Disfunzioni esecutive nei pazienti in trattamento emodialitico cronico: un possibile sintomo di demenza vascolare

Abstract

Introduzione. I pazienti in trattamento emodialitico cronico (HD) hanno un rischio 8-10 volte maggiore di incorrere in eventi ictali e di sviluppare deterioramento cognitivo. L’ingente stress vascolare a cui sono sottoposti potrebbe costituire la base per lo sviluppo di quadri di demenza vascolare (VaD).
Obiettivo. Lo scopo dello studio è indagare le funzioni esecutive, tipicamente compromesse nelle VaD, dei pazienti in trattamento emodialitico cronico.
Metodo. Sono stati reclutati pazienti in HD presso l’U.O.C. di Nefrologia e Dialisi (ASP Ragusa). Si è proceduto a raccogliere fattori di rischio per VaD e, successivamente, alla somministrazione del Frontal Assessment Battery (FAB).
Risultati. Sono stati inclusi 103 pazienti in HD (maschi = 63%, età 66 ± 14 anni). Tra i fattori di rischio per la VaD spicca un’alta percentuale di pazienti anemici (93%), ipertesi (64%) e coronaropatici (68%). I dati cognitivi ricavati tramite FAB riportano una percentuale di punteggi deficitari pari al 55%. Tutti i fattori di rischio hanno trovato una significativa associazione con i punteggi cognitivi. L’anemia, l’ipertensione, l’ipotensione intradialitica, la coronaropatia e l’omocisteina sono predittori negativi dell’integrità delle funzioni esecutive.
Conclusioni. Più della metà dei pazienti ha ottenuto punteggi deficitari al FAB. Appare evidente una ridotta flessibilità cognitiva, un’alta sensibilità all’interferenza, uno scarso controllo inibitorio e una compromissione della programmazione motoria. In conclusione, è stata rilevata nel paziente in HD una marcata compromissione delle funzioni esecutive, generalmente allocate nei lobi frontali del cervello, che potrebbe costituire il sintomo dello sviluppo di una demenza di natura vascolare.

Parole chiave: emodialisi, cognitivo, deterioramento, vascolare, demenza

Introduzione

I pazienti affetti da malattia renale cronica (CKD) sono solitamente più a rischio della popolazione generale di sviluppare deterioramento cognitivo [1], con una prevalenza che varia dal 13% al 58% [2-4]. L’associazione tra malattia renale cronica e funzioni cognitive è stata recentemente indagata e prove collettive dimostrano che una diminuzione del tasso di filtrazione glomerulare stimato (eGFR) aumenta la probabilità di incorrere in deterioramento cognitivo [5, 6]. Sono molti i meccanismi eziopatogenetici sottostanti questo fenomeno, come la disfunzione vascolare, l’infiammazione, l’accumulo di tossine uremiche, l’anemia e le anomalie elettrolitiche [7]. I pazienti in End Stage Renal Disease (ESRD) hanno un rischio maggiore di sviluppare patologie cerebrovascolari e cardiovascolari [8]. In particolare, studi hanno dimostrato che i pazienti allo stadio terminale della malattia e in trattamento emodialitico cronico (HD) hanno un’incidenza di ictus 8-10 volte maggiore rispetto alla popolazione generale, con una prevalenza di ictus emorragico rappresentante il 20% di tutti gli eventi ictali nel dializzato, e presentano una autoregolazione cerebrale alterata [912]. Nello specifico, l’emodialisi induce una significativa riduzione del flusso sanguigno cerebrale (CBF) in tutti i lobi durante le sedute emodialitiche [10]. Dunque, l’ingente stress vascolare a cui sono sottoposti questi pazienti potrebbe costituire la base per lo sviluppo del deterioramento cognitivo constatato in questa popolazione e, in particolare, per quadri di demenza vascolare [13].  

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La dialisi palliativa e di supporto: stato dell’arte e proposte per una buona pratica clinica

Abstract

Per dialisi “di supporto” o “palliativa” si intende il trattamento dialitico rivolto a pazienti che giungono alle fasi più avverse di malattia e nella fase finale della loro vita. Quando le condizioni di salute, le comorbidità, la prognosi sfavorevole e le complicanze legate alla malattia renale avanzata non consentono l’avvio o la prosecuzione del trattamento dialitico standard, occorre identificare i criteri con cui proporre schemi dialitici mirati, integrati con adeguate cure di supporto, sia a pazienti incidenti che prevalenti.

Questo documento riassume le raccomandazioni nefrologiche e le evidenze scientifiche in tema di approccio palliativo alla dialisi, e avanza una proposta operativa per una buona gestione clinica della dialisi palliativa. Dopo un percorso di pianificazione condivisa della cura (“shared-decision-making”) che prevede la valutazione multidimensionale del malato, l’inquadramento prognostico e l’esplicitazione degli obiettivi personali e di salute del paziente, ha inizio un iter di cura mirato a integrare le opzioni terapeutiche disponibili, l’appropriatezza e proporzionalità della cura, e le preferenze del paziente, condivise con i suoi caregiver. Con l’obiettivo di ridurre l’impatto del trattamento dialitico sulla qualità di vita, di garantire un adeguato controllo dei sintomi, di favorire la domiciliazione delle cure e ridurre le ospedalizzazioni nella fase finale della vita, proponiamo una raccolta di indicazioni che agevolino il nefrologo nel mettere in pratica misure di proporzionalità di trattamento nelle condizioni di maggiore fragilità clinica del malato, e nel favorire un percorso decisionale e di cura ad oggi sempre più necessario nella pratica nefrologica, ma non ancora standardizzato.

Parole chiave: cure palliative, malattia renale cronica, fine vita, dialisi palliativa, emodialisi, dialisi peritoneale, pianificazione condivisa delle cure

Introduzione

L’applicazione dei principi della medicina palliativa nei pazienti affetti da malattia renale ha lo scopo di alleviare le sofferenze legate alla malattia e al suo trattamento, ed è appropriata lungo l’intera traiettoria di malattia, incluso (ma non limitato a) il fine vita [1]. L’attenzione è focalizzata sul trattamento dei sintomi e sul sollievo dell’impatto psicologico, sociale e funzionale della malattia. Poiché le cure palliative trovano indicazione ben oltre gli ultimi giorni di vita, quando sono ancora in atto cure volte a prolungare la sopravvivenza, come la dialisi, le linee guida nefrologiche internazionali ne hanno definito i criteri per la popolazione affetta da malattia renale cronica (Chronic Kidney Disease, CKD), e hanno introdotto il termine di “Kidney Supportive Care” (cure nefrologiche di supporto o cure simultanee), in luogo di “cure palliative” [2, 3].

Se confrontati con i pazienti oncologici, i pazienti affetti da CKD avanzata hanno più probabilità di morire in ospedale, meno probabilità di ricevere istruzioni sul fine vita, e sono gravati da analoga incidenza di sintomi severi, quale il dolore moderato-severo [4].

In Italia nel 2015 viene pubblicato un documento intersocietario (SIN-SICP) da nefrologi e palliativisti, che riassume i criteri prognostici e di identificazione precoce dei bisogni di cure di supporto nella fase finale della CKD, e suggerisce un percorso condiviso con i palliativisti di presa in carico di questi pazienti, percorso che contempla anche la rimodulazione e la sospensione della dialisi, quando in atto [5]. Questo documento ha gettato le basi per l’implementazione delle cure palliative e simultanee nel nostro paese, consentendo di sviluppare le prime esperienze condivise: presso l’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento dal 2017 è stato attuato un protocollo integrato di cura per la gestione della fine della vita dei nostri nefropatici e dializzati [6]. 

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Ruolo delle opinioni del Nefrologo e dei fattori strutturali nella scelta del trattamento dialitico ‒ Risultati di un Questionario del Gruppo di Dialisi Peritoneale

Abstract

Obiettivi. L’utilizzo della dialisi peritoneale (DP) dipende da fattori economici, strutturali e organizzativi. L’opinione del nefrologo è che la DP sia utilizzata meno di quel che si dovrebbe. In Italia la DP non viene effettuata nei Centri privati, ma nemmeno in circa un terzo dei Centri Pubblici. Lo scopo di questo studio è stato quello di indagare le opinioni dei nefrologi sulla DP nei soli Centri pubblici, annullando così l’influenza dei fattori economici.
Materiali e metodi. L’indagine è stata effettuata mediante un questionario on-line (Qs) di 26 domande inviato ai 325 Centri pubblici non pediatrici. Sono state indagate le caratteristiche dei Centri e dei nefrologi intervistati e le opinioni su diversi aspetti della scelta e sulla DP. Hanno risposto 454 nefrologi di 270 Centri di cui 205 (370 Qs) utilizzano la DP (DP-SI), 36 (42 Qs) no (DP-NO) e 29 (42 Qs) che non utilizzano la DP ma inviano i pazienti che ne hanno indicazione ad altri Centri (DP-TRASF).
Risultati. I Centri DP-NO e DP-TRASF sono significativamente più piccoli e con maggiore disponibilità di posti letto di HD. Nei Centri DP-SI la presenza di un percorso predialitico e di infermieri dedicati alla sola DP sono associati a un suo maggiore utilizzo.
I nefrologi dei Centri DP-NO valutano la DP in modo più negativo in termini sia di fattori clinici che non clinici. In particolare la convinzione che più del 40% dei pazienti possa effettuare sia la DP che la HD differisce tra i nefrologi dei centri DP-SI (28,6%), DP-TRASF (45,2%) e DP-NO (74,3%). Allo stesso modo, la convinzione che la DP possa essere utilizzata come primo trattamento in più del 30% dei casi differisce tra i nefrologi dei centri DP-SI (49,2%), DP-TRASF (33,3%) e DP-NO (14,3%).
Conclusioni. L’utilizzo della DP nei Centri pubblici è condizionato da fattori strutturali e organizzativi ma anche dal parere del nefrologo sull’utilizzo e sull’efficacia della tecnica.

 

 

Graphical abstract

 

Parole chiave: Dialisi Peritoneale, Emodialisi, Selezione del trattamento dialitico, Opinioni del medico, Malattia Renale Cronica

Introduzione

L’utilizzo della dialisi peritoneale (DP) nel mondo è limitato a una prevalenza di circa il 10% [1]. È noto da tempo [2] come l’utilizzo della DP nei diversi Paesi dipenda da fattori estranei al paziente, quali la tipologia del Sistema Sanitario Nazionale e il rapporto tra settore pubblico e privato di ogni singolo Paese, i rimborsi previsti per l’emodialisi (HD) e la DP, il grado di sviluppo materiale e sociale e il costo del lavoro rispetto ai materiali [2 – 5].  In assenza di barriere economiche e strutturali esistono altri fattori quali il tipo di referral (early o late), la disponibilità di programmi educativi strutturati per i pazienti affetti da CKD, l’addestramento alla DP durante gli studi e la disponibilità di programmi di DP assistita che sono in grado di influenzare l’utilizzo della DP ma che pesuppongono un sistema favorevole a questa metodica.

Per l’Italia, un contributo significativo alla comprensione dei fattori che influenzano l’utilizzo della DP è stato dato dal Censimento della Società Italiana di Nefrologia (SIN) relativo allo stato della dialisi in Italia nel 2004 [5], dalla cui analisi era emerso che i fattori che influenzavano negativamente l’utilizzo della DP erano la presenza di Centri privati (che non utilizzano la DP), il numero di postazioni disponibili per HD rispetto ai pazienti in trattamento emodialitico e una ridotta dimensione del Centro (valutata mediante il numero di pazienti prevalenti in dialisi). Tuttavia, anche considerando solo i Centri pubblici, si evidenziava una notevole variabilità nell’utilizzo della DP con Centri di dimensioni globali modeste ma con programmi di DP relativamente ampi e Centri di grandi dimensioni senza o con ridotti programmi di DP. Tale variabilità suggeriva che vi fossero altri fattori in grado di influenzare l’utilizzo della DP quali il cosiddetto “parere del medico”, la cui importanza è stata evidenziato da Hingwala [6].

Le numerose ricerche [7 – 16] che in passato hanno indagato il ruolo dei medici sulla scelta del trattamento dialitico, evidenziano una notevole discrepanza tra le loro opinioni, in genere favorevoli alla DP, e il reale impiego della DP nel loro Paese, talora marginale. Tali studi presentano spesso un bias di selezione in quanto limitati a Nefrologi che utilizzano in qualche modo la DP.

Obiettivi dello studio

Allo scopo di indagare “l’opinione del medico sulla DP e sulla scelta del trattamento” e il suo eventuale ruolo nel reale utilizzo della DP nel Centro, nel 2006-2007 l’allora Gruppo di Studio della Dialisi Peritoneale (GSDP) della SIN ideò e realizzò una ricerca, sotto forma di un questionario (Qs), limitata ai soli Centri Pubblici per ridurre il più possibile l’influenza dei fattori economici sui risultati ma coinvolgendo anche i Centri che non utilizzavano la DP.

Lo scopo principale dello studio era quello di confrontare le opinioni riguardo alla DP e alla scelta del trattamento, analizzando la prospettiva dei Nefrologi che lavorano in Centri che utilizzano la DP e quelli che non la utilizzano.

Dal momento che la situazione della DP a distanza di 20 anni dal primo Censimento SIN è rimasta sostanzialmente la stessa l’attuale Gruppo di Progetto della DP ha deciso di allegare all’analisi dei dati del Censimento 2022 i risultati di questa indagine, mai pubblicata, ma che per il livello approfondito di analisi e il numero di Nefrologi coinvolti, rimane, oltre che valida, unica nel suo genere.

 

Materiali e metodi

Reclutamento dei centri

Lo studio è stato condotto mediante un questionario (Qs) somministrato on-line, inviato a tutti i Centri Dialisi Pubblici non pediatrici. Diretto a tutti i Nefrologi del Centro, se ne raccomandava la compilazione di almeno 1 per Centro. La compilazione on-line del Qs è stata effettuata tra gennaio e ottobre 2007 e incentivata in occasione dei Congressi e Convegni tenutisi nel periodo. I risultati sono stati parzialmente presentati ai Congressi e Convegni dell’epoca ma non sono mai stati pubblicati.

L’elenco dei Centri dialisi eligibili per l’indagine è stato ricavato dal Censimento SIN relativo al 2004 [5] (Cens-SIN-2004). In sintesi, il Cens-SIN-2004 aveva documentato la presenza in Italia di 658 Centri Dialisi. Dopo esclusione dei Centri privati e dei Centri pediatrici rimanevano 346 Centri a cui è stato inviato il questionario. Tuttavia, di questi 346 Centri ve ne erano 15 a “statuto speciale” (Centri di ricerca) e 6 non avevano pazienti in trattamento dialitico per cui non sono stati considerati. Quindi, come per il Cens-SIN-2004, in questa analisi sono stati considerati i 325 Centri pubblici, non pediatrici, a statuto ordinario e con incidenza in dialisi, DP o HD, diversa da zero. Per quanto riguarda i Nefrologi in questa analisi sono stati considerati solo i medici “strutturati” escludendo “specializzandi” e “medici non strutturati frequentatori”.

Ripartizione dei centri

Nel Cens-SIN-2004 la ripartizione tra Centri che non utilizzavano la DP e Centri che la utilizzavano era stata effettuata in base all’incidenza in DP diversa o uguale a 0, rispettivamente: i Centri che non la utilizzavano erano risultati 116 e quelli che la utilizzavano 209. Nel Qs è stato nuovamente chiesto se il Centro di appartenenza dell’intervistato avesse o meno un programma di DP: dei 270 (83,1%) Centri che hanno risposto 65 non risultavano utilizzare la DP. Tuttavia, di questi 65 ve ne erano 6 che erano stati classificati come Centri che utilizzavano la DP nel 2004 mentre dei 205 che dichiaravano di avere un programma di DP ve ne erano 13 classificati nel 2004 come Centri che non la utilizzavano. Ricordiamo che la classificazione del 2004 si basava sull’incidenza in DP, criterio che ad oggi non ci è sembrato più corretto. Abbiamo pertanto ri-classificato i Centri del Cens-SIN-2004 tenendo conto anche della prevalenza al 31/12/2004 e confrontando i dati con quelli del Censimento GSDP del 2005 [17] e degli anni successivi ove necessario. Dopo la ri-classificazione i casi di discordanza si sono ridotti a 4 Centri che effettivamente avevano cessato il programma di DP e a 6 Centri che lo avevano avviato dopo il 2004.

Nelle discussioni dell’epoca era inoltre emersa una realtà più articolata della semplice distinzione tra Centri che utilizzano o non utilizzano la DP. Infatti tra i Centri che non utilizzavano la DP ve ne erano alcuni che inviavano i pazienti con indicazione alla DP (clinica o per scelta) ad altri Centri. Di questa distinzione, non considerata nel Cens-SIN-2004, se ne è tenuto conto nel Qs differenziando i Centri in Centri che utilizzano la DP (Centri DP-SI), Centri che non utilizzano la DP ma inviano i pazienti che ne hanno indicazione ad altri Centri (Centri DP-TRASF) e Centri che non la considerano in nessun modo (Centri DP-NO).

In conclusione, dei 325 Centri considerati 270 hanno partecipato all’indagine con almeno 1 Qs. Di questi 205 erano Centri DP-SI, 36 erano Centri DP-NO e 29 erano Centri DP-TRASF. Non hanno risposto al Qs 55 Centri di cui 11 classificati nel 2004 come Centri DP-SI e 44 come Centri DP-NO anche se, non avendo risposto al Qs, non se ne conosce realmente lo stato al momento dell’indagine.

Lo studio non riguardava in alcun modo pazienti ma medici, la cui partecipazione è stata volontaria.

Il questionario e i campi di indagine

Il Qs era composto da 26 domande ripartite in 2 parti. Nella prima parte venivano definite le caratteristiche del Nefrologo intervistato e del Centro in cui operava, nella seconda venivano indagate le opinioni del Nefrologo sulla validità della DP e sui fattori che possono influenzare la scelta del trattamento dialitico.

 

Parte 1°

Caratteristiche del Nefrologo

Le caratteristiche del Nefrologo considerate sono state: 1) la formazione ricevuta sulla DP nel percorso di studi; 2) l’esperienza realmente maturata con la DP (nessuna, occasionale e discontinua, continua per un periodo inferiore oppure superiore ai 3 anni); 3) il ruolo gerarchico all’interno del Centro (primario/direttore, responsabile di Struttura Operativa Semplice, medico strutturato); 4) il tempo lavorativo dedicato alla dialisi (non si occupa di dialisi; <25%; tra 25-50% ; tra 50-75%; >75% dell’orario lavorativo) e, in una scala da 1 a 5 (dove 1 è solo HD, 3 HD e DP in parti uguali, 5 solo DP), quanto tempo è dedicato alla HD e quanto alla DP; 5) il coinvolgimento nella scelta del trattamento dialitico (si/no) e, se sì, con quali compiti (informazione, valutazione clinica, valutazione socio-attitudinale) e con che grado di coinvolgimento valutato con una scala da 1 (poco) a 5 (molto).

Caratteristiche del Centro

Le caratteristiche del Centro considerato sono state: 1) l’esistenza di un programma strutturato di scelta del trattamento dialitico (non solo clinico, ma anche educativo e informativo); 2) le attività svolte dagli infermieri che si occupano della DP (predialisi, attività ambulatoriale, degenza, HD) per i Centri DP-SI; 3) la percentuale di pazienti early referral; 4) un giudizio sul grado di informazione che i pazienti early referral ricevono nel proprio Centro sulle diverse metodiche dialitiche; 5) i ruoli professionali coinvolti nel proprio Centro nella scelta del trattamento (responsabile del reparto, medico HD, medico PD, infermiere HD, infermiere PD, infermieri con altre funzioni, psicologo). Per quest’ultima domanda l’intervistato doveva esprimere anche una opinione sul peso che le figure coinvolte avevano sulla scelta della metodica valutandolo con una scala da 1 (trascurabile) a 5 (decisivo). Per le prime tre domande (esistenza di un programma strutturato di scelta del trattamento dialitico, attività svolte dagli infermieri di DP e percentuale di early referral), nei Centri in cui ha risposto più di un Nefrologo, non sempre le risposte concordavano. In caso di discordanza il valore da attribuire al Centro è stato determinato in scala gerachica (in ordine: risposta del Direttore se disponibile, del responsabile SOS se disponibile, del medico con maggior coinvolgimento nell’attività dialitica e infine, se rimaneva discordanza, della maggioranza). Per la percentuale di early referral, trattandosi di dato numerico, la discordanza è risultata eccessiva, per cui in questa analisi non è stata considerata.

Per le ultime due domande (informazione fornita ai pazienti e peso delle diverse figure professionali nel proprio Centro), trattandosi più di opinioni che di valori obiettivi, le risposte sono state considerate singolarmente e non aggiustate in un solo valore per Centro.

 

Parte 2°

Questa parte è stata divisa in tre sottogruppi di domande. Nella prima è stata indagata l’opinione del medico sui fattori generali che possono influenzare la scelta del trattamento ‒ tra cui la validità della metodica ‒ nella seconda l’opinione su alcune condizioni, cliniche e non, dei singoli pazienti e nella terza sul drop out e sulla durata della DP.

Fattori generali NON legati al paziente

I fattori generali dei quali l’intervistato doveva dare una valutazione personale sono stati: 1) il peso, valutato in una scala da 1 (nessuno) a 5 (decisivo), che hanno sulla scelta del trattamento per pazienti senza indicazioni/contro-indicazioni obbligate alla HD o alla DP, il medico, l’infermiere, il paziente, i familiari e gli altri pazienti in RRT. Questa valutazione è stata chiesta sia per pazienti senza sia con barriere all’autogestione della DP; 2) la percentuale ritenuta ottimale di utilizzo della DP graduata da <10% a >50%; 3) se nella scelta della metodica ci si senta condizionati dal rischio di peritonite; 4) Il confronto con la HD sia dell’efficienza dialitica che della sopravvivenza della DP; 5) quanto il costo complessivo del trattamento, la carenza di infermieri, la vicinanza dei Centri privati, la dimensione limitata del Centro (numero di pazienti prevalenti in dialisi) e il tasso di occupazione delle postazioni di HD possono incidere sulla scelta valutandoli con una scala da 1 (molto a favore della HD) a 5 (molto a favore della DP); 6) il peso che i seguenti incentivi possono avere nel favorire l’utilizzo della DP: rimborso economico per il caregiver di pazienti con barriere non idonei all’autogestione della DP (DP assistita), sviluppo della tecnologia di assistenza a distanza (telemedicina), supporto infermieristico telefonico full time (H24) per i pazienti in DP, supporto infermieristico domiciliare per i pazienti in DP, incentivo economico alle Strutture Assistenziali Residenziali (RSA) per assistere i pazienti in DP. Il giudizio era espresso mediante una scala da 1 (nessun peso) a 5 (peso elevato).

Fattori legati al paziente

In questa parte sono indagate le opinioni su alcune condizioni specifiche dei pazienti che possono rappresentare una indicazione o controindicazione alla DP. In dettaglio: 1) giudizio sulla percentuale di pazienti eligibili a entrambe le metodiche; 2) giudizio sul ruolo dei fattori clinici e non clinici associati al paziente ed elencati nella Tabella 1 (l’intervistato doveva esprimere un giudizio su ciascuno dei fattori elencati con una scala da 1 a 5 secondo i seguenti criteri: 1 = indicazione elevata alla HD; 2 = indicazione moderata alla HD; 3 = indicazione indifferente a HD o DP; 4 = indicazione moderata alla DP; 5 = indicazione elevata alla DP).

FATTORI CLINICI FATTORI NON CLINICI
Insufficienza cardiaca congestizia Motivazione all’autogestione
Cardiopatia ischemica Età tra 65 e 75 anni
Diabete Età > 75 anni
Obesità (BMI > 30) Non autosufficiente con caregiver disponibile
Malnutrizione (BMI < 20) Vivere da soli
Diverticolosi estesa oltre il sigma Immagine corporea in pazienti < 50 anni
Nefropatia policistica Attività lavorativa
Flessibilità nello stile di vita e tempo libero
Qualità della vita
Tabella 1. Fattori clinici e non clinici sulla cui influenza nella scelta è stato chiesto un giudizio ai partecipanti.

Durata della DP / Drop Out

In quest’ultima parte l’intervistato doveva dare un giudizio: 1) sulla durata della DP; 2) sulla percentuale annua di drop out ritenuta “fisiologica”; 3) se il drop out alla HD potesse essere influenzato dal numero di pazienti in trattamento.

Analisi

Le risposte sono state ripartite nei 3 tipi di Centro e confrontate tra loro con il metodo del chi quadrato o test non parametrici dove indicato. I risultati sono stati considerati significativi per p<0,05 fino a 0,00001.

 

Risultati

Centri e nefrologi partecipanti

Complessivamente il Qs è stato compilato da 454 Nefrologi di 270 Centri (83,1% dei 325 Centri pubblici considerati) con una adesione media di 1,68 Nefrologi per Centro, superiore nei Centri DP-SI (Tabella 2). La percentuale di risposte tra i Centri DP-SI (205 Centri su 216 = 94,9%) è stata significativamente più alta rispetto a quella degli altri Centri (65 Centri su 109 = 59,6%) (p<0,00001). Dei Centri che non utilizzano la DP, 29 inviano i candidati alla DP ad altri Centri. Il numero e le percentuali dei Centri che hanno risposto e dei Qs completati sono riportati in Tabella 2 e in Figura 1.

CENTRI / Qs DP-SI DP-TRASF DP-NO TOTALE
Centri (Cens-SIN-2004)* 209 116 325
Qs-Centri ** 216 109 325
Qs-Centri partecipanti *** 205 29 36 270
Nefrologi 370 42 42 454
Qs per Centro 1,80 1,45 1,17 1,68
Tabella 2. Dei 325 Centri Pubblici risultanti dal Censimento SIN del 2004, in 270 almeno un nefrologo ha risposto al Qs. L’adesione al Censimento è stata significativamente superiore nei Centri che utilizzano la DP.
* Centri (Cens-SIN-2004) riporta la ripartizione dei Centri come risultata dal Censimento SIN 2004 [5]. La distinzione, all’interno del gruppo di 116 Centri pubblici che non utilizzavano la DP, di un sottogruppo di Centri che per la DP si “appoggiano” ad altri Centri all’epoca non era stata considerata. Ricordiamo che tale classificazione era basata sull’utilizzo della DP per i pazienti incidenti. La ripartizione dei Centri nel Qs è lievemente differente per le ragioni riportate nei Materiali e metodi.
** “Qs Centri” sono i Centri riclassificati secondo I criteri riportati nei Materiali e metodi
*** “Qs Centri partecipanti” sono i Centri che hanno prtecipato all’indagine con almeno 1 questionario compilato
Figura 1. Adesione all’indagine dei Centri con almeno 1 Qs compilato.
Figura 1. Adesione all’indagine dei Centri con almeno 1 Qs compilato. Al centro la ripartizione dei 325 Centri pubblici, non pediatrici e a statuto ordinario. A destra l’adesione al Qs tra i 216 Centri che utilizzavano la DP e a sinistra l’adesione tra i 109 che non la utilizzavano.

La Tabella 3 (rappresentata in Figura 3) riporta le caratteristiche dei 270 Centri partecipanti ricavate dai dati del Cens-SIN 2004. Il tasso di occupazione dei posti letto HD e le dimensioni del Centro (pazienti HD + PD) erano superiori (p<0,0001) nei Centri DP-SI rispetto agli altri, mentre non vi sono differenze significative tra i Centri DP-NO e DP-TRASF (Qs-SI in Tabella 3). Il confronto con i Centri che non hanno risposto non è risultato significativamente diverso (Qs-NO in Tabella 3 e in Figura 2).

CENTRI DP INCIDENZA (HD+DP) PREVALENZA (HD+DP) pz HD/PL
TUTTI NO 109 11,9±9,4 50,0±35,3 2,9±0,9
SI 216 28,7±18,4 116,1±65,9 3,4±0,8
Qs SI NO 36 11,4±7,4 48,9±29,9 3,0±1,0
TRASF 29 11,7±9,9 54,4±36,5 2,9±0,7
SI 205 28,9±18,5 116,6±65,8 3,4±0,8
    p<0,0001 p<0,0001 p<0,0001
   
Qs NO NO 44 12,5±10,6 47,8±39 2,9±1,0
SI 11 25,6±16,1 106,9±69,4 3,4±0,8
Tabella 3. Caratteristiche generali (ricavate dal Cens-SIN-2004) dei 270 Centri che hanno risposto al Qs (Qs-SI) e dei 55 Centri che non hanno risposto (Qs-NO). Il confronto tra Centri DP-SI e Centri DP-NO e DP-TRASF è risultato significativo ma non quello tra Centri DP-NO e DP-TRASF così come quello tra Qs-SI e Qs-NO.
Figura 2. Incidenza e prevalenza globali in dialisi (HD + DP) e pazienti prevalenti in HD per posto letto o stazione di HD.
Figura 2. Incidenza e prevalenza globali in dialisi (HD + DP) e pazienti prevalenti in HD per posto letto o stazione di HD. I dati sono ripartiti in Centri DP-SI e Centri che non utilizzano la DP (NO), in questo caso sia che non considerino la DP sia che trasferiscano i candidati alla DP ad altri Centri. Le stesse variabili sono state considerate per tutti i Centri (TUTTI) e confrontando i Centri che hanno aderito all’indagine (Qs SI) oppure no (Qs NO). Per quelli che hanno aderito sono stati considerati separatamente tra i Centri NO quelli che trasferiscono (TRASF) e quelli che non la considerano affatto (NO). Tale distinzione ovviamente non era possibile per i Centri che non hanno aderito. Come si vede, tra i Centri aderenti, non vi era differenza tra i Centri DP-NO e Centri DP-TRASF. I dati sono quelli riportati nel Cens-SIN-2004, relativi appunto all’anno 2004.

Ripartendo i Centri in funzione delle loro dimensioni e della percentuale di utilizzo della DP (Tabella  4) al 31/12/2004 il 17,5% dei Centri pur avendo un ampio programma di dialisi non effettua la DP o la utilizza in meno del 10% dei pazienti, d’altra parte il 13,8% dei Centri pur avendo dimensioni ridotte la utilizza in una percentuale significativa di pazienti. Riguardo alle 4 macroaree italiane di appartenenza l’analisi del del Cens-SIN-2004 aveva mostrato come nelle regioni in cui maggiore era il numero di Centri privati minore era l’utilizzo della DP. Alla presenza di Centri privati erano attribuibili anche le minori dimensioni dei Centri pubblici in tali regioni. Pur essendo mantenuta la relazione tra dimensioni e utilizzo della DP i Centri che utilizzano la DP al Sud sono più piccoli ma con percentuali di pazienti in DP superiore per verosimile compenso all’effetto dei Centri privati e al maggior numero di Centri che non utilizzano la DP. Tali osservazioni sono riassunte nella Tabella 5 e in Figura 3. L’appartenenza geografica dei Centri che hanno partecipato al Qs è riportata in Figura 4.

La ri-classificazione al momento dell’indagine non era possibile per la mancanza dei dati di prevalenza al 2007 per cui l’unica variabile considerata rimane la tipologia del Centro come definita sopra.

PREVALENZA (%) DELLA DP
0 <10% 10-<20% ≥20%
CENTRI 102 74 76 73
PAZIENTI IN DIALISI ≤45 81 18,2 3,4 1,8 1,5
46-80 83 7,7 7,4 4,3 6,2
81-130 80 4,3 5,8 6,5 8,0
>130 81 1,2 6,2 10,8 6,8
Tabella 4. Ripartizione dei Centri in funzione delle dimensioni (quartili del numero complessivo di dializzati per Centro) e della prevalenza percentuale della DP al 31/12/2004.
NORD CENTRO SUD ISOLE TUTTI
CENTRI (numero) 116 72 93 44 325
HD (pz prevalenti) 13.951 5.509 4.911 1.959 26.330
DP (pz prevalenti) 2.368 785 761 286 4.200
DIMENSIONI (PZ/CENTRO) 140,7 87,4 61,0 51,0 93,9
% DP 14,5 12,5 13,4 12,7 13,8
CENTRI DP-NO/DP-TRASF 17 26 38 21 102
% di TUTTI i Centri 14,7 36,1 40,9 47,7 31,4
HD (pz prevalenti) 1.432 1.479 1.214 813 4.938
DP (pz prevalenti) 0 0 0 0 0
DIMENSIONI (PZ/CENTRO) 84,2 56,9 31,9 38,7 48,4
% DP 0 0 0 0 0
CENTRI DP-SI 99 46 55 23 223
% di TUTTI i Centri 85,3 63,9 59,1 52,3 68,6
HD (pz prevalenti) 12.519 4.030 3.697 1.146 21.392
DP (pz prevalenti) 2.368 785 761 286 4.200
DIMENSIONI (PZ/CENTRO) 150,4 104,7 81,1 62,3 95,9
% DP 15,9 16,3 17,1 20,0 16,4
Tabella 5. Caratteristiche dei Centri ripartiti per macroarea di appartenenza e distinti in Centri che non utilizzano la DP (DP-NO e DP-TRASF non erano distinti nel Cens-SIN-2004) e che la utilizzano (DP-SI). I dati sono ricavati dal Cens-SIN-2004 e quindi riferiti al 2004 e non all’epoca dell’indagine (2007).
Figura 3. Ripartizione dei 325 Centri nelle 4 macroaree italiane secondo la definizione
Figura 3. Ripartizione dei 325 Centri nelle 4 macroaree italiane secondo la definizione ISTAT (NORD = Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Liguria – CENTRO = Toscana, Marche, Umbria, Lazio – SUD = Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria – ISOLE = Sicilia, Sardegna). A sinistra (A) e dimensioni medie dei Centri e la prevalenza percentuale della DP (sostanzialmente simile). Al centro (B) in alto la percentuale di Centri che non utilizzano la DP (in nero) e in basso le dimensioni medie dei Centri che utilizzano (grigio) e non utilizzano la DP (nero). Come si vede i Centri che non utilizzano la DP hanno sempre dimensioni inferiori rispetto a quelli che la utilizzano nella stessa macroarea, ma dal NORD alle ISOLE diminuiscono gradualmente. Per cui se vale il principio che minori sono le dimensioni del Centro e minore è l’utilizzo della DP tuttavia, a destra (C), se si considerano solo i Centri che fanno la DP si vede come i Centri del SUD e delle ISOLE pur avendo dimensioni inferiori utilizzano la DP in misura maggiore.
Ripartizione dei Centri nelle quattro macroaree italiane.
Figura 4. Ripartizione dei Centri nelle quattro macroaree italiane. A sinistra (A) sul totale dei 270 Centri aderenti e a destra (B) sul totale dei 325 Centri eligibili. Qs-SI e Qs-NO sono riferiti ai Centri che hanno aderito (con almeno 1 partecipante) o non all’indagine.

 

PARTE 1° – CARATTERISTICHE DEL NEFROLOGO INTERVISTATO E DEL CENTRO DI APPARTENENZA

Caratteristiche del Nefrologo

Le caratteristiche generali dei Nefrologi partecipanti sono riportate in Tabella 6. Tra i tre tipi di Centro non vi sono differenze significative per il genere (per i 2/3 maschile) e l’età, sovrapponibili, mentre l’area geografica sede del Centro di appartenenza dell’intervistato (p<0,0001) riflette la distribuzione dei Centri e l’utilizzo della DP già analizzata nel Cens-SIN-2004 (Figure 2 e 3) [5].

 

CENTRI

(tipo, numero)

NEFROLOGI
(numero)
FEMMINE
(%)
ETÀ MEDIA
(anni ± DS)
NORD
(%)
CENTRO
(%)
SUD
(%)
ISOLE
(%)
DP-NO 36 42 38,1 50,8±6,4 14,3 26,2 31,0 28,6
DP-TRASF 29 42 33,3 51,0±5,4 7,1 7,1 47,6 38,1
DP-SI 205 370 34,1 51,2±6,8 46,5 18,1 19,7 15,7
TUTTI 270 454 34,4 51,2±6,6 39,9 17,8 23,3 18,9
Tabella 6. Caratteristiche generali dei 454 Nefrologi che hanno risposto al Qs.

Ruolo gerarchico. Riguardo al ruolo gerarchico degli intervistati il 20,9% riveste un ruolo apicale (Direttore, Primario, responsabile di UO), il 19,6% di Responsabile SOS (verosimilmente ma non necessariamente di DP). Non sono stati considerati nella presente analisi specializzandi e medici frequentatori non strutturati, all’epoca dello studio presenti esclusivamente nei Centri Universitari. Rispetto ai Centri, nel 29,3% di questi ha partecipato il Direttore/Primario o Responsabile dell’UO di Nefrologia e Dialisi, nel 23,3% il Responsabile SOS e nel 5,9% entrambi (Tabella 7). Complessivamente quindi nel 58,5% dei Centri ha partecipato il Direttore e/o un Responsabile di SOS.

In Tabella 7 sono riportate anche età e genere secondo i diversi ruoli gerarchici.

RUOLO % DP-NO DP-TRASF DP-SI ETÀ FEMMINE (%)
PRIMARIO 95 20,9 38,1 28,6 18,1 53,3±5,7 11,6
SOS 89 19,6 7,1 14,3 21,6 53,5±4,2 30,3
STRUTTURATO 270 59,5 54,8 57,1 60,3 48,6±6,3 43,7
TUTTI 42 42 370 51,2±6,6 34,4
p<0,01 p<0,00001 p<0,00001
Tabella 7. Ruolo gerarchico dei 454 partecipanti all’indagine.

Formazione ed esperienza. La maggioranza dichiarava di non avere o di avere ricevuto una preparazione alla DP insufficiente (score “1” o “2”) nel corso degli studi. Curiosamente la percentuale dei Nefrologi senza o con scarsa preparazione alla DP (somma delle percentuali “Nessuna”, “1”, “2” riportate in Tabella 8) aumenta significativamente dai Centri DP-NO (38,0%) ai Centri DP-TRASF (47,5%) fino ai Centri DP-SI (57,6%) (Tabella 8 e Figura 5-A).

In senso opposto varia, in questo caso secondo le attese, l’esperienza con la DP (Tabella 9) che ovviamente risulta significativamente maggiore e con continuità nei Centri DP-SI rispetto gli altri. In particolare una esperienza con la DP superiore ai 3 anni è stata acquisita dal 16,7% dei Nefrologi dei Centri DP-NO, dal 26,2% nei Centri DP-TRASF e dal 65,1% nei Centri DP-SI (Tabella 9) (Figura 5-B).

 

Insufficiente Idonea alla gestione
Nessuna 1 2 3 4 5
DP-NO 19,0 7,1 11,9 28,6 11,9 21,4
DP-TRASF 33,3 7,1 7,1 21,4 14,3 16,7
DP-SI 39,5 7,3 10,8 15,1 8,9 18,4
ALL 37,0 7,3 10,6 17,0 9,7 18,5
p<0,04
Tabella 8. Preparazione ricevuta durante gli studi sulla DP.
      Continua
Nessuna Discontinua <3 anni >3 anni
DP-NO 40,5 26,2 16,7 16,7
DP-TRASF 35,7 19,0 19,0 26,2
DP-SI 6,5 20,3 8,1 65,1
TUTTI 12,3 20,7 9,9 57,0
Tabella 9. Esperienza maturata con la DP dei 454 partecipanti (p<0,0001).
Figura 5. Caratteristiche del Nefrologo partecipante allo studio
Figura 5. Caratteristiche del Nefrologo partecipante allo studio. A) Formazione sulla DP ricevuta nel corso degli studi (curiosamente la percentuale di quelli che non hanno ricevuto alcuna formazione aumenta dai Centri DP-NO ai Centri DP-SI). B) Esperienza di DP superiore ai 3 anni maturata secondo il ruolo gerarchico dei 454 Nefrologi intervistati.

Attività lavorativa. Per quanto riguarda il settore di attività lavorativa sostanzialmente quasi tutti gli intervistati (97,0%) si occupavano di dialisi. In dettaglio se ne occupavano per più del 50% dell’orario lavorativo il 71,4% degli appartenenti ai Centri DP-NO, il 76,2% di quelli dei Centri DP-TRASF e il 64,4% di quelli dei Centri DP-SI.

Se per i Centri che non utilizzano la DP l’attività dialitica può considerarsi rivolta solo alla HD, nei Centri DP-SI la percentuale di coloro che si occupano prevalentemente o esclusivamente della DP è il 28,6% (106 di 370 Nefrologi) e quelli che vi si dedicano per più del 50% del proprio tempo lavorativo il 18,6% (69 di 370 Nefrologi) (Tabella 10).

0 < 25% 26 – 50% 51 – 75% > 75%
NO 0 0 28,6 26,2 45,2
TRASF 0 11,9 11,9 21,4 54,8
SI 3,0 10,0 22,7 29,5 34,9
solo HD 1,4 0,3 1,1 4,6
prevalent. HD 1,9 3,5 4,6 7,0
HD e DP 4,3 11,4 14,3 14,1
prevalent. DP 1,1 4,6 6,5 5,4
solo DP 1,4 3,0 3,0 3,8
TUTTI 2,4 9,3 22,2 28,4 37,7
Tabella 10. Impegno dialitico – le differenze tra i tre tipi di Centro non sono significative. La modalità nella cui gestione il Nefrologo è coinvolto riguarda ovviamente solo i Centri DP-SI.

Impegno nella scelta del trattamento dialitico. Globalmente il 94,7% (430 intervistati) si sente coinvolto nel processo di scelta del trattamento dialitico senza differenze significative tra i tre tipi di Centri (Tabella 11), anche per quanto riguarda l’entità del coinvolgimento (in una scala da 1, “poco”, a 5, “molto”: DP-NO 3,7 ± 1,1; DP-NO-TRASF 4,2 ± 1,2; DP-SI 3,7 ± 1,4; p = NS).

Rispetto ai 3 aspetti del processo di scelta (informazione, valutazione clinica e valutazione attitudinale) la maggioranza dei medici dei Centri che non utilizzano la DP si sente coinvolta nell’informazione (Tabella 11). Considerando solo gli intervistati coinvolti nel processo di informazione la verifica dei contenuti mostra come il 42,1% degli appartenenti ai Centri DP-NO dichiara di informare su entrambe le metodiche, che, anche se inferiore al 75,0% di quelli dei Centri DP-TRASF e all’84,5% dei Centri DP-SI, non era un dato atteso considerando che si tratta di Centri che non utilizzano e non inviano ad altri Centri gli eventuali candidati alla DP (Figura 6). Il numero di attività svolte nel processo di scelta è riportato in Tabella 12.

VALUTAZIONE
Non coinvolto Informazione Clinica Attitudinale
DP-NO 2,4 90,5 28,6 28,6
DP-TRASF 4,8 85,7 59,5 52,4
DP-SI 5,7 73,2 78,9 68,4
TUTTI 5,3 76,0 72,5 63,2
Tabella 11. Impegno nel processo di scelta del trattamento dialitico – le differenze tra i tre tipi di Centro non sono significative solo per la percentuale dei coinvolti “in un qualche modo” ma anche per quanto riguarda il grado in cui ci si sente coinvolti in questo aspetto. Signficative sono invece le differenze per quanto riguarda la modalità del coinvolgimento (informazione, valutazione clinica e valutazione socio-attitudinale). Il diverso impegno nelle tre attività è invece atteso: nei Centri in cui non si utilizza la DP è naturale che valutazione clinica, per la ricerca di eventuali indicazioni o controindicazioni alla DP, e ancor di più attitudinale (idoneità all’autogestione) siano trascurabili.
ATTIVITÀ SVOLTE
CENTRI 0 1 2 3
DP-NO 2,4 69,0 7,1 21,4
DP-TRASF 4,8 40,5 7,1 47,6
DP-SI 5,7 23,0 16,5 54,9
TUTTI 5,3 28,9 14,8 51,1
p<0,0001
24 131 67 232
GRADO 0 3,7±1,2 3,8±1,0 4,1±1,1
Tabella 12. Impegno nella scelta del trattamento dialitico. I numeri indicano le attività svolte nel processo di scelta del trattamento. Tali attività sono l’informazione, la valutazione clinica e la valutazione socio-attitudinale. Come si vede il 51,1% (prevalentemente nei Centri DP-SI) riferisce di essere coinvolto in tutte e 3 le attività con un impegno medio-elevato.
Figura 6. Coinvolgimento nella scelta del trattamento dialitico.
Figura 6. Coinvolgimento nella scelta del trattamento dialitico. A) Percentuali dei 430 intervistati coinvolti nei settori della valutazione (informazione sulle metodiche disponibili, valutazione clinica e socio-attitudinale) – B) Per i 345 Nefrologi coinvolti nell’informazione, la/le metodiche illustrate dall’intervistato al paziente. Come si vede più del 40% dei Nefrologi dei Centri DP-NO dichiara di informare anche sulla DP.

Caratteristiche del Centro di appartenenza

Le risposte a questa parte dell’indagine possono essere considerate in alcuni casi delle opinioni, come verrà specificato nei singoli aspetti. Per alcune domande, in alcuni Centri nei quali ha partecipato più di un Nefrologo, sono emerse valutazioni discordanti tra i Nefrologi di uno stesso Centro. Tali casi sono stati risolti come riportato nei “Materiali e metodi”.

Percorso di scelta del trattamento dialitico. L’esistenza di un percorso di predialisi aumenta dal 47,2% dei Centri DP-NO al 55,2% dei Centri DP-TRASF fino al 73,2% dei 205 Centri DP-SI (p<0,00005) (Figura 7). Dei 97 Centri con più di un Qs in 61 Centri (62,9% – 3,1 Qs per Centro) tutti i partecipanti danno una risposta concorde mentre nei rimanenti 36 Centri (37,1% – 2,6 Qs per Centro) vi è almeno una risposta che non concorda con quelle degli altri Nefrologi dello stesso Centro. In 6 di questi 36 Centri la risposta del primario o responsabile SOS non concorda con quella della maggioranza, in particolare in 1 caso per il Primario/Direttore non esiste alcun percorso mentre la maggioranza lo conferma ed in 5 casi il contrario.

Figura 7. Presenza di un percorso strutturato (con personale dedicato e con un programma di valutazione pre-definito) nei diversi tipi di Centro.
Figura 7. Presenza di un percorso strutturato (con personale dedicato e con un programma di valutazione pre-definito) nei diversi tipi di Centro.

Altre attività svolte dall’infermiere di DP. Dei 205 Centri che effettuano la DP solo in 26 (12,7%) l’infermiere si occupa esclusivamente di DP mentre delle attività considerate (predialisi, attività ambulatoriale, degenza e HD) una, due, tre o tutte e quattro sono a carico dell’infermiere di DP rispettivamente nel 45,4% (93 Centri), 28,8% (59 Centri), 10,7% (22 Centri) e 2,4% (5 Centri) dei rimanenti 244 Centri (Figura 8 A). L’attività principale nella quale è coinvolto l’infermiere di DP è il predialisi (Figura 8). Le dimensioni del programma di DP sono inversamente proporzionali al numero di “altre attività” (Figura 9).

Figura 8. Altre attività svolte dagli infermieri che si occupano di DP.
Figura 8. Altre attività svolte dagli infermieri che si occupano di DP. I dati sono riferiti ovviamente ai 205 Centri DP-SI. A) Numero di altre attività svolte (solo nel 13% dei Centri gli infermieri si occupano esclusivamente della DP). B) Tipo di attività svolte sul totale delle “altre attività”.
. Il numero di “altre attività” svolte dagli infermieri di DP aumenta al diminuire dei pazienti in trattamento con la DP.
Figura 9. Il numero di “altre attività” svolte dagli infermieri di DP aumenta al diminuire dei pazienti in trattamento con la DP. Ovviamente il grafico può anche essere letto in senso inverso, maggiore è il numero di altre attività svolte e minore è il numero di pazienti in DP.

Completezza dell’informazione fornita ai pazienti (opinione). I pazienti incidenti in HD sono informati adeguatamente sulla HD ma in maniera insufficiente sulla DP in tutti e tre i tipi di Centro anche se, per quest’ultima, il grado migliora passando dai Centri DP-NO ai Centri DP-SI (Tabella 13). Per i pazienti incidenti in DP il grado di informazione sulle due metodiche è equivalente (non considerati ovviamente i Centri DP-NP) (Tabella 13). Il risultato non cambia se si considerano le risposte fornite dai medici coinvolti nelle attività dialitiche per più del 50% del loro tempo lavorativo.

INCIDENTI IN HD INCIDENTI IN DP
INFORMAZIONE FORNITA HD DP HD DP
NO 4,4 2,8
NO-INVIO 4,4 3,3 3,0 3,2
SI 4,2 3,7 4,3 4,7
TUTTI 4,2 3,6 4,0 4,3
N.S. p<0,00005 p<0,00001 p<0,00001
Tabella 13. Informazione fornita ai pazienti incidenti early referral. Score variabile tra 1 e 5 (“1”= nessuna;  ”2”= scarsa; ”3”= sufficiente; ”4”= buona; ”5”= idonea alla scelta).

“Le figure professionali ritenute determinanti nel proprio Centro per la scelta rimangono il Primario e il Medico della HD per tutti i Centri mentre il Medico e l’Infermiere di DP hanno un peso ma solo nei Centri DP-SI (Figura 10)”. Il Primario è riconosciuto avere un ruolo decisivo anche se con un peso diverso secondo il ruolo dell’intervistato (Figura 11).

Le differenze relative al Medico e Infermiere di DP
Figura 10. Giudizio sul peso che ha (in ordine, da sinistra verso destra) il Primario (Direttore o Responsabile di Unità Operativa), il Medico che si occupa di HD, il Medico che si occupa della DP, un Medico che non si occupa di Dialisi, l’Infermiere della HD, l’Infermiere di DP, un infermiere che non si occupa direttamente di dialisi e infine lo Psicologo. Le differenze relative al Medico e Infermiere di DP sono quelle attese, come atteso è il giudizio sovrapponibile tra Centri DP-NO e Centri DP-TRASF. Sul ruolo del Primario concordano gli intervistati di tutti e tre i tipi di Centro.
Figura 11. Il giudizio sul ruolo del Primario nella scelta secondo il ruolo dell’intervistato
Figura 11. Il giudizio sul ruolo del Primario nella scelta secondo il ruolo dell’intervistato (Primario, Responsabile di SOS o Medico strutturato). Il peso è espresso come media (± DS) degli score del peso attribuito dalle tre figure professionali al Primario (score da 0, nessun peso, a 5, decisivo).

 

PARTE 2° – LE OPINIONI DEL NEFROLOGO

Fattori generali indipendenti dal paziente

Peso di diverse figure, tra cui paziente e familiari, nei pazienti autosufficienti e NON autosufficienti. Complessivamente (considerando insieme i tre tipi di Centro) il “peso” attribuito a Medico e infermiere è lo stesso sia che il paziente sia autosufficiente sia che non lo sia. Come atteso, il “peso” sulla scelta attribuito al paziente è maggiore se questo è autosufficiente rispetto al caso in cui non lo sia mentre per quelli non autosufficienti lo ha il familiare, in quest’ultimo caso superiore persino a quello del medico (Figura 12). Il ruolo di altri pazienti è minore e molto scarso per i pazienti non autosufficienti.

L’appartenenza ai diversi Centri si evidenza nel giudizio espresso sull’importanza dell’infermiere, del paziente e dei familiari (Figure 13 e 14). Per i pazienti autosufficienti gli intervistati dei Centri DP-SI assegnano un ruolo significativamente maggiore, rispetto gli altri Centri, a tutte e tre queste figure (Figura 13). Per i pazienti NON autosufficienti la differenza tra Centri DP-SI e gli altri riguarda solo infermiere e familiare (Figura 14).

trattamento dialitico in pazienti autosufficienti o con necessità di caregiver per la DP
Figura 12. Giudizio globale (tutti i Centri) sul ruolo che le principali figure coinvolte hanno sulla scelta del trattamento dialitico in pazienti autosufficienti o con necessità di caregiver per la DP. Il valore è lo score medio (in questo caso la scala è da 1, assente o irrilevante, a 5, decisivo).
Figura 13. Giudizio, ripartito secondo il tipo di Centro
Figura 13. Giudizio, ripartito secondo il tipo di Centro, sul peso che le principali figure coinvolte hanno sulla scelta del trattamento dialitico in pazienti autosufficienti. Il valore è lo score medio (in questo caso la scala è da 1, assente o irrilevante, a 5, decisivo).
Figura 14. Giudizio, ripartito secondo il tipo di Centro
Figura 14. Giudizio, ripartito secondo il tipo di Centro, sul peso che le principali figure coinvolte hanno sulla scelta del trattamento dialitico per pazienti NON autosufficienti (necessità di caregiver per la DP). Il valore è lo score medio (in questo caso la scala è da 1, assente o irrilevante, a 5, decisivo).

Percentuale ottimale di DP. Le risposte relative alla percentuale ritenuta ottimale confermano l’importanza del tipo di Centro in cui lavora il Nefrologo (Tabella 14). Chi lavora in Centri che non utilizzano la DP esprime percentuali significativamente inferiori come valore ottimale di utilizzo della DP rispetti agli altri. La percentuale non cambia se si considerano solo i 350 Nefrologi occupati per più del 50% del loro tempo dalla dialisi e i primari (Figura 15).

% OTTIMALE NO TRASF SI
≤ 10 21,4 2,4 0,3
tra 11 e 20 28,6 31,0 19,5
21 – 30 35,7 33,3 31,1
31 – 40 7,1 11,9 28,6
41 – 50 7,1 21,4 13,8
> 50 0,0 0,0 6,8
Tabella 14. Valutazione della percentuale di pazienti in dialisi con la DP ritenuta ottimale (p<0,00001).
Figura 15. Percentuale ottimale di utilizzo della DP secondo i Nefrologi dei diversi tipi di Centro
Figura 15. Percentuale ottimale di utilizzo della DP secondo i Nefrologi dei diversi tipi di Centro. In B sono stati considerati solo i 350 Nefrologi con elevato impegno nella dialisi (più del 50% del tempo lavorativo dedicato alla dialisi). Tra A e B non vi sono differenze statisticamente significative.

Il timore della peritonite. Dei 454 intervistati 24 non sono stati considerati in quanto non coinvolti in alcun modo nel processo di scelta del trattamento. Riferiscono di essere condizionati dalla paura della peritonite il 48,8%, il 19,5% e il 15,5% rispettivamente dei Nefrologi dei Centri DP-NO, DP-TRASF e DP-SI (Tabella 15). Considerando solo chi ha una esperienza di DP di oltre 3 anni la differenza non è più significativa ma il ridotto numero di intervistati con esperienza >3 anni nei Centri DP-NO e DP-TRASF (complessivamente 16 su 82), per quanto suggestivo, non consente di trarre conclusioni sicure al riguardo, mentre nei Centri DP-SI non vi è differenza significativa tra chi ha una esperienza di DP maggiore o minore di 3 anni (Figura 16).

TIMORE PERITONITE NO TRASF SI
NO 21 32 295
SI 20 8 54
Tabella 15. Il timore della peritonite diminuisce dai Centri DP-NO (48,8%) ai Centri DP-TRASF (20,0%) e DP-SI (15,5%).
Influenza del timore della peritonite nel percorso di scelta.
Figura 16. Influenza del timore della peritonite nel percorso di scelta. Considerati i 430 Nefrologi coinvolti nella scelta. A) Tutti i partecipanti. B) Ripartizione in funzione dell’esperienza minore o superiore a 3 anni.

Validità della metodica: adeguatezza. In Tabella 16 sono riportate le percentuali dei diversi giudizi espressi dagli intervistati circa la validità dell’adeguatezza depurativa della DP rispetto alla HD. La maggioranza nei Centri DP-NO la ritiene inferiore mentre nei Centri DP-TRASF e DP-SI la maggioranza la ritiene uguale o superiore (Figura 17). Il risultato non cambia se si considerano solo gli intervistati con alto coinvolgimento nel percorso di scelta del trattamento.

ADEGUATEZZA DIALITICA SOPRAVVIVENZA
CENTRI INFERIORE UGUALE SUPERIORE INFERIORE UGUALE SUPERIORE
NO 57,1 40,5 2,4 45,2 47,6 7,1
TRASF 35,7 45,2 19,0 21,4 54,8 23,8
SI 25,7 61,4 13,0 14,1 64,9 21,1
TUTTI 29,5 57,9 12,6 17,6 62,3 20,0
Tabella 16. Valutazione della validità della DP rispetto alla HD. Entrambe valutate in manidera significativamente diversa nei tre tipi di <Centro (adeguatezza dialitica p<0,0005 – sopravvvenza p<0,00002).
Valutazione dell’adeguatezza dialitica e della sopravvivenza in DP rispetto alla HD.
Figura 17. Valutazione dell’adeguatezza dialitica e della sopravvivenza in DP rispetto alla HD.

Validità della metodica: sopravvivenza. I risultati per la sopravvivenza sono simili a quelli dell’adeguatezza anche se meno accentuati (Tabella 16) (Figura 17). La maggioranza dei partecipanti la ritiene uguale in tutti e tre i tipi di Centro ma nei Centri DP-NO sono pochi di meno quelli che la ritengono peggiore (47,6% uguale – 45,2% peggiore). L’inverso si riscontra tra i Centri DP-SI (uguale 64,9% – peggiore 14,1%) e la valutazione è intermedia nei Centri NO-TRASF (uguale 54,8% – peggiore 28,1%).  Il risultato non cambia se si considerano solo i 300 intervistati con alto coinvolgimento dialitico (sopravvivenza inferiore: NO = 43,3% – TRASF = 21,9% – SI = 13,0%; sopravvivenza uguale: NO = 53,3% – TRASF = 50,0% – SI = 64,3%).

Fattori strutturali condizionanti l’utilizzo della DP. Dei cinque fattori considerati (costi, carenza di infermieri, vicinanza di Centri privati, dimensioni globali del Centro ridotte, esubero di posti letto di HD) la maggioranza in tutte le tre tipologie di Centro concorda che siano fattori favorevoli per la HD la presenza di Centri privati nelle vicinanze, le dimensioni ridotte del Centro e l’esubero dei posti letto (Tabella 17) (Figure 18 e 19). Per quanto riguarda i costi la maggioranza degli appartenenti ai Centri DP-NO li considera un fattore non importante mentre nei Centri DP-TRASF e DP-SI li considera un’indicazione alla DP. Tale differente giudizio sui costi non è più significativo se si considerano solo i Nefrologi ad alto coinvolgimento. Il giudizio espresso sulla carenza degli infermieri come fattore condizionante una metodica è simile a quello dei costi: la maggioranza (38,1%) nei Centri DP-NO la ritiene un fattore non determinante mentre nei Centri DP-TRASF e DP-SI (rispettivamente il 61,9% e 66,8%) è considerata una indicazione alla DP sia globalmente che dai soli Nefrologi ad alto coinvolgimento dialitico. Nei Centri DP-NO comunque più di un quarto degli intervistati (26,1%) la ritiene una indicazione alla HD.

INDICAZIONE ALLA HD (1 – 2); INDIFFERENTE (3); INDICAZIONE ALLA DP (4 – 5)
  1 2 3 4 5
COSTI (p<0,05)
NO 4,8 4,8 59,5 23,8 7,1
TRASF 7,1 4,8 28,6 33,3 26,2
SI 3,0 3,8 36,2 26,8 30,3
TUTTI 3,5 4,0 37,7 27,1 27,8
CARENZA INFERMIERI (p<0,0001)
NO 11,9 14,3 38,1 26,2 9,5
TRASF 14,3 7,1 16,7 42,9 19,0
SI 3,0 5,7 24,6 33,8 33,0
TUTTI 4,8 6,6 25,1 33,9 29,5
VICINANZA CENTRI PRIVATI (N.S.)
NO 47,6 14,3 38,1 0,0 0,0
TRASF 28,6 19,0 42,9 7,1 2,4
SI 33,5 12,2 43,5 5,4 5,4
TUTTI 34,4 13,0 43,0 5,1 4,6
DIMENSIONI RIDOTTE DEL CENTRO (N.S.)
NO 28,6 23,8 31,0 14,3 2,4
TRASF 33,3 9,5 35,7 14,3 7,1
SI 18,1 22,4 35,7 14,1 9,7
TUTTI 20,5 21,4 35,2 14,1 8,8
ESUBERO POSTI LETTO DI HD (N.S.)
NO 54,8 16,7 23,8 2,4 2,4
TRASF 38,1 19,0 28,6 7,1 7,1
SI 36,2 17,6 33,5 6,2 6,5
TUTTI 38,1 17,6 32,2 5,9 6,2
Tabella 17. Valutazione, come indicazione alla DP od alla HD, dei fattori strutturali riportati in Tabella. Se si considerano solo gli intervistati (300) con alto coinvolgimento nel percorso di scelta (dati non riportati) la differenza riguardo il giudizio sui costi tra i tre tipi di Centro non è più significativa.
Valutazione globale (454 Nefrologi) dell’indicazione alla DP o alla HD graduata
Figura 18. Valutazione globale (454 Nefrologi) dell’indicazione alla DP o alla HD graduata da 1 a 5 di ciascuno dei fattori strutturali soprariportati.
Valutazione dell’indicazione alla DP od alla HD
Figura 19. Valutazione dell’indicazione alla DP od alla HD graduata da 1 a 5 di ciascuno dei fattori strutturali soprariportati. I partecipanti sono stati ripartiti in funzione del tipo di Centro di appartenenza.

Possibili incentivi alla DP. La maggioranza degli intervistati (Figura 20) (Tabella 18) valuta positivamente tutti e cinque gli incentivi considerati. L’analisi per i tipi di Centro mostra differenze significative per il sostegno economico alla DP assistita, la telemedicina e l’applicazione di incentivi economici alle RSA disponibili a gestire la DP ma mentre il sostegno economico alla DP assistita e alle RSA è caldeggiato dagli appartenenti ai Centri DP-TRASF e DP-SI, la telemedicina dai Centri DP-NO (Figura 21).

da nessuna importanza (1) a peso rilevante (5)
  1 2 3 4 5
SOSTEGNO ECONOMICO PER L’ASSISTENZA (p<0,00001)
NO 33,3 16,7 16,7 21,4 11,9
TRASF 14,3 4,8 28,6 26,2 26,2
SI 4,9 6,8 15,4 28,4 44,6
TUTTI 8,4 7,5 16,7 27,5 39,9
TELEMEDICINA (p<0,0005)
NO 7,1 7,1 14,3 54,8 16,7
TRASF 2,4 7,1 31,0 31,0 28,6
SI 11,1 17,0 26,2 25,9 19,7
TUTTI 9,9 15,2 25,6 29,1 20,3
SUPPORTO TELEFONICO INFERMIERISTICO H24 (N.S.)
NO 2,4 4,8 14,3 57,1 21,4
TRASF 0,0 7,1 16,7 38,1 38,1
SI 3,2 9,2 17,0 34,1 36,5
TUTTI 2,9 8,6 16,7 36,6 35,2
SUPPORTO INFERMIERISTICO DOMICILIARE (N.S.)
NO 4,8 4,8 16,7 40,5 33,3
TRASF 0,0 2,4 14,3 38,1 45,2
SI 2,4 3,8 9,7 29,5 54,6
TUTTI 2,4 3,7 10,8 31,3 51,8
SOSTEGNO ECONOMICO PER LE RSA (p<0,0005)
NO 7,1 4,8 28,6 42,9 16,7
TRASF 2,4 7,1 19,0 33,3 38,1
SI 3,5 4,9 10,8 26,5 54,3
TUTTI 3,7 5,1 13,2 28,6 49,3
Tabella 18. Valutazione del peso che gli incentivi alla DP riportati in Tabella hanno sulla scelta della DP secondo i Nefrologi ripartiti per tipo di Centro.
Opinione sull’efficacia di diverse iniziative generalmente considerate incentivi alla DP
Figura 20. Opinione sull’efficacia di diverse iniziative generalmente considerate incentivi alla DP: sostegno economico destinato al Caregiver dell’eventuale DP assistita; Telemedicina; Supporto Infermieristico telefonico H24; Supporto infermieristico domiciliare; Sostegno economico per le RSA disposte ad ospitare e gestire pazienti in DP. Tutti gli intervistati considerati insieme (454 Nefrologi).
. Opinione dei Nefrologi sull’efficacia di diverse iniziative generalmente considerate
Figura 21. Opinione dei Nefrologi sull’efficacia di diverse iniziative generalmente considerate incentivi alla DP ripartiti in funzione del Centro di appartenenza.

Fattori generali dipendenti dal paziente

Rappresenta l’insieme delle più comuni indicazioni e controindicazioni, cliniche e socio-attitudinali, alla DP che vengono di norma valutate durante il percorso predialitico.

Percentuale di pazienti senza alcun condizionamento. La percentuale di pazienti early referral e liberi di scegliere tra HD e DP è valutata in maniera significativamente differente secondo il tipo di Centro di appartenenza (Tabella 19). In particolare mentre per i Centri DP-NO il 92,8% ritiene sia meno del 50%, il 47,6% degli intervistati dei Centri DP-SI ritiene sia superiore al 50% dei pazienti incidenti (Figura 22), considerando poi solo i 300 intervistati con alto coinvolgimento nell’attività dialitica il risultato non cambia (rispettivamente il 96,7% e il 48,3%).

≤40% 40-50% 50-60% 60-70% ≥70%
NO 71,4 21,4 4,8 0,0 2,4
NO-INVIO 54,8 23,8 9,5 4,8 7,1
SI 25,7 26,8 21,1 14,1 12,4
TUTTI 32,6 26,0 18,5 11,9 11,0
Tabella 19. Percentuale di pazienti liberi di scegliere la modalità dialitica (p<0,00001).
Opinione sulla percentuale di pazienti senza alcun condizionamento clinico o sociale
Figura 22. Opinione sulla percentuale di pazienti senza alcun condizionamento clinico o sociale e che possono pertanto scegliere tra DP ed HD sul totale degli incidenti in dialisi (p<0,00001).

Particolari condizioni cliniche. In Figura 23 è riportato il confronto delle valutazioni date dagli appartenenti ai Centri DP-NO e DP-TRASF considerati insieme (82 intervistati) con quelle degli appartenenti ai Centri DP-SI (370 intervistati) considerando insieme le indicazioni elevate o moderate alla HD (risposte 1 e 2) e alla DP (risposte 4 e 5). Sulla cardiopatia ischemica (CAD), la malnutrizione e la diverticolosi le risposte, indicazione alla DP per la CAD e controindicazione alla DP per BMI<20 e diverticolosi estesa oltre il sigma, non sono risultate significativamente differenti tra i diversi tipi di Centro. Opposte valutazioni sono state date dalla maggioranza degli intervistati invece per l’insufficienza cardiaca (indicazione per i Centri DP-SI e controindicazione o indifferente per i Centri DP-NO/TRASF) e la nefropatia policistica (controindicazione per i Centri DP-NO/TRASF e indifferente per i Centri DP-SI) (Figura 24). Riguardo al diabete mellito (DM) tipo 2 nei Centri DP-NO/TRASF tra quelli che lo ritengono indifferente o una indicazione alla DP questi ultimi (indifferente 41,7% – indicazione 35,7%) sono in proporzione superiore rispetto agli appartenenti ai Centri DP-SI (indifferente 52,4% – indicazione 21,9%). Anche per l’obesità, giudicata da oltre il 75% in entrambi i gruppi una controindicazione alla DP la quota di quelli che la ritengono indifferente è superiore tra i Centri NO/TRASF (17,9% vs 8,4%). Il confronto tra Centri NO e Centri TRASF è risultato significativamente diverso solo per la Nefropatia policistica (Figura 24), per tutte le altre condizioni la valutazione tra Centri NO e Centri TRASF non è risultata significativamente diversa.

I risultati dettagliati per tutti e tre i tipi di Centro con le risposte graduate da 1 a 5 sono riportati in Tabella 20.

INDICAZIONE ALLA HD (1 – 2); INDIFFERENTE (3); INDICAZIONE ALLA DP (4 – 5)
  1 2 3 4 5
INSUFFICIENZA CARDIACA CONGESTIZIA (p<0,005)
NO 28,6 14,3 16,7 33,3 7,1
TRASF 23,8 14,3 19,0 31,0 11,9
SI 11,1 10,8 17,6 29,2 31,4
TUTTI 13,9 11,5 17,6 29,7 27,3
CARDIOPATIA ISCHEMICA (p<0,0005)
NO 14,3 7,1 26,2 45,2 7,1
TRASF 2,4 4,8 21,4 52,4 19,0
SI 1,6 5,4 30,0 38,9 24,1
TUTTI 2,9 5,5 28,9 40,7 22,0
DIABETE (p<0,01)
NO 14,3 11,9 47,6 23,8 2,4
TRASF 7,1 11,9 35,7 31,0 14,3
SI 5,1 20,5 52,4 15,9 5,9
TUTTI 6,2 18,9 50,4 18,1 6,4
OBESITÀ – BMI>30 kg/mq (N.S.)
NO 57,1 16,7 21,4 4,8 0,0
TRASF 50,0 33,3 14,3 0,0 2,4
SI 52,4 35,1 8,4 3,2 0,8
TUTTI 52,6 33,3 10,1 3,1 0,9
MALNUTRIZIONE – BMI<20 Kg/mq (p<0,05)
NO 38,1 14,3 9,5 35,7 2,4
TRASF 31,0 23,8 19,0 14,3 11,9
SI 24,1 23,2 25,7 19,7 7,3
TUTTI 26,0 22,5 23,6 20,7 7,3
DIVERTICOLOSI DIFFUSA OLTRE IL SIGMA (p<0,01)
NO 57,1 16,7 21,4 0,0 4,8
TRASF 66,7 19,0 7,1 2,4 4,8
SI 41,9 35,9 17,3 3,5 1,4
TUTTI 45,6 32,6 16,7 3,1 2,0
APKD (p<0,00001)
NO 35,7 23,8 35,7 0,0 4,8
TRASF 50,0 33,3 11,9 0,0 4,8
SI 15,4 25,7 50,3 5,9 2,7
TUTTI 20,5 26,2 45,4 4,8 3,1
Tabella 20. Valutazione dettagliata dei singoli fattori clinici (in percentuale) su cui è stata richiesta l’opinione del Nefrologo.
Valutazione dei principali fattori clinici che possono condizionare la scelta del trattamento.
Figura 23. Valutazione dei principali fattori clinici che possono condizionare la scelta del trattamento. «CHF» Insufficienza Cardiaca Congestizia; 2. «CAD» Cardiopatia Ischemica; 3. «DM» Diabete Mellito tipo 2; 4. «BMI>30» Obesità; 5. «BMI<20» Malnutrizione; 6. «Diverticolosi» è intesa come diverticolosi estesa oltre il sigma; 7. «ADPKD» Nefropatia Policistica. NOTE – Gli intervistati dei Centri NO e TRASF (82) sono stati considerati insieme e confrontati con quelli dei Centri SI-DP (370).
Nefropatia policistica e cardiopatia congestizia nel giudizio degli intervistati ripartiti per tipo di Centro.
Figura 24. Nefropatia policistica e cardiopatia congestizia nel giudizio degli intervistati ripartiti per tipo di Centro.

Particolari condizioni sociali (fattori legati al paziente NON clinici). In Figura 25 e Figura 26 è riportato il confronto delle valutazioni date dagli appartenenti ai Centri DP-NO e DP-TRASF considerati insieme (82 intervistati) con quelle degli appartenenti ai Centri DP-SI (370 intervistati) considerando insieme le indicazioni elevate o moderate alla HD (risposte 1 e 2) e alla DP (risposte 4 e 5). Gli intervistati concordano (p = N.S.) che motivazione alla autogestione, attività lavorativa, esigenza di avere degli orari per la dialisi flessibili e, nel caso di pazienti NON autonomi ma con un caregiver disponibile rappresentano tutte indicazioni alla DP così come una ridotta aderenza alla terapia (NON compliance) sia una indicazione valida alla HD. Il giudizio è invece significativamente diverso tra i tre gruppi per quanto riguarda l’importanza dell’immagine corporea, l’età, la qualità della vita e il vivere soli. In particolare per l’immagine corporea il 52,4% nei Centri DP-NO/TRASF la ritiene una indicazione alla HD mentre il 62,7% nei Centri DP-SI la ritiene una indicazione alla DP o indifferente (p<0,05); per la qualità della vita se il 51,2% nei Centri DP-NO/TRASF la ritiene una indicazione alla DP questa percentuale sale al 67,3% nei Centri DP-SI (p<0,01); per una età compresa tra 65 e 75 anni il 15,5% e il 50,0% nei Centri DP-NO/TRASF la ritiene rispettivamente una indicazione alla HD o indifferente mentre nei Centri DP-SI tali percentuali sono rispettivamente il 4,1% e il 57,3% (p<0,0005); per una età > 75 anni la differenza è più marcata: nei Centri DP-NO/TRASF tale condizione è ritenuta una indicazione alla HD dal 48,8% degli intervistati contro il 24,3% nei Centri DP-SI (p<0,00005); infine il vivere soli è una indicazione alla HD per il 78,6% nei Centri DP-NO/TRASF contro il 51,6% nei Centri DP-SI (p<0,00005).

Condizioni NON cliniche valutate secondo il grado di indicazione alla HD o alla DP
Figura 25. Condizioni NON cliniche valutate secondo il grado di indicazione alla HD o alla DP. «MOTIVAZ. AUTOGEST.»: paziente motivato ad autogestire la dialisi; «FLESSIBILITA’» degli orari; «Q of L»: Qualità della Vita; «NON COMPLIANCE»: ridotta aderenza alle prescrizioni. NOTE – Gli intervistati dei Centri DP-NO e DP-TRASF (84) sono stati considerati insieme e confrontati con quelli dei Centri DP-SI (370).
Condizioni NON cliniche valutate secondo il grado di indicazione alla HD o alla DP.
Figura 26. Condizioni NON cliniche valutate secondo il grado di indicazione alla HD o alla DP. «ASSIST-DP» paziente NON autonomo con necessità di Caregiver (CG) che è disponibile. NOTE – Gli intervistati dei Centri NO e TRASF (82) sono stati considerati insieme e confrontati con quelli dei Centri SI-DP (370).

Per tutte le condizioni NON cliniche considerate la valutazione tra Centri DP-NO e Centri DP-TRASF non è risultata significativamente diversa. I risultati dettagliati per tutti e tre i tipi di Centro con le risposte graduate da 1 a 5 sono riportati in Tabella 21. L’analisi limitata ai 300 Nefrologi con alto coinvolgimento nelle attività dialitiche ha mostrato risultati sovrapponibili a quelli riportati in Tabella 21.

INDICAZIONE ALLA HD (1 – 2); INDIFFERENTE (3); INDICAZIONE ALLA DP (4 – 5)
  1 2 3 4 5
MOTIVAZIONE ALL’AUTOGESTIONE (p<0,00001)
NO 2,4 0,0 0,0 64,3 33,3
TRASF 0,0 0,0 4,8 31,0 64,3
SI 0,8 0,5 2,4 13,0 83,2
TUTTI 0,9 0,4 2,4 19,4 76,9
ETÀ TRA 65 E 75 ANNI (p<0,0005)
NO 7,1 9,5 57,1 21,4 4,8
TRASF 4,8 9,5 42,9 35,7 7,1
SI 0,3 3,8 57,3 25,9 12,7
TUTTI 1,3 4,8 55,9 26,4 11,5
ETÀ > 75 ANNI (p<0,00001)
NO 40,5 11,9 19,0 21,4 7,1
TRASF 21,4 23,8 23,8 14,3 16,7
SI 5,1 19,2 40,0 24,6 11,1
TUTTI 9,9 18,9 36,6 23,3 11,2
NON AUTONOMO CON CAREGIVER DISPONIBILE (p<0,005)
NO 11,9 7,1 11,9 61,9 7,1
TRASF 19,0 4,8 19,0 40,5 16,7
SI 8,6 6,2 10,3 40,5 34,3
TUTTI 9,9 6,2 11,2 42,5 30,2
VIVE SOLO/A (p<0,005)
NO 50,0 26,2 21,4 0,0 2,4
TRASF 42,9 38,1 11,9 4,8 2,4
SI 25,1 26,5 40,3 5,4 2,7
TUTTI 29,1 27,5 35,9 4,8 2,6
IMMAGINE CORPOREA (p<0,05)
NO 26,2 31,0 35,7 7,1 0,0
TRASF 23,8 23,8 40,5 9,5 2,4
SI 8,6 28,6 50,3 9,2 3,2
TUTTI 11,7 28,4 48,0 9,0 2,9
LAVORO (p<0,05)
NO 2,4 4,8 19,0 59,5 14,3
TRASF 2,4 4,8 19,0 38,1 35,7
SI 1,6 1,9 17,3 33,5 45,7
TUTTI 1,8 2,4 17,6 36,3 41,9
FLESSIBILITÀ DEGLI ORARI (p<0,005)
NO 7,1 0,0 14,3 61,9 16,7
TRASF 0,0 2,4 14,3 47,6 35,7
SI 1,4 0,5 10,8 34,3 53,0
TUTTI 1,8 0,7 11,5 38,1 48,0
QUALITÀ DELLA VITA (p<0,00001)
NO 2,4 2,4 47,6 45,2 2,4
TRASF 0,0 11,9 33,3 40,5 14,3
SI 1,4 1,9 29,5 28,6 38,6
TUTTI 1,3 2,9 31,5 31,3 33,0
NON COMPLIANCE (p= N.S.)
NO 71,4 11,9 14,3 2,4 0,0
TRASF 66,7 14,3 11,9 4,8 2,4
SI 67,6 17,0 12,2 1,6 1,6
TUTTI 67,8 16,3 12,3 2,0 1,5
Tabella 21. Valutazione dettagliata dei singoli fattori NON clinici (in percentuale) su cui è stata richiesta l’opinione del Nefrologo.

Durata della DP e drop out alla HD

Durata della DP. Alla domanda se il drop out dalla DP fosse da considerare un evento probabile dopo 2, 4 o 5 anni oppure se la DP non abbia un limite temporale definibile a priori le risposte sono risultate significativamente diverse come riportato in Tabella 22. Tuttavia la differenza non riguarda la ripartizione tra chi crede che abbia una durata predeterminata e chi no (p = N.S.) ma nella stima che della durata fanno chi la crede determinata (Figura 27). La stessa analisi limitata ai 300 intervistati con alto coinvolgimento nelle attività dialitiche non è risultata significativa.

2 anni 3 anni 5 anni INDEFINITA
NO 14,3 19,0 19,0 47,6
TRASF 2,4 21,4 19,0 57,1
SI 2,7 11,6 30,5 55,1
TUTTI 3,7 13,2 28,4 54,6
Tabella 22. Durata della DP.
La durata della DP nell’opinione degli intervistati ripartiti secondo il tipo di Centro.
Figura 27. La durata della DP nell’opinione degli intervistati ripartiti secondo il tipo di Centro.

Durata della DP e dimensioni del programma DP. La maggioranza degli intervistati (63,7%) ritiene che le dimensioni del programma DP del Centro (pazienti globalmente trattati e/o in trattamento) non abbia influenza sulla percentuale di drop out alla HD (Figura 28-A) senza significative differenze tra i tre tipi di Centro (stesso risultato anche considerando solo i 300 ad alto impegno dialitico).

 La risposta relativa al tasso di drop annuo è simile a quella sulla durata della DP (A).
Figura 28. La risposta relativa al tasso di drop annuo è simile a quella sulla durata della DP (A). In B l’opinione del Nefrologo, secondo il Centro di appartenenza, sull’influenza che le dimensioni del programma di DP può avere sul drop out.

Percentuale di drop out annuo. Anche a questa domanda gli intervistati hanno risposto in modo simile tra i tre tipi di Centro (Figura 28-B). Complessivamente il 48,9% ritiene non vi sia una percentuale fisiologica di drop out mentre tra i rimanenti il 17,6% e il 19,6% ritiene sia, rispettivamente, inferiore al 6% o tra il 6 e il 10%.

 

Interesse per l’argomento

Alla domanda se “In futuro, desideri essere informato sui risultati di questo questionario e su eventuali nuove iniziative che potranno seguire a questa?” complessivamente il 91,6% ha manifestato interesse anche se con una differenza fortemente significativa tra i tipi di Centro. Infatti mentre quasi tutti gli appartenenti ai Centri DP-SI (98,6%) sono interessati tra i Centri DP-NO la percentuale degli interessati scende al 47,6% (Figura 29).

Figura 29. La risposta a questa domanda, considerata più di cortesia che di inchiesta, può essere un indicatore dell’interesse dell’intervistato per la DP.
Figura 29. La risposta a questa domanda, considerata più di cortesia che di inchiesta, può essere un indicatore dell’interesse dell’intervistato per la DP.

 

Discussione

Il Cens-SIN-2004 aveva mostrato l’importanza dei fattori strutturali (estensione dei Centri privati, dimensioni del Centro e tasso di occupazione delle stazioni di HD) nell’utilizzo della DP: i Centri che non utilizzano la DP sono più piccoli, hanno un minor tasso di occupazione dei posti letto di HD e sono situati in regioni in cui numerosi sono i Centri Dialisi privati. Se contassero solo i fattori strutturali il giudizio sulla DP non sarebbe diverso tra chi utilizza la DP e chi non la utilizza mentre invece le opinioni sono risultate significativamente differenti secondo l’appartenenza a un Centro piuttosto che un altro: negativo per chi non la utilizza e positivo per chi la utilizza.

Dal momento che in genere la scelta della sede di lavoro precede l’esperienza lavorativa sembra che l’opinione che si ha sulla DP sia determinata dall’esperienza maturata con la metodica, confermando l’importanza dei fattori strutturali sull’utilizzo della metodica. Tuttavia la presenza di Centri che inviano i candidati alla DP (Centri DP-TRASF) ad altri Centri e che hanno le stesse caratteristiche strutturali dei Centri che non considerano affatto la DP per dimensioni (ridotte) e occupazione dei posti letto di HD (minore) ma opinioni favorevoli alla DP dimostra che oltre ai fattori strutturali anche l’opinione sulla metodica ha importanza.

In sintesi l’utilizzo della DP nei Centri pubblici italiani sembra il risultato di un equilibrio tra fattori strutturali e opinioni in cui però queste ultime sono, ma solo in parte, condizionate dai primi dal momento che l’esperienza maturata con la DP ne migliora il giudizio.

Discutiamo in dettaglio i principali risultati dello studio riassunti nella Tabella 23.

Caratteristiche dei Nefrologi e dei loro Centri

Per quanto riguarda i Nefrologi, fra i tre tipi di Centro l’unica differenza significativa riguarda, come naturale, l’esperienza con la DP mentre caratteristiche anagrafiche, preparazione e impegno lavorativo in dialisi, grado di coinvolgimento nella scelta del trattamento sono sostanzialmente simili. I Centri che hanno partecipato all’indagine non sono significativamente differenti da quelli che non hanno partecipato. Tra i tre tipi di Centro la differenza principale riguarda la presenza di un percorso strutturato di scelta del trattamento, che, rispetto ai Centri DP-SI è minore nei Centri DP-NO e intermedio nei Centri DP-TRASF. In accordo a tale dato è la percentuale di coloro che sono coinvolti in tutte e 3 le componenti della scelta (informazione, valutazione clinica e valutazione socio-attitudinale). Se ciò concorda con la natura del Centro (dove non si effettua la DP non si pone il problema della scelta), il grado di coinvolgimento di chi si definisce coinvolto nella scelta è medio-elevato in tutti e tre i tipi di Centro. Tale contraddizione potrebbe essere espressione di una impostazione culturale differente per cui nei Centri DP-NO la scelta è ridotta sostanzialmente all’informazione. Stranamente però anche nei Centri DP-NO i pazienti incidenti in HD vengono comunque informati sulla DP seppure in maniera meno che sufficiente. Tuttavia la differenza, sempre  per quanto riguarda l’informazione fornita ai pazienti incidenti in HD, tra Centri DP-NO e DP-SI non è rilevante (rispettivamente 2,8 vs 3,7 in una scala da 1 a 5). Dal momento che la domanda sull’informazione fornita era riferita ai pazienti early referral ma non specificava l’assenza di controindicazioni alla DP è possibile che queste, logicamente più numerose nei pazienti incidenti in HD dei Centri DP-SI, influenzino l’informazione (la presenza di controindicazioni alla DP è ritenuta nella pratica quotidiana un motivo che rende “non necessario” informare il paziente su questa metodica).

Le opinioni: i protagonisti della scelta

In accordo a quanto detto sopra, la percentuale di pazienti che potrebbero fare sia la DP che la HD (senza controindicazioni) è valutata in maniera nettamente diversa dai Nefrologi dei tre tipi di Centro in accordo con quanto detto prima. Se la scelta è influenzata dagli operatori sanitari, per quanto riguarda il proprio Centro, tutti riconoscono il ruolo determinante del Direttore mentre il peso di altre figure quali il medico o l’infermiere di DP e lo psicologo dipendono ovviamente dal tipo di Centro e disponibilità del Servizio. Interessante è il ruolo dello psicologo, rilevante solo nei Centri DP-SI, indicatore di un percorso di scelta più articolato in questi Centri. Per quanto riguarda il ruolo in generale del medico, dell’infermiere, del paziente, dei familiari e degli altri pazienti tutti concordano sul ruolo determinante del medico, importante del paziente o dei familiari a seconda che il paziente sia autosufficiente oppure no, e irrilevante degli altri pazienti.  La differenza principale tra i tre tipi di Centro riguarda la valutazione del ruolo dell’infermiere che è visto NON marginale solo dal 14,3% dei Nefrologi dei Centri DP-NO rispetto al 60,5% dei Centri DP-SI.

Le opinioni: la validità della metodica, la percentuale ottimale e il drop out

Anche il giudizio sull’adeguatezza e sulla sopravvivenza della DP rispetto alla HD è notevolmente differente nei tre tipi di Centro: peggiori per i Centri DP-NO, uguali o migliori della HD nei Centri DP-SI. Circa la metà ritiene che la DP non abbia una durata predefinita, senza differenze tra i Centri, tuttavia della restante metà la percentuale di coloro che le danno una durata massima di 2 o 3 anni rispetto a 5 anni è significativamente superiore tra i Centri DP-NO. È quindi naturale che solo il 14,3% nei Centri DP-NO giudichi ottimale una percentuale di pazienti trattati con la DP superiore al 30% mentre il 21,4% collochi questa percentuale al di sotto del 10% a differenza degli altri Centri. Tuttavia, sempre nei Centri DP-NO coloro che valutano ottimale una percentuale di pazienti trattati con la DP tra il 10% e il 30% (percentuale reale della DP nei Centri DP-SI) [18] sia il 64,3%. Per tale aspetto, come per diversi altri, la valutazione data dai Nefrologi dei Centri DP-TRASF è simile a quella dei Centri DP-SI.

Le opinioni: fattori generali che condizionano la scelta del trattamento

Il timore della peritonite è maggiormente sentito nei Centri DP-NO, minimo nei Centri DP-SI e intermedio nei Centri DP-TRASF. Interessante il riscontro che, considerando solo gli intervistati con un’esperienza con la DP > 3 anni, tale differenza non sia più significativa. Le dimensioni del Centro, la minor pressione sui posti letto di HD e la vicinanza dei Centri privati sono riconosciuti essere fattori che favoriscono o indicano l’utilizzo della HD senza differenze significative tra i Centri mentre i costi e la carenza degli infermieri sono indicazioni alla DP nei Centri DP-SI e DP-TRASF ma non nei Centri DP-NO nei quali anzi rappresentano per la maggioranza una indicazione alla HD o non hanno alcuna importanza. Questo dato può essere giustificato dalla differente prospettiva che hanno i Nefrologi dei diversi tipi di Centro. Infatti se il rapporto infermieri/pazienti è nettamente favorevole alla DP e quindi la carenza degli infermieri dovrebbe rappresentarne un incentivo, nei Centri DP-NO la prospettiva è però quella di chi deve avviare un programma di DP e, come noto, l’investimento iniziale comporta sempre un maggior consumo di risorse piuttosto che un risparmio, evidente solo a programma avviato.

Le opinioni: fattori specifici dei pazienti che condizionano la scelta del trattamento

Mentre tutti sostanzialmente concordano che diverticolosi e obesità siano una indicazione alla HD, che la malattia coronarica sia una indicazione alla DP e che malnutrizione e diabete siano indifferenti, discordante è il giudizio sulla cardiopatia congestizia (indicazione netta alla DP nei Centri DP-SI) e la nefropatia policistica (indicazione netta alla HD nei Centri DP-SI e DP-TRASF). Per i fattori non clinici tutti concordano che la motivazione all’autogestione, l’essere impegnati da un’attività lavorativa, la necessità di orari flessibili siano tutte indicazioni alla DP mentre la scarsa compliance lo sia per la HD. Le differenze riguardano l’immagine corporea, considerata una indicazione alla HD nei Centri DP-NO e DP-TRASF mentre il 50% la considera indifferente nei Centri DP-SI e la Qualità della vita è giudicata da tutti nettamente migliore in DP ma maggiormente nei Centri DP-SI. Per quanto riguarda l’età tra 65 e 75 anni, la maggioranza la considera indifferente o una indicazione alla DP mentre differente tra i Centri è la valutazione di una età superiore a 75 anni e il vivere soli. Un’età >75 anni per la maggioranza nei Centri DP-NO è una indicazione alla HD ma non nei Centri DP-SI, mentre se il vivere soli rappresenta per tutti una indicazione alla HD lo è molto di più nei Centri DP-NO; tuttavia se il paziente non è autosufficiente e ha un caregiver disponibile la DP è riconosciuta da tutti il trattamento indicato. Per quanto riguarda i possibili incentivi alla DP il sostegno economico al caregiver o alla RSA è valutato maggiormente importante nei Centri DP-SI mentre, curiosamente, la telemedicina e l’innovazione tecnologica lo sono per gli intervistati dei Centri DP-NO.

DP-NO DP-TRASF DP-SI
CARATTERISTICHE DEL NEFROLOGO
esistenza di un percorso di scelta strutturato (SI, %) 47,2 55,2 73,2
coinvolgimento in tutte e tre le attività del predialisi (%) 21,4 47,6 54,9
Nefrologi con esperienza in DP >3 anni (%) 16,7 26,2 65,1
informazione fornita ai pz in HD sulla DP (score da 1 a 5) 2,8 3,3 3,7
LA SCELTA – I PROTAGONISTI
percentuale >40% dei pz incidenti che potrebbero fare la DP (%) 28,6 45,2 74,3
ruolo dell’infermiere nella scelta NON marginale (%) 14,3 31,0 60,5
IL VALORE DELLA DP
adeguatezza dialitica inferiore alla HD (%) 57,1 35,7 25,7
sopravvivenza inferiore alla HD (%) 45,2 21,4 14,1
drop out atteso a 2 o 3 anni (%) 33,3 23,9 14,3
percentuale ottimale di pazienti trattati con la DP >30% 14,3 33,3 49,2
percentuale ottimale di pazienti trattati con la DP <10% 21,4 2,4 0,3
FATTORI CHE CONDIZIONANO LA SCELTA – indicazioni alla DP
costi (%) 41,0 59,5 57,0
carenza degli infermieri (%) 35,7 61,9 66,8
insufficienza cardiaca congestizia (%) 40,4 42,9 60,6
Qualità della Vita (%) 47,6 54,8 67,2
paziente non autonomo con caregiver disponibile (%) 69,0 57,2 84,8
FATTORI CHE CONDIZIONANO LA SCELTA – indicazioni alla HD
età > 75 anni (%) 52,4 45,2 24,3
vivere soli (%) 76,2 81,0 51,6
ADPKD 59,5 83,3 41,1
Body Image indicazione a HD 57,2 47,6 37,2
timore della peritonite 48,8 20,0 15,5
Tabella 23. Riassunto delle principali differenze (considerate solo quelle significative) di opinione tra i Nefrologi dei tre tipi di Centro.

 

Limiti dello studio

Lo studio presenta diversi limiti. I dati sono stati rianalizzati dopo diversi anni dalla loro raccolta per cui è possibile che non siano stati messi in evidenza o discussi alcuni riscontri legati all’epoca in cui si è svolta. I dati di prevalenza e incidenza sono riferiti al 2004 e non all’anno dello studio. Infine i partecipanti sono stati selezionati in base a una adesione volontaria. Tuttavia la numerosità del campione, l’inclusione di un numero consistente di Nefrologi che non prescrivono la DP e i diversi aspetti considerati ne rappresentano un indubbio punto di forza.

 

Conclusioni

Lo studio conferma l’importanza dell’opinione o l’esistenza di un “pregiudizio” del Nefrologo legato al tipo Centro in cui lavora. Nei Centri in cui la DP non è effettuata rispetto ai Centri che la utilizzano il giudizio sulla DP è più negativo, un percorso predialitico di scelta è meno presente e semplificato alla sola informazione e la percentuale di pazienti da trattare con la DP giudicata ottimale è minore. Tuttavia anche in tali Centri il giudizio è comunque variabile (non tutti la pensano allo stesso modo), condizionato dall’esperienza che il Nefrologo ha con la DP e, su diversi aspetti specifici, può essere addirittura positivo. Tutto ciò insieme all’esistenza di Centri che pur non effettuando la DP inviano i pazienti che possono averne indicazione ad altri Centri, messa in evidenza per la prima volta da questo studio, suggerisce che l’utilizzo della DP dipenda dalla combinazione di fattori strutturali (dimensioni, privato circostante e posti letto di HD) e opinioni, condizionate però in parte dai primi.

 

Bibliografia

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Fibrin sheath calcifico dopo rimozione di CVC incarcerato: case report e review della letteratura

Abstract

La prevalenza dell’uso dei cateteri venosi centrali (CVC) nel trattamento emodialitico si assesta attorno al 20-30%. In questo scenario, le complicanze legate all’uso del CVC sono di comune riscontro e impegnano il nefrologo nella loro gestione. Si annoverano complicanze infettive e legate al malfunzionamento del CVC. Tra queste ultime, la formazione di una guaina fibrosa a manicotto attorno al catetere (fibrin sheath) legata alla reazione da corpo estraneo dell’organismo, può determinare con varie modalità il malfunzionamento del CVC. Anche dopo eventuale rimozione del catetere, il fibrin sheath può rimanere all’interno del lume vascolare (ghost fibrin sheath) e in rari casi andare incontro a calcificazione. Descriviamo in questo articolo il caso clinico di una paziente emodializzata cronica che, successivamente alla rimozione di un CVC malfunzionante, incarcerato, presentava, a un riscontro occasionale, una struttura tubulare calcifica nel lume della vena cava superiore, diagnosticato come calcified fibrin sheath (CFS). Questa rara evenienza, descritta in letteratura in altri 8 casi, per quanto rara è sicuramente sotto diagnosticata e può andare incontro a complicanze come sepsi per infezione del CFS, embolismi polmonari e trombosi vascolare. Gli approcci terapeutici vanno presi in considerazione unicamente nei casi sintomatici e prevedono l’approccio chirurgico invasivo.

Parole chiave: Complicazioni CVC, guaina di fibrina, fibrin sheath calcificato, catetere incarcerato, emodialisi

Introduzione

La malattia renale cronica (MRC) rappresenta un crescente problema di sanità pubblica a livello mondiale, associata a morbilità, mortalità e incremento dei costi per la sanità [1, 4]. Nel 2017 è stato stimato che circa 850 milioni di individui fossero affetti da malattia renale cronica, ovvero il doppio della prevalenza stimata del diabete a livello mondiale e oltre venti volte la prevalenza globale stimata dell’HIV o dell’AIDS [5].

I dati derivanti dallo studio Global Burden of Disease (GBD) mostrano come la prevalenza della MRC è aumentata del 19,6% nell’ultima decade [6]. Oltre a questo, come logico aspettarsi, si è osservato un incremento della prevalenza della malattia renale cronica terminale (End-stage renal disease ‒ ESRD), raggiungendo più di 2 milioni di pazienti in trattamento sostitutivo della funzione renale di cui circa l’87% in emodialisi [7]. L’aumento dell’aspettativa di vita e l’incremento di patologie croniche hanno determinato una modifica del fenotipo eziopatogenetico della MRC contando un incremento di ipertensione arteriosa, diabete e cardiopatia quali principali cause di MRC [8].

L’accesso vascolare di prima scelta adatto all’esecuzione della terapia dialitica è rappresentato dalla fistola artero-venosa distale con vasi nativi (FAV), poiché, in confronto agli innesti protesici (graft) e ai cateteri venosi centrali (CVC), presenta una minore incidenza di complicanze infettive e trombotiche oltreché una ridotta morbilità e mortalità e una maggiore durata [9, 10]. 

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Therapeutic Plasma Exchange in un paziente in emodialisi cronica con nuova diagnosi di Miastenia Gravis

Abstract

Caso clinico. C.S.T. (♂, 71 anni) è un paziente con plurime e severe comorbidità, in trattamento emodialitico cronico trisettimanale dal 2008 in seguito all’evoluzione di una uropatia post-litiasica. Da circa 2 mesi il paziente presentava una progressiva comparsa di ptosi palpebrale, calo della forza muscolare e, infine, di disfagia e disartria insorte negli ultimi giorni. Ricoverato d’urgenza nel reparto di Neurologia, veniva eseguita elettromiografia (EMG) e posta diagnosi di Miastenia Gravis (MG) prevalente del distretto cranico (sierologia anticorpi anti-recettore dell’acetilcolina borderline). Veniva prontamente iniziata una terapia con piridostigmina e steroide.
Ritenendo elevato il rischio di scompenso miastenico acuto, veniva intrapresa anche una terapia con Therapeutic Plasma Exchange (TPE) con tecnica di centrifugazione previo posizionamento di CVC femorale. Le sedute di TPE venivano alternate a quelle di emodialisi (HD). Il quadro si complicava dopo la terza seduta con shock settico da Staphylococcus Aureus Meticillino-Sensibile (MSSA). Il paziente veniva trasferito in Terapia Intensiva. Qui, a causa dell’instabilità emodinamica, veniva trattato con Continuous Veno-Venous Hemodiafiltration (CVVHDF) con anticoagulazione con citrato per 72 ore.
Risolto il quadro settico, è stato ripreso trattamento intermittente con tecnica di Acetate Free Biofiltration (AFB). Il paziente ha poi terminato le rimanenti tre sedute di TPE e, risolto il quadro acuto, è stato ritrasferito in Neurologia. Qui ha proseguito la terapia e intrapreso un percorso riabilitativo con discreto recupero motorio e funzionale fino alla dimissione.
Conclusioni. L’interazione multidisciplinare tra Nefrologi, Neurologi, Anestesisti e Medici del Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale ha permesso la gestione e il trattamento di una patologia non frequente (MG) in un paziente emodializzato cronico ad alto rischio.

Parole chiave: Miastenia Gravis, Plasmaferesi, Therapeutic Plasma Exchange, emodialisi, terapia renale sostitutiva continua

Introduzione

La Miastenia Gravis (MG) è una patologia della giunzione neuromuscolare a genesi autoimmune, causata da anticorpi contro i diversi componenti della placca neuromuscolare [1]. Gli anticorpi contro la giunzione neuromuscolare inducono debolezza dei muscoli volontari, la quale rappresenta la fondamentale manifestazione della malattia [2, 4]. La caratteristica distintiva è inoltre l’affaticabilità, per cui l’attività muscolare incrementa la debolezza muscolare [5, 6], determinando una fluttuazione della sintomatologia nell’arco di una giornata, con carattere ingravescente dalla mattina alla sera.

Spesso l’esordio può essere focale, nella maggior parte dei casi a carico della muscolatura oculare estrinseca, determinando conseguente diplopia e ptosi. Se le manifestazioni rimangono limitate ai muscoli oculari, il quadro viene definito “miastenia oculare”; tale condizione ricorre in circa il 20% dei casi. Circa il 75 % dei pazienti può sviluppare un interessamento generalizzato, solitamente entro 2-3 anni dall’esordio di malattia [5, 7, 8]. Nella forma generalizzata, vi è principalmente un coinvolgimento dei muscoli del distretto bulbare, di quelli del collo e della muscolatura prossimale degli arti. I pazienti possono presentare difficoltà nella masticazione e nella deglutizione, con conseguente disfagia prevalentemente per i liquidi, disartria, testa cadente; può inoltre comparire dispnea per affaticabilità dei muscoli respiratori [8, 9]. Nel 15-20% dei casi il paziente può presentare un quadro definito di “crisi miastenica”, con insufficienza respiratoria e conseguente necessità di supporto ventilatorio non invasivo o di ventilazione meccanica; tale quadro si associa a deficit dei muscoli del distretto bulbare e del collo.

La MG è una malattia rara. L’incidenza è stimata tra i 5 e i 30 casi per milione di abitanti/anno [10, 11]. La prevalenza è stimata tra 10 e 20 casi per 100.000 abitanti, con una tendenza all’incremento di tale dato, per il miglioramento dei trattamenti nelle decadi più recenti e conseguente maggior sopravvivenza [12, 13]. La MG può insorgenze in ogni fascia di età, ma presenta tipicamente due picchi di incidenza, rispettivamente nella terza decade e dalla sesta all’ottava decade [14].

Presentiamo un caso clinico di un paziente complesso, con plurime e severe comorbidità, in trattamento emodialitico cronico e con nuova diagnosi di MG.

 

Caso clinico

C.S.T. (♂, 71 anni) è un paziente in trattamento emodialitico cronico presso l’Emodialisi della UO di Nefrologia dell’Ospedale ‘Maurizio Bufalini’ di Cesena. In anamnesi, il paziente presenta molteplici comorbidità:

1) cardiovascolari: una insufficienza cardiaca cronica a frazione d’eiezione conservata secondaria a una cardiopatia ischemica post-infartuale (angioplastica con posizionamento di stent medicati nel 2014 e 2019 sui rami interventricolare anteriore e circonflessa) e ad una stenosi aortica severa (trattata nel 2021 con valvuloplastica aortica percutanea). Il paziente è inoltre portatore di pacemaker per blocco atrio-ventricolare di I grado;

2) oncologiche: adenocarcinoma prostatico diagnosticato nel 2020 e trattato con radioterapia stereotassica e ormonoterapia (Leuprolide);

3) metaboliche: Diabete Mellito di tipo 2, obesità di grado I e dislipidemia;

4) polmonari: broncopneumopatia a fenotipo restrittivo;

5) altre: una gastrite cronica Helicobacter Pylori relata (patogeno trattato con terapia eradicante), una diverticolosi del sigma.

Dal punto di vista nefrologico, il paziente presenta una malattia renale cronica in stadio G5 secondo la classificazione della ‘Kidney Disease: Improving Global Outcomes’ (KDIGO) [15] secondaria a uropatia ostruttiva su base litiasica bilateralmente. Inizia il trattamento emodialitico nel giugno 2008 previo confezionamento di fistola artero-venosa (FAV) distale destra.

Tre anni fa, il paziente aveva lamentato la comparsa di diplopia transitoria, insorta secondariamente a una condizione riferita di forte stress personale e risoltasi spontaneamente nel giro di 3 giorni. In tale occasione veniva eseguita valutazione neurologica che non riscontrava all’esame obiettivo neurologico (EON) deficit stenici focali o bilaterali e le prove di affaticabilità risultavano negative. Veniva inoltre richiesto dosaggio sierico del TSH, fT3, fT4 e degli anticorpi anti-recettore dell’acetilcolina che risultavano nella norma. Una valutazione oculistica e ortottica inoltre faceva porre diagnosi di diplopia verticale ai vetri striati ben compensata ad angolo corretto per cui non veniva iniziata alcuna terapia specifica.

Da circa due mesi il paziente accusa una sintomatologia di nuova insorgenza, caratterizzata dapprima da ptosi all’occhio sinistro e dopo alcune settimane interessante anche il controlaterale. Tale disturbo tende a peggiorare nel corso della giornata. Con il passare delle settimane compare astenia con progressivo calo della forza prevalentemente agli arti inferiori, tanto che il paziente non è più in grado di deambulare ed è costretto a usare la carrozzina. Infine, è insorta una difficoltà nella deglutizione con episodi di disfagia e nell’articolazione della parola (disartria) per cui viene richiesta ed eseguita valutazione neurologica urgente al termine di una regolare seduta emodialitica.

All’EON si riscontra ptosi palpebrale bilaterale più evidente all’occhio di destra, peggiorata dopo prove di affaticabilità, non diplopia, lieve disartria, spianamento del solco naso-genieno dell’emivolto destro e una ipostenia prossimale dei quattro arti (4/5 agli arti inferiori e 2-3/5 agli arti inferiori scala Medical Research Council) con impossibilità a mantenere il Mingazzini II. Viene eseguita una emogasanalisi arteriosa che non rileva alterazioni elettrolitiche e dell’equilibrio acido-base (pH 7,37, pO2 78,4 mmHg, pCO2 41,2 mmHg, Na+ 140 mmol/L, K+ 4,2 mmol/L, HCO3- 24 mmol/L). Viene inoltre eseguita TC encefalo urgente che mostra “presenza di un esito malacico cortico-sottocorticale in regione parietale paramediana sinistra cui si associano alcune lacune suggestive di spazi perivascolari ampliati in regione capsulo insulare bilaterale e talamica destra. Sistema ventricolare e spazi liquorali di normale morfologia e contenuto. Strutture della linea mediana in asse’’. Tali reperti vengono valutati suggestivi di encefalopatia vascolare cronica compatibile con la storia clinico-anamnestica del paziente, ma non tali da giustificare la sintomatologia acuta insorta negli ultimi due mesi. Nel forte sospetto di una patologia della giunzione neuromuscolare, il paziente si ricovera nel reparto di Neurologia dell’Ospedale “M. Bufalini” di Cesena.

Nel corso del ricovero si eseguono numerosi accertamenti, in particolare in relazione all’ipotesi eziologica:

  • dosaggio degli anticorpi anti-recettore dell’acetilcolina (0,48, valori normali [[vn]] <0,45, borderline da 0,45 a 1,50, positivo >1,50 nmol/L), anti-chinasi muscolo specifica (MusK) (0,06, vn <0,4 U/mL), anti LRP4, anti-rianodina, anti-titina e anti-canali del calcio inviati all’ Istituto “Carlo Besta” di Milano (risultati negativi);
  • TC torace-addome negativa per masse mediastiniche e addominali;
  • EMG: quadro compatibile con sindrome miasteniforme prevalente nel distretto cranico (esame non completo in quanto il paziente è portatore di PM).

Viene dunque iniziata terapia con piridostigmina (dose ridotta del 25% in relazione all’insufficienza renale) e steroide alla dose iniziale di 1 mg/kg/die, con parziale beneficio. Dato che la sintomatologia neurologica appare ancora significativa con interessamento del settore cranico e ritenendo elevato il rischio di scompenso miastenico acuto, si considera per implementazione terapeutica con ciclo di immunoglobuline per via endovenosa (IgV) o di TPE. Dopo valutazione collegiale tra Neurologi, Nefrologi e Medici del Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale si opta per ciclo di 6 sedute di TPE.

La tecnica aferetica scelta è la plasma-centrifugazione. Pertanto, viene reperito un nuovo accesso vascolare con posizionamento in ecoguida di catetere venoso centrale (CVC) di calibro 12 French e 24 centimetri di lunghezza in vena femorale destra e inizia il ciclo di TPE presso il Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale. Si decide di eseguire le sedute di TPE a giorni alternati a quelli delle regolari sedute di HD.

Eseguite le prime 3 sedute, si assiste a un netto miglioramento del quadro neurologico; tuttavia, il paziente va incontro a episodio di ipossiemia acuta necessitante prima ossigenoterapia ad alti flussi e successivamente intubazione orotracheale. Il quadro si complica con l’insorgenza di shock emodinamico per il quale il paziente viene trasferito in Terapia Intensiva per il monitoraggio e il supporto vitale avanzato. Nel forte sospetto di uno shock settico secondario a batteriemia CVC relata, il device viene prontamente rimosso previa esecuzione di emocolture e si inizia terapia antibiotica empirica con Linezolid e Piperacillina/Tazobactam a dosaggio adeguato al filtrato glomerulare. Dato il successivo isolamento agli esami colturali di Staphylococcus Aureus Meticillino-Sensibile (MSSA), veniva sostituita la terapia antibiotica empirica con una terapia mirata con Oxacillina su indicazione infettivologica.

Nel corso della degenza in TI, a causa dell’instabilità emodinamica secondaria allo shock settico con necessità di supporto con amine, si sospende temporaneamente il trattamento con plasmaferesi e si inizia un trattamento con Continuous Renal Replacement Therapy (CRRT) in sostituzione delle sedute di emodialisi intermittente. Viene posizionato un CVC da HD di calibro 12 French e della lunghezza di 15 centimetri in giugulare destra e si inizia il trattamento di CVVHDF. Dopo un ciclo di 72 ore di CRRT, il paziente registrava un significativo miglioramento del quadro emodinamico con progressivo svezzamento dal supporto aminico. Inoltre, conseguentemente al miglioramento degli scambi respiratori, si procede a estubazione del paziente e si riprende il trattamento emodialitico intermittente con AFB. Nei giorni successivi vengono riprese le sedute di TPE, sempre alternate a quelle di HD, fino alla conclusione del ciclo plasmferetico previsto.

Dimesso dalla Terapia Intensiva, il paziente torna nel reparto Neurologia dove prosegue la terapia antibiotica, il monitoraggio clinico e inizia il trattamento riabilitativo con discreto recupero motorio e funzionale. Nello specifico, all’EON, il paziente tiene il Mingazzini I senza difficoltà, tiene il Mingazzini II per 25 secondi, prove in espirium fino a 40 secondi senza disartria o affaticamento, ROT presenti e simmetrici. Si è assistito a un recupero della capacità di deambulazione con marcia cauta, con necessità talvolta di ausilio con deambulatore a causa di residuo ipostenico del muscolo ileo-psoas. Si è inoltre assistito a una completa risoluzione della disfagia.

Il programma alla dimissione dalla Neurologia prevede terapia specifica con prednisone 75 mg/die a dosaggio a scalare e piridostigmina 30 mg 4 volte/die e plasmaferesi di mantenimento ogni 3 settimane.

Il paziente prosegue le regolari sedute di HD cronica come di consueto.

 

Materiali e Metodi

Le sedute di plasmaferesi sono state eseguite con tecnica di plasmacentrifugazione tramite macchina Spectra Optia (SPO, Terumo BCT, Lakewood, CO, USA). L’accesso vascolare è stato prima un CVC femorale destro e poi un CVC giugulare destro. La sostanza di scambio soluzione fisiologica albuminata al 4% per volume. L’anticoagulazione del circuito è stata locoregionale con citrato.

Le sedute dialitiche croniche sono state eseguite con tecnica di emodiafiltrazione online tramite macchina Dialog iQ con dializzatore Xevonta Hi 23 (B. Braun Melsungen AG, Melsungen, Germany). L’accesso vascolare è stata la FAV distale destra. L’anticoagulazione del circuito è stata eseguita con eparina a basso peso molecolare (EBPM).

La seduta di CVVHDF è stata eseguita tramite macchina Multifiltrate con dializzatore AV 1000 (Fresenius Medical Care AG, Bad Homburg vor der Höhe, Germany). L’accesso vascolare è stato un CVC giugulare destro. L’anticoagulazione del circuito è stata regionale con citrato.

La seduta di dialisi intermittente in TI è stata eseguita con tecnica di Acetate Free Biofiltration tramite macchina Gambro Artis con dializzatore Gambro Evodial 1.6 (Gambro, Deerfield, Illinois, USA). L’accesso vascolare è stato la FAV distale destra. L’anticoagulazione del circuito è stata con EBPM.

 

Discussione

La MG è una malattia cronica della giunzione neuromuscolare, a volte molto invalidante ma che può essere trattata efficacemente una volta diagnosticata. Infatti, molti pazienti possono raggiungere una remissione sostenuta dei sintomi e un pieno recupero delle loro capacità funzionali. Per i pazienti con forme lievi-moderate, gli inibitori delle acetilcolinesterasi e la terapia immunosoppressiva cronica con corticosteroidi rappresentano la terapia di scelta. Tuttavia, nei pazienti con crisi miastenica e nei quadri più gravi con segni di pericolo di vita come l’insufficienza respiratoria o la disfagia, il TPE e le IgV sono indicati come trattamenti a breve termine in associazione alla terapia immunomodulante e immunosoppressiva [16].

L’uso di IgV presenta ampia applicazione nel trattamento delle forme più gravi di miastenia e nella crisi miastenica; presentano un rapido effetto terapeutico entro pochi giorni, risposta massima entro 7-10 giorni e il loro effetto dura 28-60 giorni. Possibili complicanze più gravi, seppur non frequenti, sono la meningite asettica, il danno renale acuto (AKI) ed eventi tromboembolici [17, 18]. La plasmaferesi è stata introdotta nel trattamento della MG nel 1976 e la sua efficacia è correlata principalmente alla rimozione diretta degli anticorpi [19, 20]. Viene spesso preferita alle IgV nei pazienti altamente critici per la rapidità di efficacia già dopo pochissimi giorni dall’inizio del trattamento. Le complicanze che possono insorgere sono correlate alla procedura o dovute al posizionamento di un accesso venoso centrale [21]. Molti studi hanno dimostrato un’efficacia sovrapponibile tra i due trattamenti [22, 23]. La scelta dipende in primis dalle caratteristiche del paziente e dal suo quadro clinico, ma anche dall’esperienza clinica del Neurologo, dalla disponibilità di esecuzione di plasmaferesi e anche da aspetti economici. Nel 2016 il gruppo di esperti internazionali che hanno redatto la guida per il trattamento della MG suggeriscono che nella crisi miastenica la plasmaferesi si presenta più efficace e più rapida [24].

Il TPE è una terapia extracorporea che prevede la rimozione del plasma e dei suoi componenti solubili dal sangue del paziente (plasmaferesi) in cambio di un fluido di sostituzione, che di solito è costituito dal plasma o dalle soluzioni albuminate. Questa terapia mira a rimuovere immunocomplessi, allo- ed auto-anticorpi o immunoglobuline che contribuiscono alla patogenesi di alcune patologie. Inoltre, sembra avere un effetto stimolante su vari sistemi come quello immunitario. Esistono due principali metodiche per eseguire il TPE: la plasmafiltrazione e la centrifugazione [25, 26].

La plasmafiltrazione prevede la rimozione non selettiva del plasma e dei suoi costituenti dal sangue attraverso una membrana semipermeabile. È una tecnica simile all’ultrafiltrazione isolata in HD. Infatti, può essere eseguita con le macchine da HD standard utilizzando la loro modalità di ultrafiltrazione isolata senza bagno dialisi e montando membrane ad elevata permeabilità. Inoltre, la plasmafiltrazione può essere eseguita utilizzando le macchine per la CRRT. A differenza dell’HD e dell’emofiltrazione, che rimuovono sostanze con peso molecolare medio e basso, la plasmafiltrazione rimuove le molecole ad alto peso molecolare, tra cui gli anticorpi implicati nella MG. La centrifugazione, invece, è in grado non solo di separare il plasma dal siero, ma può separare anche ciascuna delle altre componenti del sangue, come gli eritrociti o le piastrine, ed è quindi la tecnica di elezione quando sono richieste specifiche frazioni del sangue. Inoltre, quest’ultima sembra essere più efficace nella rimozione di molecole a peso molecolare molto alto come le IgM, il fibrinogeno e gli immunocomplessi. La plasmafiltrazione sfrutta un flusso sangue elevato, da 150 a 200 ml/min, e necessita pertanto di un accesso vascolare a portata più elevata come un CVC o una FAV. Nella centrifugazione, invece, il flusso sangue varia da 50 a 120 mL/min e può essere eseguita sia tramite CVC che catetere venoso periferico (CVP). Sebbene un CVP possa essere più tollerato dai pazienti e consente di evitare complicanze CVC relate, è associato a sedute più lunge e può portare a lungo termine a un depauperamento del patrimonio venoso [25 – 27]. Entrambe le tecniche sono in grado di garantire sedute efficaci e sicure di TPE; generalmente, la centrifugazione è la tecnica di preferenza dei Medici del Servizio Trasfusionale mentre la plasmafiltrazione risulta più affine ai Nefrologi. Nel caso in questione, infatti, dato che le sedute di TPE sono state gestite dal Servizio di Immunoematologia e Medicina Trasfusionale, che, nel nostro Centro, ha più esperienza clinica con la tecnica di plasmacentrifugazione, questa è stata la tecnica aferetica di scelta. In letteratura sono presenti studi di comparazione tra le due tecniche di plasmaferesi, che non hanno mostrato differenze significative di efficacia nella rimozione delle molecole a medio ed elevato peso molecolare tra di esse, mentre la plasmacentrifugazione solitamente risulta in sedute più brevi a fronte di una più elevata Plasma Removal Efficacy [27, 28].

Per quanto non frequente, non è del tutto inusuale per i Nefrologi la contingenza di dover gestire pazienti in cui il trattamento emodialitico e quello plasmaferetico procedano di pari passo. Infatti, sebbene le attuali linee guida della KDIGO raccomandino l’utilizzo della TPE solo per la malattia causata dagli anticorpi anti-membrana basale glomerulare (anti-GBM) (grading 1C) e le linee guida dell’American Society of Apherisis per le vasculiti ANCA (grading 1B) e per la malattia da anticorpi anti-GBM (grading 1 C),  nella pratica clinica, trova impiego in una più ampia gamma di patologie nefrologiche come la microangiopatia trombotica, le stesse vasculiti ANCA associate, il mieloma multiplo e le crioglobulinemie [29, 31]. Queste patologie sono spesso associate ad AKI o a danno d’organo terminale che richiedono la terapia renale sostitutiva. Per far fronte a questa condizione, alcuni centri si sono addirittura specializzati nell’utilizzo in combinazione di queste tecniche in una singola seduta [32, 35]. Povera invece è la letteratura scientifica per quanto riguarda casi di pazienti emodializzati cronici che hanno avuto la necessità di sottoporsi a trattamento aferetico per patologie di nuova insorgenza non di pertinenza nefrologica (come, ad esempio nel nostro caso, la Miastenia Gravis).

 

Conclusioni

Il presente caso insegna che, nonostante le complicanze insorte nel percorso clinico di un paziente complesso, con plurime comorbidità, in HD cronica e con nuova diagnosi di MG con gravi sintomi neurologici, la gestione multidisciplinare e la collaborazione tra vari servizi specialistici permette di gestire con successo l’iter diagnostico-terapeutico di una patologia rara ma che può mettere a rischio la sopravvivenza del paziente a breve termine.

 

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Qualità del sonno dei pazienti in End Stage Renal Disease prima e dopo l’avvio al trattamento emodialitico cronico: uno studio longitudinale

Abstract

Introduzione: I disturbi del sonno sono molto frequenti nei pazienti con malattia renale cronica e la prevalenza di una scarsa qualità del sonno all’interno della popolazione nefropatica si aggira intorno al 40%.
Obiettivi: Lo scopo dello studio è quello di confrontare la qualità del sonno dei pazienti in ESRD prima dell’emodialisi (Pre-HD), tre mesi (Post-HD 1) e sei mesi dopo l’inizio del trattamento (Post-HD 2) tramite l’uso del Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI).
Metodi: Sono stati reclutati pazienti in ESRD presso l’U.O.C. di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Maggiore di Modica e raccolti dati anagrafici e anamnestici. Si è proceduto con la somministrazione del PSQI in presenza nella fase Pre-HD e tramite re-test telefonico al follow-up di tre e sei mesi.
Risultati: Sono stati inclusi in totale 71 pazienti (maschi=62%, età 68 ± 16 anni). Alla valutazione Pre-HD il 93% ha riportato una scarsa qualità del sonno, la percentuale è salita al 98% durante la fase Post-HD 1 ed è parzialmente migliorata durante il Post- HD 2 con una prevalenza del 95%. L’analisi della varianza per misure ripetute ha mostrato una significativa differenza tra i tre tempi.
Conclusioni: La qualità del sonno va incontro a importanti cambiamenti durante la transizione da paziente in terapia conservativa a emodializzato, evidenziando un periodo critico relativo ai primi tre mesi di trattamento. Una maggiore attenzione a questa fase può migliorare la qualità di vita del paziente e ridurre il rischio di mortalità ad essa associato.

Parole chiave: sonno, qualità, emodialisi, vita, dialisi

Introduzione

Il sonno è un processo fisiologico universale e complesso, essenziale per uno stato di salute soddisfacente ed una buona qualità di vita [1]. Tuttavia, la riduzione delle ore di sonno e di conseguenza una scarsa qualità del sonno stanno diventando sempre più comuni nella popolazione generale [2]. I disturbi del sonno sono problemi frequenti tra i pazienti con malattia renale cronica (CKD) e sono associati al rischio di sviluppare patologie cardiovascolari, diabete, disfunzioni cognitive, eventi ictali e disturbi neuropsichiatrici oltre ad un più alto rischio di mortalità [27].

I pazienti in insufficienza renale cronica in fase uremica (ESRD) soffrono di varie tipologie di disturbi del sonno, come l’apnea ostruttiva del sonno (OSA), l’insonnia, la sindrome delle gambe senza riposo, l’ipersonnia, i disturbi del ritmo sonno-veglia e le parasonnie [8]. Questi disturbi intaccano negativamente la qualità di vita (QoL) del paziente con CKD e in ESRD e hanno il potenziale di influenzare il decorso della patologia renale [9]. Rispettivamente la prevalenza di questi disturbi si assesta nei pazienti in ESRD al 38% per le apnee notturne, al 33% per l’insonnia, al 22% per l’ipersonnia, e al 10% per la sindrome delle gambe senza riposo [1012]. La prevalenza di tali disturbi aumenta nei pazienti in trattamento emodialitico cronico (HD) e trova una parziale normalizzazione in seguito al trapianto renale [10, 11, 13]. In generale una scarsa qualità del sonno nei pazienti in ESRD ha una prevalenza del 43% [14, 15]. Tali evidenze dimostrano che i disturbi del sonno all’interno della popolazione nefropatica costituiscono un problema di salute pubblico da prendere urgentemente in considerazione e su cui svolgere indagini volte alla comprensione dei meccanismi fisiopatologici sottostanti al fine di trovare trattamenti mirati utili al miglioramento della QoL del paziente nefropatico. A tale scopo la presente ricerca si pone l’obiettivo di determinare la qualità del sonno dei pazienti in ESRD prima dell’avvio al trattamento emodialitico cronico e durante i sei mesi successivi l’immissione in dialisi.

 

Materiali e metodi

Disegno dello studio

È stato svolto uno studio longitudinale osservazionale. I pazienti sono stati reclutati presso l’U.O.C. di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Maggiore Nino Baglieri di Modica in regime di ricovero. Lo studio è stato svolto in un arco temporale che va da maggio 2021 a settembre 2022. Previa lettura della scheda informativa e acquisizione del consenso informato che segue le linee guida proposte dalla Dichiarazione di Helsinki della World Medical Association, sono stati arruolati pazienti adulti, di età superiore ai 18 anni, di entrambi i sessi, con diagnosi di ESRD ed in prossimità dell’avvio al trattamento emodialitico cronico (HD). Sono stati esclusi dallo studio pazienti che successivamente all’avvio del trattamento emodialitico avevano recuperato parte della funzionalità renale tornando in terapia conservativa e pazienti che presentavano decadimento cognitivo grave, tale da impedire la somministrazione del questionario Pittsburgh Sleep Quality Index (PSQI). Non sono stati inseriti limiti relativi all’età, alla tipologia di trattamento emodialitico (HD, B-HD, HFD Online), alla durata o alla frequenza settimanale. Tutti i pazienti prima di essere sottoposti alle fasi di ricerca sono stati resi edotti sulle metodiche utilizzate dagli sperimentatori. Dopo la fase di reclutamento sono state raccolte le seguenti variabili dalle cartelle cliniche dei pazienti:

  • Dati demografici (età, sesso, istruzione, status sociale, status occupazionale)
  • Comorbidità (diabete, cardiopatie, fibrillazione, ipertensione, anemia, broncopneumopatia cronico ostruttiva BPCO)
  • Dati dialitici (ore di dialisi, turno di dialisi)

Si è proceduto dunque alla somministrazione del questionario Pittsburgs Sleep Quality Index (PSQI) prima dell’avvio al trattamento emodialitico cronico (pre-HD) in presenza, successivamente dopo tre mesi dall’avvio al trattamento (Post-HD 1) e sei mesi dopo (Post-HD 2) tutti i pazienti sono stati ricontattati e si è proceduto tramite retest telefonico.

Questionario Pittsburgh Sleep Quality Index

Il questionario PSQI adottato per la valutazione della qualità del sonno è stato messo a punto da Buysse et al. (1989) ed è uno strumento ampiamente convalidato in letteratura. Il PSQI è composto da 19 item che raggruppati vanno a formare 7 componenti: qualità soggettiva del sonno, latenza del sonno, durata del sonno, efficienza abituale del sonno, fattori di disturbo, farmaci ad azione ipnotica e disfunzionalità diurna. Gli item sono stati ricavati dall’esperienza di tipo clinico di pazienti che presentavano disturbi del sonno: dall’1 al 4 si richiedono precise informazioni (a che ora si va a letto, tempo trascorso prima di addormentarsi, a che ora ci si alza, ore di sonno effettivo) fornite tramite risposta aperta, gli item dal 5 al 9 (relativi alla difficoltà ad addormentarsi, ai risvegli notturni, alla necessità di andare in bagno, respirazione non soddisfacente, percezione di troppo freddo e/o caldo, incubi, dolori notturni, qualità soggettiva del sonno, assunzione di farmaci ipnotici, difficoltà a rimanere svegli durante il giorno, entusiasmo)  richiedono risposte su una scala da 0 a 3, dove 0 è assenza di sintomi e 3 è invece indice di presenza dei sintomi 3 o più volte a settimana nell’arco dell’ultimo mese. In particolare, l’item 5j presenta uno spazio per la descrizione di altri eventuali sintomi non inclusi nel questionario e che il soggetto può esperire durante la notte. L’item 10, a carattere facoltativo, rileva la presenza o meno di un partner o un compagno di stanza durante le ore notturne, ma non ha alcun peso nella determinazione del punteggio globale finale. Il punteggio globale ottenibile varia da 0 a 21; quando si ottengono punteggi ≤5 si rileva una buona qualità del sonno, quando si ottengono punteggi >5 si è invece in presenza di una scarsa qualità del sonno.

Analisi Statistica

Tutti i dati sono stati raccolti all’interno di un database Microsoft Excel e successivamente elaborati per ottenere una statistica di tipo descrittivo (punteggi medi, deviazione standard, percentuali) dei dati relativi a caratteristiche mediche, socio-anagrafiche e del questionario PSQI. L’analisi inferenziale volta a valutare differenze della qualità del sonno nei tre tempi è stata condotta tramite SPSS ed è stata impiegata l’analisi della varianza per misure ripetute (ANOVA).

 

Risultati 

Il campione è composto da un totale di 71 pazienti in ESRD che rispettano i criteri di inclusione ed esclusione prestabiliti, con un’età media di 68 ± 16 anni, di cui il 61,97% di sesso maschile (n=44) tutti afferenti presso l’U.O.C di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale Maggiore Nino Baglieri di Modica (ASP 7 Ragusa). L’86% del campione (n=61) ha completato le tre valutazioni (T0, T1, T2), il 14% (n=10) ha effettuato solo la prima valutazione (T0), l’8% a causa di decesso e il 6% per mancata rintracciabilità telefonica. Non sono stati raccolti dati relativi all’item 10 del PSQI per via della mancata rintracciabilità dell’eventuale partner/compagno di stanza o per mancata risposta da parte dei pazienti dovuta alla natura facoltativa dell’item. Nella Tabella 1 sono riportati tutti i dati demografici del campione. La maggior parte dei pazienti è coniugato (68%), ha un’istruzione primaria (45%) ed è pensionato (64%).

DATI DESCRITTIVI DEL CAMPIONE
TOTALE PAZIENTI 71
ETÀ MEDIA 68±16
MASCHI 44 (61%)
PAZIENTI DECEDUTI 6 (8%)
MANCATA RINTRACCIABILITÀ 4 (6%)
STATUS SOCIALE
CONIUGATO 48(68%)
VEDOVO 13 (18%)
CELIBE 5 (7%)
NUBILE 3 (4%)
SEPARATO 2 (3%)
ISTRUZIONE
PRIMARIA 32 (45%)
SECONDARIA 23 (32%)
SUPERIORE 13 (18%)
UNIVERSITARIA 3 (15%)
STATUS OCCUPAZIONALE
LAVORATORE 15 (21%)
DISOCCUPATO 7 (10%)
PENSIONATO 45 (64%)
CASALINGA 4 (6%)
PREVALENZA DISTURBI DEL SONNO RILEVATI TRAMITE PSQI
PRE-HD 93%
POST-HD 98%
POST-HD 2 95%
Tabella 1: Dati descrittivi del campione.

Sono stati raccolti dati sulle comorbidità dei partecipanti, di seguito riportate nella Tabella 2. Più della metà del campione presenta cardiopatie, anche l’ipertensione arteriosa è molto rappresentata insieme al diabete e all’anemia secondaria. Il 10% è affetto da fibrillazione atriale e l’8% da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO). I dati scaturiti dalla somministrazione del PSQI restituiscono un andamento della qualità del sonno fluttuante durante i tre tempi presi in considerazione. Punteggi PSQI superiori alla norma (>5) nella fase Pre-HD indicano una prevalenza di disturbi del sonno all’interno del campione pari al 93%, nella fase Post-HD 1 la percentuale sale al 98% e scende parzialmente dopo sei mesi di trattamento emodialitico con una prevalenza del 95% nella fase Post-HD 2.

COMORBIDITÀ
CARDIOPATIA 45 (63%)
FIBRILLAZIONE 10 (14%)
IPERTENSIONE 32 (45%)
DIABETE 26 (37%)
ANEMIA SECONDARIA 25 (35%)
BPCO 8 (11%)
Tabella 2: Comorbidità rilevanti per la qualità del sonno.

Nel Grafico 1 è possibile osservare la distribuzione dei punteggi medi di tutti gli item del questionario prima dell’immissione in dialisi (Pre-HD), tre mesi dopo l’immissione (Post-HD 1) e sei mesi dopo l’immissione (Post-HD 2). I punteggi medi di tutti gli item sono elevati nel Pre-HD e trovano un peggioramento nel Post-HD 1 (tre mesi), si assiste successivamente ad un notevole abbassamento e dunque miglioramento dei punteggi nel Post-HD 2 (sei mesi). In particolare, gli item oggetto di evidente miglioramento dopo sei mesi di emodialisi sono il 4, 5a, 5b, 5c, 5i, 5j, 6, 8, 9, rispettivamente relativi alle ore di sonno effettivo, difficoltà di addormentamento, risvegli notturni, necessità di andare in bagno, dolori notturni, fattori di disturbo di altra natura, giudizio globale soggettivo, difficoltà a restare svegli durante il giorno, calo dell’entusiasmo.

Andamento dei punteggi medi di tutti gli item del questionario PSQI, eccetto dell’item facoltativo 10 rivolto ad un eventuale partner in stanza
Grafico 1: Andamento dei punteggi medi di tutti gli item del questionario PSQI, eccetto dell’item facoltativo 10 rivolto ad un eventuale partner in stanza, prima dell’immissione in dialisi (Pre-HD), tre mesi dopo l’immissione (Post-HD 1) e sei mesi dopo l’immissione (Post-HD 2).

Nel Grafico 2 è riportato l’andamento dei punteggi medi delle sette componenti del sonno rilevate tramite PSQI nei tre tempi oggetto dello studio. Le componenti sono: qualità soggettiva del sonno, latenza del sonno, durata del sonno, efficienza del sonno, fattori di disturbo, farmaci ipnotici e disfunzione giornaliera. In tutte le componenti elencate si assiste ad un innalzamento dei punteggi nella condizione Pre-HD; nella condizione Post-HD 1 tutti i punteggi subiscono un’ulteriore innalzamento corrispondente ad una peggiore qualità del sonno ad eccezione per la componente relativa ai farmaci ipnotici, il cui uso diminuisce; nella condizione Post-HD 2 tutte le componenti migliorano, tra questi la qualità soggettiva, la latenza, la durata e la disfunzione giornaliera scendono al di sotto del livello medio di difficoltà.

Andamento dei punteggi medi delle 7 componenti del sonno rilevate tramite PSQI prima dell’immissione in dialisi (Pre-HD)
Grafico 2: Andamento dei punteggi medi delle 7 componenti del sonno rilevate tramite PSQI prima dell’immissione in dialisi (Pre-HD), tre mesi dopo l’immissione (Post-HD 1) e sei mesi dopo l’immissione (Post-HD 2).

Nel Grafico 3 sono riportati i punteggi medi globali del PSQI, che mostrano in accordo con gli item e le componenti una scarsa qualità del sonno prima dell’immissione in dialisi con un punteggio medio pari 11,3 (±3,8), un ulteriore peggioramento della qualità del sonno dopo tre mesi dall’immissione in dialisi con un punteggio medio di 13,7 (±2,9) ed un decisivo miglioramento della qualità dopo sei mesi di trattamento con un punteggio medio pari a 8,6 (±2,2).

Grafico 3: Punteggio medio global score del PSQI con barre di errore (5%)
Grafico 3: Punteggio medio global score del PSQI con barre di errore (5%), prima dell’immissione in dialisi (Pre-HD), tre mesi dopo l’immissione (Post-HD 1) e sei mesi dopo l’immissione (Post-HD 2).

A livello inferenziale per constatare una significativa differenza tra i tre tempi in termini di valutazione della qualità del sonno è stata eseguita sui punteggi globali l’analisi della varianza (ANOVA) per misure ripetute (p<0,05) che ha restituito un valore F-ratio di 100.1603, p-value <0.0001, che dimostra la significativa differenza tra Pre-HD, Post-HD 1 e Post-HD 2.

I valori inferenziali ottenuti tramite l’applicazione dell’ANOVA per misure ripetute sono riportati nella Tabella 3.

ANOVA
MISURE RIPETUTE
TRATTAMENTI
Pre-HD Post-HD 1 Post-HD 2 TOTALE
NUMERO PAZIENTI 61 61 61 183
SOMMATORIA DI X (∑X) 711 836 527 2074
MEDIA 11.6557 13.7049 8.6393 11.333
∑X2 9153 11972 4857 25982
DEVIAZIONE STANDARD 3.7986 2.9288 2.2512 3.6889
DETTAGLI RISULTATI
FONTE DI VARIABILITÀ SOMMA DEI QUADRATI GRADI DI LIBERTÀ MEDIA QUADRATICA  
TRA I TRATTAMENTI 792.1421 2 396.071 F=100.1603
ALL’INTERNO DEI TRATTAMENTI 1684.5246 180 9.3585
ERRORE 474.5246 120 3.9544
Tabella 3: Risultati ottenuti dall’analisi della varianza per misure ripetute (p<0,05) applicata ai global score PSQI dei tre tempi Pre-HD, Post-HD 1, Post-HD 2. La differenza riscontrata tra i tre tempi risulta statisticamente significativa.

 

Discussione

La significativa prevalenza dei disturbi del sonno nella popolazione nefropatica ha attirato l’attenzione di molti ricercatori che si sono adoperati nella valutazione della qualità del sonno di questi pazienti. Molti studi si sono concentrati sulla qualità del sonno nella fase precedente all’immissione in dialisi, quando il paziente si trova in uno stato di malattia renale cronica in terapia conservativa. Pochi studi si sono invece concentrati sulla qualità del sonno del paziente che effettua il trattamento emodialitico cronico al fine di rilevare la prevalenza e soprattutto l’andamento in una fase critica e delicata quale l’avvio e il mantenimento di questa tipologia di terapia sostitutiva renale.

In questo quadro teorico il nostro studio si è posto l’obiettivo di far luce sulle oscillazioni che la qualità del sonno può subire nel passaggio da paziente in ESRD a paziente in HD. La prevalenza dei disturbi del sonno, già molto elevata nella fase precedente all’immissione in dialisi, subisce un ulteriore incremento relativo ai primi tre mesi di trattamento. In accordo con la letteratura, i disturbi del sonno sembrano avere un picco durante quest’arco di tempo, nel quale l’organismo del paziente si ritrova ad affrontare una fase critica di assestamento. In particolare, l’inizio dell’emodialisi sembra essere significativamente associato ad un aumentato rischio di ictus. A tal proposito un’analisi statunitense con un campione di pazienti emodializzati ha rilevato un aumento del tasso di eventi cerebrali ictali durante i primi tre mesi di dialisi con un picco massimo durante i primi trenta giorni [16]. Questo periodo considerabile ad alto rischio a causa dell’ingente stress vascolare e dei cambiamenti psicofisici a cui vanno incontro i pazienti in HD richiede una maggiore attenzione, la transizione alla dialisi è infatti associata ad un tasso di mortalità del 30% nei pazienti di età ≥65 anni, percentuale destinata a salire con l’aumentare dell’età [17, 18]. Inoltre, il sonno e gli eventi ictali sono strettamente intrecciati, i disturbi del sonno come le parasonnie, l’insonnia, l’ipersonnia, i disturbi respiratori del sonno e i disturbi del movimento legati al sonno si associano a condizioni cardiovascolari patologiche che aumentano il rischio di ictus [1921]. Dopo questa fase critica il nostro studio ha rilevato una fase di miglioramento della maggior parte degli indici del sonno presi in considerazione tramite l’uso del Pittsburgh Sleep Quality Index. Pur mantenendosi in una condizione di scarsa qualità del sonno, dopo sei mesi di trattamento emodialitico sono migliorate diverse aree del sonno. Le ore di sonno effettivo sono aumentate ed è diminuita la difficoltà di addormentamento, i risvegli notturni e la necessità di alzarsi per andare in bagno si sono ridotte insieme ai dolori notturni e a particolari fattori di disturbo. Il giudizio globale soggettivo che esprime il paziente emodializzato sulla qualità del proprio sonno è migliorato, la stanchezza percepita durante il giorno è diminuita e si è assistito ad un aumento dell’entusiasmo. L’uso di farmaci ipnotici, contrariamente all’andamento fluttuante della qualità globale del sonno, si è progressivamente ridotto durante le tre fasi esaminate. Sulla base di questi risultati si ritiene necessario l’avvio di ulteriori indagini scientifiche sulla popolazione emodializzata riguardo la qualità del sonno oltre all’implementazione di azioni terapeutiche volte a migliorare gli schemi sonno-veglia di questi pazienti al fine di ridurre lo stress psicofisico e migliorare la loro qualità di vita. A tal proposito potrebbe essere utile indagare nella popolazione emodializzata l’eventuale associazione tra qualità del sonno e pregresse evidenze cerebrovascolari, sul versante riabilitativo sarebbe opportuno inquadrare il tipo di disturbo del sonno presentato e proporre a livello personalizzato strumenti specifici di gestione del disturbo che possono contemplare l’uso di ventilatori meccanici, di farmaci o di terapia cognitivo-comportamentale.

 

Conclusioni

In conclusione, nella fase precedente all’immissione in dialisi è stata riscontrata una scarsa qualità del sonno, questa dopo tre mesi di trattamento emodialitico è significativamente peggiorata. Dopo sei mesi di trattamento la qualità del sonno ha invece subito un notevole miglioramento, con punteggi migliori rispetto alla fase precedente all’immissione in dialisi. Il picco registrato durante i tre mesi di emodialisi trova corrispondenza nella letteratura, che identifica questo periodo come una fase ad alto rischio di mortalità e di eventi ictali. Una maggiore attenzione a questa fase, all’identificazione dei disturbi del sonno e all’implementazione di percorsi riabilitativi può aiutare il paziente a vivere in maniera migliore la transizione dalla terapia conservativa alla terapia sostitutiva renale, in questo caso all’emodialisi.

 

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Impatto del telemonitoraggio in dialisi domiciliare: risultati di 5 anni di osservazione

Abstract

La dialisi (emodialisi e dialisi peritoneale) rappresenta una delle alternative terapeutiche per i pazienti affetti da insufficienza renale cronica e può essere erogata in diversi setting, tra cui quello domiciliare. Esistono in letteratura evidenze che dimostrano come la dialisi domiciliare possa garantire una migliore sopravvivenza e qualità di vita, e vantaggi di tipo economico. Tuttavia, esistono delle barriere che ne ostacolano l’impiego, come il “senso di abbandono” riferito dai pazienti che ricevono cure a domicilio.

Il presente studio valuta la capacità del sistema di telemedicina Doctor Plus® Nephro, adottato nel Centro di Nefrologia del P.O. G.B. Grassi di Roma-ASL Roma 3, di monitorare efficacemente i pazienti e di migliorare la qualità delle cure. Dal 2017 al 2022 sono stati osservati N=26 pazienti (durata media di osservazione per paziente: 2,3 anni). Dall’analisi è emerso come il programma identifichi tempestivamente le possibili anomalie dei parametri vitali e attivi una serie di interventi atti a normalizzare l’eventuale profilo alterato. Nel periodo in studio, il sistema ha rilasciato N=41.563 avvisi (N=1,87 avvisi per paziente/giorno), di cui N=16.325 (39,3%) di tipo clinico e N=25.238 (60,7%) di mancata misura. Tali avvisi hanno garantito una duratura stabilizzazione dei parametri, con benefici sulla qualità di vita dei pazienti. Si è osservato un trend di miglioramento nella percezione dello stato di salute (questionario EQ-5D; +11,1 punti sulla scala VAS), nel numero di accessi in strutture ospedaliere (-0,43 accessi/paziente in 4 mesi) e di giornate lavorative perse (-3,6 giorni persi in 4 mesi). In conclusione, Doctor Plus® Nephro rappresenta uno strumento utile ed efficiente per gestire i pazienti in dialisi domiciliare.

Parole chiave: insufficienza renale cronica, dialisi, emodialisi, Doctor Plus® Nephro, telemonitoraggio, televisita

Introduzione

L’insufficienza renale cronica (IRC) è una malattia severa che se non trattata adeguatamente può avere un impatto negativo sulla qualità e l’aspettativa di vita. Storicamente, i pazienti affetti da IRC dispongono di due alternative terapeutiche: il trapianto d’organo, attuabile in una casistica selezionata, e la dialisi (emodialisi e dialisi peritoneale) [13]. A livello globale, le stime del 2010 segnalavano una prevalenza di 2.050 milioni di soggetti dializzati, un numero destinato a raddoppiare, almeno, intorno al 2030 [4]. In Italia, si stima che il numero di pazienti attualmente in dialisi sia pari a circa 45-49.000 [2].

La dialisi può essere erogata in diversi setting, tra cui quello domiciliare. Nonostante questa pratica sia stata introdotta ormai da circa 60 anni, la dialisi domiciliare non è il setting utilizzato più comunemente in Italia, rappresentando circa il 15% [3].

Alcuni dei vantaggi della dialisi domiciliare sono piuttosto ovvi, come la maggiore flessibilità nell’organizzare le sessioni, la riduzione degli spostamenti verso il luogo di cura (particolarmente importante per i pazienti anziani e i loro familiari o caregiver), e l’opportunità di condurre uno stile di vita più regolare, senza la necessità di doversi recare frequentemente in ospedale, clinica o ambulatorio [5]. Inoltre, evidenze scientifiche riportano come la dialisi domiciliare possa garantire una migliore sopravvivenza, qualità di vita e opportunità di riabilitazione [6], associate a dei vantaggi di tipo economico [4]. Studi clinici randomizzati, pongono l’accento sulla correlazione tra maggiore frequenza e regolarità delle sessioni e l’efficacia terapeutica raggiungibile, in termini di controllo del filtrato, della pressione arteriosa, della ipertrofia ventricolare sinistra [713].

Alla luce dei vantaggi riportati, il basso livello di impiego della dialisi domiciliare può sembrare un’opportunità non adeguatamente sfruttata; a parziale spiegazione vengono riportate delle barriere significative che ne ostacolano l’impiego [5]. In prima istanza, la dialisi domiciliare può risultare un’operazione complessa, non accessibile per qualsiasi famiglia. I pazienti con IRC in dialisi domiciliare riferiscono spesso un “senso di abbandono” da parte del personale sanitario, in aggiunta ad ansia e stress dovuti alla paura di non essere adeguatamente monitorati [5]. La mancanza di supervisione da parte del personale sanitario può far temere che i pazienti risultino meno aderenti alla terapia, non solo nella frequenza della dialisi, ma anche nel rispetto delle prescrizioni farmacologiche e delle raccomandazioni su dieta e stile di vita [3, 7, 1418].

Queste potenziali criticità suggeriscono pertanto che la dialisi domiciliare necessiti di un ulteriore supporto che consenta di migliorare la soddisfazione dei pazienti e, di conseguenza, l’aderenza al trattamento [19]. La telemedicina va esattamente nella direzione di creare e promuovere una connessione efficiente tra pazienti e operatori [16]. Inoltre, il telemonitoraggio consente ai medici di modificare la terapia, richiedere visite specialistiche, e rimanere in un contatto empatico con i pazienti.

Recentemente, la pandemia da COVID-19 ha fornito un nuovo slancio all’implementazione della telemedicina [20]. I pazienti anziani, fragili e con molteplici comorbidità, sono a rischio di contrarre la malattia da COVID-19 sia durante le sessioni di dialisi ospedaliera, sia semplicemente recandosi sul luogo di cura ed entrando in contatto con soggetti positivi [21]. La telemedicina favorisce, pertanto, il distanziamento sociale, garantendo allo stesso tempo un’elevata qualità di cura e un’attenzione al paziente che possono essere addirittura superiori rispetto alla visita di persona.

È interessante notare che l’importanza della telemedicina era già stata enfatizzata in epoca pre-COVID-19 dal Piano Nazionale della Cronicità (PNC), una delle principali linee di intervento per la gestione della cronicità pubblicata nel 2016. Nel PNC, si riporta testualmente che il processo di cura e riabilitazione “è facilitato dalla trasmissione di dati relativi ai parametri vitali tra il paziente (a casa, in farmacia, in strutture assistenziali) e una postazione di monitoraggio, per la loro interpretazione e l’adozione delle scelte terapeutiche necessarie (ad esempio, servizi di Teledialisi) [22].

In linea con queste raccomandazioni, il Centro di Nefrologia del P.O. G.B. Grassi di Roma-ASL Roma 3 ha adottato e valutato i vantaggi clinici e sociali del Programma Doctor Plus® Nephro, nato dalla collaborazione tra Vree Health Italia e Fresenius Medical Care, per il telemonitoraggio e televisita dei pazienti in dialisi domiciliare.

Il Programma Doctor Plus® Nephro, è composto da un “Portale clinico” online per la gestione del programma e la raccolta dei dati, da un “KIT di Programma” che comprende dispositivi medici per il telemonitoraggio e la APP Vreely®, e da un “Centro Servizi” dedicato, composto da personale amministrativo disponibile da remoto. Il sistema è stato ampiamente descritto in un una precedente pubblicazione [23].

L’obiettivo del presente lavoro è quello di analizzare le evidenze relative al monitoraggio dei pazienti arruolati nel Programma Doctor Plus® Nephro, in modo da studiarne le caratteristiche al basale, l’andamento dei segni vitali nel tempo, gli effetti dell’implementazione di un programma di televisita unitamente al programma di telemonitoraggio. In particolare, è stata analizzata la capacità del sistema di monitorare efficacemente i pazienti e della televisita di migliorare la qualità delle cure anticipando possibili complicanze, riducendo accessi imprevisti alla struttura ospedaliera (pronto soccorso) e costi per la gestione delle malattie in acuto.

 

Pazienti e metodi

Disegno dell’analisi e fonte dei dati

Il presente studio ha analizzato tutti i pazienti appartenenti al Centro di Nefrologia della ASL Roma 3 sottoposti a dialisi domiciliare e inseriti nel programma di telemonitoraggio domiciliare nel periodo 3 luglio 2017 – 17 gennaio 2022. Ogni paziente è stato osservato per un periodo minimo di 6 mesi. Per quantificare l’entità del servizio Doctor Plus® Nephro, e valutare l’andamento dello stato di salute dei pazienti, è stata condotta un’analisi del database del “Portale Clinico” che gestisce tutta la logistica assistenziale. All’interno di questo database sono stati registrati tutti i dati anagrafici del paziente (e del caregiver, se presente), le informazioni relative al piano di monitoraggio elaborato dal medico specialista in relazione alle necessità del paziente, i parametri clinici registrati dai dispositivi medici usati dai pazienti, gli eventuali avvisi generati da misure non effettuate o misure fuori soglia rispetto ai range prestabiliti, e i risultati dei questionari di qualità di vita e soddisfazione periodicamente somministrati al paziente. L’analisi del database e la raccolta dei dati sono state effettuate da Vree Health aggregando le informazioni in maniera del tutto anonima.

Popolazione in studio

Sono stati considerati eleggibili tutti i soggetti in dialisi domiciliare afferenti al Centro di Nefrologia della ASL Roma 3 che, durante il periodo di osservazione (luglio 2017 – gennaio 2022), erano stati avviati al servizio di telemonitoraggio e possedevano i seguenti requisiti: i) età maggiore o uguale a 18 anni; ii) in dialisi peritoneale o emodialisi domiciliare; iii) almeno 6 mesi di permanenza all’interno del Programma Doctor Plus® Nephro.

Outcome misurati

Nell’analisi sono state misurate le seguenti variabili: i) caratteristiche del paziente al momento di inserimento nel Programma di telemonitoraggio (t0): età, sesso del paziente; ii) periodo di permanenza nel programma: data della prima e dell’ultima misurazione; iii) dati clinici del paziente: peso, pressione, pulsazioni, glicemia (solo pazienti diabetici) e ossimetria, con relativa indicazione di data e ora; avvisi dovuti a mancata misura o per misurazioni fuori soglia, con relativa indicazione di data, ora e valore; iv) data, tipologia (chiamata o visita) e motivazione dei singoli interventi non pianificati del Centro di Nefrologia sui pazienti in monitoraggio per gestire eventuali avvisi; v) dati raccolti al t0 e ogni 4 mesi: risultati di un questionario sottoposto ai pazienti su percezione della qualità servizio, ricoveri, accessi al pronto soccorso, visite specialistiche non programmate e giorni lavorativi persi calcolati dal paziente nel periodo precedente la rilevazione del dato.

Il piano di monitoraggio dei dati clinici prevedeva le seguenti misurazioni:

  • Peso: ogni mattina (entro le 12.00).
  • Pressione, pulsazioni e ossimetria: ogni mattina (entro le 12.00) e ogni sera (entro le 00.00).
  • Glicemia (solo pazienti diabetici): tre volte a settimana, ogni mattina (entro le 12.00) e ogni sera (entro le 00.00).

L’analisi statistica è stata condotta utilizzando i programmi Microsoft® Excel® per Windows® (Microsoft Corporation, Seattle, WA, USA), e STATA 13.

 

Risultati

Caratteristiche al basale e andamento dei parametri vitali nel tempo

Nel periodo in studio, N=34 pazienti sono stati inseriti nel programma Doctor Plus® Nephro. Di questi, N=26 pazienti (76,47% del totale) sono stati osservati per più di 180 giorni e sono stati dunque considerati eleggibili per l’analisi. Dei N=26 pazienti arruolati, N=3 (12%) erano in emodialisi domiciliare quotidiana e N=23 (88%) in dialisi peritoneale. La durata media di osservazione della coorte è stata pari a N=855 giorni (2,3 anni) per un totale cumulativo di N=22.239 giorni di inserimento nel programma. Il rapporto maschi/femmine è risultato piuttosto bilanciato (N=14 femmine, 53,9%; N=12 maschi, 46,1%), e l’età media era pari a 62,7 anni (deviazione standard: 14,3). Per ciascun paziente e per ciascuno dei parametri in studio, è stato calcolato un valore basale, utilizzando la mediana di ogni singola misura nell’arco temporale dei primi 60 giorni di osservazione. Questo calcolo ha consentito di stabilire quale fosse, approssimativamente, la distribuzione al basale dei diversi parametri analizzati all’interno del programma; i risultati sono mostrati in Tabella I. I dati sono riportati in forma aggregata senza distinzione tra pazienti in emodialisi domiciliare o dialisi peritoneale.

N pazienti valutati Tipo misura Media Deviazione standard 25mo percentile Mediana 75mo percentile
25 Peso (Kg) 68,0 19,1 59,2 68,6 75,1
26 Pressione diastolica (mmHg) 79,0 8,4 74,0 79,4 84,5
26 Pressione sistolica (mmHg) 131,1 14,8 125,5 130,3 137,8
26 Pulsazioni (n/minuto) 69,1 10,8 61,5 67,3 77,0
23 % di ossigeno (%) 97,7 1,0 97,0 98,0 98,0
23 Pulsazioni ossigeno (n/minuto) 71,1 9,5 65,5 69,5 80,0
Tabella I: Distribuzione dei parametri vitali al basale.

La determinazione puntuale dei parametri vitali della coorte in studio ha consentito di estrapolare l’andamento temporale (mensile) dei parametri stessi. La Figura 1 illustra il profilo dei principali parametri monitorati dal sistema nel tempo. Lungo l’asse delle ordinate (y) sono riportati i valori medi (punti blu) e l’errore standard (barretta) dei parametri misurati, ad ogni time-point considerato. La figura mostra i dati in forma aggregata per tutti i N=26 pazienti inseriti nel programma. Da un’attenta disamina della figura si evince come i parametri vitali variano nel tempo (con oscillazioni maggiori nel lungo termine, dovute alla riduzione del numero di pazienti osservati) a testimonianza del fatto che il programma di monitoraggio associato a Doctor Plus® Nephro sia in grado di indentificare tempestivamente le possibili anomalie e attivare una serie di interventi atti a normalizzare l’eventuale profilo alterato.

Andamento medio (ed errore standard) dei parametri vitali nel tempo
Figura 1: Andamento medio (ed errore standard) dei parametri vitali nel tempo (N=26 pazienti): A) Peso; B) Pressione diastolica; C) Pressione sistolica; D) Pulsazioni; E) % di ossigeno; F) Pulsazioni ossigeno. PAS: pressione arteriosa sistolica; PAD: pressione arteriosa diastolica; Puls oss: pulsazioni ossigeno.

Avvisi di sistema

Nel periodo in studio e per i N=26 pazienti analizzati, il sistema ha rilasciato N=41.563 avvisi, di cui N=16.325 (39,3%) di tipo clinico, e N=25.238 (60,7%), di mancata misura. In altri termini, il sistema ha rilasciato poco meno di 2 avvisi al giorno (N=1,87 avvisi/die, pari a N=41.563 avvisi diviso 22.239 giorni di inserimento nel programma). La Tabella II fornisce la stratificazione degli avvisi per tipologia e per priorità dell’avviso stesso. La quasi totalità degli avvisi di mancata misura sono stati classificati di priorità bassa; al contrario, gli avvisi di tipo clinico sono stati prevalentemente classificati di priorità moderata o elevata. Gli avvisi rossi (elevata priorità) comportavano il coinvolgimento del medico che adottava tempestivamente le misure del caso. Gli avvisi con priorità minore erano analizzati durante la visita periodica. 

Tipo di avviso Livello di priorità dell’avviso
Basso Medio Elevato Totale
Clinico, n 2.194 9.107 5.024 16.325
Clinico, % 13,4% 55,8% 30,8% 100,0%
Mancata Misura, n 24.418 820 0 25.238
Mancata Misura, % 96,8% 3,3% 0,0% 100,0%
Totale, n 26.612 9.927 5.024 41.563
Totale, % 64,0% 23,9% 12,1% 100,0%
Tabella II: Distribuzione degli avvisi rilasciati nel periodo in studio, per tipo e priorità.

È importante notare che lo stesso tipo di avviso (ad esempio, la mancata misura di un determinato parametro) poteva ripetersi più volte nello stesso giorno. Il numero distinto di avvisi (ottenuto eliminando gli avvisi ripetuti nello stesso giorno) è stato pari a N=16.931. Di questi avvisi, il 39,4% (N=6.674) erano avvisi di tipo clinico, distribuiti per tipo di misura come indicato in Tabella III. Seppur non essendo possibile un confronto del sistema rispetto a un gruppo di controllo, i valori assoluti mostrano comunque una frequenza di rilascio e un’intensità del livello di controllo molto elevati.

Tipo anomalia Descrizione anomalia Numero avvisi (n) Frequenza relativa sul totale (%)
Saturazione di ossigeno Anomalia % ossigeno (86-94) 66 1,0%
Anomalia % ossigeno (<86) 20 0,3%
Pressione diastolica Anomalia PAD (85-90 mmHg) 156 2,3%
Anomalia PAD (90-100 mmHg) 474 7,1%
Anomalia PAD (<70 mmHg) 44 0,7%
Anomalia PAD (<90 mmHg) 1 0,0%
Anomalia PAD (>100 mmHg) 38 0,6%
Pressione sistolica Anomalia PAS (130-140 mmHg) 949 14,2%
Anomalia PAS (130-150 mmHg) 167 2,5%
Anomalia PAS (140-160 mmHg) 1.474 22,1%
Anomalia PAS (150-170 mmHg) 233 3,5%
Anomalia PAS (>160 mmHg) 206 3,1%
Anomalia PAS (>170 mmHg) 64 1,0%
Glicemia Anomalia glicemia (110-126 mg/dL) 16 0,2%
Anomalia glicemia (126-170 mg/dL) 61 0,9%
Anomalia glicemia (70-90 mg/dL) 36 0,5%
Anomalia glicemia (<70 mg/dL) 1 0,0%
Peso Incremento peso 2.668 40,0%
Totale 6.674 100,0%
Tabella III: Distribuzione degli avvisi clinici rilasciati per area di anomalia (e relativo dettaglio).
PAS: pressione arteriosa sistolica; PAD: pressione arteriosa diastolica.

Tassi di copertura e frequenza di valori fuori range

La sistematicità con cui il sistema Doctor Plus® Nephro raccoglie le informazioni fornisce l’opportunità di valutare altri due indicatori: i) il tasso di copertura, ossia il rapporto tra il numero di misure raccolte dal sistema e il numero di giorni di permanenza nel sistema (idealmente un tasso di copertura pari al 100% si realizzerebbe se ogni giorno il dato riguardante un certo parametro vitale fosse misurato dal paziente e inviato al centro di raccolta dati); ii) la frequenza di valori fuori range, ossia il rapporto tra il numero di valori “anomali” (che attivano un avviso) e il numero delle misurazioni effettuate. La Figura 2 mostra i tassi di copertura e la frequenza di valori fuori range nella popolazione in studio. Nel complesso, è stata registrata una copertura di circa il 60% dei giorni per quanto riguarda la pressione arteriosa; in media i pazienti hanno misurato la pressione (e inviato i dati a sistema) un po’ più frequentemente di un giorno sì e un giorno no. Un valore del 60% denota una sufficiente diligenza del paziente nel controllare il proprio stato di salute e di aderenza al programma, soprattutto se si considera il dato confrontandolo con la permanenza dei pazienti nel programma e la frequenza quotidiana teorica di rilevazione. Il tasso di anomalie pressorie è risultato molto più elevato per la pressione arteriosa diastolica (PAD) che per la pressione arteriosa sistolica (PAS). Infine, il tasso di misurazione di ossigeno è risultato nettamente più basso rispetto a quello di PAD e PAS. Tuttavia, anche in questo caso una copertura di circa il 21% implica che, mediamente, è stata effettuata almeno una misurazione settimanale.

Tassi di copertura e frequenza di valori fuori range dei principali parametri di monitoraggio.
Figura 2: Tassi di copertura e frequenza di valori fuori range dei principali parametri di monitoraggio. PAS: pressione arteriosa sistolica; PAD: pressione arteriosa diastolica.

Qualità di vita e consumo di risorse

Per N=18 pazienti è stato possibile effettuare una valutazione degli outcome di qualità di vita e di consumo di risorse durante il periodo di osservazione. La Tabella IV fornisce un confronto tra i dati (es. punteggi, numero di ricoveri, etc.) durante la prima visita (effettuata tra il 2017 e il 2018) e l’ultima visita (effettuata tra il 2019 e il 2021). Gli outcome riguardano i questionari di qualità di vita SF-12 (12-Item Short Form Survey) e EQ-5D (EuroQoL, 5 dimensioni), la rilevazione di ricoveri, accessi al pronto soccorso, perdita di produttività, e soddisfazione per il servizio.

È interessante osservare che, nel complesso, i punteggi di qualità di vita si sono mantenuti stabili nel corso del tempo e nessuna delle (modeste) differenze riscontrate su alcuni item è risultata statisticamente significativa. Anche i livelli di soddisfazione del servizio si sono attestati su valori elevati sin dall’inizio (prima visita), e si sono mantenuti tali nel corso degli anni (ultima visita). Si è infine osservato un trend di miglioramento, alla fine dell’osservazione rispetto all’inizio, seppur non significativo, in alcuni outcome, quali ad esempio la percezione dello stato di salute nel questionario EQ-5D, la riduzione degli accessi in pronto soccorso e in ospedale, come anche il numero di giornate lavorative perse per sé o per un proprio familiare, a conferma del fatto che il telemonitoraggio ha un potenziale di ottimizzazione del beneficio per il paziente e risparmio di risorse.

Questionario Domanda Scala N pazienti Valore medio p*
Prima visita Ultima visita
SF12 1 – Stato generale salute Da 1=scadente
a 5=eccellente
18 2,67 2,67 1,00
2 – La salute limita nelle attività di moderato impegno fisico? Da 1=parecchio
a 3=per nulla
18 2,11 2,22 0,54
3 – La salute limita nel salire qualche piano di scale? Da 1=parecchio
a 3= per nulla
18 2,33 2,11 0,10
4 – [ultime 4 sett] Salute fisica limita sul lavoro o nelle attività quotidiane? % pazienti che rispondono “Sì” 18 39% 50% 0,50
5 – [ultime 4 sett] Salute fisica limita alcuni tipi di lavoro o di altre attività? % pazienti che rispondono “Sì” 18 33% 44% 0,49
6 – [ultime 4 sett] Stato emotivo limita sul lavoro o nelle altre attività quotidiane? % pazienti che rispondono “Sì” 18 22% 22% 1,00
7 – [ultime 4 sett] Stato emotivo determina cali di concentrazione sul lavoro o in altre attività? % pazienti che rispondono “Sì” 18 17% 17% 1,00
8 – [ultime 4 sett] Il dolore ostacola il lavoro abituale sia in casa che fuori? Da 1=moltissimo
a 5=per nulla
18 4,39 4,06 0,29
9 – [ultime 4 sett] Per quanto tempo si è sentito calmo e sereno? Da 1=mai
a 6=sempre
18 4,28 3,78 0,15
10 – [ultime 4 sett] Per quanto tempo si è sentito pieno di energia? Da 1=mai
a 6=sempre
18 3,33 3,28 0,89
11 – [ultime 4 sett] Per quanto tempo si è sentito scoraggiato e triste? Da 1=mai
a 6=sempre
18 5,00 5,11 0,77
12 – [ultime 4 sett] Per quanto tempo la salute fisica o lo stato emotivo hanno interferito nelle attività sociali? Da 1=mai
a 5=sempre
18 4,06 4,11 0,86
OSP Grassi – 7 1 – [ultimi 4 mesi] Numero accessi al pronto soccorso o ricoveri

N/accessi

in 4 mesi

18 0,22 0,17 0,67
2 – [ultimi 4 mesi] Numero visite specialistiche NON programmate

N/visite

in 4 mesi

18 0,39 0,17 0,22
3 – [ultimi 4 mesi] Numero giorni lavorativi persi (paziente o caregiver)

N/giorni

in 4 mesi

18 2,67 2,06 0,29
4 – Soddisfazione del servizio di monitoraggio della sua patologia Da 1=non soddisfatto
a 5=moltissimo
18 4,22 3,94 0,17
5 – Quanto sarebbe soddisfatto di continuare con l’attuale forma di trattamento? Da 1=non soddisfatto
a 5=moltissimo
18 4,50 4,50 1,00
6 – Raccomanderebbe la sua forma di trattamento? % pazienti che rispondono “Sì” 18 94% 94% 1,00
7 – Quanto la rassicura sapere di poter contare
sul Centro Servizi?
Da 1=non mi rassicura
a 5=moltissimo
18 4,67 4,56 0,50
EQ-5D 1 – Attuale livello di gravità riguardo la mobilità Da 1=molto grave
a 3=nessuno
18 2,94 2,94 1,00
2 – Attuale livello di gravità riguardo la cura personale Da 1=molto grave
a 3=nessuno
18 2,94 2,94 1,00
3 – Attuale livello di gravità riguardo le attività usuali? Da 1=molto grave
a 3=nessuno
18 2,89 2,89 1,00
4 – Attuale livello di gravità riguardo il dolore o disagio? Da 1=molto grave
a 3=nessuno
18 2,72 2,78 0,67
5 – Attuale livello di gravità riguardo l’ansia o la depressione? Da 1=molto grave
a 3=nessuno
18 2,89 2,94 0,58
 6 – Da una scala da 0 a 100, attualmente come percepisce il suo stato di salute? Da 0=peggiore
a 100=migliore
18 69,9 78,7 0,07
Doctor Plus Nephro-7 1 – [ultimi 4 mesi] Numero accessi al pronto soccorso o ricoveri N/accessi in 4 mesi 18 0,28 0,06 0,26
2 – [ultimi 4 mesi] Numero visite specialistiche NON programmate N/visite in 4 mesi 17 0,00 0,06 0,33
3 – [ultimi 4 mesi] Numero giorni lavorativi persi (paziente o caregiver) N/giorni in 4 mesi 17 1,94 0,00 0,16
4 – Soddisfazione del servizio di monitoraggio della sua patologia Da 1=non soddisfatto
a 5=moltissimo
18 3,94 3,94 1,00
5 – Quanto sarebbe soddisfatto di continuare con l’attuale forma di trattamento? Da 1=non soddisfatto
a 5=moltissimo
18 4,11 4,11 1,00
6 – Raccomanderebbe la sua forma di trattamento ad altri? % pazienti che rispondono “Sì” 18 100% 100% 1,00
7 – Quanto la rassicura sapere di poter contare sul Centro Servizi? Da 1=non mi rassicura
a 5=moltissimo
18 3,94 3,83 0,54
Tabella IV: Confronto degli outcome di qualità di vita, soddisfazione del servizio e consumo di risorse, tra la prima e l’ultima visita.
*t-test per dati appaiati per i punteggi numerici; test delle proporzioni per dati binari (sì/no).
EQ-5D, EuroQoL 5 dimensioni; SF, 12-Item Short Form Survey.

Benefici attribuibili al servizio di videochiamata

Un sottogruppo di pazienti inseriti nel programma Doctor Plus® Nephro (N=16) ha beneficiato, nell’arco temporale compreso tra luglio 2020 e gennaio 2022, in occasione della pandemia COVID-19, di un servizio di videovisita attraverso una videochiamata a integrazione del piano convenzionale di monitoraggio. Per questo sottogruppo di pazienti, è stato possibile effettuare un confronto tra il periodo precedente all’implementazione del servizio e quello successivo, per una serie di indicatori, tra cui: i) qualità di vita (misurata con questionario EQ-5D e percezione dello stato di salute con scala analogico-visuale, VAS); ii) consumo di risorse sanitarie (accessi al pronto soccorso, ricoveri e visite specialistiche non programmate negli ultimi 4 mesi) iii) perdita di giorni lavorativi negli ultimi 4 mesi; iv) livello di soddisfazione del servizio.

Dai risultati delle analisi preliminari, è emersa una sostanziale sovrapponibilità tra il periodo precedente e successivo all’implementazione della videochiamata per quanto riguarda la qualità di vita e per il livello di soddisfazione del servizio. Tuttavia, sono stati registrati dei trend interessanti per quanto attiene gli altri indicatori. Ad esempio, il punteggio VAS associato allo stato di salute è aumentato nel periodo di video-visita (81,1 su 100), rispetto al periodo precedente (70,0). Al contrario, il tasso di accesso a pronto soccorso e di ricovero è risultato inferiore nel periodo di video-visita (0,07 episodi in 4 mesi), rispetto al periodo precedente (0,5 episodi in 4 mesi). Infine, il numero di giornate lavorative perse è risultato nullo nel periodo di video-visita (0 giorni lavorativi persi in 4 mesi) rispetto al periodo precedente (3,6 giorni lavorativi persi in 4 mesi). In definitiva, pur essendo questi risultati preliminari, basati su una casistica piuttosto limitata, e non idonei a un confronto statistico vero e proprio, vanno tutti nella direzione di un potenziale vantaggio per la salute del paziente e per la riduzione dei costi di gestione della malattia acuta.

 

Discussione

La presente analisi costituisce un aggiornamento di una prima indagine, condotta nel 2020 [23]. Rispetto alla precedente analisi, è stata considerata una casistica più grande e un orizzonte temporale più ampio. L’ulteriore novità di questa analisi è rappresentata dall’opportunità di aver testato, sebbene in modo preliminare, l’impatto della televisita sulla qualità di vita del paziente e sui costi diretti e indiretti. Sebbene la maggior parte delle analisi non siano comparative (rispetto, per esempio, a un gruppo di non intervento), è ugualmente possibile trarre delle importanti conclusioni: i) un programma di monitoraggio remoto come Doctor Plus® Nephro consente un efficiente controllo dei pazienti in dialisi domiciliare; ii) i risultati osservati sono in linea con una serie di studi osservazionali che hanno confermato la fattibilità di implementazione e i benefici di questi programmi [2428].

Nella presente analisi, sono stati monitorati i parametri vitali di pazienti sino a un massimo di circa 5 anni. I risultati mostrano che i profili dei parametri monitorati sono molto stabili nel tempo, con valori medi centrati sulla normalità e una frequenza delle oscillazioni rispetto ai valori medi piuttosto contenuta, a testimonianza del fatto che, nel caso di un’anomalia (ad esempio un aumento ponderale, oppure un picco pressorio), il sistema attiva una serie di interventi che raggiungono il paziente in maniera precoce. Questa tempestività garantisce un ottimale stato di salute del paziente, che allo stesso tempo si sente rassicurato, vicino al proprio medico curante, e pertanto incentivato a continuare il suo percorso di dialisi domiciliare.

In totale, il sistema ha rilasciato poco meno di 2 avvisi per paziente/giorno. Se escludiamo gli avvisi di mancata misurazione, sicuramente importanti, ma non necessariamente associabili a un peggioramento delle condizioni di salute del paziente, il sistema ha rilasciato 0,73 avvisi per paziente/giorno, che equivale, approssimativamente, a circa 5 segnalazioni in una settimana. Un sistema così presente è capace di intercettare anche minime variazioni dei parametri vitali e innescare una cascata di interventi che possono contenere il problema di salute in maniera tempestiva, riducendo così il rischio di accadimento di episodi più severi, da gestire in un setting acuto ospedaliero.

In aggiunta, i dati di soddisfazione per il servizio e di qualità di vita riportata dai pazienti certificano la bontà del programma, che incontra i bisogni dei pazienti dializzati. In questo contesto, il servizio di televisita, oltre ad avere incontrato i bisogni dei pazienti, sembra aver consentito un risparmio sia in termini di costi diretti (riduzione degli accessi alle strutture ospedaliere per potenziali complicanze), che di costi indiretti (riduzione del numero di giorni di lavoro persi dai pazienti o dai caregiver per recarsi verso il luogo di cura).

Nella sua semplicità, questa analisi offre dati sugli effetti del monitoraggio, quali il miglioramento della qualità di vita dei pazienti, e il potenziale contenimento dei costi. Tali dimensioni sono cruciali per garantire l’efficienza di un programma come Doctor Plus® Nephro, ma non sono gli unici vantaggi di sistema, come evidenziato in maniera esaustiva in altre pubblicazioni [29]. Se potenziati e affinati, i programmi di monitoraggio remoto possono consentire la realizzazione di vere e proprie piattaforme educazionali che mantengono il paziente informato sulle possibilità di cura e motivato a continuare la terapia. Questi programmi incontrano poi l’obiettivo decennale del Servizio Sanitario Italiano, solo parzialmente raggiunto, di transizione di gestione della cronicità dall’ospedale al territorio attraverso una maggiore capacità di raggiungere il paziente, piuttosto che richiedergli di raggiungere il luogo di cura. Questo obiettivo, storicamente perseguito “a macchia di leopardo” dalle amministrazioni sanitarie, è tornato, in epoca COVID-19, a essere una delle sfide più importanti in Sanità.

In ultimo, la possibilità di utilizzare l’enorme mole di dati longitudinali creando delle vere e proprie banche dati utili per indagini di outcome (compliance alle terapie croniche, analisi di outcome, etc.) con uno sforzo relativamente modesto (ormai diversi sistemi sono dotati di connettività – ad esempio Bluetooth) consente di ridurre il problema di dover trasferire dati manualmente, riducendo così anche l’errore di data entry.

 

Conclusioni

Alla luce dei risultati ottenuti, possiamo ritenere che il telemonitoraggio, e in particolare il servizio Doctor Plus® Nephro, sia uno strumento utile per un Centro di Nefrologia nel gestire i pazienti in dialisi domiciliare e possa essere di supporto per affrontare con maggiore consapevolezza e serenità il trattamento domiciliare, migliorando la soddisfazione dei pazienti e dei loro caregiver, in aggiunta ai risultati clinici e sociali.

 

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Efficacia della dialisi sostenuta a bassa efficienza nella gestione dell’intossicazione da topiramato: caso clinico

Abstract

Le linee guida sull’uso del trattamento dialitico nei pazienti con malattia renale cronica (CKD) e intossicazione da TPM (topiramato) sono controverse. Un uomo di 51 anni con anamnesi di epilessia e CKD è stato condotto presso il nostro pronto soccorso per disuria e malessere. In terapia assumeva TPM 100 mg 3/die. Il livello di creatinina all’ingresso era di 2,1 mg/dL, l’azoto ureico nel sangue di 70 mg/dL e gli indici di infiammazione erano aumentati. Abbiamo iniziato una terapia antibiotica empirica e la reidratazione. Il giorno successivo presentava diarrea e insorgenza acuta di vertigini, confusione e riduzione dei livelli di bicarbonatemia. La TC cerebrale risultava negativa per eventi acuti. Durante la notte il suo stato mentale peggiorava, l’output urinario risultava di circa 200 mL in 12 ore. L’EEG evidenziava un’attività bioelettrica cerebrale desincronizzata. Successivamente, il paziente presentava convulsioni e poi comparsa di anuria, instabilità emodinamica e perdita di coscienza. Il valore della creatinina era di 5,39 mg/dL con una grave acidosi metabolica. Abbiamo deciso di iniziare un’emo-diafiltrazione a bassa efficienza sostenuta di 6 ore (SLE-HDF). Dopo 4 ore abbiamo assistito al recupero di coscienza e successivamente al miglioramento della funzione renale. I livelli di TPM prima della SLE-HDF risultavano pari a 123,1 µg/ml. Al termine del trattamento pari a 30 µg/mL. In letteratura, questa è la prima segnalazione di intossicazione involontaria da TPM, in un paziente affetto da CKD, sopravvissuto a una concentrazione così elevata, trattata con terapia sostitutiva renale. La SLE-HDF ha portato a una moderata eliminazione del TPM e alla risoluzione dell’acidemia, garantendo il continuo monitoraggio dei parametri vitali del paziente in relazione alla sua instabilità emodinamica.

Parole chiave: intossicazione, SLED, emodialisi, acidosi metabolica, cvvh

Introduction

Topiramate (TPM) is an anticonvulsant agent indicated according to American Academy of Neurology (AAN) guidelines as an adjunct therapy for the treatment of focal and mixed seizures, Lennox-Gastaut syndrome, and as monotherapy for refractory generalized tonic-clonic seizures in adults and children. At steady-state concentration, renal clearance of this drug is 1.02 L/h and its elimination half-life (T1/2) varies from 20 to 30 h. In all species, TPM is predominantly excreted unchanged in the urine [1].

Guidelines on the use of dialysis treatment in patients with chronic kidney disease and topiramate intoxication are controversial. We describe a case of topiramate overdose treated with sustained low-efficiency dialysis (SLED).

 

Case report

A 51-year-old, 93-kg caucasian man with a history of head trauma following a motor vehicle accident with residual aphasia, short-term memory impairment, and epilepsy was carried to our emergency department for dysuria and sickness, arising three days ago. He was also affected by chronic kidney disease (CKD) but he didn’t have any documentation to stage CKD itself, dyslipidemia, and hypothyroidism. He chronically assumed Levothyroxine, Oxcarbazepine, Topiramate 100 mg 3 times a day, and Clobazam. The patient was asymptomatic, alert, and oriented in all spheres. His vital signs were stable, with a temperature of 37° C, blood pressure was 133/70 mmHg, pulse of 90 bpm, and respiratory rate of 18 breaths per minute.

Laboratory tests drawn in the emergency room revealed a creatinine level of 2,1 mg/dL, blood urea nitrogen 70 mg/dL; increased inflammation indexes and white blood cell count. Serum electrolytes and liver function tests were within normal range. The blood gas test revealed metabolic acidosis with pH 7.31; HCO3 21 mEq/L and pCO2 level 40 mmHg. We started at the time of admission empirical therapy with Piperacillin/Tazobactam and rehydration therapy. The day after admission (day 1) he had three episodes of diarrhea and acute insurgence of dizziness, fatigue, nervousness, confusion, and depression associated with a reduction of bicarbonate levels. Urinary output was about 1200 mL/24h. Brain CT without contrast was performed and resulted negative for hemorrhage or ischemic areas.

He had taken routine therapy. During the night between day 1 and day 2 his mental status worsened, he began to have blunted mental reactions, slow responses, and disorientation; urinary output resulted in about 200 mL from evening to morning. We performed an electroencephalogram (EEG) that showed desynchronized brain bioelectric activity. In the following hours, there was an episode of seizure and subsequent rapid deterioration of clinical condition with anuria, hemodynamic instability (BP 85/40 mmHg), despite hydration therapy, and loss of consciousness. The blood test revealed creatinine value 5.39 mg/dL, blood urea nitrogen 220 mg/dL, normal serum electrolytes but a serious metabolic acidosis non-anion gap with pH 7.1 and HCO3 10 mmol/L, Lac 1.5. Urine toxicology screening (on day 2) for amphetamines, barbiturates, tetrahydrocannabinol (THC), cocaine, opiates, and alcohol was negative.

We were waiting for topiramate serum values, assuming intoxication, but in view of the rapid deterioration and loss of consciousness, we decided to start 6-hour Sustained Low-Efficiency Hemo-Dia-Filtration (SLE-HDF). The basic dialysis schedule was 10 hours, with 2 L/hour of dialysate for our patient based on his weight, half in post-convention and half in diffusion, for a total of 20 L per session. The replacement fluid had the following composition: calcium 1.75 mmol/L, magnesium 0.5, sodium 140, chlorine 111.5, lactate 3, bicarbonate 32, glucose 6.1. The K content was changed from 2 to 4 mmol/L, depending on the serum potassium value. The monitor was Prysma Gambro-Baxter with semipermeable hollow fiber dialyzer with high biocompatibility. As anticoagulant, low molecular weight heparin in bolus was used as first choice. After 4 hours of treatment, we assisted in the recovery of consciousness without new seizure episodes and in the following days a complete recovery of urinary output and improvement of kidney function without other hemodialysis sessions. Topiramate serum concentration before SLE-HDF resulted in 123.1 µg/mL (measured by liquid chromatography-mass spectrometry). Topiramate blood level was repeated at the end of treatment, after the patient’s stabilization, and resulted in 30 µg/mL. At discharge, the patient was awake, alert, and fully oriented and he followed his therapy with Topiramate 100 mg 2 tablets a day. The patient after six months has eGFR 53.1 mL/min per 1.73m2 and has had no further seizures.

 

Discussion

Topiramate, a second-generation broad-spectrum antiepileptic drug (AED) is approved as monotherapy or adjunctive therapy for the prevention of different types of epileptic seizures in both adults and children. It acts by blocking neuronal voltage-dependent sodium channels, enhancing gamma-aminobutyric acid (GABA) A activity and antagonizing alpha amino-3-hydroxy-5-methyl-4-isoxazolepropionic acid (AMPA)/kainite glutamate receptors [2].

There were few cases in the literature about topiramate intoxications. Five cases were reported during clinical trials and adverse reactions included mental status changes, ataxia, memory lapses, seizures, and hyperreflexia. In literature were reported accidental TPM overdoses in children, a case of intentional overdoses in an adolescent, and another for suicide purposes [3].

Lofton et al., have described cases, due to the data provided in the Toxic Exposure Surveillance System in the United States in 2000-2001. The 567 patients described who had no prior treatment with topiramate were significantly more likely to present toxicity [4]. Also, in the therapeutic clinical trials, adverse events such as anorexia, fatigue, nervousness, concentration difficulties, aggression, psychomotor slowing, and paresthesia occurred more often during initiation of therapy and after rapid dose escalation. Chung et al. have described a patient who ingested 800 mg of topiramate and developed coma, followed by agitation, confusion, speech perseveration, and mood lability [5]. On the other hand, Smith et al. have described a case of a 24-year-old woman, treated with topiramate 200 mg/day, who had ingested 4000 mg and presented no symptoms [6].

To our knowledge, this is the first report of topiramate involuntary intoxication in a patient affected by CKD, who survived such a high TPM concentration treated with renal replacement therapy. TPM concentrations were mostly considerably lower in data provided by Smith et al. or not measured or not reported, respectively.

Supuran et al. reported that Topiramate is a potent inhibitor especially against carbonic anhydrase-II, but also Carbonic anhydrase-XIII, and a medium potency inhibitor of Carbonic anhydrase-IV. Because of its activity, it can impair H+ excretion and HCO3- absorption in the proximal convoluted tubule, leading to increased delivery of HCO3- in the distal portion of the nephron, and can result in the development of type 2 renal tubular acidosis, normal anion gap metabolic acidosis, and nephrolithiasis as side effects from its use [7]. Our patient on admission had metabolic acidosis non-anion gap, probably related to topiramate assumption. In our report, we show a rapid metabolic acidosis worsening, probably related to increased topiramate circulating levels associated with the worsening of renal function. Metabolic acidosis observed in other described cases was usually mild to moderate and did not influence the clinical outcome [8].

The 2022 core curriculum on the management of poisonings and intoxications does not specifically address topiramate, but experts say that delayed treatment of intoxication or poisoning inevitably results in worse outcomes. Therefore, some experts recommend early treatment when there is a strong suspicion or there is unexplained metabolic acidosis [9]. However, in the literature, there is no strong evidence recommending renal replacement therapy in topiramate intoxication. In many cases, osmotic agents such as sorbitol and activated charcoal can enhance drug removal. However, activated charcoal has not been shown to absorb topiramate in vitro, and therefore, is not recommended for use in topiramate overdose [10].

The data in literature based on pharmacokinetic studies suggest that clearance of topiramate is reduced by 42% in patients with moderate renal impairment (CLCr=30-69 mL/min) and 54% in patients with severe renal impairment (CLCr < 30 mL/min). In fact, in patients with clearance < 70 mL/min, the prescribed dose is half of that of a patient without renal failure. The elimination half-life for topiramate in individuals with normal renal capacity ranges between 20-30 h [11]. As expected, decreased renal function can alter the pharmacokinetics of topiramate elimination. Plasma concentrations are significantly affected by hemodialysis with clearance rates 4-6 times faster.

During a 3 h hemodialysis, plasma topiramate concentrations dropped by approximately 50%.  The amount of topiramate removed by dialysis over 3 h (18.7 mg) represents a substantial fraction of the amount remaining in the body at the beginning of the hemodialysis procedure [12].

Plasma topiramate concentrations declined rapidly and substantially during the hemodialysis procedure. These rapid changes in plasma concentrations should be avoided in patients with epilepsy as described by Manitpisitkul et al [13].

To overcome this, and also in order to replace the amount of topiramate removed during the hemodialysis procedure, a supplemental dose (or doses) of topiramate at the time of hemodialysis is necessary.

Our patient presented with hemodynamic instability, typical deficit symptomatology as “thinking abnormal”. Moreover, the worsening of symptoms occurred within less than 24 hours of hospital admission, and in view of the fact that topiramate has a small molecular size (molecular weight 339.4 Da), a volume distribution reflecting the distribution of total body water (0.6-0.8 L/kg), very low protein binding (9-17%), and is mainly eliminated renally (~60%), we opted for 6 hours Sustained Low-Efficiency Hemo-Dia-Filtration treatment.

SLED resulted in moderate elimination of topiramate and resolution of acidemia. It was assumed that the clearance of topiramate in this case was greater than that reported for continuous renal replacement therapy (CRRT), but lower than that of intermittent hemodialysis (IHD). SLED was chosen to ensure better and continuous monitoring of the patient’s vital parameters in relation to his hemodynamic instability, since blood flow and dialysate flow are lower. In addition, our patient did not require drug additional doses after treatment with complete consciousness and renal function recovery.

 

Conclusion

To our knowledge, this is the first case of a patient affected by CKD who survived topiramate intoxication, with rapidly worsening renal function, metabolic acidosis, and hemodynamic instability. We propose sustained low-efficiency hemodiafiltration (SLE-HDF) which has assured us of subsequent recovery of renal function and improvement of consciousness.

 

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Studio trombofilico nei pazienti dializzati

Abstract

La malattia renale cronica è un fenotipo complesso che risulta dall’associazione di malattie renali sottostanti e di fattori ambientali e genetici. In aggiunta ai tradizionali fattori di rischio, nell’eziologia della malattia renale sono coinvolti fattori genetici tra cui i polimorfismi dei singoli nucleotidi che potrebbero giustificare l’aumentata mortalità per patologia cardiovascolare dei nostri pazienti emodializzati. I geni che influenzano lo sviluppo e la velocità di progressione della malattia renale meritano di essere definiti meglio. Noi abbiamo valutato le alterazioni dei geni della trombofilia nei pazienti emodializzati e nei soggetti donatori di sangue e abbiamo messo a confronto i risultati ottenuti. L’obiettivo del presente studio è quello di identificare dei biomarker di morbidità e di mortalità, che ci consentano di individuare i pazienti con malattia renale cronica ad alto rischio, grazie ai quali è possibile mettere in atto delle accurate strategie terapeutiche e delle strategie preventive che abbiano l’obiettivo di intensificare i controlli in questi pazienti.

Parole chiave: Polimorfismi dei singoli nucleotidi, pannel trombofilico, biomarker di mortalità, scienze omiche, malattia renale cronica, emodialisi

Introduzione

La malattia renale cronica è definita come una progressiva ed irreversibile perdita della funzione renale, evidenziata con un GFR stimato al di sotto di 60 ml/min/1,73 m2, con la persistente presenza di manifestazioni che sono suggestive di danno renale (proteinuria, sedimento urinario attivo, danni istologici, anormalità strutturali o storia di trapianto renale) o con entrambi, presenti da più di tre mesi [1].

La malattia renale cronica è da sempre considerata un problema di salute pubblica mondiale che richiede un’importante assistenza e significativi oneri economici. È noto che ad una riduzione del GFR fa seguito un incremento degli eventi cardiovascolari, delle ospedalizzazioni e complessivamente della mortalità [2]. La prevalenza della malattia renale cronica varia a seconda delle aree geografiche e per lo più varia tra il 10% e il 20 %, percentuale che aumenta gradualmente soprattutto nei paesi sviluppati [3, 4]. Questo trend potrebbe essere attribuito all’aumentato invecchiamento della popolazione a livello globale [5], oltre che all’incremento di patologie come il diabete mellito, l’ipertensione e l’obesità [6].

Nonostante i miglioramenti tecnologici in ambito dialitico, il tasso di mortalità dei pazienti in emodialisi è molto alto, soprattutto a causa delle patologie cardiovascolari, ma non solo [7]. Recenti studi dimostrano che i fattori genetici come i polimorfismi dei singoli nucleotidi influenzano significativamente la risposta immune, i livelli dei markers infiammatori, così come la prevalenza dell’aterosclerosi in questo gruppo di pazienti [8].

 

Ruolo dei polimorfismi dei singoli nucleotidi

Come accade in altre patologie multifattoriali, anche i fattori genetici sono coinvolti nella patogenesi della malattia renale. In questo contesto sono stati individuati, nei soggetti in emodialisi, diversi polimorfismi di singoli nucleotidi (SNPs), caratterizzati dalla variazione di una singola coppia di basi nella sequenza del DNA e alcuni studi hanno dimostrato l’influenza di questi SNPs sul rischio cardiovascolare nei pazienti in emodialisi [9].

Le scienze omiche, negli anni, stanno cominciando a dare grandi risultati. Queste sono discipline che permettono di indagare le diverse classi di componenti biologiche e comprendono la genomica, ovvero lo studio dell’intero set di geni, la trascrittomica o lo studio dei livelli di mRNA, la proteomica, ovvero lo studio della traduzione proteica e la metabolomica o lo studio dell’insieme dei metaboliti [10]. La genomica e lo studio dei polimorfismi dei singoli nucleotidi sono utili nella diagnosi di condizioni predisponenti a fatali eventi tromboembolici e nel determinismo di varianti genetiche correlate alla morte improvvisa come ad esempio la sindrome correlata all’allungamento congenito del tratto QT [11, 12]. I polimorfismi dei singoli nucleotidi possono interessare le regioni non codificanti che alterano la regione del promoter, introni o la sequenza trailer che si trova a valle della sequenza codificante, oppure possono interessare le regioni codificanti ed in questo caso alterano la sequenza degli esoni.

 

Materiali e metodi

Sono stati arruolati 31 pazienti in trattamento emodialitico (di cui 21 di sesso maschile e 10 di sesso femminile) e 31 soggetti donatori di sangue (di cui 22 soggetti di sesso maschile e 9 di sesso femminile). Nei nostri pazienti dializzati abbiamo riscontrato un aumento dei valori di omocisteina nel 75 % dei casi (23 pazienti su 31); questo dato lo abbiamo messo in relazione alla tipologia di filtro utilizzato e alla metodica dialitica usata. Altresì abbiamo riscontrato un aumento dei valori medi della mioglobina a prescindere dal filtro e dalla metodica utilizzati e valori di catene k/λ quasi sempre nel range di normalità (Tabella 1). Considerando che l’iperomocisteinemia spesso è associata a mutazioni del gene MTHFR abbiamo analizzato in questi pazienti i geni del pattern trombofilico riscontrando delle anomalie rispetto ai soggetti donatori.

  AN 69 ST1,6/1,6

AFBK

n. pz 6

Helixone

Plus/1,8

HDF online

n. pz 8

Poliariletersulfone

400/1,7

HD

n. pz 2

Helixone plus/2,2

HDF online

n. pz 3

Polynephron

19 H/1,9

HDF online

n. pz 6

Polynephron 17 H/1,7

HDF online

n. pz 3

Polynephron 21 H/2,1

HDF online

  n. 1 pz

AN 69

ST 2,2/2,2

AFBK

n. 2 pz

OMOCISTEINA

(vn 15-30)

(min-max)

34,6

 

(9-58)

53,8

 

(22-96)

29,5

 

(22-37)

34,3

 

(19-53)

56

 

(26-100)

52

 

(39-76)

15 34,5

 

(9-60)

MIOGLOBINA

(vn 25-72)

(min-max)

149,2

 

(86,7-306)

216,2

 

(142-385)

272

 

(173-371)

120,3

 

(115-126)

280,1

 

(203-363)

112

 

(85-137)

136 220,5

 

(143-298)

Catene kappa/lamda

(vn<1350/723)

Catene K (min-max)

Catene λ (min-max)

847,5/594

 

(630-1570)

(363-1070)

1052/534

 

(545-1720)

(257-785)

1181/571

 

(832-1530)

(400-742)

828/512,3

 

(792-889)

(443-637)

750,6/434,6

 

(458-1080)

(251-734)

667/362,3

 

(375-960)

(160-481)

1080/911 813,5/358,5

 

(743-884)

(252-465)

Tabella 1: Valori medi di omocisteina, mioglobina e catene k/λ nei pazienti dializzati.

 

Risultati dello studio

Abbiamo esaminato le principali mutazioni e polimorfismi interessanti i geni dei fattori della coagulazione (Fattore V, Fattore II e Fattore XIII) (Grafico 1), della metilentetraidrofolato reduttasi (MTHFR) (Grafico 2) e della cistationina beta-sintetasi (CBS) di cui non si è registrata nessuna mutazione, della Glicoproteina IIIa piastrinica (GP IIIa) dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) e dell’apolipoproteina E per i quali emergono dati sovrapponibili tra i due gruppi di pazienti, dell’inibitore dell’attivazione del plasminogeno (PAI-1) dell’angiotensinogeno (AGT) del recettore dell’angiotensina II (ATR-1) e del Beta Fibrinogeno (FGB) (Grafico 3), in 31 pazienti emodializzati e i risultati sono stati messi a confronto con 31 soggetti donatori.

La tecnica utilizzata è stata quella dell’amplificazione delle sequenze bersaglio, dopo l’isolamento del DNA, con successiva ibridazione inversa su striscia e rivelazione colorimetrica, ed il kit impiegato è stato il CVD 14.

Grafico 1: Mutazioni dei fattori della coagulazione. 
Grafico 1: Mutazioni dei fattori della coagulazione.

Grafico 2: Mutazioni del gene MTHFR.

Grafico 2: Mutazioni del gene MTHFR.
Grafico 2: Mutazioni del gene MTHFR.

 

Grafico 3: Mutazioni del gene ATR-1, AGT, FGB-455 e PAI 1.
Grafico 3: Mutazioni del gene ATR-1, AGT, FGB-455 e PAI 1.

 

Discussione

Analizzando i dati raccolti è emerso nei dializzati un aumento della variante T del gene AGT. Molti studi hanno dimostrato che mutazioni dei geni RAAS e i loro polimorfismi causano l’insorgenza di una maggiore suscettibilità a svariate malattie come l’ipertensione, il diabete mellito tipo 2, la malattia renale cronica allo stadio terminale [13]. Il gene AGT è considerato uno dei geni componenti di RAAS che include oltre ad AGT anche ACE, ACE2, AGTR1 (recettore tipo 1 dell’angiotensina II), AGTR2 (recettore tipo 2 dell’angiotensina II) e la renina (REN) [14]. Questo gene consiste di 4 introni e cinque esoni che sono localizzati sul braccio lungo del cromosoma 1. Come parte di RAAS codifica per 485 aminoacidi. Sono stati studiati due missense SNP del gene AGT (SNPs; l’rs699, Met268Thr ovvero M268T e l’rs4762, Thr207Met ovvero T207M) [15]. L’rs699 (M268T) precedentemente noto come M235T è un missense polimorfismo sull’esone 2 che codifica per la variante treonina (l’aminoacido metionina è sostituito dall’aminoacido treonina nella posizione 235) che è associata ad aumentati livelli di angiotensinogeno.

Recentemente è stata indagata, per dimostrarne il coinvolgimento nell’ESRD, la relazione tra il polimorfismo dei geni RAAS (determinante un’aumentata concentrazione dell’angiotensinogeno) e l’insufficienza renale cronica allo stadio terminale [16]. A causa dell’aumentata attività di RAAS, dopo l’induzione dell’angiotensina II iniziano la vasocostrizione e la sintesi dell’aldosterone che portano all’espansione del volume plasmatico e all’ipertensione. Il RAAS è sempre stato fortemente implicato nella patogenesi dell’ipertensione essenziale, delle patologie cardiovascolari e dell’insufficienza renale progressiva. RAAS gioca un ruolo centrale nella regolazione della pressione arteriosa, del metabolismo del sodio e dell’emodinamica renale, con le sue azioni mediate principalmente dall’angiotensina II [17]. L’angiotensina II può influenzare anche il metabolismo del glucosio attraverso dei meccanismi a cascata che interessano l’attivazione del segnale insulinico, l’adipogenesi, la circolazione sanguigna e lo stress ossidativo [18]. L’angiotensina II svolge un importante ruolo nei processi di rimodellamento tissutale, promuovendo la sintesi e la deposizione delle proteine della matrice extracellulare in diversi organi come il cuore, i vasi ed il rene, favorendo la fibrosi a sua volta responsabile del danno d’organo cardiovascolare e renale [19, 20].

Recenti studi hanno dimostrato la correlazione tra la presenza della variante rs699 del gene AGT con la cardiopatia ischemica [21] e l’arteriopatia periferica [22]. Alcuni studi suggeriscono che il polimorfismo M235T (genotipo TT) potrebbe essere un bio-marcatore utile per lo screening degli individui suscettibili all’infarto del miocardio, almeno per quanto riguarda la popolazione asiatica [23]. Studi effettuati su popolazione giapponese [24], cinese [25], italiana [26] e spagnola [27] rivelano una significativa associazione tra M235T e l’infarto del miocardio. Altri studi non hanno osservato tale associazione [28] e ciò potrebbe essere dovuto alle varianti geografiche e all’etnia, oppure perché i gruppi di pazienti selezionati non erano appropriati per gli studi genetici. Il polimorfismo del gene ATR1 (recettore tipo 1 dell’angiotensina II) è stato anch’esso analizzato per spiegare l’associazione con il tasso di progressione della malattia renale. Nei nostri pazienti è stato dimostrato un aumento del polimorfismo dell’ATR1 in eterozigosi A/C.

In letteratura sono presenti alcuni studi che indicano che la presenza dell’allele C polimorfico dell’ATR1 (genotipo AC/CC) potrebbe essere associata a più rapido peggioramento della funzione renale [29]. Altro polimorfismo da noi studiato è quello del gene PAI-1. PAI-1 è una serina proteasi con feedback negativo sulla fibrinolisi grazie al legame con l’attivatore del plasminogeno tissutale (tPA) di cui ne inibisce l’attivazione. Elevati livello di questo inibitore sono stati associati ad un maggior rischio trombotico sia di tipo arterioso (infarto miocardico e malattia coronarica) che venoso (tromboembolismo) specie nei soggetti fumatori ed ipertesi [30]. Il polimorfismo PAI-1 4G/5G è significativamente associato ad alti livelli di omocisteina soprattutto nei giovani pazienti con trombosi del seno venoso cerebrale [31]. Nei nostri pazienti dializzati è stato riscontrato un aumento dei casi del polimorfismo del gene PAI 4G/5G. I pazienti con trombosi hanno principalmente uno squilibrio tra i sistemi di coagulazione e di fibrinolisi e questo squilibrio è spesso attribuito ad alti livelli di espressione e di attività del gene PAI-1 [32]. Il polimorfismo del gene PAI-1 4G/5G è associato ad alti livelli di PAI-1 nel plasma. Diversi studi hanno valutato la relazione tra il polimorfismo PAI-1 4G/5G ed il rischio di trombosi venosa [33]. È stato dimostrato altresì che il polimorfismo 4G/5G del gene PAI-1 potrebbe essere considerato come un fattore che possa portare ad una maggiore suscettibilità al tromboembolismo venoso soprattutto nei pazienti con altri disordini genetici del pattern trombofilico [34].

Il tromboembolismo venoso è la terza maggiore causa di malattie cardiovascolari e di morte e rappresenta un problema sociale e medico rilevante per la sua alta frequenza. Il tromboembolismo venoso può essere prevenuto e trattato; per tale motivo la ricerca dei fattori di rischio è un obiettivo importante [35]. Varianti di geni che determinano un effetto pro-coagulante giocano un ruolo importante in condizioni di ipercoagulabilità. Oltre alle note varianti dei geni con attività protrombotica (fattore V di Leiden, MTHFR C677T) vi sono altre varianti che giocano un ruolo in alcune forme di trombosi venosa che includono il Fattore V H1299R, MTHFR A1298C, Fattore XIII e l’FGB 455 G>A [36].

Nei nostri pazienti dializzati è stato riscontrato anche un aumento del polimorfismo FGB-455 G/A in eterozigosi. Diversi studi hanno dimostrato che tale fattore potrebbe essere un predittore suscettibile di ictus ischemico [37]. Nei nostri pazienti emodializzati è stato riscontrato un aumento anche delle mutazioni a carico del gene MTHFR e la più comune è la mutazione C677T che potrebbe essere responsabile dell’iperomocisteinemia [38]. Vi è una chiara evidenza di iperomocisteinemia e mortalità cardiovascolare ed eventi aterotrombotici in pazienti in emodialisi [39, 40]. La malattia renale cronica rappresenta un fattore di rischio accertato per tromboembolismo (TE) arterioso e venoso. Mentre il rischio di TE risulta essere di 2,5 volte più alto nei pazienti con IRC moderata, non in dialisi, rispetto alla popolazione normale, il rischio aumenta di 5,5 volte nei pazienti con severa insufficienza renale [41]. Le complicanze trombotiche sono descritte in più del 25% dei pazienti che si sottopongono a dialisi [42] e sono a carico soprattutto dell’accesso vascolare che rappresenta l’ancora di salvezza nei pazienti in dialisi ed il suo malfunzionamento è associato ad una incrementata morbidità, mortalità e ad elevati costi. Numerosi studi sono stati pubblicati sull’associazione tra trombofilia acquisita/congenita e complicanze dell’accesso vascolare e i risultati sono stati contrastanti, ovvero alcuni studi hanno suggerito la loro significativa associazione [43], mentre in altri questa associazione non è stata documentata [44, 45]. Nel 2005 Knoll e i suoi collaboratori hanno dimostrato in uno studio prospettico canadese che 107 dei 419 pazienti in emodialisi arruolati hanno sviluppato una trombosi dell’accesso vascolare e la percentuale di trombosi aumentava nei pazienti che avevano di base una condizione di trombofilia [46]. I dati di questo studio sono in linea con i risultati ottenuti da Klamroth in Germania e con quelli documentati su pazienti svedesi [47, 48]. Le discrepanze sono principalmente dovute alla tipologia di studi differenti (retrospettivi versus prospettici), al fatto che questi studi sono stati eseguiti su piccoli campioni di pazienti, all’assenza di gruppi di controllo e al fatto che sono stati condotti su differenti fattori di rischio trombofilici. Sono sicuramente necessari studi di coorte prospettici, multicentrici, ampi, per dimostrare il ruolo della trombofilia nella trombosi dell’accesso vascolare.

Per quanto riguarda lo stato di ipercoagulabilità presente prima del trapianto renale, questa condizione può essere considerata uno dei maggiori fattori di rischio per sviluppare eventi immediati trombotici post-trapianto. Il trapianto renale può correggere con successo uno stato di ipercoagulabilità acquisita nei pazienti in emodialisi. Screening pre-trapianto per i fattori correlati all’ipercoagulabilità sono necessari per prevenire eventi protrombotici post-trapianto e sono raccomandati nei pazienti che hanno in prospettiva la possibilità di essere sottoposti a un trapianto renale [49]. Per concludere, la trombofilia congenita non è da considerare un fattore di rischio per lo sviluppo di trombosi nei pazienti con sindrome nefrosica [50], ma anche a tal riguardo sarebbero necessari ulteriori studi.

 

Conclusioni

Nonostante gli sviluppi e i miglioramenti delle tecniche dialitiche, i pazienti con malattia renale cronica allo stadio terminale continuano ad avere un aumento marcato della morbidità e mortalità cardiovascolare. Recentemente molto interesse è stato focalizzato sul ruolo dei fattori di rischio cardiovascolari non tradizionali come l’infiammazione, le calcificazioni vascolari e lo stress ossidativo. Recenti studi dimostrano che i fattori genetici, come i polimorfismi, possono influenzare significativamente la risposta immune, come anche la prevalenza dell’aterosclerosi in questi pazienti.

Sembra ipotizzabile che nel prossimo futuro test di DNA prognostici o predittivi possano fornire, alla comunità nefrologica, un più preciso approccio terapeutico e possano aiutarci nel mettere in atto delle adeguate strategie preventive. In definitiva, servono dei biomarker di morbidità e mortalità per identificare tempestivamente i pazienti ad alto rischio, perché l’aumentato rischio cardiovascolare dei nostri pazienti dializzati potrebbe essere messo in relazione, in definitiva, ad un insieme di mutazioni genetiche.

 

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Fistola ad alta portata: un problema di non facile gestione

Abstract

Nei pazienti emodializzati con una fistola (FAV) ad alta portata si può sviluppare una insufficienza cardiaca in relazione al notevole aumento del flusso dell’accesso vascolare con conseguente eccessivo carico di lavoro cardiaco, insufficienza cardiaca congestizia ed ipertensione polmonare.
La definizione di “alto flusso” è, però, varia e quasi sempre collegata a fistole prossimali, nelle quali l’emodinamica è influenzata da un flusso sanguigno che supera di gran lunga quello richiesto per l’emodialisi, compromettendo tutta la dinamica circolatoria, in particolare nei soggetti anziani con associata patologia cardiaca.
Un flusso elevato di accesso vascolare è, spesso, associato a complicazioni come insufficienza cardiaca, ipertensione polmonare, fistola aneurismatica, stenosi della vena centrale, sindrome da furto associata alla dialisi o sindrome ischemica da ipoperfusione distale. Sebbene non vi sia un accordo univoco sui valori del volume di flusso della FAV, né sulla definizione di alto flusso, non c’è dubbio che la portata dovrebbe essere considerata troppo alta se si sviluppano segni di insufficienza cardiaca.
La soglia esatta per definire l’accesso vascolare ad alto flusso non è stata convalidata o universalmente accettata dalle linee guida, sebbene sia stato suggerito un valore di portata da 1 a 1,5 l/min.
Inoltre, valori anche più bassi possono essere indicativi di un flusso sanguigno relativamente eccessivo, a seconda delle condizioni del paziente.
La fisiopatologia che contribuisce a questo processo patologico è lo smistamento del sangue dal sistema arterioso ad alta resistenza al sistema venoso a bassa resistenza, aumentando il ritorno venoso fino allo scompenso cardiaco.
È necessaria una diagnosi accurata e tempestiva dell’emodinamica arterovenosa ad alto flusso mediante il monitoraggio del flusso sanguigno della fistola e della funzione cardiaca per interrompere questo processo prima che si manifesti l’insufficienza cardiaca.
Descriviamo la storia di due pazienti portatori di FAV ad alta portata con revisione della letteratura.

Parole chiave: portata FAV, insufficienza cardiaca, accesso vascolare, emodialisi

Introduzione

Una insufficienza cardiaca ad alta gittata può essere la conseguenza di svariate condizioni patologiche quali anemia, sepsi, ipertiroidismo, beri beri. Un’altra causa nota, in alcuni pazienti emodializzati, può essere la presenza di una fistola arterovenosa (FAV) in relazione al notevole aumento del flusso dell’accesso vascolare con conseguente eccessivo carico di lavoro cardiaco, insufficienza cardiaca congestizia ed ipertensione polmonare [13].

Come è ben noto, la sindrome uremica è associata ad un aumento della morbilità e mortalità cardiovascolare; il rischio di morte in un paziente emodializzato con insufficienza cardiaca è del 33%, 46% e 57% rispettivamente a 12, 24 e 36 mesi dopo l’inizio della terapia dialitica secondo i dati del Renal Data System statunitense [4]. Un’insufficienza cardiaca congestizia può manifestarsi nel 25-50% dei pazienti emodializzati, in particolare nei pazienti con “fistola artero-venosa ad alto flusso”.

La definizione di “FAV ad alto flusso” è, però, varia e, quasi sempre, collegata a FAV prossimali, nelle quali l’emodinamica è influenzata da un flusso sanguigno che supera di gran lunga quello richiesto per l’emodialisi, compromettendo tutta la dinamica circolatoria, in particolare nei soggetti anziani [5]. Sebbene una velocità di flusso eccessivamente alta sia associata a conseguenze avverse, la capacità di tollerare un flusso elevato è variabile.

Infatti, nei soggetti giovani può essere tollerato un flusso della fistola a riposo fino a 4 l/min senza alcun effetto negativo sull’emodinamica; anche se va considerato che, durante l’esercizio fisico, la gittata cardiaca può raddoppiare o triplicare e quindi il flusso può raggiungere anche 12 l/min con conseguente sovraccarico cardiaco ed ipertensione polmonare [1, 6].

Il termine di “FAV ad alto flusso” non è utilizzato in modo uniforme per i pazienti con i segni di insufficienza cardiaca (edemi periferici, ascite e ipotensione) o per quelli con un flusso ematico della FAV (Qa) >1500-2000 ml/min o quando il rapporto Qa e gittata cardiaca (GC = CO) è > 30% [7].

La Vascular Access Society definisce come FAV ad alta portata un accesso vascolare con valori di 1000-1500 ml/min ed affianca a tale definizione un ulteriore dato, il “ricircolo cardiopolmonare” (RCP), ossia il rapporto tra il flusso della FAV e la portata cardiaca al fine di valutarne l’impatto emodinamico. Quando tale indice è > 20% si può verificare una condizione di rischio di scompenso ad alto output. La prevalenza di questa condizione non è però ben stabilita, poiché molti casi non vengono segnalati e rimangono misconosciuti [1].

Le linee guida KDOQI [8] sottolineano l’importanza di uno stretto monitoraggio (attento esame fisico e determinazione di RCP) ogni 6-12 mesi (o, più frequentemente, in caso di necessità) per gestire precocemente la FAV con alto flusso, evitando complicazioni gravi o irreversibili, quali insufficienza cardiaca ad alta gittata, ipertensione polmonare, stenosi delle vene centrali, ipertensione venosa, degenerazione aneurismatica della FAV e ischemia della mano. Sebbene la soglia per definire l’accesso ad alto flusso non sia stata rigorosamente convalidata né universalmente accettata, è stata indicato dalle linee guida KDOQI un Qa compreso tra 1 e 1,5 l/min o un Qa > 20% della gittata cardiaca. Le linee guida riservano, inoltre, il termine di “insufficienza cardiaca” solo ai pazienti sintomatici e considerano “precursori dello scompenso cardiaco” alcune alterazioni ecocardiografiche quali la disfunzione diastolica, la dilatazione delle cavità cardiache e lo sviluppo di rigurgito valvolare. Inoltre le linee guida non sono d’accordo riguardo all’indicazione chirurgica della riduzione del flusso nei pazienti asintomatici [911].

Va sottolineato, tuttavia, che c’è un elemento di individualità intrinseco alla definizione di flusso elevato della FAV. Infatti, sintomi legati all’ insufficienza cardiaca congestizia si possono sviluppare a valori di Qa anche inferiori; in particolare nei pazienti con cardiopatia sottostante o comorbilità correlate; pertanto secondo le linee guida potrebbe essere di aiuto l’esecuzione di un ecocardiogramma bidimensionale ogni 6-12 mesi.

Le linee guida spagnole suggeriscono nei casi di Qa > 2000 ml/min e/o nei pazienti con ricircolo cardiopolmonare > 30% la riduzione del flusso della FAV (mediante banding o procedure di rivascolarizzazione come la revisione dell’afflusso distale o RUDI) al fine di ridurre il rischio di insufficienza cardiaca ad alta gittata [12].

Le linee guida della Società Europea di Chirurgia Vascolare raccomandano per i pazienti emodializzati con un Qa > di 1500 ml/min un regolare monitoraggio mediante misurazioni del flusso, ecocardiografia e valutazione dei segni clinici di insufficienza cardiaca [13].

È un aspetto di cruciale importanza dell’assistenza al paziente emodializzato fare una diagnosi accurata e precoce della FAV ad alto flusso ed, inoltre, selezionare le procedure più idonee per trattare questa condizione patologica e le sue complicanze; infatti l’insufficienza cardiaca, come evidenziato in letteratura, è potenzialmente reversibile con la riduzione della portata e/o con la chiusura della FAV, sia spontanea per trombosi, che chirurgica dopo trapianto di rene [14, 15].

Nel presente lavoro descriviamo la storia di due pazienti portatori di FAV ad alta portata con revisione della letteratura.

 

Caso clinico 1

Uomo di 45 anni sottoposto a trapianto di rene da donatore cadavere. Dopo rigetto cronico, all’età di 55 anni riprendeva il trattamento emodialitico, utilizzando come accesso vascolare una FAV radio-cefalica sx prossimalizzata, mantenuta pervia, contro il parere dei sanitari, durante tutta la durata (10 anni) di funzionalità del graft.

Alla presa in carico presso il nostro centro, il paziente si presentava asintomatico e con valori di pressione arteriosa nella norma, l’esame obiettivo metteva in evidenza una FAV molto sviluppata con un enorme aneurisma. L’indagine con ecocolordoppler mostrava una dilatazione aneurismatica post-anastomotica a pareti indenni da lesioni; il calcolo della portata risultava di 10 l/min (eseguito in modo automatico dall’ecografo attraverso l’impostazione di 2 parametri: diametro dell’arteria omerale in B-Mode e velocità media calcolata sempre sullo stesso vaso a circa 2 cm dalla piega del gomito secondo le indicazioni delle linee guida) (Fig. 1).

FAV con portata di 10 l/min. 
Figura 1: FAV con portata di 10 l/min.  I parametri necessari per il calcolo della portata della FAV sono: diametro del vaso (arteria omerale) e velocità media del sangue.  Flusso (ml/min) = Area × Velocità media × 60, dove per area si intende l’area di sezione del vaso (cm²) e la velocità media è quella dei globuli rossi (cm/sec) ricavata dal tracciato Doppler nella sede in cui viene misurata l’area del vaso.

L’ecocardiogramma evidenziava ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro, dilatazione biatriale, FE pari al 50% e assenza di ipertensione polmonare. Il paziente, dopo un breve periodo in cui è stato sottoposto a stretto monitoraggio, ha finalmente dato il suo consenso al trattamento chirurgico di riduzione dell’aneurisma e della portata della FAV, come concordato dal nefrologo e dal chirurgo vascolare.

Dopo anestesia plessica con carbocaina, è stata eseguita una flebografia dell’arto, tramite venopuntura della vena cefalica arterializzata, per valutare l’eventuale presenza di una stenosi dei vasi venosi centrali, non evidenziabile all’indagine ecocolordoppler. L’esame risultava negativo per stenosi. Pertanto, si procedeva con incisione longitudinale al terzo prossimale-medio dell’avambraccio, veniva isolata l’anastomosi ed il primo tratto del versante venoso dove era presente l’aneurisma (Fig. 2).

Aneurisma in FAV ad alta portata
Figura 2: Aneurisma in FAV ad alta portata. Dopo incisura al terzo prossimale-medio dell’avambraccio è ben visibile l’aneurisma a livello del primo tratto del versante venoso.

Dopo clampaggio dei vasi, è stata eseguita una venotomia longitudinale di circa 8 cm fino all’anastomosi (Fig. 3).

FAV prossimale ad alta portata.
Figura 3: FAV prossimale ad alta portata. Apertura della sacca aneurismatica.

La parete in eccesso della sacca aneurismatica veniva rimossa (Fig. 4), si procedeva a chiusura della parete con sutura continua e riduzione dell’anastomosi stessa (Fig. 5).

FAV prossimale ad alta portata.
Figura 4: FAV prossimale ad alta portata. Resezione con riduzione dell’aneurisma.
Termine intervento dopo aneurismectomia e riduzione del diametro dell’anastomosi.
Figura 5: Termine intervento dopo aneurismectomia e riduzione del diametro dell’anastomosi. Portata FAV attuale circa 2,0 l/min.

Al termine, la portata della FAV, intraoperatoria, si attestava a circa 2,0 l/min. A distanza di circa 8 mesi, il follow-up ecografico confermava la stabilità della portata della FAV (Fig. 6).

Portata FAV post-intervento: 1900 ml/min.
Figura 6: Portata FAV post-intervento: 1900 ml/min. Ecocolordoppler: curva spettrale a bassa resistenza con elevata componente diastolica.

 

Caso clinico 2

Uomo di 60 anni. In anamnesi ipertensione arteriosa, ipotiroidismo, nefrectomia renale sinistra per carcinoma a cellule renali nel 2005. Nel maggio 2017 si evidenziava comparsa di malattia nel rene destro per cui veniva sottoposto ad intervento di nefrectomia. Iniziava trattamento emodialitico con catetere venoso centrale e, successivamente, a giugno 2018, veniva allestito un accesso vascolare prossimale tra l’arteria omerale e la vena cefalica del braccio. La FAV, dopo adeguata maturazione, è stata punta regolarmente e sono stati eseguiti controlli periodici con ecocolordoppler in relazione ad alta portata (circa 4 l/min, con una bocca anastomotica di 5 mm). Nell’aprile 2019, per il riscontro all’ecocolordoppler di una stenosi al terzo medio della vena cefalica arterializzata, eseguiva una angioplastica (PTA).

Ad inizio 2020 il follow-up con ecocolordoppler mostrava un netto incremento della portata (8 l/min) ed un progressivo incremento delle dimensioni di una dilatazione aneurismatica post-anastomosi (Fig. 7).

Immagine B-mode: si apprezza l’anastomosi e l’aneurisma post anastomosi, il diametro dell’arteria omerale è di 9,2 mm.
Figura 7: Immagine B-mode: si apprezza l’anastomosi e l’aneurisma post anastomosi, il diametro dell’arteria omerale è di 9,2 mm.

Si proponeva al paziente la riduzione dell’anastomosi. L’intervento veniva, però, posticipato per oltre un anno per il sopraggiungere dell’emergenza Covid. In seguito ad un controllo ecocardiografico veniva effettuato un ricovero in Cardiologia e sottoposto ad angioplastica (PTCA) + stent medicati (DES) su IVA per riscontro di necrosi settale e severa disfunzione di pompa, in nota insufficienza mitralica e dilatazione biatriale, insufficienza tricuspidale con ipertensione polmonare (PAPS stimata > 65 mmHg).

La situazione clinica del paziente si complicava per una grave emorragia addominale causata dalla ripresa della malattia oncologica con metastasi addominali. Il paziente presentava episodi di flutter/fibrillazione atriale trattati con betabloccante e digitale endovena ed era ipoteso (PA 110/60 mmHg). A settembre 2021 ricovero per l’intervento di riduzione della FAV. Eseguito un esame fisico ed ecocolordoppler prima dell’intervento che metteva in evidenza la presenza di un collaterale a partenza dalla vena cefalica arterializzata di buon calibro (>3 mm) (Fig. 8), si decideva di utilizzare tale collaterale in sede di intervento.

Figura 8: Mega fistola con portata preintervento di 8 l/min.
Figura 8: Mega fistola con portata preintervento di 8 l/min.

In anestesia plessica con carbocaina, veniva eseguita incisione longitudinale in corrispondenza dell’aneurisma che veniva isolato. Si identificava il vaso collaterale da usare per nuovo allestimento di FAV, lo si mobilizzava e si chiudevano dei piccoli rami collaterali. Si lavava con fisiologia eparinata. L’aneurisma era chiuso, a livello prossimale e distale, e resecato. Veniva riconfezionato un nuovo accesso vascolare poco più prossimalmente rispetto al precedente (Fig. 9). L’intervento permetteva una riduzione della portata a meno di 2 l/min. Dopo la riduzione della portata, si assisteva ad un miglioramento del quadro clinico con buon compenso emodinamico, risalita dei valori pressori e riduzione della frequenza cardiaca. A distanza di pochi mesi però, si assisteva al decesso del paziente a causa di una sepsi a partenza da un’ulcera dell’arto inferiore destro.

Figura 9: Rappresentazione schematica di fistola pre- e post-intervento.
Figura 9: Rappresentazione schematica di fistola pre- e post-intervento.

 

Discussione

I casi clinici riportati riassumono le caratteristiche e le complicanze cliniche relative ad una FAV ad alta portata; tale condizione si associa, spesso, a dilatazioni aneurismatiche della vena arterializzata.

Sebbene non ci sia un rapporto causa-effetto chiaramente definito, alta portata e dilatazioni aneurismatiche sono meritevoli di particolare attenzione al fine di evitare quadri clinici più complessi come l’insufficienza cardiaca ad alta gittata con l’aumento del volume telediastolico ventricolare sinistro, l’ipertensione polmonare, le stenosi delle vene centrali e la sindrome ischemica da ipoperfusione distale, ulcerazioni cutanee e rottura. La dilatazione aneurismatica si verifica a causa di una complessa interazione tra fattori biologici che inducono il rimodellamento della parete e fattori fisici come la tensione della parete, in aggiunta all’indebolimento della parete da ripetute venopunture (lesioni tissutali e successiva guarigione) e all’aumento della pressione dell’accesso a causa di una stenosi relativa o assoluta [16]. Le manifestazioni cliniche associate ad un accesso ad alto flusso possono variare da un reperto accidentale asintomatico ad una situazione grave e pericolosa per la vita. Il sospetto di una alta portata della FAV va considerato in ogni paziente con caratteristiche cliniche riassunte nella Tabella 1.

Ipertrofia ventricolare sinistra eccentrica Rimodellamento del muscolo cardiaco con dilatazione delle quattro camere proporzionale al Qa
Insufficienza cardiaca ad alta gittata

Indice cardiaco superiore alla norma o gittata cardiaca elevata.

Sintomi: dispnea a riposo o con vari gradi di sforzo, ortopnea, dispnea parossistica notturna, edema polmonare e/o periferico

Ischemia miocardica Squilibrio avverso tra l’apporto di ossigeno subendocardico e l’aumento della richiesta di ossigeno dovuta all’aumento della gittata cardiaca
Ipertensione polmonare

Aumento della gittata cardiaca dopo creazione di FAV associato ad aumento della pressione arteriosa polmonare che è correlata al Qa.

Sintomi: dispnea progressiva, astenia, sincope e insufficienza cardiaca dx

Ischemia distale

indotta dall’accesso dell’emodialisi

Diminuzione della pressione di perfusione distalmente all’anastomosi FAV

Ischemia sino alla gangrena

Qa spesso elevato, in alcuni casi normale o basso

Diminuzione della clearance della dialisi Elevato ricircolo cardiopolmonare con ridotta efficienza dialitica
Stenosi venosa periferica e centrale

La stenosi del deflusso venoso è il risultato dell’iperplasia neointimale dovuta alla risposta dell’endotelio vasale all’alterazione del flusso sanguigno. Ciò avviene in siti specifici (biforcazione dei vasi, valvole venose, zone curve fortemente angolate all’interno del vaso) la cui anatomia favorisce un flusso sanguigno turbolento con conseguente squilibrio nello shear stress di parete.

Qa eccessivamente alto favorisce lo sviluppo di stenosi centrali

Allargamento aneurismatico dell’accesso (megafistola) Progressivo aumento dei vasi rendendo la FAV diffusamente tortuosa ed ectasica
Tabella 1: Manifestazioni cliniche legate ad una FAV ad alta portata.

La sintomatologia dell’insufficienza cardiaca ad alta gittata dovuta ad una FAV ad alto flusso è varia e caratterizzata da difficoltà respiratoria, palpitazioni, edema agli arti inferiori, inappetenza, ortopnea, dispnea anche per piccoli sforzi e/o dispnea parossistica notturna. La FAV ad alto flusso è una causa frequente di ipertensione polmonare quando la pressione arteriosa polmonare media supera i 25 mmHg a riposo o durante l’esercizio; in genere è asintomatica nei pazienti emodializzati, ma possono essere presenti sintomi come respiro corto, vertigini, svenimento, segni di insufficienza cardiaca destra ed edemi agli arti inferiori. Tale situazione può regredire con la riduzione del flusso e conseguente notevole abbassamento della pressione dell’arteria polmonare; incerto è, invece, un miglioramento della prognosi di vita di questi pazienti.

Nella pratica clinica quotidiana, spesso, non si riesce a trovare una correlazione univoca tra la sintomatologia e l’alto flusso di una FAV e non sono chiare le cause alla base dell’evoluzione di un sovraccarico di volume verso una insufficienza cardiaca conclamata. Le motivazioni sono svariate e legate sia alla tipologia del paziente (sovraccarico di volume, alterato metabolismo calcio-fosforo con calcificazioni arteriose, ipertensione arteriosa ed un aumento del cardiac output secondario all’anemia cronica, oltre alla coesistente presenza di malattie organiche come diabete, aritmie, cardiopatia ischemica o valvulopatie [17]), sia al fatto che la portata ematica di una FAV è legata soprattutto alla sede dell’anastomosi, più alta quanto più prossimale, alle dimensioni della breccia anastomotica (per esempio in una FAV prossimale > 4-6 mm), all’angolazione e al calibro del primo tratto venoso.

Diversi studi hanno dimostrato che, subito dopo la creazione di una FAV, si verifica una istantanea diminuzione delle resistenze vascolari periferiche e, per i successivi sette giorni, un progressivo compensatorio aumento, pari al 10-20% della gittata cardiaca e del 12,7% [18, 19] della massa ventricolare sinistra [20]. Lo sviluppo di una FAV è, quindi, un complesso rimodellamento vascolare venoso, arterioso e della circolazione sistemica con modificazioni dello shear stress di parete, dilatazione delle arterie e delle vene con cambiamenti strutturali della parete vasale [21]. Seppur raramente, sono descritti in letteratura casi di insufficienza cardiaca ad alta gittata “iperacuta” con quadri drammatici, già in sala operatoria, subito dopo l’allestimento di una FAV, tanto da rendere necessaria la legatura dell’accesso per ripristinare la stabilità emodinamica [22].

Basile e colleghi, in uno studio prospettico di riferimento, nel 2008, analizzando nelle FAV distali e prossimali la correlazione tra portata della FAV e cardiac output, hanno dimostrato un elevato valore predittivo dell’alta portata della FAV nel determinare una insufficienza cardiaca ad alta gittata soprattutto nelle FAV prossimali e/o nelle FAV con flussi maggiori o uguali a 2000 ml/min.

In particolare, i casi di scompenso ad alta portata sono osservati per il 70% tra i pazienti portatori di FAV prossimale e la soglia di rischio indicata riguarda un flusso maggiore di 2,2 l/min [23].

Molti autori hanno studiato gli effetti emodinamici di una FAV e l’impatto sugli indici ecocardiografici della funzione cardiaca (aumento dei volumi diastolici, gittata sistolica, ricircolo cardiopolmonare) già poco dopo la creazione della FAV ed, in particolare, nelle FAV prossimali rispetto a quelle distali [2426].

Quarello e colleghi, analizzando alcuni case report presenti in letteratura, suggeriscono che i pazienti in emodialisi dovrebbero essere valutati per scompenso cardiocircolatorio ad alta portata utilizzando il dato del RCP. Se RCP è > 30% l’ecocardiogramma di controllo deve essere eseguito con cadenza semestrale. Nei pazienti con RCP > 40%, in presenza di sintomatologia, si impone la chiusura della FAV al fine di ottenere il massimo recupero cardiaco. Miglioramenti della funzione cardiaca riducendo la portata sono stati segnalati da vari autori con riduzione dell’ipertrofia sia eccentrica che concentrica oltre che della gittata cardiaca e dell’ipertensione polmonare [27].

Se, da un lato, in letteratura, non vi è accordo sulla definizione di FAV ad alta portata, arbitrariamente possiamo considerare basso un flusso < a 600 ml/min, normale da 600 a 1500 ml/min, alto > 1500 ml/min.

Il test di Nicoladoni-Branham può aiutarci a capire se una fistola ad alto flusso è un fattore di stress per il cuore con un sovraccarico di volume cardiaco. È un test semplice, che si può utilizzare nella pratica clinica quotidiana e può essere effettuato al letto del paziente. Si esegue una pressione a livello dell’anastomosi arteriosa per 30-60 secondi al fine di occludere il flusso sanguigno alla fistola. La risposta a questa manovra è la diminuzione della frequenza cardiaca e l’aumento della pressione sanguigna, dovuto alla normalizzazione del flusso sanguigno circolante occludendo la fistola [28].

La diagnosi di una FAV ad alto flusso è, comunque, complicata [5]. Nella quotidianità un attento esame fisico può aiutare a confermare un sospetto di un elevato flusso, avvalorato dalla determinazione della portata della FAV sull’arteria brachiale con l’ecocolordoppler (Tabella 2); occorre poi eseguire una valutazione ecocardiografica e determinare la gittata cardiaca. L’insufficienza cardiaca può essere diagnosticata con un’ecografia transtoracica, ma, talora, può richiedere un cateterismo cardiaco destro per la diagnosi definitiva [29].

SEDE Qa elevato nelle FAV prossimali rispetto alle distali
DIMENSIONE

Grandi dimensioni, soprattutto se presente un’ostruzione a valle,

FAV diffusamente tortuosa ed ectasica

PALPAZIONE

Rilevazione del fremito (thrill) in corrispondenza dell’anastomosi.

Il thrill è continuo: indicatore di flusso.

Più forte (prominente) nell’accesso AV ad alto flusso rispetto ad un accesso con flusso normale o basso

AUSCULTAZIONE

Soffio vascolare continuo: indicatore di flusso.

La pulsazione o un soffio intermittente, invece, sono indicatori di elevata resistenza o iniziale occlusione.

Normalmente, man mano che si avanza lungo la vena, l’importanza del thrill e del soffio di sottofondo diminuisce leggermente; ciò non succede con un accesso con Qa ad alto flusso.

ECOCOLORDOPPLER

La diagnosi di un Qa elevato dipende dalla sua misurazione, che deve essere effettuata a livello dell’arteria brachiale almeno 5 cm prossimalmente all’anastomosi indipendentemente dal fatto che si tratti di una fistola AV radiale o dell’arteria brachiale.

Per l’elevata portata e l’alternarsi di tratti successivi di calibro diverso, è frequente riscontrare nella vena efferente, soprattutto nel suo tratto più vicino all’anastomosi, zone a flusso vorticoso, che conferiscono alternata codifica di colore (aliasing) nel lume vasale con un caratteristico andamento spiroidale

Tabella 2: FAV Alta Portata: caratteristiche Ecocolordoppler e correlati clinici.

In alcuni casi la FAV ad alto flusso, in presenza di stenosi dell’arco cefalico o della vena di deflusso (Fig. 10) e di dilatazioni aneurismatiche della vena arterializzata (Fig. 11), può evolvere verso la megafistola. Alcuni autori hanno stabilito i criteri per la definizione di megafistola: 1) Portata della FAV > 2,2 l/min, 2) Vena arterializzata ipertrofica, 3) Ricircolo cardiopolmonare > 20%, 4) Insufficienza cardiaca con gittata cardiaca > 4-8 l/min, 5) Indice cardiaco (rapporto tra gittata cardiaca e superficie corporea) > 3. Un’altra definizione proposta è la presenza di svariati segmenti della FAV molto dilatati (più del doppio del diametro della vena normale adiacente), portata maggiore di 2000 ml/min e pressioni intra-accesso elevate [11, 30, 31].

Stenosi sulla vena di deflusso.
Figura 10: Stenosi sulla vena di deflusso. Ben visibile il fenomeno dell’aliasing. All’analisi spettrale elevate velocità sisto-diastoliche.
Sezione trasversa e longitudinale in B-mode e color di tratti aneurismatici di FAV.
Figura 11: Sezione trasversa e longitudinale in B-mode e color di tratti aneurismatici di FAV.

Gardezi e colleghi, in un recente lavoro, valutando 10 pazienti con megafistola sottolineano quanto sia importante riconoscere e trattare le stenosi dell’outflow oltre alla sorveglianza continua dell’accesso, soprattutto nei pazienti che non sono in dialisi, come i portatori di trapianto, al fine di non avere quadri complicati con alta portata fino alla megafistola. Una volta che si sviluppa una megafistola, non ci sono molte opzioni di trattamento oltre alla legatura con conseguente perdita di un accesso che potrebbe ancora essere necessario in futuro [32].

In uno studio prospettico osservazionale, Stoumpos e colleghi hanno studiato, con l’utilizzo della risonanza magnetica nucleare (RMN), sia gli effetti della creazione della FAV che la funzione cardiaca nei pazienti con malattia renale cronica avanzata. In particolare, hanno messo in relazione le misurazioni ecografiche del Qa a 6 settimane con gli effetti dell’allestimento della FAV sulla massa ventricolare sinistra al basale e dopo un tempo medio di 6,3 settimane.

Gli autori hanno osservato un aumento sostanziale della massa ventricolare sinistra e della gittata cardiaca (p = 0,02) dopo 6,3 settimane, proporzionale alla portata misurata sull’arteria brachiale (p = 0,04). L’incremento della massa ventricolare sinistra era pari al 10,2% quando il Qa era superiore a 600 ml/min. Secondo gli autori tale aumento non era dovuto al peggioramento dell’uremia, al sovraccarico di volume plasmatico o alle variazioni dell’ematocrito poiché tali parametri non erano cambiati significativamente nell’intervallo di tempo osservato (mediana 8,3 settimane). Inoltre, gli autori hanno confermato che le fistole del braccio hanno flussi sanguigni più elevati rispetto alle fistole dell’avambraccio e, di conseguenza, hanno dimostrato che l’incidenza di insufficienza cardiaca è molto più alta nei pazienti con FAV prossimali rispetto alle distali. Questo è il primo studio che dimostra tali cambiamenti precoci nella massa del ventricolo sinistro e collega il flusso iniziale della FAV al cambiamento della massa del ventricolo sinistro [33].

Altri autori hanno valutato il Qa (mediante una tecnica di diluizione a due aghi) e la sopravvivenza in una popolazione in emodialisi per un periodo di 9 anni, considerando la mortalità cardiovascolare secondo la classificazione della European Renal Association-European Dialysis and Transplant Association.

Gli autori hanno studiato sia il Qa iniziale (definito come il primo valore di Qa ottenuto in una FAV ben funzionante) sia il ruolo del Qa effettivo (definito come il volume di flusso di accesso ottenuto di routine una volta ogni 1-2 mesi per la sorveglianza della FAV) e i cambiamenti periodici nel Qa effettivo. I risultati mostravano, in periodi di 3 mesi, un’associazione tra l’aumento del Qa effettivo e la mortalità (p = 0,010) indicando che solo i pazienti con un Qa crescente avevano maggiore probabilità di morire, sebbene il Qa effettivo non era correlato alla sopravvivenza. Inoltre, gli autori, pur riconoscendo i limiti dello studio (limitato numero di pazienti, dati ematochimici ed ecocardiogramma seriali non disponibili per tutti i pazienti), concludevano che la conoscenza di queste nuove caratteristiche del Qa può contribuire a comprendere l’elevata mortalità cardiovascolare nei pazienti emodializzati, e, pertanto, potranno essere di aiuto studi futuri combinati e seriali di cardiofisiologia e di imaging con il monitoraggio di marcatori biochimici [34].

Inoltre, piccoli studi osservazionali suggeriscono che la massa del ventricolo sinistro potrebbe migliorare dopo la legatura della FAV dopo trapianto di rene [3537].

Più recentemente, utilizzando la risonanza magnetica, è stato eseguito in Australia uno studio randomizzato in 63 pazienti adulti con trapianto di rene. La legatura della FAV in pazienti trapiantati stabili migliora il rimodellamento ventricolare sinistro con riduzione significativa dopo 6 mesi della massa ventricolare sinistra, dei volumi telediastolici, dei volumi atriali, della gittata cardiaca (da 6,8 l/min al basale a 4,8 l/min a 6 mesi p < 0,05) e del pro-BNP [38].

Inoltre, lo scompenso cardiaco si manifesta, anche, in presenza di un flusso non elevato della FAV per una riduzione della riserva cardiaca poiché un valore di Qa nel range di normalità (600-1200 ml/min) può essere eccessivo a causa di una bassa riserva coronarica (ridotta contrattilità miocardica con bassa gittata cardiaca), in quanto il cuore non riesce a soddisfare l’aumento della gittata cardiaca dovuta alla creazione della FAV [39, 40].

Recentemente, Malik e colleghi focalizzano l’attenzione sull’emodinamica cardiovascolare nei pazienti emodializzati portatori di FAV e suggeriscono alcuni elementi per la scelta dell’accesso vascolare più idoneo per ogni paziente considerando che la funzione cardiaca con o senza scompenso cardiaco dovrebbe essere uno dei criteri principali per selezionare il tipo di accesso appropriato utilizzando, in base alla gravità dei sintomi, la classificazione della New York Heart Association (4 classi) e dell’American Heart Association (stadio da A a D). Gli autori concludono proponendo l’utilizzo di modelli predittivi validati per stimare la portata che avrà la fistola dopo il suo allestimento ed i suoi effetti cardiaci [41].

Sono ben documentati i criteri terapeutici per la riduzione del flusso della FAV nelle condizioni quali malattie cardiopolmonari (insufficienza cardiaca, ipertensione polmonare, ischemia distale indotta dall’accesso all’emodialisi) associate a un Qa eccessivamente elevato. Al di là di queste condizioni, i criteri per il trattamento non sono ben definiti. Nei casi di stenosi venosa il Qa può essere normale, basso o elevato. Se il Qa è alto, dovrebbe essere eseguita una riduzione del flusso piuttosto che un’angioplastica, poichè ci si può aspettare che il Qa aumenti (ad eccezione di una stenosi venosa centrale) [42]. Questo aumento di flusso dopo angioplastica può peggiorare (come nel nostro caso clinico n°2) o slatentizzare problematiche quali l’insufficienza cardiaca, l’edema polmonare o l’ischemia della mano [43].

A tutt’oggi non esiste un valore target generalmente accettato per la riduzione del flusso; sono fondamentali il giudizio clinico e la considerazione della gravità della condizione individuale del paziente. L’obiettivo ideale del trattamento di una FAV ad alta portata è alleviare gli effetti avversi riducendo il Qa senza rischiare la perdita della pervietà dell’accesso vascolare.

Sono disponibili vari approcci per la riduzione del flusso quali la legatura degli affluenti venosi, il banding (chirurgico o endovascolare) e le procedure di rivascolarizzazione come la revisione dell’afflusso distale o RUDI [44].

 

Conclusioni

Il monitoraggio e la sorveglianza degli Accessi Vascolari sono essenziali al fine di migliorare la gestione e la cura del paziente in emodialisi e, per questo, si fa sempre più strada una stretta collaborazione tra nefrologo e altre professionalità con l’uso di protocolli e procedure basati su evidenze scientifiche uniformando gli interventi e i comportamenti. Dobbiamo definire e quindi ottimizzare il flusso sanguigno della FAV per prevenire le complicazioni a lungo termine, considerando che l’accesso vascolare può influenzare la funzione cardiaca e, in alcuni pazienti, potrebbe peggiorare lo stato clinico. Il trattamento deve essere individualizzato in base alla presentazione clinica, alla sintomatologia ed alle comorbilità del paziente.

Varie tecniche chirurgiche ed endovascolari sono state utilizzate per trattare l’alta portata. Il trattamento chirurgico, come nel nostro caso, consente di preservare la FAV autologa.

 

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