Parole chiave: eco-color Doppler, fistola artero-venosa, indici di resistenza, portata della fistola, iperemia reattiva

Introduzione

L’insufficienza renale cronica (IRC) è uno stato di malattia di grande impatto sulla sanità pubblica: il numero di pazienti è in costante ascesa a causa dell’aumento dell’età della popolazione generale e delle patologie ad essa correlate, quali ipertensione e diabete tipo 2. Si stima che circa 850 milioni di persone nel mondo siano affette da IRC e, di conseguenza, risulta in costante incremento il numero di pazienti con malattia renale che necessita del trattamento emodialitico [1].

Come è noto, l’accesso vascolare di prima scelta per l’esecuzione della terapia dialitica è rappresentato dalla fistola artero-venosa con vasi nativi in considerazione di una minore incidenza di complicanze infettive e trombotiche; di una ridotta morbilità e mortalità; una maggiore durata se confrontata agli innesti protesici ed ai cateteri venosi centrali [23].

Il buon funzionamento della FAV è uno degli obiettivi più importanti per migliorare la qualità di vita e delle prestazioni sanitarie dei pazienti in trattamento emodialitico. Le linee guida internazionali raccomandano un adeguata valutazione preoperatoria del patrimonio vascolare del paziente che ormai non può più prescindere dall’utilizzo dall’indagine eco-color Doppler [4]. L’esame deve essere eseguito in maniera metodica, con la raccolta di una serie di informazioni morfologiche e funzionali delle strutture vascolari che vengono valutate [3]. L’uso dell’imaging eco-color Doppler da parte dello specialista ha consentito di incrementare il numero di pazienti eleggibili per l’intervento di allestimento di FAV utilizzando vasi nativi grazie al mapping vascolare pre-operatorio, che consente di identificare strutture vascolari adatte [59].

 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.