Nuova mutazione di CYP24A1 in un caso di ipercalcemia idiopatica infantile diagnosticata nell’adulto

Abstract

Mutazioni nel gene 24-idrossilasi CYP24A1 sono state riconosciute quali cause di ipercalcemia idiopatica infantile (IIH), una malattia rara (incidenza <1:1.000.000 nati vivi) [1] caratterizzata da aumento della sensibilità alla vitamina D [2], con ipercalcemia severa sintomatica.
IIH è stata descritta per la prima volta in Gran Bretagna a distanza di due anni dall’inizio di un programma di supplementazione di vitamina D nel latte per la prevenzione del rachitismo, manifestandosi in circa 200 bambini con severa ipercalcemia, disidratazione, difetto di accrescimento, perdita di peso, ipotonia muscolare e nefrocalcinosi [3].
L’associazione tra la comparsa epidemica di IIH e la somministrazione di vitamina D è stata rapidamente attribuita a ipersensibilità intrinseca alla vitamina D [4], e il meccanismo patogenetico è stato riconosciuto nell’inattivazione del Citocromo P450 famiglia 24 sottofamiglia A membro 1 (CYP24A1), che è stata identificata come base molecolare della patologia [5].
Lo spettro fenotipico della mutazione di CYP24A1 può essere variabile, manifestandosi prevalentemente con esordio infantile e sintomatologia severa (ipercalcemia severa, ritardo di crescita, letargia, ipotonia muscolare, disidratazione), ma anche con forme a insorgenza in età giovanile-adulta con nefrolitiasi, nefrocalcinosi e alterazioni dell’omeostasi fosfocalcica [6].
Descriviamo il caso di un paziente in cui la diagnosi di IIH è stata posta in età adulta, presentandosi con riscontro di nefrocalcinosi in età infantile, e con comparsa successiva di ipercalcemia severa con ipercalciuria, ipoparatiroidismo, ipervitaminosi D e litiasi renale ricorrente.
L’indagine genetica ha rilevato la presenza in omozigosi della variante c_428_430delAAG_p.Glu143del nel gene CYP24A1 a trasmissione autosomica recessiva, mutazione non segnalata in letteratura.

Parole chiave: CYP24A1, ipercalcemia idiopatica infantile, vitamina D, Nefrocalcinosi

Caso clinico

Paziente maschio, 32 anni, 70 kg di peso, etnia albanese, figlio di genitori non consanguinei.

Anamnesticamente intervento urologico imprecisato a livello del rene sinistro in età pediatrica, verosimilmente rimozione di calcolo ostruente.  All’età di 18 anni posta diagnosi di nefrocalcinosi, confermata a successivi controlli ecografici.

Nel giugno 2022 all’età di 32 anni, un accesso in Pronto Soccorso per malessere generalizzato e riscontro agli esami di Ca 13,6 mg/dL, albumina 54 g/L, urea 70 mg/dL, creatinina 1,47 mg/dL. Non assunzione di vitamina D a scopo profilattico.

Ecograficamente era presente quadro di nota nefrocalcinosi bilaterale e idronefrosi destra sostenuta da calcolo in uretere prossimale. Ricoverato presso la Nefrologia, gli esami di laboratorio confermavano la presenza di ipercalcemia 10,9 mg/dL (vn 8.6-10.2 mg/dL) con PTH soppresso 6 ng/l (vn 15-65 ng/L), ipercalciuria 500 mg/die (vn 100-300 mg/24 ore), normale fosfaturia 1,11 g/die (vn 0,4-1,3 g/24 ore). Il paziente è stato trattato con idratazione endovena 1,5 mL/kg di peso, Metilprednisolone e Clodronato, ottenendo la progressiva normalizzazione della calcemia e della funzione renale, e dimesso con indicazione a litotrissia in elezione e ulteriore follow-up dell’ipercalcemia.

Nuovo ricovero nel luglio 2022 per la comparsa di lievi parestesie e astenia agli arti inferiori bilateralmente, non ulteriori disturbi soggettivi, era presente recidiva di ipercalcemia 11,2 mg/dL, alterazione della funzione renale con creatinina 1,24 mg/dl, VFG 78 mL/min, vitamina D 56,1 Ug/L (vn >20,0) per cui veniva impostata terapia idratante endovena associata a steroide dapprima, endovena e poi per os. Durante il ricovero espulsione di calcolo ostruente misto composto da ossalato e fosfato di calcio.

Durante il follow-up sono state escluse le principali cause di ipercalcemia (neoplasie, metastasi, intossicazione da vitamina D, malattie granulomatose, ipercalcemia da farmaci, ipertiroidismo, feocromocitoma, iposurrenalismo e patologie da aumentato turnover osseo).

In considerazione della presenza di nefrocalcinosi già in età adolescenziale abbiamo ipotizzato una sottostante patologia a trasmissione genetica, ed è stato quindi eseguito test genetico nell’ambito dei geni coinvolti nel metabolimo osteocalcico.

L’analisi molecolare di sequenziamento genetico ha rilevato la presenza in omozigosi della variante c_428_430delAAG_p.Glu143del nel gene CYP24A, che consiste in una delezione in-frame classificabile come variante probabilmente patogenetica di ipercalcemia idiopatica infantile tipo 1 a trasmissione autosomica recessiva.

I figli del paziente sono attesi portatori eterozigoti della variante CYP24A1, data la rarità della mutazione e l’assenza di consanguineità tra i genitori. Per le stesse ragioni, pur non essendo stata eseguita l’indagine genetica sui genitori del malato si ipotizza che siano portatori sani dell’alterazione del gene CYP24A1 e che il paziente abbia ereditato entrambe le copie mutate del gene sviluppando la malattia.

Attualmente la condizione clinica del malato è di stabilità con litiasi multipla non ostruente, normale calcemia (10,2 mg/dL) e calciuria (105 mg/24), PTH soppresso (8 pg/mL) e Vit D 41 ug/L. Il paziente è in trattamento con metilprednisolone 10 mg per os, dieta a basso contenuto di calcio ed elevato apporto idrico con acqua a basso residuo fisso; gli è stata consigliata una bassa esposizione alla luce solare e l’eventuale utilizzo di creme schermanti per prevenire il conseguente accumulo di vitamina D attiva (seppure l’elevata quantità di crema necessaria e l’elevata frequenza di applicazione necessaria rendano questo provvedimento di difficile attuazione).

 

Discussione

La vitamina D endogena (colecalciferolo) si forma nella cute per fotolisi UV mediata (lunghezza d’onda ottimale compresa tra 250-300 nm, tipica dell’esposizione solare che non produce ustioni della cute) dell’anello B dello sterolo precursore 7-deidrocolesterolo, originando pre-vitaminaD3 che si equilibra termicamente in vitamina D3 [7].

La vitamina D3 viene metabolizzata nei microsomi epatici e nei mitocondri a 25-idrossivitamina D3 [[25(OH)D3]] dalla vitamina D3-25-idrossilasi. 25(OH)D3 (sia libera che legato alla proteina legante la vitamina D) è il principale metabolita circolante della vitamina D3.

In presenza di bassi livelli di calcemia, 25(OH)D3 viene metabolizzata dalla 25-idrossivitamina D3-1α-idrossilasi nel metabolita della vitamina D biologicamente attivo 1α,25-diidrossivitamina D3 [1α, [25(OH)2D3]], nel rene tramite reazioni PTH-dipendenti [8].

CYP24A1 è un enzima espresso sulla membrana interna mitocondriale presente in molti tessuti compreso quello osseo, renale, cutaneo e intestinale [9] che catalizza la conversione, attraverso multiple idrossilazioni a livello di C23 o C24, della forma attiva 1,25(OH)2D3 rispettivamente nel lattone 1,25(OH)2D3 23,26 e nel catabolita biliare acido calcitroico. Inoltre, CYP24A1 trasforma il metabolita 25(OH)D3 in 24,25(OH)D3 e successivamente nel catabolita acido calcitrioico idrosolubile. È inoltre considerato un oncogène, in quanto espresso in diverse linee tumorali nel cancro della mammella, del colon, del polmone e della prostata [10].

Le mutazioni con perdita di funzione nel gene CYP24A1 sono note per essere i fattori genetici alla base dell’ipercalcemia idiopatica infantile (IIH). Recentemente, anche difetti nel gene SLC34A1, che codifica per il trasportatore renale del sodio-fosfato NaPi-IIa, sono stati associati alla malattia. Sono state identificate due forme di IIH, tipo 1 legata a alterazioni genetiche di CYP24A1, e tipo 2 legata a difetto genetico di SLC34A1, sempre caratterizzata da aumento dei livelli sierici di metaboliti attivi della vitamina D ma con presenza di ipofosfatemia e iperfosfaturia [11].

Nella stretta regolazione del metabolismo del calcio, l’ipocalcemia riduce l’espressione di CYPA24A1, mentre l’effetto opposto viene esercitato dal 1,25(OH)2D3 che con un feedback positivo regola tramite l’espressione genica di CYP24A1 il suo catabolismo.

Molti studi sono stati condotti su topi geneticamente modificati, e in particolare nei topi Cyp24a1-null nei quali la perdita di funzione nel gene CYP24A1 determina un aumento dei livelli di 25(OH)D3 e 1,25(OH)2D3, ai quali segue un aumento dell’assorbimento intestinale del Ca++ e del riassorbimento osseo. Il conseguente fenotipo ipercalcemico è la causa principale delle manifestazioni cliniche di IIH.

L’IIH colpisce tipicamente i neonati e i pazienti pediatrici con una sindrome caratterizzata da grave ipercalcemia, ipercalciuria, soppressione del livello di ormone paratiroideo e nefrolitiasi. Nei portatori di SLC34A1 mutati IIH tipo 2, l’ipofosfatemia è un tratto biochimico tipico. L’IIH può essere diagnosticata in età adulta, causando un aumento del rischio di nefrocalcinosi e di complicanze renali. L’ampia variabilità fenotipica del difetto genetico determina per la presenza in omozigosi una malattia più severa, mentre può provocare nei soggetti eterozigoti alterazioni latenti del metabolismo della vitamina D in grado di predisporre nel lungo termine alla formazione di calcoli.

La litiasi associata a difetti nella funzione del CYP24A1 è al momento supportata da molti studi sperimentali. Deficit enzimatici di CYP24A1 sono presenti in una percentuale compresa il 4% e il 20% di tutti i pazienti formanti calcoli di calcio [12].

In presenza del difetto genetico la malattia può essere slatentizzata da molti fattori ambientali, tra i quali i principali sono l’assunzione di vitamina D e l’esposizione al sole.

Sono stati in particolare gli studi di Schlingmann a descrivere come soggetti portatori asintomatici di mutazione di CYP24A1 potessero rapidamente manifestare il quadro clinico di ipercalcemia idiopatica infantile dopo la somministrazione profilattica ad alte dosi di vitamina D.

Per l’esposizione alla luce solare è stata documentata in soggetti affetti da IIH una significativa variabilità stagionale nella comparsa di sintomatologia clinica nei mesi di maggiore insolazione, con maggiore ipercalcemia, ipercalciuria, e depressione dei livelli di PTH [13 – 15].

La terapia comprende tutte le strategie volte alla correzione dell’ipercalcemia (elevata idratazione, prednisolone, calcitonina, difosfonati). In questi pazienti è necessaria la sospensione di ogni forma di supplementazione di vitamina D, o l’interruzione del trattamento se già in essere, la somministrazione di una dieta a basso contenuto in calcio e la limitazione dell’esposizione alla luce solare.

Il trattamento con ketoconazolo, o in alternativa con fluconazolo, antimicotici imidazolici che inducono il blocco di numerosi enzimi dipendenti dal citocromo P450, sono in grado di inibire la 25-idrossivitamina D-1α-idrossilasi, riducendo i livelli di 1,25-(OH)2D3 e normalizzando il calcio [16], non solo nell’iperparatiroidismo primario e nei disturbi granulomatosi, ma anche nei pazienti con deficit di 24-idrossilasi [17], e sono stati proposti come terapia a lungo termine; tuttavia, la sicurezza del trattamento deve essere comprovata.

Recentemente è stato proposto il trattamento con rifampicina, che inducendo l’espressione di CYP34A4 [18], fornisce una via alternativa per il catabolismo dei metaboliti della vitamina D nei pazienti con mutazione di CYP24A1.

 

Conclusioni

Nel caso presentato la diagnosi è stata possibile solo grazie all’indagine genetica, alla quale si è giunti dopo esclusione di altre patologie causanti ipercalcemia, nel sospetto clinico di malattia genetica coinvolgente il metabolismo fosfocalcico.

La specifica variante è stata riportata come probabilmente patogenetica (per MAF totale massima inferiore alla frequenza stimata della patologia associata al gene CYP24A1; per essere variante in-trans con altra variante probabilmente patogenetica; come delezione in-frame, per alterare la lunghezza della proteina codificata; per essere riportata come patogenetica in una fonte attendibile) e viene descritta per la prima volta in letteratura.

Nel nostro paziente il fattore scatenante la malattia è rappresentato dall’elevata esposizione alla luce solare in relazione alla propria attività lavorativa; infatti, pur presentato modesti segni clinici riconducibili ad alterazioni del metabolismo calcio-fosforo in età pediatrica, la malattia conclamata si è verificata in età adulta nel periodo di massima insolazione, uno dei trigger più rilevanti per l’estrinsecazione della patologia.

Mutazioni di CYP24A1 devono essere prese in considerazione nella diagnosi differenziale dell’ipercalcemia con ipercalciuria associata a calcolosi renale, particolarmente in assenza di altre cause spiegabili di ipercalcemia, e nei pazienti con ipercalcemia/nefrolitiasi/nefrocalcinosi presente fin dall’infanzia o dall’età giovanile, nei quali occorre molta cautela nella somministrazione di supplementazioni di vitamina D a scopo profilattico.

 

Bibliografia

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Calcifediolo a rilascio prolungato e paracalcitolo nel trattamento dell’iperparatiroidismo secondario: una network metanalisi di comparazione indiretta

Abstract

Introduzione: L’iperparatiroidismo secondario (IPS) è una complicanza comune e importante della malattia renale cronica (MRC) tra i pazienti sia in fase conservativa che in dialisi. Il paracalcitolo (PCT), altri analoghi attivi della vitamina D e la vitamina D attiva (calcitriolo) sono comunemente utilizzati per il trattamento dell’IPS nella MRC stadio G3, G4 e G5-non dialitica (ND). Tuttavia, studi recenti indicano che queste terapie aumentano in modo significativo i livelli sierici di calcio, fosforo e fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF-23). Il calcifediolo a rilascio prolungato (ERC) è stato sviluppato come trattamento alternativo per l’IPS in MRC. La presente meta-analisi confronta l’effetto dell’ERC rispetto al PCT sui valori di paratormone (PTH) e di calcemia in studi randomizzati controllati.
Metodi: È stata condotta una revisione sistematica della letteratura, secondo le linee guida PRISMA (Preferred Reporting Items for Systematic review and Meta-Analyses) per identificare gli studi da includere nella Network Meta-Analysis (NMA).
Risultati: 18 pubblicazioni rispettavano i criteri d’inclusione nella NMA e 9 articoli sono stati inclusi nella NMA finale. La riduzione del PTH con PCT (-59,5 pg/ml) era maggiore della riduzione con ERC (-45,3 pg/ml), ma la differenza negli effetti del trattamento non ha mostrato significatività statistica. Il trattamento con PCT ha aumentato significativamente il calcio sierico rispetto al placebo (0,31 mg/dl), mentre l’aumento del calcio derivante dal trattamento con l’ERC (0,10 mg/dl) non ha mostrato significatività.
Conclusioni: L’evidenza suggerisce che sia il PCT che l’ERC sono efficaci nel ridurre il PTH, mentre i livelli di calcio tendono ad aumentare significativamente solo con il trattamento con PCT. Pertanto, l’ERC può essere un’alternativa terapeutica altrettanto efficace, ma più tollerabile rispetto al PCT.

Parole chiave: iperparatiroidismo secondario, PTH, calcio, vitamina D

Introduzione

L’iperparatiroidismo secondario (IPS) è una complicanza grave e comune della malattia renale cronica (MRC) tra i pazienti sia in fase conservativa che in dialisi. L’IPS è caratterizzato da alterazioni di parametri metabolici, fra i quali livelli sierici di fosforo (P), calcio (Ca), fattore di crescita dei fibroblasti 23 (FGF-23), e insufficienza/carenza di vitamina D. La diminuzione della capacità dei reni di convertire la vitamina D [25(OH)D] nel suo metabolita attivo [1,25(OH)2D] determina una secrezione eccessiva di paratormone (PTH). Valori elevati di PTH, se non controllati, possono causare malattia ossea e calcificazione extra-scheletrica con aumento del rischio di insorgenza di malattie cardiovascolari legate all’incremento delle calcificazioni vascolari stesse. Inoltre l’IPS prolungato può evolvere nella sua forma terziaria, resistente alla terapia con vitamina D e calciomimetici, con la necessità di ricorrere alla paratiroidectomia nei casi più severi o in previsione del trapianto renale [1]. Pertanto, è essenziale controllare contemporaneamente vari biomarcatori, fra cui PTH, Ca e P, per poter attuare un trattamento efficace dei problemi correlati all’IPS in corso di MRC [2].

Gli attivatori del recettore della vitamina D (Vitamin D Receptor Activators: VDRA), come il calcitriolo, il paracalcitolo (PCT), il doxercalciferolo e l’alfacalcidolo, rappresentano da diversi anni il trattamento prevalente nei pazienti affetti da IPS in corso di MRC stadio G3-G5. Tuttavia, recenti studi indicano che i VDRA possono aumentare i livelli sierici di Ca e FGF-23 [3, 4]. Le più recenti linee guida Kidney Disease: Improving Global Outcomes (KDIGO) [2] hanno evidenziato l’accertato aumento del rischio di ipercalcemia nei pazienti in trattamento con PCT nei trial randomizzati controllati PRIMO e OPERA [3, 4], suggerendo di modificare le raccomandazioni terapeutiche per i pazienti con MRC in fase conservativa (ND-MRC). Nelle linee guida aggiornate non è infatti più raccomandato l’impiego routinario di PCT, calcitriolo e degli altri VDRA nella MRC negli stadi 3-5; questi agenti dovrebbero essere usati, invece, unicamente per l’IPS grave e progressivo nella MRC allo stadio 4-5 [2].

Recentemente, è stato sviluppato un calcifediolo a rilascio prolungato (Extended Release Calcifediol, ERC) come trattamento alternativo per la terapia dell’IPS e per la riduzione dei livelli di PTH in corso di ND-MRC [5]. La formulazione dell’ERC, oltre alla sua natura di vitamina D nutrizionale, ne contraddistingue le proprietà farmacocinetiche e l’azione terapeutica rispetto al PCT.

L’ERC è disponibile sotto forma di capsule a rilascio prolungato per uso orale, contenenti 30 μg di calcifediolo. Le capsule sono progettate per essere deglutite intere. Il rilascio prolungato del farmaco è garantito dall’involucro “ceroso” e lipofilo della capsula [6], tale da offrire il progressivo rilascio del principio attivo nell’arco di circa 12 ore [7], seguito dall’incremento dei livelli di 25(OH)D con steady state a 3 mesi [8]. Il materiale di riempimento della capsula è solido al di sotto dei 25°C. L’inizio di un’alta viscosità decrescente a partire da 35°C è il risultato di una transizione dallo stato ceroso solido a quello semisolido nell’intervallo di 35-50°C. Lo stato semisolido alla temperatura corporea di 37°C consente l’erosione e, poiché non ancora liquido, fornisce le condizioni affinché l’erosione costante rilasci il principio attivo.

Il PCT, o 19-nor-diidrossiergocalciferolo, è un analogo sintetico del 1,25-diidrossiergocalciferolo privo del gruppo metilene C-19 esociclico. Il PCT è disponibile in commercio in formulazione in fiale da 5 mcg (per l’utilizzo in dialisi) e in compresse da 1 mcg e 2 mcg (per l’utilizzo in MRC stadi 3-5D) [9]. Il PCT è altamente legato alle proteine plasmatiche (> 99,9%) e presenta un’escrezione principalmente per via epatobiliare, con una minima eliminazione per via renale (< 16%) e fecale (2%) [1013] e una biodisponibilità stimata intorno all’80% [14]. L’assorbimento intestinale non è alterato dalla contemporanea assunzione di cibo. La massima concentrazione di PCT viene raggiunta dopo 3 h dall’assunzione orale [10], con un tempo di eliminazione medio nei soggetti e sani e nei pazienti in dialisi pari a 5-7 e 13-30 ore rispettivamente [12]. Il PCT è metabolizzato in 3 cataboliti inattivi [24(R)-hydroxyparicalcitolo, 24,26, 24,28-dihyroxyparicalcitolo e glucuronidi] dal citocromo mitocondriale CYP24 e dagli enzimi epatici CYP3A4 e UGTIA4 [10].

L’obiettivo di questo studio di comparazione indiretta è confrontare l’efficacia di PCT e ERC rispetto al placebo nel controllo dei biomarcatori PTH e Ca in pazienti con ND-MRC.

 

Metodi

Strategia di ricerca e selezione degli studi

È stata effettuata una revisione sistematica della letteratura secondo le linee guida per il reporting di revisioni sistematiche e meta-analisi (Preferred Reporting Items for Systematic reviews and Meta-Analyses, PRISMA) [15] per individuare gli studi da inserire in questa analisi (Network Meta-Analysis, NMA). La metanalisi “a rete” o Network Meta-Analysis offre l’importante vantaggio di incorporare in un’unica analisi tutte le evidenze disponibili, consentendo quindi di gestire al meglio queste situazioni di confronto multiplo, divenute sempre più frequenti, anche in assenza di confronti diretti che renderebbero invece possibile il confronto tramite metanalisi classica.

Il database PubMed è stato consultato adottando una strategia di ricerca predefinita per MRC e esiti e opzioni terapeutiche nell’IPS. Non sono state imposte restrizioni in merito alla data di pubblicazione. Pubblicazioni non in lingua inglese nonché review, commentari o metanalisi sono stati escluse dalla ricerca. Sono stati consultati i riferimenti bibliografici di tutti gli studi conformi ai criteri di inclusione per rintracciare ulteriori pubblicazioni che non erano state individuate nella strategia di ricerca. Sono state ottenute le pubblicazioni integrali per i documenti conformi ai criteri di inclusione, così come nel caso in cui non fosse certo che i criteri di inclusione fossero soddisfatti. Due revisori hanno valutato indipendentemente l’elenco completo dei risultati emersi dalla ricerca per stabilirne l’eleggibilità.

Per poter essere incluso nella revisione della letteratura, l’articolo doveva includere una sperimentazione randomizzata e controllata, comprendente più di 20 pazienti adulti (18 anni+) con ND-MRC documentata. Almeno un gruppo di pazienti negli studi doveva aver ricevuto un trattamento con un agente terapeutico rilevante nel trattamento dell’IPS e i restanti gruppi dovevano aver ricevuto il trattamento con placebo, nessun trattamento o un trattamento con un altro agente terapeutico rilevante. Pertanto, sono state escluse le pubblicazioni che avevano confrontato differenti regimi posologici dello stesso farmaco. Se due o più pubblicazioni riportavano risultati ricavati dalla stessa sperimentazione e l’informazione dei risultati coincideva, è stata inclusa solo una delle pubblicazioni (senza alcuna perdita di dati).

Nella strategia di ricerca per la revisione della letteratura, sono state incluse tutte le opzioni terapeutiche rilevanti per il controllo dei biomarcatori correlati all’IPS (vitamina D alimentare, calcitriolo, VDRA selettivi e calciomimetici). Tuttavia, soltanto la documentazione raccolta in relazione a PCT ed ERC è stata ritenuta sufficientemente comparabile (in merito, ad esempio, ai disegni degli studi e ai regimi posologici) per poterla utilizzare in uno schema di network metanalisi.

Estrazione dei dati e valutazione della qualità

È stato creato e testato un modello standardizzato di estrazione dei dati usando un campione casuale delle pubblicazioni incluse. Due revisori hanno estratto indipendentemente tutti i dati utilizzando il modello dei dati prestabilito. Una volta estratti i dati, i due revisori hanno corretto eventuali differenze tramite il riesame congiunto della fonte. Eventuali discordanze non risolte, sono state giudicate da un revisore terzo.

Quando disponibili per l’estrazione, i parametri principali riportati erano le differenze medie o mediane (Mean or Median Difference, MD) dei valori assoluti dei biomarcatori PTH e Ca, rilevati dal basale fino alla fine dello studio, per tutti i gruppi di pazienti reclutati negli studi inclusi. L’effetto sul P, sebbene da una revisione della letteratura pubblicata non risulti altamente influenzato dalle molecole in esame, è stato valutato nell’analisi secondaria. È stata effettuata una revisione sistematica della letteratura per creare una raccolta completa delle sperimentazioni controllate randomizzate in cui sono stati valutati PCT ed ERC. Per studiare l’efficacia comparativa, i risultati di livello degli studi individuati nella revisione sistematica della letteratura sono stati sintetizzati usando metodi di network metanalisi.

Le MD e la deviazione standard delle MD, quando riportate, sono state estratte direttamente dagli studi. Quando erano indicati solo i valori dei biomarcatori registrati al basale e alla fine dello studio, la MD è stata calcolata sottraendo i valori al basale da quelli rilevati al termine del periodo di studio. In questi casi, la deviazione standard della MD è stata calcolata usando la formula riportata nel Cochrane Handbook for Systematic Reviews of Interventions, con il coefficiente di correlazione impostato sul valore conservativo 0,4 [16]. Se un valore di un biomarcatore era indicato con uno scarto interquartile (Interquartile Range, IQR) associato, la deviazione standard del valore è stata calcolata per approssimazione, dividendo l’intervallo dell’IQR per 1,35 [17]. Il numero dei pazienti in ciascun braccio della sperimentazione è stato valutato per calcolare gli errori standard in base alle deviazioni standard. Se una MD era indicata con un intervallo di confidenza, l’errore standard è stato calcolato in base all’intervallo di confidenza. I valori estratti per PTH sono stati convertiti nell’unità comune di picogrammi per millilitro (pg/ml) mentre i valori per il Ca sono stati convertiti in milligrammi per decilitro (mg/dl). I risultati illustrati graficamente non sono stati estratti. Quindi, per poter essere inclusi nelle analisi, i risultati relativi ai biomarcatori dovevano essere riportati numericamente.

Analisi statistica

L’associazione tra il trattamento e gli esiti su PTH, Ca e P è stata stimata usando le MD in tutte le analisi. È stata utilizzata una network metanalisi ad effetti random, con approccio frequentistico per sintetizzare le evidenze emerse da confronti indiretti in un singolo approccio analitico [18, 19]. Nella conduzione di una network metanalisi viene assunta la transitività, cioè si possono confrontare i trattamenti A e B usando l’evidenza indiretta se entrambi i trattamenti sono stati testati rispetto al trattamento C. Se dai confronti diretti e indiretti risulta un’evidenza, la validità dell’assunzione di transitività può essere testata valutando la consistenza dell’evidenza diretta e indiretta. Non essendo disponibili confronti diretti tra PCT ed ERC, i dati raccolti per questo studio non consentono di effettuate tali test di consistenza. Sono state utilizzate invece procedure meta-analitiche regolari per valutare l’eterogeneità dei risultati di livello degli studi usando la statistica comune.

Sono poi stati creati forest plot a partire da un modello di effetti casuali per valutare l’eterogeneità tra gli studi tramite la statistica. Sono stati utilizzati funnel plot per valutare il bias di pubblicazione e gli effetti di piccoli studi.

 

Risultati

Selezione degli studi

La strategia di ricerca ha prodotto, alla data del 31 maggio 2022, un totale di 1175 risultati. 88 studi erano eleggibili per l’inclusione nella revisione sistematica della letteratura (ossia, includevano tutte le potenziali opzioni terapeutiche per l’IPS nell’ND-MRC) e 56 studi, che avevano confrontato l’utilizzo del PCT o dell’ERC rispetto al placebo, erano eleggibili per l’inclusione nella network metanalisi. 10 studi sono stati esclusi dalle network metanalisi: 3 studi sono stati esclusi per aver un disegno di studio cross-over [2022], 1 pubblicazione è stata esclusa per non avere riportato i risultati per PTH e Ca, [23] mentre 6 pubblicazioni sono state escluse perché tutti i risultati rilevanti ricavati dalla corrispondente sperimentazione erano già riportati in altri articoli già inclusi nelle precedenti analisi [24]. Quindi le restanti 9 pubblicazioni sono state incluse nella network metanalisi. La Figura 1 mostra il diagramma PRISMA per la procedura di ricerca.

Caratteristiche degli studi e dei pazienti

La Tabella 1 riporta le informazioni sulle caratteristiche dei pazienti delle 9 pubblicazioni incluse nell’NMA. In totale 1443 pazienti sono stati randomizzati nelle 9 pubblicazioni incluse; 507 nelle pubblicazioni che hanno valutato l’ERC e 936 nelle pubblicazioni che hanno preso in esame il PCT. I livelli di PTH rilevati al basale erano più alti rispetto alla norma in tutte le pubblicazioni (media su tutti gli studi: 126,8 pg/ml).

Il peso stimato della numerosità dei pazienti negli studi è stato riportato come variazione media non aggiustata in quasi tutte le pubblicazioni e per tutti gli esiti, a eccezione di Wang [4] che ha indicato variazioni mediane di PTH e Thadhani [3] che, per tutti gli esiti, ha riportato variazioni medie dei minimi quadrati aggiustate tramite un modello comprendente trattamento, visita, interazione trattamento per visita, Paese e valore basale del biomarcatore. Una pubblicazione [25] non conteneva report numerici per il PTH, mentre un’altra pubblicazione [26] non riportava i risultati per il Ca. Unicamente 8 del totale delle pubblicazioni sono state utilizzate nelle analisi di ciascun esito.

Figura 1: Selezione degli studi.
Figura 1: Selezione degli studi.

Quattro pubblicazioni incluse (1 che ha valutato l’ERC e 3 che hanno esaminato il PCT) hanno riportato risultati ricavati da sperimentazioni a tre bracci, in cui ai pazienti in due bracci sono state somministrate differenti dosi del principio attivo (1 o 2 µg/giorno di PCT oppure 30 o 60 µg/giorno di ERC) [5, 2628]. Le 5 restanti pubblicazioni (4 che hanno valutato il PCT [3, 4, 25, 29] e 1 che ha esaminato l’ERC [8]) hanno riportato risultati ricavati da sperimentazioni a due bracci in cui era consentito titolare il dosaggio dell’agente terapeutico nel corso del periodo di studio. Lo studio di Sprague del 2014 [5] ha incluso due coorti di pazienti (studi a e b). Nello studio a 51 pazienti sono stati randomizzati in tre bracci di trattamento (placebo, ERC 60 µg/die, ERC 90 µg/die). Nello studio b 27 pazienti sono stati randomizzati in due bracci di trattamento (placebo, ERC 30 µg/die). Il lavoro originale ha riportato i dati relativi agli studi a e b relativi al gruppo placebo, mentre ha fornito i dati aggregati nei gruppi randomizzati a ERC (Tabella 1). La presente meta-analisi non ha incluso il gruppo di trattamento con ERC 90 µg/die, considerata la sua mancata applicazione nella pratica clinica. Lo studio di Sprague del 2016 [8] ha incluso due identici studi multicentrici (studio A e studio B). Nello studio A e nello studio B sono stati randomizzati 213 e 216 pazienti rispettivamente al placebo e all’ERC 30 µg/die (Tabella 1). In entrambi gli studi, a partire dalla 13° settimana di trattamento, la dose di ERC poteva essere titolata a 60 µg/die in base ai valori di PTH, 25(OH)D e Ca.


Autore (anno)
Bracci dello studio Dose Numero di pazienti Età % di donne eGFR basale (ml/min/1,73^2) PTH basale (pg/ml) Calcio basale (mg/dl) FGF-23 basale

(pg/ml)

Sprague (2014) [5] Calcifediolo ER 30 µg/giorno 13 58,2 53,8 36,7 156,3 9,3 37,5
Calcifediolo ER 60 µg/giorno 17 64,7 41,2 42,6 118,5 9,3 23,8
Placebo (studio a) NA 17 61,9 76,5 36,9 160,6 9,4 22,2
Placebo (studio b) NA 14 63,9 50,0 40,9 127,6 9,4 20,6
Placebo

(tot)

NA 31 62,8 64,5 38,7 145,7 9,4 21,5
Sprague (2016) [8] Calcifediolo ER

(studio A)

30 µg/giorno per le settimane 0-12 con possibile titolazione a 60 µg/giorno nelle settimane 13-26 in base ai livelli di PTH, 25(OH)D e calcio 141 65,1 50,4 30,3 146,8 9,2
Calcifediolo ER

(studio B)

30 µg/giorno per le settimane 0-12 con possibile titolazione a 60 µg/giorno nelle settimane 13-26 in base ai livelli di PTH, 25(OH)D e calcio 144 66,8 49,3 30,9 148,9 9,3
Calcifediolo ER 30 µg/giorno per le settimane 0-12 con possibile titolazione a 60 µg/giorno nelle settimane 13-26 in base ai livelli di PTH, 25(OH)D e calcio 285 66,0 49,8 30,6 147,2 9,2 41,3
Placebo

(studio A)

NA 72 64,4 45,8 32,3 142,2 9,2
Placebo

(studio B)

NA 72 65,3 54,2 31,8 155,6 9,3
Placebo NA 144 64,9 50,0 32,0 148,9 9,2 38,3
Riquadro riassuntivo A: 507 (somma) 63,7 (media) 52,0 (media) 36,3 (media) 144,0 (media) 9,3 (media)  
Alborzi (2008) [26] Paracalcitolo 1 µg/giorno 8 72,6 25,0 47,5 66,8 9,5
Paracalcitolo 2 µg/giorno 8 67,5 25,0 47,4 76,0 9,5
Placebo NA 8 68,4 0,0 44,0 124,9 9,3
Coyne (2006) [25] Paracalcitolo Dose iniziale 1 µg/giorno o 2 µg tre volte alla settimana se PTH <500 pg/ml oppure 2 µg/giorno o 4 µg tre volte alla settimana se PTH ≥500 pg/ml, con successiva titolazione della dose in base ai livelli di PTH, calcio (dose giornaliera media pari a 1,36 µg/giorno) 107 63,6 32,0 23,1 265,0 9,3
Placebo NA 113 61,8 33,0 23,0 280,0 9,4
Coyne (2013) [27] Paracalcitolo 1 µg/giorno 93 64,0 29,0 40,0 97,0 9,3
Paracalcitolo 2 µg/giorno 95 65,0 27,0 42,0 91,0 9,4
Placebo NA 93 65,0 35,0 39,0 105,0 9,3
Lundwall (2015) [28] Paracalcitolo 1 µg/giorno 12 66,1 8,0 38,9 68,8 9,1
Paracalcitolo 2 µg/giorno 12 70,8 33,0 42,1 66,0 9,1
Placebo NA 12 59,1 25,0 41,6 87,7 9,1
Thadhani (2012) [3] Paracalcitolo Dose iniziale 2 µg/giorno con possibile titolazione verso il basso a 1 µg/giorno in base ai livelli di calcio 115 64,0 31,3 36,0 100,0 9,6
Placebo NA 112 66,0 29,5 31,0 106,0 9,6
Wang (2014) [4] Paracalcitolo Dose iniziale 1 µg/giorno se PTH <500 pg/ml o 2 µg/giorno se PTH ≥500 pg/ml, con successiva titolazione della dose in base ai livelli di calcio 30 60,8 34,0 23,9 156,0 9,3
Placebo NA 30 62,2 53,0 19,7 158,0 9,4
Zoccali (2014) [29] Paracalcitolo Dose iniziale 2 µg/giorno con possibile titolazione verso il basso a 1 µg a giorni alterni in base ai livelli di PTH e calcio 44 60,8 41,0 34,0 102,0 9,0 64,7
Placebo NA 44 62,0 30,0 29,0 102,0 8,9 78,0
Riquadro riassuntivo B:     936 (somma) 64,7 (media) 28,9 (media) 35,4 (media) 120,7 (media) 9,3 (media)  
Riassunto di tutti gli studi:     1443 (somma) 64,4 (media) 34,9 (media) 35,7 (media) 126,8 (media) 9,3 (media)  
Tabella 1: Caratteristiche dei pazienti delle pubblicazioni incluse.

Qualità dell’evidenza

Il rischio valutato di bias delle pubblicazioni incluse era generalmente molto basso o basso, a eccezione delle due pubblicazioni di [26] e [28], ritenute rispettivamente a rischio di bias moderato ed alto. È stato riportato che tutti gli studi erano randomizzati e in doppio cieco. Nessuna sperimentazione è stata interrotta prematuramente. La procedura di randomizzazione era descritta più dettagliatamente in quattro pubblicazioni [4, 2527], mentre il metodo in cieco era definito più specificatamente in due pubblicazioni [25, 29]. La procedura di randomizzazione per lo studio condotto da Coyne (2013) [27] è descritta in de Zeeuw (2010) [24], che illustra in modo più approfondito il disegno dello studio della corrispondente sperimentazione. Il numero di abbandoni è risultato basso nelle pubblicazioni incluse e soltanto in due studi meno dell’80% dei partecipanti ha portato a termine le sperimentazioni [3, 27].

Benché sia stata riportata la sponsorizzazione da parte dell’industria farmaceutica in tutte le pubblicazioni, non sono state riscontrate asimmetrie o effetti di piccoli studi indicativi di bias di pubblicazione nei funnel plot per nessuno degli esiti. Il campione dei pazienti nelle pubblicazioni era generalmente di dimensioni da basse a moderate e il numero di pubblicazioni utilizzate nelle analisi era moderato (8 pubblicazioni, incluse nell’analisi). Nel complesso non sono stati riscontrati limiti abbastanza gravi da richiedere il declassamento delle evidenze nei domini GRADE per rischio di bias, imprecisione o bias di pubblicazione. Dunque, in generale, non è stato rilevato alcun bias di pubblicazione dalla comparazione indiretta utilizzando i 9 articoli indicati.

I forest plot delle dimensioni degli effetti di livello degli studi hanno indicato una probabile presenza di sostanziale eterogeneità (con statistiche comprese nell’intervallo dal 47,1% al 78,4%). Inoltre, la mancanza di qualsiasi confronto diretto tra PCT e ERC non ha consentito di valutare la consistenza della rete. Per tutti gli esiti, l’evidenza è stata quindi declassata da alta a bassa qualità, dati questi limiti nei domini GRADE di inconsistenza e indirectness.

 

Esiti del trattamento

Effetto sul PTH

La Figura 2 presenta il grafico di intervalli degli effetti di ERC e PCT sui livelli di PTH. Rispetto al placebo, il trattamento sia con PCT sia con ERC ha determinato diminuzioni statisticamente significative dei livelli di PTH. Il PCT ha ridotto i valori di PTH di 56,8 pg/ml (IC al 95%: da -77,9 a -35,67 pg/ml) e l’ERC ha ridotto i valori di PTH di 46,3 pg/ml (IC al 95%: da -75,1 a -17,5 pg/ml). La differenza delle MD non ha evidenziato alcuna differenza statistica nelle riduzioni dei livelli di PTH prodotte da PCT rispetto a ERC (differenza delle MD di 10,5 pg/ml, IC al 95%: da -25,3 a 46,3 pg/ml).

Effetti stimati su PTH (pg/ml) prodotti dal trattamento con PCT ed ERC
Figura 2: Effetti stimati su PTH (pg/ml) prodotti dal trattamento con PCT ed ERC, confrontati con il placebo o confrontati direttamente usando l’evidenza indiretta (ultima riga).

La Figura 3 mostra l’eterogeneità degli effetti sul PTH nei singoli studi condotti con ERC e con PCT.

Figura 3: Risultati della meta-analisi degli effetti sul PTH per studiare l’eterogeneità degli effetti.
Figura 3: Risultati della meta-analisi degli effetti sul PTH per studiare l’eterogeneità degli effetti.

Effetto sul calcio

La Figura 4 presenta il grafico di intervalli degli effetti di ERC e PCT sui livelli di Ca. Il trattamento con PCT ha aumentato significativamente i livelli di Ca rispetto al placebo (MD: 0,30 mg/dl, IC al 95%: da 0,21 a 0,40 mg/dl). L’effetto stimato del trattamento con ERC (MD: 0,10 mg/dl) non è risultato statisticamente significativo, benché di un margine piuttosto esiguo (IC al 95%: da -0,03 a 0,23 mg/dl). Stando alla differenza stimata delle MD, rispetto all’ERC, il PCT ha aumentato significativamente i livelli di Ca di 0,2 mg/dl (IC al 95%: da -0,37 a -0,04 mg/dl).

Figura 4: Effetti stimati sul Ca (mg/dl) prodotti dal trattamento con paracalcitolo (PCT) e ERC
Figura 4: Effetti stimati sul Ca (mg/dl) prodotti dal trattamento con paracalcitolo (PCT) e ERC, rispetto al placebo (prime due righe) e confrontati direttamente usando l’evidenza indiretta (ultima riga).

La Figura 5 mostra l’eterogeneità degli effetti sul Ca nei singoli studi condotti con ERC e con PCT.

Figura 5: Risultati della meta-analisi degli effetti sul Ca per studiare l’eterogeneità degli effetti.
Figura 5: Risultati della meta-analisi degli effetti sul Ca per studiare l’eterogeneità degli effetti.

Effetti sul fosforo

L’analisi secondaria ha mostrato un incremento della fosforemia statisticamente significativo, sebbene di minima rilevanza clinica, in corso di trattamento con PCT (MD 0,15 mg/dl, IC al 95%: da 0,05 a 0,25 mg/dl) (Figura 6). Al contrario, il trattamento con ERC non è risultato associato ad un incremento della fosforemia statisticamente significativo (MD 0,11 mg/dl, IC al 95%: da -0,04 a 0,26 mg/dl). L’impatto delle due molecole sui livelli di fosforemia non ha mostrato differenze statisticamente significative (MD – 0,04 mg/dl, IC al 95%: da -0,22 a 0,15 mg/dl).

Effetti stimati sul P (mg/dl) prodotti dal trattamento con PCT e ERC
Figura 6: Effetti stimati sul P (mg/dl) prodotti dal trattamento con PCT e ERC, rispetto al placebo (prime due righe) e confrontati direttamente usando l’evidenza indiretta (ultima riga).

 

Discussione

In questa network metanalisi abbiamo riscontrato riduzioni simili e non inferiori di PTH prodotte dal trattamento con ERC rispetto alla terapia con PCT, mentre il trattamento con PCT ha aumentato i livelli di Ca rispetto alla terapia con ERC. Pertanto, le riduzioni di PTH ottenute tramite il trattamento con PCT sono associate a un rischio di aumenti concomitanti dei livelli di calcemia. In una precedente metanalisi di articoli riguardanti pazienti con ND-MRC, Han et al. [30] hanno riscontrato aumenti simili dei valori di Ca e un rischio elevato di ipercalcemia in associazione al trattamento con PCT, che hanno indotto gli autori a consigliare di impiegare con cautela il PCT nella ND-MRC. La presente metanalisi ha altresì evidenziato un incremento della fosforemia statisticamente significativo, sebbene di minima rilevanza clinica, in corso di trattamento con PCT, dato non riscontrato con l’ERC. Tuttavia, l’andamento della fosforemia non è risultato significativamente diverso tra PCT ed ERC.

Non è stato possibile condurre una comparazione meta-analitica riguardo agli effetti del PCT e dell’ERC sui livelli di FGF-23 a causa della limitazione dei dati, disponibili solo nei lavori di Sprague S.M. [5, 8] e di Zoccali C. et al [29]. Il lavoro di Sprague S.M. et al del 2014 ha riscontrato un trend di FGF-23 in aumento nel braccio randomizzato a ERC (da 29,4 + 21,85 a 33,4 + 22,8 pg/ml) comparabile con il gruppo placebo (da 21,50 + 12,45 a 26,8 + 27,99 pg/ml, p = NS) [5]. L’effetto dell’ERC sui livelli di FGF-23 comparabile al placebo è stato confermato nel lavoro di Sprague S.M. et al del 2016 (da 41,4 (3,5) a 54,9 (5,2) ng/ml nel gruppo ERC aggregato, e da 38,3 (3,6) a 53,4 (7,1) ng/ ml nel gruppo placebo aggregato, p = NS) [8]. Di nota, i dati in merito all’effetto delle vitamine D nutrizionali sui livelli di FGF-23 sono a oggi contrastanti. Sebbene il trattamento con vitamina D nutrizionale con colecalciferolo ed ergocalciferolo non risulti associato ad una variazione significativa di FGF-23 in corso di MRC non-dialitica [31, 32], una recente metanalisi ha osservato un incremento significativo nei livelli di FGF-23 intatto nella popolazione generale sottoposta a supplementazione con vitamina D3 [33].

Al contrario l’incremento dei livelli di FGF-23 in corso di PCT è piuttosto consistente in letteratura. Nello studio PENNY la somministrazione di PCT è risultata associata ad un aumento significativo dei livelli di FGF-23 (+107 (44-170) pg/ml), dato non osservato nel gruppo placebo (-20 (-24 a + 24) pg/ml, p = 0,001) [29]. Tale effetto del PCT sui livelli di FGF-23 è consistente con quanto osservato in precedenza da deBoer I.H. et al in 22 pazienti con MRC stadio G3-G4, randomizzati a PCT 2 mcg/die vs placebo per 8 settimane (differenza di incremento tra PCT e placebo 73,7 %, IC al 95%: da 39,6 a 116,1 %; p < 0,001) [22] e da Larsen T. et al in 20 pazienti con MRC stadio 3-4 randomizzati a PCT 2 mcg/die vs placebo per 6 settimane (incremento dei livelli di FGF-23 nel gruppo PCT pari al 46%, IC al 95%: da 21% a 71%; p = 0,001) [21].

Il rischio di bias negli studi inclusi è stato giudicato basso, considerando i disegni degli studi di alta qualità e le popolazioni in studio relativamente grandi. I limiti principali del presente studio derivano essenzialmente dal numero ridotto di dati disponibili per l’inclusione nella network metanalisi. I dati relativi all’ERC, limitati a due pubblicazioni, appaiono più omogenei rispetto a quanto osservato nelle 7 pubblicazioni relative al PCT, il che può al momento attenuare la generalizzabilità dei risultati. Gli studi analizzati hanno principalmente incluso pazienti con MRC in stadio G3-G4. Pertanto i risultati richiedono ulteriore validazione nei pazienti con MRC stadio G5 in trattamento conservativo, che possono peraltro presentare forme più severe di IPS. È stato osservato uno sbilanciamento nella prevalenza del genere femminile nei lavori sul PCT (29%) rispetto agli studi sull’ERC (52%). Principalmente la mancanza di sperimentazioni, in cui PCT ed ERC sono stati confrontati direttamente, non consente di valutare la consistenza del network, il che determina il declassamento della qualità dell’evidenza usando l’approccio GRADE. Tuttavia, la comparabilità delle popolazioni studiate contribuisce ad attenuare i problemi posti dalla mancanza di confronti diretti.

Malgrado i limiti derivanti dal numero ristretto di dati, questa network metanalisi presenta una raccolta completa dell’evidenza riguardante l’efficacia di PCT e ERC nel controllo dei biomarcatori PTH e Ca nel trattamento del IPS in corso di MRC. Stando all’evidenza presentata, benché il PCT e l’ERC siano entrambi efficaci nel ridurre i livelli di PTH, i livelli di Ca tendevano ad aumentare in seguito al trattamento con PCT. Quindi, l’ERC può rappresentare un’opzione terapeutica altrettanto efficace, ma con un migliore profilo di sicurezza sul bilancio del Ca rispetto al PCT. Il minore impatto sui livelli di FGF-23 offerto dall’ERC rispetto al PCT, potrebbe offrirne un miglior profilo di sicurezza cardiovascolare; dato da confermare con ulteriori studi ad-hoc.

 

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La supplementazione con colecalciferolo migliora il controllo dell’iperparatiroidismo secondario nel paziente con trapianto renale

Abstract

Introduzione: La deficienza di vitamina D (25OHD <30 ng/mL) nei pazienti con trapianto renale (RTRs) è un reperto frequente e rappresenta una importante componente della eziopatogenesi dell’iperparatiroidismo secondario (IPS), per cui se ne consiglia una sua più sistematica supplementazione. Abbiamo valutato l’impatto della supplementazione con colecalciferolo sui livelli di PTH e di 25(OH)D in un gruppo di RTRs con 25OHD <30 ng/mL ed IPS. Pazienti e Metodi: 52 RTRs venivano supplementati con colecalciferolo alla dose fissa di 25,000 UI p.o. a settimana per 12 mesi. 23 pazienti con SHPT e livelli di 25(OH)D <30 ng/mL che rifiutavano la supplementazione rappresentavano il gruppo di controllo. Ogni 6 settimane venivano valutati eGFR, Ca e PO4; PTH, 25(OH)D, FECa e TmPO4 veniva determinati ogni 6 mesi. Risultati: Al basale i due gruppi presentavano le principali caratteristiche cliniche e bioumorali sovrapponibili. Nel corso dello studio i livelli di PTH erano correlati negativamente con quelli del 25(OH)D (r=-0.250; P <0.0001) e con i valori del TmPO4 (r=-0.425; P<0.0001). Al F-U nel gruppo supplementato i livelli di PTH si riducevano da 131 ± 46 a 103 ± 42 pg/mL (P<0.001), mentre quelli del 25(OH)D, del TmPO4, del PO4 e della Ca aumentavano da 14.9 ± 6.5 a 37.9 ± 13.1 ng/mL (P<0.001), da 1.9 ± 0.7 a 2.6 ± 0.7 mg/dL (P<0.001), da 3.1 ± 0.5 a 3.5 ± 0.5 mg/dL (P<0.001) e da 9.3 ± 0.5 a 9.6 ± 0.4 (P<0.01), rispettivamente. Nel corso dello studio non si registravano episodi di ipercalcemia o di ipercalciuria, mentre i livelli di 25(OH)D si mantenevano sempre <100 ng/mL. Nel gruppo di controllo a 12 mesi i livelli di PTH aumentavano da 132 ± 49 a 169 ± 66 pg/mL (P <0.05) e quelli del 25(OH)D rimanevano stabilmente <30 ng/mL. Conclusioni: Nei pazienti trapiantati il deficit di vitamina D è quasi una costante. La supplementazione con colecalciferolo si associa ad un miglior controllo dell’IPS ed alla correzione del deficit di vitamina D nella maggior parte dei pazienti, rappresentando un approccio terapeutico all’IPS efficace, sicuro e poco costoso.

Parole chiave: vitamina D, colecalciferolo, trapianto renale, iperparatiroidismo secondario.

Introduzione

Il trapianto renale rappresenta il trattamento di scelta per molti pazienti con malattia renale cronica in stadio 5D (ESRD), in quanto ne migliora la sopravvivenza e la qualità di vita rispetto a coloro che rimangono in dialisi [1]. Tuttavia, i pazienti con trapianto renale (RTRs), pur beneficiando della migliore sopravvivenza del rene trapiantato, continuano ad essere gravati da alcune problematiche già presenti nella fase della terapia sostitutiva. Una di queste, che spesso non risolve con il trapianto, è l’iperparatiroidismo secondario (IPS). Questa condizione è più frequente in quei RTRs che durante la fase sostitutiva hanno richiesto il trattamento dell’IPS [26]. Sebbene i livelli di paratormone (PTH) tendono a ridursi nei primi 12 mesi del post-trapianto [26], si stima che in circa il 30%-50% dei casi questi rimangono elevati anche negli anni successivi [2, 3, 68]. La persistenza dell’IPS (IPSP) nel post-trapianto è stata associata a patologia ossea ad elevato turnover, responsabile di perdita della massa ossea e quindi maggior rischio di fratture [9, 10] e progressione delle calcificazioni vascolari [11]. L’importanza delle potenziali conseguenze dell’IPSP ha portato a prendere in considerazione un suo più precoce trattamento. Sebbene non vi sia ancora condivisione sulla definizione dell’IPSP, utile a tal fine sembrerebbe la definizione riportata nelle linee guida NKF-KDOQI (National Kidney Foundation–Kidney Disease Outcomes Quality Initiative), secondo le quali si parla di IPSP quando negli stadi 1-3 della malattia renale cronica (MRC) i livelli di PTH permangono nel tempo al disopra dei limiti alti della norma, mentre nello stadio 4 quando questi permangono a livelli di 1.5 volte maggiori i limiti alti della norma [12]. Nell’approccio terapeutico dell’IPSP nel trapianto renale spesso viene dimenticata, prima ancora di intraprendere qualsiasi terapia come suggerito dalle linee guida NKF/KDOQI, la valutazione dello stato nutrizionale della vitamina D attraverso la determinazione dei livelli sierici della 25-idrossi-vitamina D [25(OH)D] [12]. Infatti, bassi livelli sierici di 25(OH)D possono essere una delle cause responsabili dell’IPSP nei RTRs [13, 14]. Le concentrazioni sieriche di 25(OH)D sono il principale indice del patrimonio in vitamina D del nostro organismo e sono utilizzate per definire uno stato carenziale di vitamina D [15]. Nelle linee guida NKF/KDOQI livelli sierici di 25(OH)D <5 ng/mL sono utilizzati per indicare una grave deficienza di vitamina D, livelli tra 5 e 15 ng/mL indicano una lieve insufficienza, livelli tra 16 e 30 ng/mL indicano una insufficienza, mentre livelli ≥ 30 ng/mL vengono considerati ottimali, anche se non vi è consenso unanime su quelli che sono i livelli sierici di vitamina  D da considerarsi ottimali [12, 16]. Bassi livelli sierici di 25(OH)D si ritrovano frequentemente nei RTRs [17, 18]. Le cause possono essere diverse, sicuramente una delle principali è la ridotta disponibilità di vitamina D per la 25-idrossilazione a seguito della scarsa esposizione ai raggi solari per l’aumentato rischio di tumori della pelle che si ha a seguito alla terapia immunosoppressiva [1924]. Nella malattia renale cronica stadio 3-4 le linee guida NKF/KDOQI raccomandano la supplementazione con vitamina D quando i livelli sierici di 25(OH)D sono <30 ng/mL [12]. In accordo con queste linee guida i RTRs dovrebbero essere trattati come i pazienti con MRC non trapiantati e con analogo filtrato glomerulare [12]. Tuttavia, nonostante le indicazioni delle linee guida NKF/KDOQI, non vi è una univoca posizione su diversi punti quali: quando iniziare il trattamento con vitamina D; quale tipo di vitamina D impiegare; quale dosaggio; durata del periodo di supplementazione [2527]. Nei pazienti con trapianto renale le esperienze circa l’impatto della supplementazione di vitamina D sui livelli di PTH nell’IPSP e su quelli del 25(OH)D in pazienti con deficit di vitamina D sono estremamente carenti, a differenza di quanto riportato nei pazienti con MRC stadio 3-5D. Nei vari studi finora condotti la supplementazione di vitamina D è stata a volte giornaliera, altre settimanale ed altre ancora mensile. Anche i dosaggi della supplementazione con vitamina D rimangono un problema aperto come sottolineato da Levi e Silver [28]. Tangpricha e Wasse [29], confrontando una serie di studi condotti in pazienti in emodialisi con schemi posologici di supplementazione di vitamina D molto diversi tra loro, hanno concluso che un dosaggio di vitamina D insufficiente, stimato come <100,000 UI/mese, potrebbe non essere in grado di ristabilire i normali livelli di 25(OH)D e ridurre i livelli di PTH. I pochi studi condotti nei RTRs sulla supplementazione di vitamina D hanno dato risultati contrastanti. In uno studio di Courbebaisse et al [30] condotto su RTRs con bassi livelli di 25(OH)D, una dose di colecalciferolo (un precursore del 25(OH)D) <100,000 UI/mese non sembra in grado di mantenere i livelli di 25(OH)D ≥ 30 ng/mL in tutti i RTRs supplementati. In un altro studio condotto su RTRs nei pazienti con deficienza di vitamina D [25(OH)D <15 ng/ml] una dose mensile cumulativa di 64,000 UI di colecalciferolo è risultata sufficiente per normalizzare i livelli sierici di 25(OH)D, mentre nei pazienti con insufficienza di vitamina D [25(OH)D 15-30 ng/ml] questo risultato si otteneva impiegando 40,000 UI/mese [31]. Inoltre, come emerge dal confronto tra le varie esperienze di supplementazione con vitamina D nei pazienti con MRC, la diversità dei risultati riportati in letteratura è probabilmente da ricondurre alla diversa durata della supplementazione, in molte esperienze estremamente breve [2931]. Infatti, molte delle esperienze fin qui fatte hanno avuto una durata inferiore alle 36 settimane [29]. Nel nostro ambulatorio dedicato al F-U dei RTRs da oltre 10 anni determiniamo regolarmente e periodicamente i livelli sierici del 25(OH)D e da allora tutti quelli che presentano livelli di 25(OH)D <30 ng/mL vengono regolarmente supplementati con vitamina D, quando non vi sia concomitante ipercalcemia. In questo studio abbiamo valutato, retrospettivamente, in un gruppo di RTRs con livelli di 25(OH)D <30 ng/mL ed uno stato di IPSP, l’impatto della terapia con colecalciferolo sui livelli sierici del 25(OH)D, del PTH e del bilancio calcio-fosforico e abbiano raffrontato i risultati con quelli di un analogo gruppo che rifiutava la supplementazione con vitamina D e quindi di controllo.

  

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La supplementazione con colecalciferolo migliora il controllo dell’iperparatiroidismo secondario nel paziente in emodialisi

Abstract

Introduzione: La carenza di vitamina D è frequente nei pazienti in emodialisi (HD) ed è un’importante componente nell’eziopatogenesi dell’iperparatiroidismo secondario (IPS). In questo studio abbiamo voluto valutare l’impatto della supplementazione con colecalciferolo sui livelli di paratormone (PTH) e della 25-idrossivitamina D (25(OH)D) in un gruppo di pazienti in HD con carenza di vitamina D ed IPS.

Pazienti e metodi: Sono stati selezionati 122 pazienti con livelli di 25(OH)D ≤30 ng/mL e IPS definito come livelli di PTH >300 pg/mL o livelli di PTH tra 150-300 pg/mL in corso di terapia con cinacalcet e/o paricalcitolo. Di questi, 82 hanno acconsentito alla supplementazione per via orale con colecalciferolo alla dose fissa di 25,000 UI a settimana per 12 mesi, mentre i rimanenti 40 pazienti l’hanno rifiutata, andando a costituire il gruppo di controllo. I due principali endpoint dello studio erano la riduzione dei livelli PTH ≥30% rispetto ai valori basali e l’incremento dei livelli di 25(OH)D a valori >30 ng/mL.

Risultati: Al follow-up, nel gruppo supplementato i livelli di PTH si riducevano da 476 ±293 a 296 ±207 pg/mL (p<0.001) quelli di 25(OH)D aumentavano da 10.3 ±5.7 a 33.5 ±11.2 ng/mL (p<0.001), la calcemia aumentava da 8.6 ± 0.5 a 8.8 ± 0.6 mg/dL (p<0.05) mentre la fosforemia rimaneva invariata. In questo gruppo il dosaggio medio del paracalcitolo veniva ridotto da 8.7 ±4.0 a 6.1 ±3.9 µg/settimana (p<0.001). Un risultato inatteso era l’aumento dei livelli di emoglobina da 11.6 ±1.3 a 12.2 ±1.1 gr/dL (p <0.01) con una riduzione del dosaggio medio di eritropoietina da 119 ±88 a 88 ±65 UI/Kg p.c./settimana (P<0.05). Nel gruppo di controllo i livelli di 25(OH)D e di PTH non si modificavano, mentre vi era un incremento del dosaggio medio di cinacalcet da 21 ±14 a 43 ±17 mg/die (p<0.01).

Conclusioni: La carenza di vitamina D è molto frequente nel paziente in HD. La supplementazione di colecalciferolo migliora questo stato carenziale ed allo stesso tempo consente un miglior controllo dell’IPS ed una riduzione dei dosaggi medi di paracalcitolo.

 

Parole chiave: vitamina D, colecalciferolo, emodialisi, iperparatiroidismo secondario, paracalcitolo

Introduzione

L’iperparatiroidismo secondario (IPS) inizia come un processo adattativo ma in ultimo, a seguito del ridursi della funzione renale, della ridotta escrezione di fosfati, della ridotta produzione di vitamina D e dell’ipocalcemia, si trasforma in un processo patologico [1]. È opinione comune che bassi livelli sierici di vitamina D siano la causa del bilancio negativo del calcio, dell’IPS e della patologia ossea. Le concentrazioni sieriche di 25-idrossivitamina D (25(OH)D) sono il principale indice del patrimonio di vitamina D del nostro organismo e sono utilizzate per definire uno stato carenziale di vitamina D [2]. Nelle linee guida National Kidney Foundation–Kidney Disease Outcomes Quality Initiative (NKF–KDOQI), livelli sierici di 25(OH)D <5 ng/mL sono utilizzati per indicare una grave deficienza di vitamina D, livelli tra 5 e 15 ng/mL indicano una lieve insufficienza, livelli tra 16 e 30 ng/mL indicano un’insufficienza, mentre livelli maggiori di 30 ng/mL vengono considerati ottimali, anche se non vi è unanime consenso su quali siano i livelli sierici di vitamina D da considerare ottimali [3, 4].

 

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Terapia dell’osteoporosi da glucocorticoidi

Abstract

L’osteoporosi indotta da glucocorticoidi (GIO) è un’importante causa di osteoporosi secondaria che inizia precocemente nel corso della terapia anche per dosaggi bassi. In nefrologia, i glucocorticoidi vengono utilizzati nel trattamento delle nefropatie a genesi immunologica e nel trapianto renale. Nella pratica clinica sono disponibili diversi algoritmi che consentono di stimare il rischio di frattura osteoporotica nel lungo periodo, ma nessuno di questi è specificatamente rivolto alla GIO. Ad oggi, l’approccio terapeutico alla GIO comprende misure di carattere generale rivolte alla correzione dello stile di vita, dell’apporto di calcio e di vitamina D e farmaci (bifosfonati, teriparatide, terapia ormonale sostitutiva, denosumab) che, mediante meccanismi molecolari diversi, migliorano la densità minerale ossea e l’outcome del paziente.

PAROLE CHIAVE: Osteoporosi indotta da glucocorticoidi, bifosfonati, denosumab, teriparatide, calcio, vitamina D

INTRODUZIONE

L’utilizzo degli steroidi si associa ad una perdita precoce (entro 3-6 mesi dall’inizio della terapia) della densità ossea con conseguente incremento del rischio di fratture, per dosaggi di prednisolone (o suo equivalente) > 2.5-7.5 mg/die (1). In ambito nefrologico, la terapia steroidea viene utilizzata nel trattamento delle nefropatie a genesi immunologica, che colpiscono pazienti sia giovani che anziani, nonché nell’ambito del trapianto renale. In letteratura vi sono pochi lavori che abbiano valutato l’efficacia della prevenzione e della terapia dell’osteoporosi nel contesto delle nefropatie glomerulari (2). Lo scopo di questa review è delineare quali siano le attuali terapie e le indicazioni ad iniziare un trattamento per l’osteoporosi indotta da glucocorticoidi (GIO, glucocorticoid induced osteoporosis).

 

PATOGENESI

I glucocorticoidi, agendo mediante i recettori citoplasmatici tipo 2 presenti negli osteoblasti e nelle cellule stromali, aumentano il riassorbimento del tessuto osseo e ne riducono la formazione. Tale effetto è mediato, almeno in parte, dalla soppressione della produzione di osteoprotegerina (OPG) e dalla sovraproduzione del receptor activator of nuclear factor kappa-B ligand (RANKL): la prima inibisce la differenziazione osteoclastica a partire dalle cellule emopoietiche agendo come “decoy” per il recettore RANK; il secondo rappresenta un fattore fondamentale per la differenziazione osteoclastica legandosi al precedente (3). L’uso di glucocorticoidi a lungo termine riduce prevalentemente la formazione di osso, mediante l’inibizione diretta della proliferazione degli osteoblasti e l’aumento della velocità di apoptosi di osteociti ed osteoblasti maturi: ciò spiegherebbe il motivo per cui i glucocorticoidi possono causare osteonecrosi (4).

I glucocorticoidi, inoltre (56), riducono l’assorbimento intestinale di calcio interferendo con l’azione della vitamina D e riducendo l’espressione dei canali del calcio nel duodeno; incrementano la calciuria; inibiscono la produzione di insulin-like growth factor 1 (IGF-1) e di testosterone; aumentano il catabolismo proteico con conseguente sarcopenia ed aumento del rischio di caduta (Figura 1).

 

DIAGNOSI

In generale, si pone diagnosi di osteoporosi quando:

  • si verifica una frattura di fragilità
  • e/o la densità minerale ossea (BMD), usando la dual-energy x-ray absorptiometry (DXA), mostri un T-score < – 2.5 DS.

Nella valutazione del paziente che deve intraprendere terapia steroidea con una durata prevista di almeno 3 mesi, è necessario stimare il rischio di frattura. Nella popolazione generale, sono stati validati algoritmi di valutazione (FRAX, DeFRA) che consentono di stimare la probabilità di frattura del paziente nel lungo periodo.

Il Fracture Risk Assessment Tool (FRAX), patrocinato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, stima la probabilità a 10 anni di frattura nelle donne non trattate in post-menopausa e negli uomini con età pari o maggiore a 50 anni (7).

Esso considera quali fattori di rischio: età (40-90 anni), sesso (M/F), indice di massa corporea, fratture pregresse, genitori con anamnesi positiva per frattura di femore; fumo; consumo >3 unità alcoliche/die, terapia steroidea, presenza di artrite reumatoide; bone mineral density (BMD) misurata al collo femorale (g/cm3).

 

Combinando i vari parametri richiesti, i pazienti vengono stratificati in 3 classi di rischio per frattura osteoporotica maggiore a 10 anni:

  • Basso rischio: FRAX <10%;
  • Medio rischio: FRAX 11-20%;
  • Alto rischio: FRAX >20% o T score < -2.5 DS.

 

I principali limiti all’uso del FRAX nella GIO sono rappresentati dal fatto che tale punteggio non considera la BMD vertebrale, principale sede di frattura nella GIO; dall’impossibilità di inserire dosaggio, durata ed eventuale uso di boli steroidei nel calcolo del rischio; dalla non applicabilità a pazienti con età inferiore a 40 anni.

Un’evoluzione recente del FRAX adattata alla realtà italiana e recentemente validata, è il DeFRA (FRAX-derived) che sembra migliorare la previsione della probabilità del rischio di frattura a 10 anni. Il principale obiettivo del DeFRA è definire meglio il rischio assoluto di frattura introducendo nell’algoritmo variabili non più dicotomiche ma semiquantitative (fumo, dose di glucocorticoide, unità alcoliche), numero e sede di precedenti fratture di fragilità, altre cause di osteoporosi secondaria (ad es. connettivi) ed infine la BMD sia del femore che della colonna vertebrale (8).

 

MISURE GENERALI E FARMACOLOGICHE PER LA PREVENZIONE ED IL TRATTAMENTO DELLA GIO

Misure generali

Secondo le linee guida dell’American College of Rheumatology del 2010 (9), nel paziente che inizia una terapia steroidea con durata prevista del trattamento > 3 mesi, si raccomanda di intraprendere il seguente stile di vita e di effettuare le seguenti valutazioni al fine di prevenire la perdita di densità ossea (livello di evidenza C):

  • Sospensione del fumo;
  • Evitare l’assunzione eccessiva di alcol (> 2 bicchieri/die);
  • Effettuare attività fisica con carico;
  • Valutazione dell’apporto di calcio e vitamina D nutrizionale;
  • Valutazione del rischio di caduta ed altezza;
  • DXA al basale;
  • Livelli circolanti di 25-OH vitamina D;
  • Considerare un Rx della colonna vertebrale o un vertebral fracture assessment (VFA).

Calcio e vitamina D. Calcio e vitamina D rappresentano la prima linea terapeutica e preventiva della GIO. Le linee guida dell’ACR 2010 raccomandano nel paziente che deve assumere steroidi per una durata prevista pari o maggiore a 3 mesi, di mantenere un apporto totale di calcio di 1200 mg/die ed un introito di vitamina D pari a 800 UI/die mediante dieta e/o supplementi (livello di evidenza A) (9). Tale raccomandazione deriva dal fatto che i glucocorticoidi riducono l’assorbimento intestinale di calcio ed aumentano la calciuria, generando un bilancio negativo del calcio.

I metaboliti attivi della vitamina D (alfa-calcidiolo, calcitriolo) si sono dimostrati parimenti efficaci nel mantenimento della densità ossea vertebrale nei pazienti che assumono terapia steroidea [effect size (ES) = 0.43, p< 0.001] senza preferenza dell’uno rispetto all’altro (p>0.13) (10). Tuttavia, sono poco utilizzati alla luce dei rischi potenziali di ipercalcemia ed ipercalciuria e per la presenza di terapie ritenute più efficaci, come i bifosfonati (11, 12).

 

Bifosfonati. I bifosfonati rappresentano, dopo calcio e vitamina D, i farmaci di prima linea per la prevenzione ed il trattamento della GIO, dimostrandosi in ciò superiori ai supplementi di vitamina D e calcio (7, 8). I bifosfonati sono analoghi del pirofosfato (PPi): si differenziano per la sostituzione dell’atomo di ossigeno (P-O-P) con un atomo di carbonio (P-C-P) (13). Le cellule di rivestimento dell’osso impediscono al PPi di entrare nella struttura ossea grazie all’azione della fosfatasi alcalina, mentre i bifosfonati sono resistenti all’azione di tale enzima e penetrano nell’osso legandosi alla superficie mineralizzata. Il meccanismo d’azione dei bifosfonati è principalmente dovuto all’inibizione dell’attività osteoclastica mediante il blocco dell’attività di enzimi ATP-dipendenti, della farnesil pirofosfato sintasi e tramite l’interferenza con la via del mevalonato; tutti pathways essenziali per la funzione e la sopravvivenza degli osteoclasti. Dal punto di vista farmacocinetico, i bifosfonati hanno una bassa biodisponibilità orale [alendronato, ibandronato, risedronato (1%), etidronato (3-7%)] e vanno assunti a stomaco vuoto con un bicchiere d’acqua. Una volta assorbiti, circa il 40-60% entra nell’osso mentre il restante viene eliminato immodificato per filtrazione glomerulare e secrezione tubulare prossimale. L’emivita di eliminazione dei bifosfonati è pari a circa 10 anni (13). Si consiglia, da scheda tecnica, l’uso di alendronato, risedronato, ibandronato in pazienti con clearance della creatinina (ClCr) >30 ml/min e di zoledronato in pazienti con ClCr > 35 ml/min. La Tabella 1 riporta la posologia dei principali bifosfonati per la prevenzione ed il trattamento della GIO.

Teriparatide. Teriparatide (PTH 1-34) è indicato come terapia di seconda linea per il trattamento e la prevenzione della GIO per costo, necessità di somministrazione sottocutanea e disponibilità di altri farmaci (9). La somministrazione intermittente di PTH stimola la formazione ossea ed aumenta l’assorbimento intestinale ed il riassorbimento renale di calcio. Nel lavoro di Saag et al. si evidenzia come teriparatide sia più efficace dell’alendronato nell’aumentare la BMD e nel ridurre il numero di fratture della colonna vertebrale, mentre non vi è differenza significativa nell’incidenza di fratture non vertebrali (p=0.36) (14). Tale farmaco viene somministrato per via sottocutanea al dosaggio di 20 mcg/die e non richiede alcun aggiustamento posologico in caso di insufficienza renale; tuttavia, da scheda tecnica, ne viene controindicato l’uso in caso di insufficienza renale grave. Tale terapia non va protratta oltre i due anni per un aumentato rischio di osteosarcoma osservato con trattamenti di durata maggiore in studi preclinici (15).

Denosumab. Denosumab è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro il fattore di differenziazione osteoclastica RANKL: inibisce pertanto la formazione di osteoclasti, riduce il riassorbimento osseo ed il rischio di frattura ed aumenta la BMD (16). Dal punto di vista farmacocinetico, denosumab non è eliminato dal rene; pertanto non vi è attualmente controindicazione all’uso in pazienti con ClCr < 30-35 ml/min. Tuttavia, come per altri farmaci anti-riassorbitivi, nei pazienti con malattia renale cronica vi è un maggior rischio di ipocalcemia: è indicato pertanto fornire vitamina D e calcio al paziente prima di intraprendere denosumab (17). La scheda tecnica del farmaco attualmente non ne prevede una specifica indicazione nel trattamento della GIO; tuttavia in Italia la nota AIFA n.79 contempla l’uso del farmaco come seconda linea in prevenzione primaria e secondaria nei pazienti in terapia steroidea, al dosaggio di 60 mg sc ogni 6 mesi (18).

 

INDICAZIONI ALL’USO DEI FARMACI ANTI-OSTEOPOROTICI PER LA PREVENZIONE ED IL TRATTAMENTO DELLA GIO

Di seguito sono riportate le raccomandazioni dell’ACR 2010 (9). Tali raccomandazioni suddividono i pazienti in relazione all’età (superiore o inferiore ai 50 anni) e, nelle donne, allo stato menopausale.

Le indicazioni ad iniziare in prevenzione primaria la terapia farmacologica nei pazienti con età >50 anni e nelle donne in postmenopausa sono le seguenti:

  • Soggetti che iniziano o assumono terapia steroidea a qualunque dosaggio per qualsiasi durata, con T score compreso fra -1.0 e -2.5 (osteopenia);
  • Probabilità di alto rischio calcolata mediante FRAX;
  • Punteggio di rischio basso-medio calcolato mediante FRAX ma in soggetti in terapia con >5 mg/die di prednisone o suo equivalente per una durata prevista > 3 mesi.

In pazienti con diagnosi di osteoporosi, è indicato iniziare la terapia in uomini d’età >50 anni e nelle donne in post-menopausa che iniziano o sono già in terapia steroidea indipendentemente da dosaggio e durata del trattamento alla valutazione iniziale.

Circa l’impiego farmacologico, le linee guida dell’ACR suggeriscono:

  • Per i pazienti a basso rischio, l’uso dei bifosfonati (alendronato, risedronato e acido zoledronico) se la dose di prednisone è >5 mg/die.
  • Per i pazienti a medio rischio, l’uso di alendronato e risedronato per qualsiasi dose di steroide; l’acido zoledronico rappresenta una possibilità per i pazienti che ricevono >5 mg/die di prednisone.
  • Per i pazienti ad alto rischio, l’uso dei bifosfonati per qualsiasi dosaggio e durata di terapia steroidea. La teriparatide rappresenta una possibilità nei pazienti ad alto rischio che assumono > 5 mg/die di prednisone per una durata nota < 1 mese e per qualsiasi dosaggio di steroide di durata > 1 mese.
  • Nelle donne in pre-menopausa e nei pazienti maschi d’età inferiore ai 50 anni, è necessario valutare la funzione gonadica: laddove questa sia deficitaria vi è indicazione alla terapia ormonale sostitutiva, rispettivamente estro progestinica o con testosterone. Vista la lunga emivita e la capacità dei bifosfonati di superare la placenta, è necessario considerare i potenziali danni al feto nelle donne in età fertile.

Le linee guida suggeriscono di iniziare la terapia farmacologica in:

  • Donne con precedente frattura di fragilità in terapia con prednisone o suo equivalente pari a 7.5 mg/die per > 3 mesi, che non richiedano terapia estrogenica sostitutiva (funzione ovarica nella norma).
  • Donne senza frattura di fragilità con perdita ossea accelerata (> 4%/anno) in trattamento steroideo.
  • Uomini con precedente frattura di fragilità in terapia con prednisone o suo equivalente pari a 7.5 mg/die per > 3 mesi che non richiede terapia ormonale sostitutiva (testosterone).
  • Uomini senza frattura di fragilità con perdita ossea accelerata (> 4%/anno) in trattamento steroideo.

 

NOTA AIFA n° 79

La prescrivibilità a carico del Sistema Sanitario Nazionale di bifosfonati, teriparatide e denosumab è vincolata dalla nota n°79 dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Tale nota, riguardo la GIO, può essere così riassunta:

  • Nei pazienti in prevenzione primaria in donne in menopausa o in uomini d’età > 50 anni a rischio elevato di frattura per un trattamento in atto o previsto per > 3 mesi con prednisone > 5 mg/die, è possibile prescrivere in ordine di scelta:
    • 1° scelta: alendronato (± vit.D), risedronato, zoledronato
    • 2° scelta: denosumab
  • Nei pazienti in prevenzione secondaria con pregresse fatture osteoporotiche vertebrali o di femore, se è presente > 1 frattura ed un trattamento con prednisone o equivalenti > 5 mg/die, è possibile prescrivere in ordine di scelta:
    • 1° scelta: teriparatide
    • 2° scelta: denosumab, zoledronato
    • 3° scelta: alendronato (± vit.D), risedronato, ibandronato, stronzio ranelato

Il passaggio dalla prima scelta di trattamento alle successive richiede la presenza di intolleranza, incapacità di assunzione corretta, effetti collaterali o controindicazioni al farmaco della classe precedente o, nel caso del teriparatide, alla fine del periodo di trattamento massimo consentito. Si considera altresì la modifica della scelta terapeutica anche in caso di frattura osteoporotica vertebrale o di femore nonostante trattamenti praticati per almeno un anno con i farmaci della classe precedente (19).

 

CONCLUSIONI

Rimane, ad oggi, controverso quale sia l’approccio migliore per la prevenzione ed il trattamento della GIO, soprattutto nei pazienti giovani senza evidenti fattori di rischio clinici e/o laboratoristici per osteoporosi. In ambito nefrologico, è stata recentemente condotta dal Gruppo di Nefrologia Clinica Piemontese un’indagine retrospettiva volta a valutare l’approccio alla prevenzione del danno osseo nei pazienti in terapia steroidea in Piemonte e Valle D’Aosta. Tale articolo mette in luce l’ampia variabilità nell’aderenza alle linee guida (ACR 2010 ed altre) e nella prescrizione dei farmaci per l’osteoporosi nonché nel monitoraggio e nella valutazione laboratoristico-radiologica del problema (20). Alla luce del notevole utilizzo in ambito nefrologico della terapia steroidea, sono necessari ulteriori studi che valutino l’impatto di tale problematica nell’ambito delle nefropatie a genesi immunologica.

 

Bibliografia

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  18. Rossini M, Adami S, Bertoldo F, et al. Guidelines for the diagnosis, prevention and management of osteoporosis. Reumatismo 2016; 68(1):1-42.
  19. http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/Determinazione_n._589-2015-Modifiche_alla_Nota_79.pdf
  20. Savoldi S, Giacchino F, Rollino C, et al. Prevenzione del danno osseo nei pazienti trattati con corticosteroidi in Piemonte e Valle d’Aosta. G Ital Nefrol 2015;32(3).

 

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