Protetto: La telemedicina e il monitoraggio da remoto in dialisi peritoneale migliora gli outcome clinici, la qualità di vita e l’efficienza dei costi

Abstract

Introduzione: la dialisi peritoneale (DP) rappresenta un esempio di de-ospedalizzazione per il paziente che necessita l’avvio del trattamento dialitico.
Pazienti e metodi: sono stati arruolati 73 pazienti in DP in cura presso l’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi dell’Azienda Ospedaliera Papardo di Messina. 39 pazienti (gruppo DP automatizzata APD) sono stati seguiti in modo convenzionale, mentre 34 pazienti (gruppo remote monitoring RM-APD) sono stati seguiti in telemedicina.
Risultati: non vi sono state differenze in termini di efficacia dialitica tra i due gruppi. Il gruppo RM-APD ha avuto minore necessità di visite ambulatoriali non programmate, con minore tasso di ospedalizzazione (7 vs 17; p: 0,03) e di drop-out (p: 0,04). Abbiamo rilevato una minor incidenza di infezione da Covid-19 nei pazienti in DP rispetto ai pazienti emodializzati (12 pazienti vs 31; p: 0,02), con un minor numero di ricoveri ospedalieri secondari al Covid (15% vs 70%; p: 0,001). Il paziente in DP ha una migliore percezione dello stato di salute rispetto al paziente emodializzato. La DP domiciliare ha richiesto circa un terzo del costo necessario per la gestione di un paziente emodializzato cronico tri-settimanale seguito presso un centro ospedaliero.
Conclusione: la telemedicina è un metodo sicuro nella gestione del paziente in DP, favorendo la de-ospedalizzazione, riducendo complicanze infettive e ospedalizzazioni con un netto miglioramento della qualità di vita dei pazienti e una significativa riduzione dei costi.

Parole chiave: telemedicina, remote monitoring, dialisi peritoneale

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Dialisi peritoneale “di qualità”

Abstract

La valutazione di un programma di dialisi peritoneale (DP) attivo in un centro nefrologico necessita di indicatori di tipo qualitativo e quantitativo, orientati principalmente su esiti di tipo clinico. Le linee guida internazionali raccomandano il monitoraggio degli esiti dell’impianto del catetere peritoneale e delle sue complicanze, delle infezioni relate al catetere, delle peritoniti, dell’adeguatezza dialitica. Nessuno di questi parametri riesce però a determinare l’efficienza organizzativa di un programma di DP. È auspicabile che centri con programmi di DP con prevalenza ≤14 pazienti, quando già in grado di praticare il test di equilibrazione peritoneale, salvaguardino il proprio know-how o avviino collaborazioni con nefrologie con programmi di DP consolidati.

Parole chiave: qualità, dialisi peritoneale (DP), test equilibrazione peritoneale (PET), pressione intra-peritoneale (IPP), telemedicina, dotazione organico

La valutazione di un programma di dialisi peritoneale (DP) attivo in un centro nefrologico passa per indicatori di tipo quali-quantitativo redatti, principalmente, su esiti di tipo clinico. Le linee guida internazionali raccomandano, infatti, il monitoraggio dell’attività dialitica peritoneale esplorando gli esiti dell’impianto del catetere peritoneale [1], le infezioni relate al catetere [2], l’insorgenza di peritoniti [3], l’adeguatezza depurativa [4] (Tabella 1). Questi indicatori hanno però il limite di essere supportati da evidenze di scarsa qualità [5] e di scotomizzare la sfera organizzativa della DP composta da risorse umane, strumenti diagnostici e infrastrutture a disposizione. 

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Videodialisi peritoneale: primo audit italiano

Abstract

La Videodialisi (VD) è stata ideata e sviluppata dal 2001 presso il Centro di Alba.

Inizialmente impiegata per prevenire il drop-out nei pazienti prevalenti in DP guidandoli dal Centro nell’esecuzione della dialisi (VD-Caregiver), successivamente il suo utilizzo è stato esteso al follow-up clinico di pazienti critici (VD-Clinica), per problemi di trasporto in Centro (VD-Trasporto) ed infine, dal 2016, per il training/retraining di tutti i pazienti (VD-Training).

Dal 2017 altri Centri hanno utilizzzato la VD con modalità di impiego analizzate nel presente lavoro.

Metodologia: il lavoro riporta l’Audit (febbraio 2021) dei Centri che utilizzavano la VD al 31-12-2020.

I Centri hanno fornito le seguenti informazioni :

  • caratteristiche dei pazienti in VD;
  • motivazione principale e secondarie alla VD considerando i pazienti in Residenze Sanitarie Assistite (VD-RSA) a parte;
  • outcome della VD: durata, drop-out, peritoniti, gradimento del paziente/caregiver (1: minimo – 10 massimo).

Risultati: la VD, avviata tra Settembre 2017 e Dicembre 2019, è stata utilizzata in 6 Centri per 54 pazienti (età: 71,8±12,6 anni – M:53,7% – CAPD:61,1% – DP-Assisita:70,3%).

Le motivazioni sono state: VD-Training (70,4%), VD-Caregiver (16,7%), VD-RSA (7,4%), VD-Clinica (3,7%) e VD-Trasporto (1,9%) con differenze tra i Centri.

Il VD-Training è maggiormente utilizzato nei pazienti Autonomi (93,8% – p<0,05) mentre nei pazienti in DP-Assistita è associato a motivazioni secondarie (95,7% – p<0,02). Il VD-Training (durata 1-4 settimane) si è sempre concluso con successo.

Conclusione: la videodialisi è uno strumento flessibile, efficace, sicuro e gradito, utilizzabile con diverse modalità influenzate dalle scelte del Centro e dalla complessità del paziente. 

Parole chiave: dialisi peritoneale, dialisi peritoneale assistita, telemedicina, videodialisi, training

Introduzione

Allo scopo di superare le barriere psicologiche, cognitive e fisiche all’autogestione che limitano l’utilizzo della Dialisi Peritoneale (DP), in particolare negli anziani, è stato ideato e sviluppato presso il Centro di Alba un sistema di assistenza da remoto chiamato Videodialisi (VD) che si è dimostrato efficace come caregiver virtuale nel superare le barriere alla autogestione della DP [1]. Il sistema della VD è stato descritto in dettaglio in un recente lavoro [13].

 

Storia della videodialisi

L’esperienza della VD ha inizio il 01/10/2001 (Figura 1) quando venne ideata ed utilizzata per prevenire il drop-out di pazienti prevalenti con sopraggiunta impossibilità a proseguire in autonomia le procedure della DP.

Figura 1: Abstract EuroPD Brusselles, 4-7 May 2002. Peritoneal Dialysis International Vol 22 (1): 138.
Figura 1: Abstract EuroPD Brusselles, 4-7 May 2002. Peritoneal Dialysis International Vol 22 (1): 138.

Visti i buoni risultati ottenuti, dal 01/01/2009 l’impiego della VD venne esteso a tutti i pazienti incidenti o loro caregiver che presentavano fin dall’inizio barriere all’esecuzione autonoma della DP. In tale impiego il paziente o il caregiver veniva “guidato” a distanza dall’infermiera del Centro nell’esecuzione delle procedure dialitiche (scambi in CAPD o montaggio, attacco e stacco in APD). Tale modalità di impiego, che può essere definita come Videocaregiver (VD-Caregiver), ha consentito di estendere l’utilizzo della DP e/o di evitare il ricorso a caregiver autonomi ma con maggior carico per la famiglia dal punto di vista sociale od economico [2].

In seguito le indicazioni alla VD sono state estese anche a condizioni di difficoltoso accesso in Centro, per la distanza o per l’allettamento (VD-Trasporto), o a condizioni cliniche tali da richiederne un frequente monitoraggio (VD-Clinica).

La differenza tra queste 3 modalità di impiego risiede nella frequenza dei collegamenti con il Centro: a tutti gli scambi (CAPD) o a tutte le sedute dialitiche (APD) nel caso del VD-Caregiver, alle sole visite di controllo nel caso di VD-Trasporto e ad una frequenza intermedia, secondo la gravità delle condizioni cliniche o le necessità del monitoraggio, nel caso di VD-Clinica.

Nel caso della VD-Caregiver, si osservò che con il tempo alcuni pazienti diventavano autonomi nell’esecuzione delle procedure dialitiche. Questa osservazione fece ipotizzare che un training personalizzato nella durata e nelle modalità di svolgimento con la VD potesse avere una maggior efficacia.

Per tali ragioni dal 01/08/2016 la VD è stato utilizzata per il training di tutti i pazienti (VD-Training). Sulla base dei risultati del training, si decideva se mantenere il supporto della VD, completo o parziale, o lasciare al paziente la gestione autonoma della dialisi.

Per una maggiore efficacia di conduzione e di valutazione del training è stato ideato e poi applicato dal  01/11/2018 un “sistema di training esperto” [3].

Questa esperienza, delineata nelle sue tappe principali, è anche la storia di una evoluzione tecnologica descritta in dettaglio nel lavoro precedentemente citato [1].

 

Impieghi della videodialisi

La VD può essere utilizzata in situazioni o contesti diversi, per destinatari diversi ed in luoghi diversi.

Contesti: training delle procedure dialitiche (VD-Training); supporto “permanente” all’esecuzione della dialisi delle procedure dialitiche (VD-Caregiver); follow-up intensivo di pazienti con condizioni cliniche critiche (VD-Clinica) e follow up di pazienti con difficoltà di accesso al Centro (VD-Trasporto).

Destinatari: paziente con o senza barriere alla DP; caregiver con o senza barriere alla DP; operatori sanitari.

Luoghi: domicilio; Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA). Nelle RSA spesso coesistono condizioni cliniche critiche, difficoltà di trasporto (pazienti allettati, impegno di personale e mezzi dedicati) e necessità di training e retraining ripetuti agli Operatori Sanitari per l’elevato turnover del personale.

L’esperienza del Centro di Alba, nel periodo 01/01/2014-31/12/20, relativa a 57 pazienti (età media 70,8 anni – M 63,2% – APD 56,1%) è riassunta in Tabella 1 e in Figura 2.

Dal 2017 la VD ha iniziato ad essere utilizzata anche in altri Centri.

Inizialmente proposta come VD-Caregiver, successivamente la modalità di utilizzo della VD è stata liberamente scelta dai singoli Centri, in considerazione anche dell’insorgere della pandemia COVID.

 VD PAZIENTI
(num)
DURATA
(mesi)
MORTE

(num)

TRAPIANTO

(num)

DROP-OUT

(num)

DP SENZA VD (num) IN VD

(num)

TRAINING * 28 0,25–0,75 0 2 0 26 0
CAREGIVER 14 17,4±11,7 1 3 5 4 1
CLINICA/TRASPORTO 6 13,8±11,6 2 0 0 1 3
RSA ** 9 14,4±15,3 6 0 3 0 0
Tabella 1: Esperienza della Videodialisi (VD) ad Alba nel periodo 01/01/2014 – 31/12/2020 relativa a 57 pazienti. Durata della VD e motivi del cessato utilizzo in rapporto alle modalità di impiego della VD. VD-Clinica e VD-Trasporto sono state considerate insieme per il ridotto numero di pazienti e l’associazione tra le due condizioni. La VD-RSA è stata considerata a parte perché le motivazioni all’utilizzo sono diverse e tutte con la stessa importanza.
* VD-Training è stata utilizzata in 28 pazienti per 35 Training. In 2 casi il Training è stato interrotto per Trapianto. La durata della VD-Training è risultata compresa tra 1 e 3 settimane (0,25-0,75 mesi). Per le altre motivazioni la durata è espressa come media±DS.
** Il Drop-out comprende 1 caso di cessazione della DP per ripresa della Funzione Renale
Figura 2: Motivazioni all’utilizzo della VD nell’esperienza di Alba (Pazienti: 57 - Età media: 70,8 anni – M: 63,2% - APD: 56,1%).
Figura 2: Motivazioni all’utilizzo della VD nell’esperienza di Alba (Pazienti: 57 – Età media: 70,8 anni – M: 63,2% – APD: 56,1%).

 

Obiettivi

Obiettivo di questo lavoro è stato la valutazione di questa prima esperienza multicentrica nel periodo 01/09/2017-31/12/2020, in particolare per quanto riguarda le motivazioni all’impiego della VD ed i risultati ottenuti.

 

Materiali e metodi

Il 04/02/2021 è stato condotto un Audit dei Centri che utilizzavano il sistema di VD.

Ciascun Centro ha fornito i propri dati relativi a:

  • numero di pazienti e caratteristiche generali;
  • caratteristiche del destinatario della VD (paziente, caregiver familiare o retribuito, RSA);
  • motivazioni all’impiego della VD, che potevano essere le seguenti:
    • traning (VD-Training)
    • caregiver (VD-Caregiver)
    • cliniche (VD-Clinica)
    • distanza o difficoltà di accesso al Centro (VD-Trasporto)
    • sistemazione in RSA (VD-RSA)
  • outcome della VD:
    • cause del cessato utilizzo
    • durata dell’impiego
    • peritoniti
    • gradimento del destinatario (paziente/caregiver) espresso con una scala da 1 (minimo) a 10 (massimo)

Dal momento che sono possibili più motivazioni all’uso della VD, il Centro indicava la motivazione principale e quelle secondarie che avevano contribuito alla decisione di utilizzare il sistema.

La VD-RSA è stata considerata a parte dal momento che per tali pazienti coesistono contemporanemante, con la stessa importanza, più motivazioni alla VD (training di molti infermeri con elevato turnover del personale, condizioni cliniche precarie, difficoltà di trasporto per pazienti in genere allettati).

Il lavoro riporta i risultati di questa iniziale esperienza multicentrica negli aspetti sopraelencati.

Il confronto statistico, mediante il test del Chi-quadrato, è stato limitato all’analisi delle motivazioni principali alla VD e, limitatatmente al VD-Training (il gruppo più numeroso), alla presenza di eventuali motivazioni secondarie in funzione dell’autonomia dei pazienti.

 

Risultati

Centri partecipanti

I Centri che hanno partecipato all’Audit con la sede del training, la frequenza delle visite domiciliari e la data di inizio dell’esperienza con la VD sono riportati in Tabella 2.

CENTRO SEDE ABITUALE DEL TRAINING VISITE DOMICILIARI INIZIO VD
Cagliari Domicilio All’inizio poi ogni 2-3 mesi Settembre 2017
Piacenza Centro All’inizio poi ogni 2-3 mesi Marzo 2019
Sanluri Inizio in Centro (7 giorni) poi a domicilio All’inizio poi se necessario Giugno 2019
Teramo Inizio in Centro (3 giorni) poi domicilio All’inizio poi se necessario Aprile 2019
Varese Inizio in Centro – in alcuni prosegue a domicilio Mai Marzo 2018
Verbania Domicilio All’inizio poi se necessario Dicembre 2019
Tabella 2: Centri partecipanti: sede del training, frequenza visite domiciliare e data di inizio della Videodialisi.

Pazienti

Complessivamente la VD è stata utilizzata in 54 pazienti di cui 33 in CAPD (61,1%) e 21 in APD (38,9%), di età media 71,8±12,6 anni ma con notevole variabilità da centro a centro.

Dei 54 pazienti, 16 (29,6%) effettuavano le procedure dialitiche in autonomia mentre 38 (70,4%) erano in diverse modalità di DP assistita (Tabella 3). Nei primi la VD ha come destinario il paziente, nei secondi il caregiver.

NUM. ETÀ M CAPD APD AUTONOMI DP ASSIST.
Cagliari 14 69,2±10,6 7 11 3 5 9
Piacenza 7 79,9±7,0 4 2 5 0 7
Sanluri 1 61 1 1 0 1 0
Teramo 12 65,6±14,1 6 7 5 7 5
Varese 8 74,4±5,3 4 6 2 0 8
Verbania 12 75,3±15,0 7 6 6 3 9
TUTTI (N°) 54 71,8±12,6 29 33 21 16 38
% 53,7 61,1 38,9 29,6 70,4
Tabella 3: Numero e caratteristiche dei pazienti in Videodialisi ripartiti per Centro partecipante. DP Assist. = DP Assistita: familiare, badante, RSA.

Motivazioni

In Tabella 4 sono riportate le motivazioni principali all’utilizzo della VD in funzione del grado di autonomia dei pazienti.

MOTIVAZIONI PRINCIPALI ALLA VD
NUM. ETÀ TRAINING CAREGIVER CLINICA TRASPORTO RSA
Autonomi 16 61,9 15 0 0 1 0
Autonomi con VD 1 67,0 0 1 0 0 0
CG familiare 28 76,4 19 8 1 0 0
CG badante 5 73,2 4 0 1 0 0
RSA 4 78,3 0 0 0 0 4
    TUTTI (N°) 38 9 2 1 4
    % 70,4 16,7 3,7 1,9 7,4
Tabella 4: Motivazioni principali all’utilizzo della Videodialisi ripartite per grado di autonomia nella gestione della DP.
  • Autonomi: DP autogestita
  • Autonomi con VD: DP autogestita con VD-Caregiver
  • CG familiare: DP assistita da un familiare
  • CG badante: DP assistita da personale retribuito (badante)
  • RSA: DP assistita da infermiere
La VD-RSA è stata considerata a parte perché le motivazioni all’utilizzo sono diverse e tutte vi contribuiscono con la stessa importanza.

La motivazione principale dell’utilizzo della VD è risultata il VD-Training in 38 pazienti (70,4%), seguita dal VD-Caregiver in 9 pazienti (16,7%) e dal ricovero in RSA in 4 pazienti (VD-RSA 7,4%). La VD-Trasporto e la VD-Clinica motivavano la VD rispettivamente in 1 e in 2 pazienti.

Le motivazioni della VD sono risultate molto differenti tra i diversi Centri (Figura 3).

Figura 3: Modalità di impego della Videodialisi nei 54 pazienti dell’Audit Multicentrico ripartiti per Centro. (Sanluri: non riportato in quanto ha 1 solo paziente).
Figura 3: Modalità di impego della Videodialisi nei 54 pazienti dell’Audit Multicentrico ripartiti per Centro. (Sanluri: non riportato in quanto ha 1 solo paziente).

Training. La VD-Training, come motivazione principale, è stata utilizzata in 15 dei 16 pazienti autonomi (93,8%) ed in 23 caregiver dei 38 pazienti in DP assistita (60,5% – p<0,05) (Figura 4A). In 8 dei 15 pazienti autonomi (53,3%) ed in 22 dei 23 di quelli in DP assistita (95,7% – p<0,02) (Figura 4B) erano presenti motivazioni secondarie alla VD. In questi 30 pazienti le motivazioni secondarie erano di tipo clinico nel 70,0% e legate a difficoltà di trasporto nel 36,7%.

Il VD-Training è stato utilizzato rispettivamente in 26 pazienti incidenti e 12 prevalenti: 6 casi per variazioni del trattamento dialitico (5 per il passaggio da CAPD ad APD ed 1 per la gestione della terapia antibiotica in corso di peritonite), 3 casi per retraining (1 caso dopo peritonite e 2 per altri problemi che richiedevano una verifica dell’idoneità all’autogestione), 2 casi per necessità di caregiver, 1 caso per cambio di caregiver. Dei 12 pazienti prevalenti, 10 appartenevano ad un unico Centro (Teramo).

Figura 4: A: Motivazioni principali all’utilizzo della Videodialisi nei pazienti Autonomi e in DP Assistita B: Motivazioni secondarie associate alla VD-Training nei pazienti Autonomi e in DP Assistita
Figura 4: A: Motivazioni principali all’utilizzo della Videodialisi nei pazienti Autonomi e in DP Assistita B: Motivazioni secondarie associate alla VD-Training nei pazienti Autonomi e in DP Assistita

Caregiver. La VD-Caregiver è stata utilizzata in 9 pazienti di cui 7 appartenenti ad un unico centro (Figura 3) che l’ha utilizzata solo con questa modalità. In 8 casi il destinatario è risultato il Caregiver Familiare. Le motivazioni secondarie erano cliniche in 8 casi e problemi di trasporto in 3 pazienti.

Distanza o difficoltà di trasporto. La VD-Trasporto è stata utilizzata in 1 paziente per problemi di distanza dal Centro.

Clinica. La VD-Clinica per il follow-up è stata utilizzata per 2 pazienti in DP assistita: 1 terminale e 1 in Casa Famiglia. Le motivazioni secondarie nel primo caso erano barriere psicologiche all’autogestione nel secondo caso la necessità di effettuare training a più caregiver nel tempo.

Video RSA. L’utilizzo della VD in RSA ha coinvolto 4 pazienti: 3 con VD-Training ed 1 con VD-Caregiver. In questi pazienti era difficile distinguere tra motivazioni principali e secondarie alla VD. Infatti tutti i pazienti avevano barriere non superabili all’autogestione, le motivazioni cliniche (VD-Clinica) erano presenti in 3 pazienti e in 2 casi, allettati, la difficoltà di trasporto (VD-Trasporto).

Outcome

Follow-up della VD. In Tabella 5 è riportato il follow-up della VD. La durata della VD è in relazione alle diverse modalità di utilizzo. In tutti i 38 casi di VD-Training l’utilizzo della VD è terminato con la conclusione positiva dell’addestramento. Dei rimanenti 16 pazienti 8 hanno interrotto la VD per decesso, 7 hanno continuato la DP senza la VD ed 1 era ancora in DP con la VD-Caregiver.

 VD PAZIENTI
(num)
DURATA
(mesi)
MORTE

(num)

DP SENZA VD

(num)

IN VD

(num)

TRAINING * 38 0,25 – 1,0 0 38 0
CAREGIVER 9 6,7±5,6 5 3 1
CLINICA/TRASPORTO 3 12,7±13,1 2 1 0
RSA 4 1,0±0,6 1 3 0
Tabella 5: Durata (media±DS) ed outcome (pazienti, numero) della Videodialisi (VD) nelle diverse modalità di impiego. Rispetto alla Tabella 1 non sono riportati casi di trapianto o di drop-out. VD-Clinica e VD-Trasporto considerati insieme per il ridotto numero di pazienti.
* La durata della VD-Training è risultata compresa tra 1 e 4 settimane (0,25-1,0 mesi). Per le altre motivazioni la durata è espressa come media±DS.

Peritoniti. Non è stato registrato nessun caso di peritonite durante l’utilizzo della VD.

Questionario di gradimento. I Centri che hanno valutato il gradimento del paziente sono risultati 5 relativamente a 39 pazienti. Lo score medio è risultato di 8,4 ±1,4.

I risultati dei punteggi medi riportati dai pazienti nei singoli Centri sono riportati in Figura 5.

Figura 5: Risultati del questionario di gradimento (min = 1 - max = 10). (Sanluri: non riportato in quanto ha 1 solo paziente, score = 8).
Figura 5: Risultati del questionario di gradimento (min = 1 – max = 10). (Sanluri: non riportato in quanto ha 1 solo paziente, score = 8).

 

Discussione

La modalità di utilizzo più frequente della VD è quella del VD-Training per i pazienti incidenti al primo avvio della DP. Tuttavia un centro l’ha utilizzata quasi esclusivamente per pazienti prevalenti (83%) per cambiamenti di metodica o di caregiver. Nei Centri di Teramo e Verbania l’utilizzo di questa modalità ha coinciso con la diffusione della pandemia che può avere incentivato l’utilizzo di prestazioni in telemedicina.

Per contro, la modalità VD-Caregiver è stata utilizzata nel 78% dei casi da un solo centro (Figura 3). Tali differenze possono essere spiegate dalla diversa politica del centro rispetto ad una modalità assistenziale di cui non vi era una precedente esperienza se non quella del Centro di Alba (Figura 1) inizialmente limitata, per evitarne il drop-out, ai soli pazienti già in DP per i limti tecnologici delle apparecchiature e dei sistemi di telecomunicazione.

Nonostante i limiti di un Audit, questa esperienza iniziale dimostra la notevole flessibilità del sistema che può essere utilizzata con modalità diversa in  pazienti che richiedono diversa intensità assistenziali. Infatti nei pazienti autonomi la motivazione prevalente di utilizzo della VD è il VD-Training (94%) mentre nei pazienti in DP assistita la scelta della VD è stata determinata da altre motivazioni nel 39% dei casi (Figura 4 A). Inoltre nel 97% dei pazienti in DP asssistita in VD-Training vi sono atre motivazioni secondarie che rendono necessario il ricorso alla VD  (Figura 4 B).

La durata della VD è determinata dalla modalità di utilizzo; nel caso del VD-Training la durata oscilla tra 1 settimana ed 1 mese ed è sovrapponibile all’esperienza di Alba (Tabella 5 vs Tabella 1).

L’efficacia della VD-Training è dimostrata dalla conclusione positiva di tutti i training effettuati con la VD (Tabella 5).

Per le modalità VD-Caregiver, VD-Clinica e VD-Trasporto i dati disponibili e la scarsa numerosità dei casi non consentono di trarre conclusioni sulla durata e le ragioni del drop-out. Nel caso della VD-RSA la durata media della permanenza in RSA con la VD era molto inferiore rispetto all’esperienza di Alba (Tabella 5 vs Tabella 1). Questo dato  è riconducibile al diverso utilizzo della VD-RSA: nell’Audit per pazienti terminali o con sistemazione temporanea in struttura, ad Alba per pazienti non terminali e con sistemazione definitiva in RSA.

La sicurezza del sistema è supportata dall’assenza di peritoniti durante l’utilizzo della VD. Tuttavia la mancanza dei dati relativi al follow-up post training non consente di trarre ulteriori conclusioni.

Il gradimento medio della VD da parte dei pazienti/caregivers, espressa da 1 a 10, risulta elevato (8,4 ± 1,4) con una differenza tra i centri (Figura 5).

 

Conclusioni

La Videodialisi è uno strumento flessibile, efficace, sicuro e gradito, utilizzabile con diverse modalità influenzate dalle scelte del Centro e dalla complessità del paziente. Inoltre l’utilizzo della VD potrebbe essere stato positivmente incentivato dalle necessità di ridurre gli accessi in centro durante la pandemia COVID.

 

Ringraziamenti

L’analisi è stata possibile grazie al contributo degli infermieri della Dialisi Peritoneale dei Centri partecipanti all’Audit.

In particolare si ringraziano Giuseppe Peddio e Massimo Frongia di Cagliari, Paola Chiappini di Piacenza, Morena Di Giandomenico, Monica Pirocchi e Milva Di Giovanni di Teramo; Mariella Maiolino di Varese e Michela De Nicola di Verbania.

 

Bibliografia

  1. Viglino G, Neri L, Barbieri S, Tortone C.: Videodialysis: a pilot experience of telecare for assisted peritoneal dialysis. J Nephrol 33, 177-182 (2020), https://doi.org/10.1007/s40620-019-00647-6
  2. Viglino G, Neri L, Barbieri S, Tortone C.: La dialisi peritoneale nell’anziano. Giornale Italiano di Nefrologia Suppl 79 (2019). https://giornaleitalianodinefrologia.it/en/2019/07/la-dialisi-peritoneale-nellanziano/
  3. Catia Tortone, Patrizia Barrile, Stefania Baudino, Loris Neri, Sara Barbieri, Giusto Viglino. VIDEOTRAINING AND EXPERT SYSTEM: A NEW PERITONEAL DIALYSIS TRAINING MODEL. Methodologies and Intelligent Systems for Technology Enhanced Learning, 11th International Conference. Edited by Fernando De la Prieta et al. Book series: Lecture Notes in Networks and Systems. Springer Nature (2021). https://doi.org/10.1007/978-3-030-86618-1_25

Tolvaptan nei pazienti affetti da malattia del rene policistico autosomico dominante: l’esperienza di Vicenza, dalle linee guida alla pratica clinica

Abstract

La malattia del rene policistico autosomico dominante (ADPKD) è una patologia renale ereditaria e rappresenta il 10% delle cause di insufficienza renale terminale. Fino ad alcuni anni fa non erano disponibili terapie specifiche e il trattamento si avvaleva soltanto di misure preventive, utili a rallentare lo sviluppo dell’uremia. Nel 2012 è stato pubblicato lo studio TEMPO 3:4 che ha portato all’approvazione del tolvaptan per “rallentare la progressione dell’insufficienza renale nei pazienti adulti affetti da ADPKD, con insufficienza renale cronica stadio 1-3 ed evidenza di malattia rapidamente progressiva”.

In Italia il tolvaptan è prescrivibile dal 2016 e rimborsabile dal 2017. Ad aprile 2020 la rimborsabilità è stata estesa anche all’ insufficienza renale cronica stadio 4 iniziale (GFR >25 ml/min), in accordo con le raccomandazioni europee.

L’introduzione del farmaco ha reso necessaria una riorganizzazione degli ambulatori nefrologici, essendo diventato fondamentale garantire un ambulatorio dedicato ai pazienti affetti da ADPKD nel quale poter identificare i pazienti eleggibili al farmaco e monitorarli frequentemente, come raccomandato.

In questo elaborato presentiamo la nostra esperienza con il tolvaptan degli ultimi tre anni, ponendo attenzione non solo al profilo di sicurezza e tollerabilità del farmaco, ma anche all’impatto che la terapia ha avuto sulla riorganizzazione dell’attività assistenziale.

L’impiego della telemedicina potrebbe essere utile, da un lato a ridurre i costi dell’assistenza, dall’altro a diminuire la percezione di malattia nei pazienti in stadio iniziale di CKD.

Parole chiave: ADPKD, tolvaptan, telemedicina, costi dell’assistenza

Introduzione

La malattia del rene policistico autosomica dominante (ADPKD) è la più comune malattia ereditaria renale, ed è presente in circa il 10% dei pazienti in terapia sostitutiva renale [1]. È una patologia che esordisce tipicamente in età adulta e all’incirca il 70% dei pazienti raggiunge lo stadio terminale dell’insufficienza renale all’età di 58 anni [2]. La malattia presenta tuttavia un’estrema variabilità fenotipica sia inter che intra familiare, legata alla complessità genetica, motivo per cui alcuni pazienti hanno un decorso della malattia più aggressivo con necessità di trattamento sostitutivo anche prima dei 40 anni, mentre altri presentano un decorso più lento, e non raggiungono mai lo stadio terminale dell’insufficienza renale cronica (IRC), neanche in età avanzata [3].

Nella maggioranza dei casi, la malattia è causata da mutazioni nei geni PKD1 e PKD2, che codificano rispettivamente per la policistina 1 e 2. Queste proteine di membrana sono localizzate nel ciglio primario ed interagiscono tra loro formando un canale per il calcio. La loro interazione è cruciale per il corretto funzionamento del canale per cui, anche se la mutazione interessa una sola delle due proteine, il canale risulta disfunzionante. Le mutazioni in PKD1, riguardanti il 75-78% dei casi, sembrano correlate a fenotipi clinici più gravi, con manifestazioni precoci che portano all’IRC terminale mediamente 20 anni prima rispetto alle forme con mutazioni in PKD2, responsabili del 15% circa dei casi. Nei rimanenti 7-10% dei casi, non vengono identificate mutazioni né in PKD1 né in PKD2. Si tratta di casi definiti geneticamente irrisolti (GUR), nei quali non è possibile identificare la mutazione perché localizzata all’interno di regioni del gene non valutabili. In alcuni di questi casi GUR sono state identificate mutazioni in altri geni (PKHD1, GANAB, DNAJ11) [4,5].

Fino alla scorsa decade, il trattamento dell’ADPKD non prevedeva una terapia specifica, ma solo misure generali di prevenzione finalizzate a rallentare la progressione dell’IRC. Alcuni farmaci modificanti il decorso della malattia (disease-modifying drugs), come ad esempio gli inibitori di mTOR, hanno mostrato risultati promettenti in studi preclinici, ma i successivi trial clinici non ne hanno confermato l’efficacia [68]. La prima vera svolta si è avuta nel 2012, con lo studio TEMPO 3:4. In questo studio è stato valutato l’effetto del tolvaptan in pazienti affetti da ADPKD con GFR >60 mL/min e volume renale totale (TKV) >750 mL. Il tolvaptan è un antagonista del recettore V2 della vasopressina e agisce bloccando i recettori a livello renale e il successivo segnale mediato da cAMP, il quale è coinvolto nella crescita delle cisti. Nello studio TEMPO 3:4, il tolvaptan si è dimostrato efficace nel rallentare la crescita renale e la perdita di eGFR rispettivamente del 49% e del 26% annuo (TKV da 5.5% al 2.8%, eGFR da 3.70 a 2.72 mL/min/1.73m2) durante un periodo di osservazione di 3 anni [9].

Sulla base di questi risultati, nel 2015 la European Medicine Agency (EMA) ha approvato l’uso del tolvaptan per rallentare la progressione dello sviluppo delle cisti e dell’insufficienza renale nei pazienti adulti con ADPKD ed IRC stadio 1-3, con evidenza di malattia rapidamente progressiva, definita sulla base delle raccomandazioni ERA-EDTA [10]. Tra i criteri da soddisfare, secondo le raccomandazioni, deve essere presente almeno uno tra: la perdita del filtrato glomerulare, nella misura di 2.5 mL/min/1.73 m2 per anno in 5 anni, o la riduzione di 5 mL/min/1.73 m2 in un anno; l’aumento del volume totale renale del 5% per anno su almeno 3 misurazioni, eseguite a distanza minima di 6 mesi; la possibilità di definire la patologia nelle classi 1C-1E secondo la classificazione della Mayo Clinic; un PRO-PKD score >6. Mentre la Mayo Clinic ADPKD Classification tiene conto di età, altezza e altri parametri morfologici (volumi totali renali), il PRO-PKD score assegna dei punti in base al sesso (il sesso maschile peggiora la prognosi), alla clinica (nello specifico la comparsa di ipertensione o problematiche urologiche prima dei 35 anni di età) e al tipo di mutazione genetica (mutazioni troncanti o non-troncanti sul gene PKD1 sono associate ad un peggior andamento), un punteggio complessivo superiore a 6 è maggiormente correlato ad una rapida progressione di malattia.

Nel 2017, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), ha approvato la rimborsabilità per il tolvaptan nei pazienti ADPKD “rapidi progressori” con IRC stadio 1-3. Nello stesso anno, sono stati pubblicati i risultati dello studio Reprise, che hanno confermato l’efficacia del tolvaptan nel rallentare il declino del eGFR anche negli stadi più avanzati di IRC (GFR 25-65 mL/min) [11]. In accordo con questi risultati, EMA ed FDA hanno esteso le indicazioni d’uso all’IRC 4 stadio. Nel 2020 anche l’AIFA ha recepito l’estensione dell’indicazione ed il farmaco al momento è prescrivibile e rimborsale nei pazienti con eGFR fino a 25 mL/min.

Il tolvaptan è nella maggior parte dei casi ben tollerato tuttavia, a causa dell’effetto acquaretico e del rischio di epatotossicità, è necessario uno stretto monitoraggio per valutare la tollerabilità clinica, lo stato volemico, un eventuale rapido incremento della sodiemia e degli enzimi epatici. Sul foglietto illustrativo è raccomandato il controllo degli esami ematici mensile durante i primi 18 mesi di terapia e successivamente ogni 3 mesi.

D’altra parte il beneficio atteso è stimato in un ritardo di inizio della terapia sostitutiva di circa 1 anno ogni 4 anni di terapia [10], motivo per cui le Unità di Nefrologia hanno dovuto riorganizzare l’assistenza ai pazienti con ADPKD al fine di poter garantire la prescrizione del farmaco e soprattutto il follow-up. Laddove non fosse già presente, è stato necessario identificare personale dedicato che potesse valutare l’eleggibilità al tolvaptan ed al contempo garantire il monitoraggio frequente.

D’altra parte, i frequenti accessi in ospedale per prelievi e visite di controllo rappresentano non solo un aumento del carico per il medico, ma anche e soprattutto un incremento della percezione della malattia per il paziente. Questo è ancor più rilevante se consideriamo che nella maggior parte dei casi i pazienti sono in una fase iniziale di IRC, nella quale, in assenza della terapia, farebbero controlli annualmente o semestralmente.

In questo studio, presentiamo la nostra esperienza triennale nell’uso del tolvaptan in pazienti affetti da ADPKD.

 

Materiali e metodi

Lo studio è stato condotto presso l’ospedale San Bortolo di Vicenza, nel quale l’ambulatorio dedicato alle malattie genetiche esiste dal 2007 e garantisce la presa in carico dei pazienti affetti da malattie genetiche nefrologiche. L’ambulatorio è supportato da un laboratorio di Genetica nel quale collaborano due genetiste biologhe. Dal 2018, ovvero da quando abbiamo iniziato a prescrivere il tolvaptan, complessivamente tre medici nefrologi sono stati dedicati all’ambulatorio delle malattie genetiche.

Nel periodo compreso tra aprile 2018 e giugno 2021, abbiamo trattato complessivamente 25 pazienti.

Sono state seguite le indicazioni al trattamento riportate sul “position statement sull’impiego del tolvaptan nei pazienti affetti da rene policistico” della Società Italiana di Nefrologia (SIN), pubblicato nel 2017, subito dopo l’approvazione dell’AIFA. I criteri prescrittivi sono riassunti nella Tabella I.

All’avvio del trattamento sono stati raccolti dati demografici e clinici. Il dosaggio di partenza del tolvaptan è stato di 45 mg al mattino e 15 mg al pomeriggio, assunto quotidianamente. La dose è stata titolata mensilmente, monitorando tolleranza ed esami ematici, fino al dosaggio massimo di 90/30 mg.

L’analisi genetica è stata condotta nei pazienti senza storia familiare di malattia per ottenere diagnosi di certezza, o in quelli in cui la malattia rapidamente progressiva doveva essere valutata attraverso il PROPKD score. È stata inoltre proposta a tutti i pazienti in età fertile in prospettiva di una gravidanza o in quelli con figli, con l’intenzione di dare a questi ultimi l’opportunità, al raggiungimento della maggiore età e qualora lo volessero, di avere una diagnosi precoce.

L’analisi dei geni PKD1, PKD2 e PKHD1 è stata condotta mediante Next Generation Sequencing con tecnologia a cattura e arricchimento dei target (NGS, NES-v3, Sophia genetics by MISeqDx, Illumina). Le varianti identificate sono state validate con analisi di sequenziamento Sanger (3500 Genetic Analyzer Applied Biosystem).

Tutti i pazienti hanno firmato un consenso informato e lo studio è stato approvato dal comitato etico locale.

Età

>18 anni e <55 anni

IRC

GFR compreso tra 89-25 mL/min/1.73m2, valutato con l’equazione CKD-EPI

Diagnosi certa per la forma tipica di ADPKD

1)    Storia familiare positiva con criteri Pei aggiustati per età

2)    Test genetico positivo

Nefromegalia

1)    RM/TC: TKV >750 mL o htTKV >600 mL o diametro bipolare renale >16.7 cm

2)    Ecografia: diametro bipolare >16.8 cm

Malattia rapidamente progressiva

1)    Perdita di GFR >5 mL/min/1.73m2 all’anno negli ultimi 12 mesi

2)    Perdita di GFR >2.5 mL/min/1.73m2 all’anno negli ultimi 5 anni

3)    Aumento di TKV >5% all’anno, valutato con RM o TC

4)    Stadio 1C-1E della Mayo Clinic

5)    PROPKD score >6

Legenda: IRC, insufficienza renale cronica; GFR, velocità di filtrazione glomerulare valutata con CKD-EPI; ADPKD, sindrome del rene policistico autosomico dominante; RM, risonanza magnetica; TC, tomografia computerizzata; TKV, volume totale renale; htTKV, volume totale renale aggiustato per altezza
Tabella I: indicazioni italiane per la prescrizione del tolvaptan secondo AIFA

 

Risultati

Nella Tabella I sono riassunti i criteri diagnostici utilizzati per reclutare i pazienti al trattamento con tolvaptan. Tutti i pazienti hanno ricevuto informazioni complete riguardo l’efficacia del trattamento e i possibili effetti collaterali. In particolare, sono stati illustrati il rischio di tossicità epatica, di disidratazione, poliuria e polidipsia, concentrando l’attenzione sulla necessità di avere accesso libero all’acqua.

Sono stati anche informati della necessità di frequenti prelievi ematici e visite mediche, mensili per i primi 18 mesi e successivamente trimestrali. Sono state date informazioni circa le interazioni del farmaco e la necessità per le donne di prevenire gravidanze durante il trattamento. Le caratteristiche dei pazienti sono riassunte nella Tabella II.

La mediana dell’età di inizio del trattamento è stata di 45 anni (range interquartile 39-48). Il GFR è stato stimato mediante l’equazione CKD-EPI in tutti i pazienti tranne uno, per il quale, a causa delle caratteristiche antropometriche (superficie corporea di 2.3 m2) il GFR è stato misurato con scintigrafia renale con cromo-51 marcato con acido etilendiamminotetracetico (51Cr-EDTA). Il valore di GFR mediano è stato di 51 mL/min/1.73 m2 (IQ 45-63).

Quattro pazienti non avevano una storia familiare positiva per ADPKD, per cui la diagnosi di certezza è stata ottenuta con il test genetico. In tutti i pazienti con storia familiare positiva la diagnosi di certezza è stata fatta con l’ecografia usando i Criteri Unificati di Pei [12]. Una mutazione patogenetica o verosimilmente patogenetica è stata identificata in 20 pazienti, dei quali 17 avevano una mutazione in PKD1, 14 troncanti e 3 non troncanti, e 3 pazienti avevano una mutazione in PKD2. In quattro pazienti sono state riscontrate mutazioni di incerto significato in PKD1. Interessante è la condizione di un paziente che presenta una mutazione in PKD1, di significato incerto, in associazione ad una mutazione patogenetica in PKHD1.

La nefromegalia è stata indentificata in tutti i pazienti tramite indagine ultrasonografica. In 6 pazienti (24%), per i quali né la clinica (perdita di GFR), né il PROPKD score sono stati sufficienti per definire i criteri di malattia rapidamente progressiva, sono state eseguite anche Risonanza Magnetica o Tomografia Computerizzata, per poter utilizzare la classificazione della Mayo Clinic.

La malattia rapidamente progressiva è stata identificata in 18/25 (72%) usando il criterio della perdita di GFR, in 1/25 (4%) utilizzando il PROPKD score e in 6/25 (24%) con la classificazione della Mayo-Clinic (classe 1C-1E) (Tabella II).

Due pazienti hanno interrotto il trattamento a causa di poliuria e polidipsia incompatibili con il loro stile di vita. Le interruzioni sono state registrate rispettivamente dopo il primo e il sesto mese di terapia. Una paziente affetta anche da policistosi epatica è stata arruolata nonostante valori basali di gamma-glutamil transferasi (γGT) di 1.5 volte oltre il limite. La dose del tolvaptan, tuttavia, non è stata massimizzata, perché quando la dose è stata aumentata a 90/30 mg si è verificato un rialzo di γGT di 3 volte e un leggero incremento della aspartato transaminasi (AST), che è regredito dopo la riduzione della dose.

Una paziente ha invece manifestato un importante rialzo dei valori delle transaminasi 4 mesi dopo l’inizio del farmaco (AST x 14: 502 U/L, ALT X 28: 997 U/L), in assenza di concomitante aumento della bilirubina, senza quindi rientrare nei criteri di Hy’s. L’aumento delle transaminasi si è verificato alla dose intermedia 60/30 mg ed è lentamente regredito a distanza di 4 mesi dalla sospensione.

Non si segnalano rialzi significativi dei valori di acido urico agli esami di controllo, e il monitoraggio clinico non ha fatto emergere episodi riferibili ad attacchi acuti di gotta. Molti dei pazienti erano tuttavia già in terapia con farmaci uricosurici, dei quali comunque non è stato necessario aumentare la dose.

Abbiamo eseguito un totale di 365 visite mediche per i 25 pazienti arruolati, ovvero un numero 5 volte superiore a quello previsto per pazienti con lo stesso grado di IRC, secondo quanto raccomandato dalle linee guida KGIDO [13]. I pazienti sono stati quindi sottoposti a frequenti prelievi per esami ematici e quelli non in possesso di un’esenzione completa hanno dovuto pagare le analisi, dal momento che la sola esenzione per la malattia genetica copre solo alcuni degli esami richiesti per il monitoraggio.

Pz Genere (M/F) Età (anni) GFR (mL/min/1.73m2) Storia familiare Progres-sione Mutazione genetica Significato clinico
1 M 36 46 Positiva Perdita GFR PKD1: missenso c.8264T>C VoUS, non troncante
2 M 45 47 Positiva PROPKD >6 PKD1: frameshift c.2711_2712delAG Patogenetica, troncante
3 M 48 45 Positiva Perdita GFR PKD2: nonsenso c.2533C>T Patogenetica, troncante
4 F 39 80 Positiva Perdita GFR PKD2:deletion c.1_2907del Patogenetica, troncante
5 F 45 68 Positiva Perdita GFR PKD1: frameshift c.6135_6147 delinsTTCAACGCCTTC Verosimilmente patogenetica, troncante
6 M 44 45 Positiva Perdita GFR PKD1: frameshift c.7168dupG Patogenetica, troncante
7 M 45 51 Positiva Perdita GFR PKD1: splice c.9397+1G>A Patogenetica, troncante
8 M 37 69 Negativa 1E Mayo Clinic PKD1:non senso c.6406C>T Patogenetica, troncante
9 F 27 47 Positiva 1E Mayo Clinic PKD1: frameshift c.5014_5015delAG Patogenetica, troncante
10 M 50 63 Positiva 1C Mayo Clinic PKD1:splice c.12004-6_12026del Verosimilmente patogenetica, troncante
11 M 43 51 Positiva Perdita GFR PKD1:missenso c.896G>C VoUS, non troncante
12 M 44 55 Positiva Perdita GFR PKD1: splice c.6916-9G>A Verosimilmente patogenetica, troncante
13 F 46 53 Positiva 1C Mayo Clinic PKD1: in frame c.223_228del

PKHD1:missenso c.2279G>A

PKD1: VoUS, non troncante. PKHD1:

verosimilmente patogenetica, non troncante

14 F 50 45 Positiva Perdita GFR PKD1:deletion 5976_5978delCAC

Verosimilmente patogenetica,

non troncante

15 M 39 64 Positiva Perdita GFR PKD1:missenso c.1259A>G

Verosimilmente patogenetica,

non troncante

16 F 43 54 Negativa 1C Mayo clinic PKD1:non senso c.10423C>T Patogenetica, troncante
17 M 33 72 Positiva Perdita GFR PKD1:deletion c.6632_6638delTGAGCCG Patogenetica, troncante
18 M 55 31 Positiva Perdita GFR PKD1:frameshift c.11334_11343dupCAGCGATTAC Patogenetica, troncante
19 M 49 27 Negativa Perdita GFR PKD1: missenso c.9146 C>T VoUS, non troncante
20 F 45 52 Positiva Perdita GFR PKD1: nonsenso c.1102C>T

Missenso c.6749C>T

PKD1: patogenetica, troncante nell’esone 5; VoUS, non troncante nell’esone 15
21 M 53 27 Positiva Perdita GFR Non eseguita
22 F 45 42 Positiva Perdita GFR PKD1:missenso c.6560G>T

PKHD1: missenso c.10592T>C

PKD1: verosimilmente patogenetica, non troncante. PKHD1: verosimilmente benigna, non troncante
23 F 41 39 Positiva Perdita GFR PKD1:frameshift c.11511dupG PKD1: patogenetica, troncante
24 M 46 62 Negativa Perdita GFR PKD1:nonsenso c.12031C>T

 

PKD1: patogenetica, troncante
25 F 37 64 Positiva 1 D Mayo Clinic PKD2: frameshift 2159delA PKD2: patogenetica, troncante
Legenda: GFR, velocità di filtrazione glomerulare, VoUS, variante di incerto significato
Tabella II: caratteristiche dei pazienti

 

Discussione

L’approvazione del tolvaptan per il rallentamento della crescita delle cisti è stata una svolta terapeutica nell’ambito della terapia dell’APDKD, che finora si era avvalsa solo di misure preventive generiche. Il farmaco è però stato studiato ed ha dimostrato la sua efficacia solo in presenza di “malattia rapidamente progressiva”, motivo per cui l’indicazione terapeutica è limitata a questa categoria di pazienti.

Sebbene esistano diversi modi per valutare la “malattia rapidamente progressiva” il metodo più semplice, immediato ed economico è misurare la perdita di filtrato glomerulare che deve essere >di 2.5 mL/min/1.72 m2 all’anno negli ultimi 5 anni, o >5 ml/min/1.72 m2 nell’ultimo anno. Tuttavia, il GFR rimane per definizione stabile per molto tempo, pur in presenza di un processo patologico sottostante, cosicché il criterio della perdita di filtrato glomerulare può non essere da solo sufficiente ad identificare tutti i pazienti “rapidi progressori”, soprattutto nelle fasi iniziali di malattia. Bisogna quindi essere in grado di garantire un approccio multidisciplinare per poter ricercare gli altri criteri di “malattia rapidamente progressiva”.

La terapia con tolvaptan richiede frequenti monitoraggi bioumorali ed accessi al centro per valutare gli effetti collaterali. L’inibizione del recettore della vasopressina causa infatti poliuria e polidipsia, che, sebbene siano la prova dell’efficacia del farmaco, rappresentano la principale cause di interruzione del trattamento. Nella nostra esperienza 3/25 (12%) pazienti hanno sospeso il farmaco, due per incompatibilità con lo stile di vita, ed uno per aumento degli enzimi epatici. Tali dati sono sovrapponibili a quanto riscontrato negli studi TEMPO 3:4 e 4:4 [9,11].

Il vero effetto collaterale del farmaco è l’epatotossicità descritta in circa il 4.4% dei pazienti trattati con tolvaptan e definita da un rialzo dell’alanina aminotransferasi (ALT) 3 volte oltre il limite e un aumento di bilirubina maggiore di 2 volte il limite. Tutti i casi si sono verificati durante i primi 18 mesi dall’inizio della terapia e si sono risolti con l’interruzione del trattamento. Anche se non frequente, il rischio di epatotossicità esiste, motivo per cui i pazienti necessitano di un monitoraggio mensile degli enzimi epatici. In letteratura è descritto un caso di epatotossicità grave che ha richiesto il trapianto epatico [14].

In conseguenza allo stretto monitoraggio imposto dalla terapia, i pazienti devono eseguire frequenti esami e visite di controllo, pur essendo in una fase iniziale di IRC, che secondo quanto raccomandato dalle linee guida, richiederebbe solo una o due valutazioni l’anno. Questo comporta la medicalizzazione di una condizione che di per sé ancora non lo richiede e anticipa la percezione del paziente di essere affetto da una patologia cronica. Per tutte queste ragioni, i pazienti che iniziano il tolvaptan, devono essere fortemente motivati. L’assunzione della terapia deve poi essere continuativa perché se assunto in maniera intermittente, l’effetto rebound della vasopressina potrebbe addirittura essere controproducente.

La gestione dei pazienti in terapia con tolvaptan è difficile anche dal punto di vista dell’organizzazione medica, e lo è stata ancora di più durante la pandemia. L’epatotossicità sebbene non frequente, è senza dubbio un effetto collaterale grave e temibile ed il monitoraggio laboratoristico è imprescindibile. Tuttavia la reale necessità di sottoporsi a visite in presenza può probabilmente essere ridimensionata, soprattutto dopo i primi 5-6 mesi di terapia, quando la poliuria si stabilizza ed il paziente diventa confidente con la terapia e la gestione dei liquidi. In questa fase potrebbe essere sufficiente garantire un monitoraggio da remoto degli esami di laboratorio ed un contatto telefonico, evitando l’accesso in centro del paziente. Questo approccio è stato utilizzato durante la pandemia ed in molti casi continuato anche dopo il lockdown, soprattutto per quei pazienti residenti fuori provincia ed afferenti ad altre Nefrologie.

Questo modello di implementazione della telemedicina non solo riduce il carico di lavoro per i medici che si occupano dei pazienti ADPKD in terapia con tolvaptan, ma soprattutto riduce la percezione di malattia, senza comunque modificare la qualità dell’assistenza offerta.

 

Conclusioni

Il tolvaptan è al momento l’unico farmaco disponibile per rallentare la progressione dell’IRC nei pazienti affetti da ADPKD. L’identificazione dei pazienti candidati al farmaco richiede un approccio multidisciplinare, con coinvolgimento di figure professionali diverse. La possibilità di eseguire esami strumentali per calcolare i volumi renali (TKV) e la classe Mayo Clinic, così come l’analisi genetica per poter calcolare il PROPKD score è fondamentale per identificare quei pazienti “rapid progressors” non altresì identificabili con il solo criterio di perdita di GFR.

L’intenso follow-up clinico dei pazienti in trattamento con tolvaptan potrebbe essere rimodulato, affiancando visite in presenza a visite eseguite in telemedicina, soprattutto dopo i primi 6 mesi di terapia, quando il volume urinario si è stabilizzato ed il paziente ha imparato la gestione dei bilanci. Questo approccio consentirebbe di ottimizzare tempo e risorse, senza rinunciare alla sicurezza ed alla qualità delle cure.

 

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I vantaggi dell’applicazione del monitoraggio da remoto in dialisi peritoneale automatizzata domiciliare

Abstract

Il follow-up della dialisi peritoneale automatizzata (APD) è stato recentemente aggiornato attraverso l’introduzione dalla trasmissione da remoto dei dati con modem cellulare e internet cloud. L’introduzione di questo monitoraggio da remoto (RPM) consente anche il controllo clinico e la prescrizione dialitica con un software web-based (Claria-Sharesource Baxter). Il presente studio si propone di descrivere l’impatto dell’introduzione del nuovo sistema sugli aspetti clinici, organizzativi e gestionali in un singolo centro. Sono stati studiati 26 pazienti di 69 ± 13 anni, che erano in APD da 9 mesi all’inizio dell’osservazione, per un periodo di 6 mesi con tecnologia tradizionale e 6 mesi con RPM. Una porzione rilevante dei pazienti vive in aree montane o collinari. Il nostro studio mostra come la nuova tecnologia si sia tradotta in un maggior numero di chiamate proattive dal centro al paziente, una riduzione delle chiamate per ansietà del paziente o del caregiver, una rilevazione precoce dei vari problemi clinici, una riduzione delle visite non pianificate (urgenti) e una riduzione delle ospedalizzazioni. Nella nostra esperienza, dunque, il sistema RPM ha mostrato un affidabile funzionamento e una semplice interfaccia, che consentono un accurato monitoraggio delle sedute di APD quotidiane. Inoltre, il sistema RPM ha migliorato l’interazione fra i pazienti e il personale sanitario, con un risultato significativo in termini di sicurezza e di qualità delle cure.

Parole chiave: dialisi peritoneale automatizzata, prescrizione dialitica, monitoraggio da remoto, telemedicina, ospedalizzazione

Introduzione

La dialisi peritoneale automatizzata (APD) è una modalità dialitica che utilizza un cycler per eseguire quotidianamente le sedute a domicilio. Il follow-up ottimale di questi trattamenti può essere eseguito utilizzando sistemi informativi che consentono agli operatori di controllare il corretto andamento della dialisi. I dati delle sedute di APD vengono comunemente memorizzati in schede di memoria solid-state rimuovibili che i pazienti devono portare al centro in occasione dei controlli e delle modifiche di trattamento. Questo sistema presenta delle limitazioni legate alla lettura del supporto e ai suoi malfunzionamenti, le procedure legate al sistema sono rappresentate schematicamente nella Figura 1. Recentemente è stato introdotto un nuovo sistema che utilizza la trasmissione dei dati mediante modem cellulare e la sua memorizzazione, consultazione e modifica mediante internet cloud e software web-based (Claria-Sharesource Baxter) [1, 2]. Il sistema assume in questo modo la funzione di monitoraggio da remoto del paziente (RPM) e consente il controllo quotidiano e la prescrizione della APD da parte degli operatori del centro con il paziente comodamente a domicilio. Il sistema RPM è rappresentato schematicamente nella Figura 2. Con questo sistema è possibile quindi intervenire in modo proattivo, correttivo e preventivo per i più comuni problemi in APD [1, 2].

 

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