Paracentesi eco-guidata: aspetti tecnici, diagnostici e terapeutici per il nefrologo moderno

Abstract

L’ascite è un accumulo patologico di liquido nella cavità peritoneale a varia eziologia, spesso associato ad un danno renale. La paracentesi è una metodica di semplice esecuzione che permette di rimuovere il liquido ascitico tramite l’inserzione di un ago nel cavo peritoneale. Si può eseguire al letto del malato e può essere sia diagnostica che terapeutica. Lo studio ecocolorDoppler permette la diagnosi di ascite, lo valutazione pre-procedurale della parete addominale con la scelta del sito di puntura, il controllo in tempo reale dell’ago durante la puntura e l’andamento continuo della manovra: ciò determina un’alta efficacia della procedura e la riduzione delle possibili complicanze rispetto alla tecnica di venipuntura “alla cieca”. La gestione ecografica della paracentesi da parte del Nefrologo permette un importante risparmio dei tempi di attesa di esecuzione dell’esame, di diagnosi di trattamento e di follow-up dell’ascite

Parole chiave: ascite, paracentesi, ecografia, bedside, cirrosi, cavo peritoneale

Introduzione

Nella pratica clinica il Nefrologo è sempre più spesso coinvolto nella gestione di pazienti portatori di versamento peritoneale. La presenza di ascite è infatti associata a un elevato rischio di sviluppare insufficienza renale acuta, iponatriemia, peritonite batterica spontanea, determinando elevati tassi di morbilità e mortalità [1].

La presenza di una minima quantità di liquido (10-30 ml) tra i due foglietti peritoneali, parietale e viscerale, in soggetti sani è da considerarsi fisiologica in quanto evita l’attrito tra gli organi interni e la parete addominale. In condizioni di integrità morfologica e funzionale, la membrana peritoneale è in grado di assorbire fino a 1 litro di liquido al giorno, tuttavia, quando vengono superate tali capacità di riassorbimento, il liquido tende ad accumularsi nella cavità peritoneale causando ascite.

Una metodica di semplice esecuzione per rimuovere il liquido ascitico, eseguibile facilmente al letto del paziente è la paracentesi che consiste nell’inserzione di un ago nella cavità peritoneale [2]. Tale tecnica invasiva può essere diagnostica e/o terapeutica: la paracentesi diagnostica permette di prelevare una piccola quota di liquido ascitico da sottoporre ad esami laboratoristici, mentre la paracentesi terapeutica è in grado di rimuovere oltre 5 litri di liquido ascitico al fine di ridurre la pressione intraddominale e migliorare la clinica del paziente [3].

Nell’esecuzione della paracentesi sono stati utilizzati in passato i punti di repere anatomici; tuttavia, attualmente viene consigliata e utilizzata la puntura eco-guidata che permette di eseguire la manovra in completa sicurezza [4]. Infatti, la paracentesi può essere eseguita facilmente anche dal Nefrologo che abbia effettuato un idoneo training, condizione necessaria affinché la manovra risulti altamente efficace e a basso rischio di complicanze.

La quasi ubiquitaria disponibilità di un apparato ecografico all’interno delle Nefrologie/Dialisi consente una rapida diagnosi ed una valutazione semiquantitativa di versamenti peritoneali anche di minime quantità, l’individuazione della sede preferenziale di accumulo di liquido ascitico, la scelta della sede di effettuazione della paracentesi, la valutazione in tempo reale di tutta la procedura e la possibilità di effettuare facilmente un follow-up del versamento ascitico.

L’obiettivo di questo lavoro è di valutare l’applicazione e le potenzialità dell’ecografia nella diagnosi e terapia del versamento ascitico.

 

Ascite

L’ascite è un accumulo patologico di liquido nella cavità peritoneale, le cui principali cause possono essere divise in due grandi categorie: epatiche e non epatiche (Tab. I): indipendentemente dall’eziologia, l’origine è pressoché sempre uno squilibrio idroelettrolitico, cui segue una ritenzione eccessiva di sodio e acqua da parte dell’organismo.

Cause epatiche (per lo più dovute a malattie croniche) Cause non epatiche
– Ipertensione portale correlata a cirrosi epatica

– Epatiti

– Ostruzione della vena epatica (Sindrome di Budd-Chiari)

– Tumori a carico degli organi addominali (colon, fegato, pancreas, stomaco, ovaio)
– Malattie infettive (es. la tubercolosi)
– Pancreatite
– Disfunzione renale (spesso associata a cirrosi epatica)
– Grave ipoalbuminemia
Lupus eritematoso sistemico
Insufficienza cardiaca
– Ritenzione idrica generalizzata associata a patologie sistemiche come la sindrome nefrosica o la pericardite costrittiva
– Gravi forme di malassorbimento intestinale
– Alimentazione (eccesso di sale nella dieta)
– Malnutrizione grave (Kwashiorkor)

– Dialisi peritoneale

Tabella I: Classificazione delle cause di ascite

La cirrosi rappresenta la più comune causa di ascite, con una prevalenza di circa l’80% dei casi [5]: circa il 19% dei pazienti cirrotici presenta un’ascite emorragica che si sviluppa spontaneamente (nel 72% dei casi per via linfatica e per il 13% dei casi a causa di un concomitante carcinoma epatocellulare) o come conseguenza della paracentesi [6]. Le altre più comuni cause di ascite sono le neoplasie, le nefropatie e lo scompenso cardiaco (Tab. II) [7].

Cirrosi 81%
Tumori 10%
Scompenso cardiaco 3%
TBC 2%
Dialisi 1%
Pancreatite 1%
Altro 2%
Tabella II: Cause di ascite: prevalenza

I meccanismi fisiopatologici che concorrono alla genesi dell’ascite sono complessi e non del tutto chiariti: i fattori coinvolti comprendono una vasodilatazione splancnica indotta da ossido nitrico, un’alterazione della legge di Starling nei vasi portali (bassa pressione osmotica dovuta a ipoalbuminemia associata ad aumento della pressione venosa portale), la marcata ritenzione renale di sodio (concentrazione urinaria di Na tipicamente <5 mEq/L) e probabilmente l’aumentata formazione epatica di linfa (Tab. III).

a) attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone
b) aumento del tono simpatico
c) shunting intrarenale del sangue che allontana il sangue dalla corteccia
d) aumento della formazione di ossido nitrico
e) la formazione o il metabolismo alterati dell’ormone antidiuretico
f) chinine, prostaglandine e fattore natriuretico atriale
Tabella III: Meccanismi che sembrano contribuire alla ritenzione renale di sodio nell’ascite

I pazienti con ascite presentano una progressiva distensione addominale che può causare senso di fastidio fino a dolore intenso. La distensione addominale può manifestarsi nel volgere di pochi giorni (es. in caso di trauma), ma anche di mesi (es. metastasi). In corso di cirrosi ed epatite alcoolica, l’ascite si sviluppa in poche settimane, determinando aumento di peso, della pressione intraddominale e conseguente senso di sazietà precoce ai pasti, polipnea e dispnea.

Oltre ad un grado variabile di distensione addominale è classicamente presente alla percussione timpanismo addominale che varia di sede in rapporto alle variazioni di postura del paziente. Può concomitare versamento pleurico, solitamente maggiore a destra.

La diagnosi di ascite è effettuata mediante l’esame obiettivo ed ecografico: quest’ultimo permette di valutare accuratamente anche le minime raccolte anecogene addominali, non identificabili con il solo esame obiettivo (Fig. 1). Se non già nota su base clinica, la causa dell’ascite può essere determinata dall’analisi del liquido ascitico prelevato tramite paracentesi.

Figura 1: Milza di dimensioni aumentate
Figura 1: Milza di dimensioni aumentate con evidenza di piccola raccolta sovra-splenica: piccolo versamento ascitico non valutabile obiettivamente (indicato dalle frecce).

L’International Ascites Club ha proposto una gradazione integrata del grado di ascite [8]:

1 Grado – ascite lieve valutabile solo tramite ultrasonografia

2 Grado – ascite moderata con distensione simmetrica dell’addome

3 Grado – ascite di grado severo con importante distensione addominale.

 

Paracentesi

La paracentesi, termine derivante dal greco parakéntēsis (comp. di para- “quasi” e kéntēsis “puntura”), è una manovra atta a evacuare il liquido contenuto all’interno della cavità addominale: la sua esecuzione all’ingresso in ospedale determina una riduzione della mortalità intraospedaliera nei pazienti cirrotici ascitici [9]. Le indicazioni e le controindicazioni alla paracentesi sono elencate rispettivamente in Tabella IV e Tabella V.

– comparsa ex-novo di versamento ascitico
– valutazione di paziente ascitico conosciuto all’ingresso in reparto
– valutazione di paziente ascitico conosciuto all’ingresso in reparto che presenta peggioramento clinico (aumento ascite, encefalopatia, febbre, acidosi metabolica, peggioamento della funzione renale, leucocitosi)
Tabella IV: Indicazioni alla paracentesi
– mancanza del consenso del paziente
– presenza di coagulopatia
– presenza di importante vascolarizzazione superficiale
– pregressa chirurgia addominale (aderenze)
– presenza di anse intestinali sovrapposte
– stato di shock
– grave insufficienza renale
– severa encefalopatia epatica
Tabella V: Controindicazioni (relative) alla paracentesi

La paracentesi può essere:

1) diagnostica: prevede il prelievo di una piccola quota di liquido ascitico per identificarne le caratteristiche chimico-fisiche (es. essudato, trasudato, emorragico, chiloso, eosinofilo) e l’eziologia (Tabella I) mediante la diagnostica di laboratorio (esame chimico–fisico, colturale e citologico). Per la puntura della parete addominale viene solitamente utilizzato un ago da 22 Gauge (G).

2) terapeutica/sintomatica: prevede la rimozione di quote importanti di liquido ascitico (anche maggiori di 5 litri), utilizzando aghi da 15-16 G, al fine di ridurre i sintomi da tensione come dolore addominale, dispnea e senso di sazietà causati all’aumentata pressione intraddominale [3].

Consenso Informato

Prima di eseguire una paracentesi è obbligatorio spiegare compiutamente al paziente in che cosa consiste la procedura, quali sono i possibili effetti collaterali e le complicanze. Solo dopo l’informazione, la constatazione che il paziente abbia compreso quanto detto e l’assenso del paziente alla procedura, il paziente firma il modulo del consenso informato [10].

Preparazione del paziente

Al momento della decisione circa la procedura devono essere valutati lo stato coagulativo del paziente e l’emocromo. Un INR elevato o una conta piastrinica bassa non sono controindicazioni alla parecentesi e non richiedono solitamente interventi terapeutici: infatti anche se circa il 70% dei pazienti ascitici presenta un anormale tempo di protrombina, la probabilità di sanguinamento è molto bassa [11]. Unica eccezione è rappresentata dai pazienti con coagulazione intravascolare disseminata o apparente iperfibrinolisi che richiedono idonea terapia al fine di ridurre il rischio emorragico. Immediatamente prima della puntura il paziente deve svuotare la vescica, occorre quindi valutare ecograficamente lo stato della vescica e procedere alla tricotomia (se necessaria). Il paziente viene posizionato in posizione supina, appena girato verso il lato da pungere: si sceglie il miglior punto per la puntura in modo ecoguidato (in passato alla cieca) e lo si segna con pennarello dermografico.

Tecniche

  1. Alla cieca

Storicamente la scelta della zona di puntura è eseguita utilizzando i punti di repere: di solito si punge la parete addominale al quadrante inferiore sinistro in quanto trattasi di zona più sottile rispetto alla zona mediana e il liquido tende a disporsi in basso [12]: le zone mediana sovra e sotto ombelicale sono inutilizzate a causa della presenza di importante vascolarizzazione di parete [13]. Il soggetto viene fatto decombere lievemente sul fianco sede della puntura per permettere al liquido di disporsi verso quella sede: devono essere evitate, quando visibili, le vene superficiali, le cicatrici chirurgiche e le zone ad esse vicine: le prime per il possibile sanguinamento mentre le seconde potrebbero indicare aderenze intestinali sottostanti. Il repere osseo principale è la spina iliaca anteriore superiore: da questa si individua un punto 3 cm più mediale e la puntura può essere eseguita da qui per un tratto craniale di 3 cm (Fig. 2).

venipuntura addominale alla cieca
Figura 2: Sono indicati con la X le classiche zone sede di venipuntura addominale alla cieca e cioè la parete addominale al quadrante inferiore circa 3 cm medialmente alla spina iliaca anteriore superiore
  1. Eco-guidata

Da oltre un decennio la paracentesi “alla cieca” è stata affiancata (se non sostituita) dalla metodica eco-guidata che si è dimostrata superiore sia in termini di successo (95% vs 61%), che di complicanze (riduzione fino al 68% [0.27% vs 1.25%] di sanguinamento post-procedura) che di costi [4, 14]: a questi dati va associata la diagnosi di certezza data dagli ultrasuoni circa la presenza di ascite, che evita così procedure incongrue. La sonda ecografica che si utilizza di solito per la procedura è una convex multifrequenza (es. 2-6 MHz) con la scelta di un preset ecografico addominale; questo tipo di sonda consente un esame ultrasonografico di tutto l’addome e degli organi in esso contenuti. Può essere utilizzata anche una sonda lineare multifrequenza (es. 5-11 MHz) che permetterà una miglior visione dei primi centimetri dell’addome e minor visione degli organi profondi. La scelta del tipo di sonda dipende dalla conformazione somatica del paziente (in pazienti con parete addominale molto spessa è consigliabile la sonda convex), dal tipo di sonda di cui è dotato l’ecografo del reparto e dalla preferenza dell’operatore. La sonda è posta sull’addome in posizione trasversale sul bordo laterale della guaina del retto a livello dell’ombelico. Per il miglior contatto sonda cute si utilizza clorexidina che ha il vantaggio rispetto al gel di essere un disinfettante e di non essere viscida, permettendo una migliore stabilità della sonda sulla cute e nelle mani dell’operatore.

La valutazione della presenza di liquido libero a livello della cavità addominale si ottiene sia con la sonda in posizione trasversale basculandola dall’alto verso il basso e viceversa, sia con la sonda in posizione longitudinale, basculandola da destra a sinistra per ottenere una valutazione latero-laterale. La presenza di versamento addominale è identificata ecograficamente mediante un’immagine anecogena/ipoecogena fra le docce laterali e le anse intestinali mobili (Fig. 3). Lo studio ecocolorDoppler pre-procedurale permette di individuare la sede di venipuntura scegliendo la zona dell’addome di minor spessore e più povera di vasi sottocutanei non visibili all’esame obiettivo, di visualizzare l’eventuale presenza di aderenze postchirurgiche e di verificare lo spazio in cui il liquido addominale si accumula maggiormente, minimizzando di conseguenza le possibili complicanze periprocedurali (Tab. VI). Nella preparazione della paracentesi è importante valutare la distanza tra la superficie cutanea e lo spazio peritoneale al fine della scelta del tipo di ago e della quota di questo da inserire in addome (Fig. 4). Inoltre, durante tutta la durata della procedura, è possibile seguire “in tempo reale” l’ago, la riduzione della quantità del versamento e la distanza punta ago-anse addominali.

Figura 3: L’ecografia evidenzia un addome ascitico
Figura 3: L’ecografia evidenzia un addome ascitico con importante versamento anecogeno (frecce grandi) con anse intestinali (frecce piccole) che «fluttuano» nel liquido ascitico
– emorragia intra-addominale
– gemizio di liquido ascitico lungo il tramite dell’ago (leakage)
– puntura della vescica
– puntura di ansa intestinale
– comparsa di ematoma della parete addominale
– collasso cardio circolatorio
– alterazioni elettrolitiche
Tabella VI: Complicanze della paracentesi
Figura 4: Scansione addominale
Figura 4: Scansione addominale con sonda lineare che permette di scegliere la miglior zona di venipuntura: in questo caso la distanza tra peritoneo parietale ed anse intestinale è di circa 2,4 cm

Nei pazienti con profondo e cospicuo grasso sottocutaneo potrebbe essere necessario utilizzare un ago particolarmente lungo. La scelta del punto di entrata dell’ago è fatta in una zona declive dell’addome: l’ago deve essere inserito sempre lateralmente al muscolo retto in direzione trasversale per evitare l’arteria epigastrica. Le strutture anatomiche che si attraversano con l’ago sono dall’esterno all’interno: cute, sottocute, muscolo obliquo esterno, muscolo obliquo interno, muscolo trasverso e fascia peritoneale parietale.

La puntura ecografica può essere effettuata in due modalità: in plane oppure out of plane (Fig. 5). La scelta della tipologia di tecnica di puntura eco-guidata è basata sulla manualità e la preferenza dell’operatore. Nella prima occorre restare con l’ago sotto la sonda (di non facile esecuzione a mano libera) per vedere l’ago avanzare progressivamente fino ad entrare in cavità addominale (Fig. 6). Al fine di mantenere l’ago nella sua lunghezza sotto la sonda è utile l’utilizzo di un porta-ago dedicato alla sonda. Nella seconda è necessario in primis individuare la punta dell’ago e successivamente muovere la sonda nel senso di avanzamento dell’ago per potere seguire la punta nel suo spostamento fino all’ingresso in addome. In ogni caso è consigliabile la puntura eco-guidata “in real-time” rispetto a quella “eco-assistita” in quanto permette di avere sempre sotto controllo la punta dell’ago.

disposizione della sonda rispetto all’ago
Figura 5: Le due immagini mostrano la disposizione della sonda rispetto all’ago e la relativa immagine ecografica ottenuta nelle scansioni “in plane” ed “out of plane”
Ecografia della parete addominale
Figura 6: Ecografia della parete addominale anteriore con sonda lineare che evidenzia l’ago (frecce piccole) sia a livello del tratto sottocutaneo che a livello del versamento ascitico (freccia grande)

Esecuzione

Il materiale necessario per la paracentesi è elencato Figura 7. Si misura la pressione arteriosa del paziente e si mantiene lo sfigmomanometro posizionato al braccio: è consigliabile monitorare il paziente con ECG continuo con segnale acustico della frequenza ed avere un defibrillatore nel locale sede della procedura. A questo punto si applica disinfettante iodato e si crea il campo con telini sterili. Si pratica quindi anestesia cutanea locale con cloruro di etile spray e si copre la sonda con condom sterile: in mancanza del condom la sonda può essere pulita e disinfettata per alcuni minuti con disinfettante incolore (clorexedina). Successivamente si posiziona la sonda nel punto precedentemente segnato sulla cute del paziente e si introduce l’ago collegato alla sacca di raccolta tramite tubatismo su cui è inserito un rubinetto a tre vie connesso a sua volta al tubo di deflusso della sacca di raccolta (posta in basso rispetto al piano del paziente). In caso di paracentesi evacuativa la manovra è lunga in quanto il deflusso del liquido ascitico avviene per caduta: risulta perciò preferibile fissare l’ago alla parete addominale durante l’esecuzione della manovra (Fig. 8). Durante la procedura e fino a circa un paio di ore dal suo termine, il paziente è monitorato sotto il profilo emodinamico.

esecuzione della paracentesi
Figura 7: L’immagine mostra il materiale necessario all’esecuzione della paracentesi: aghi da paracentesi 80 mm del diametro di 14,16 e 18 Gauge, rubinetto a tre vie e sacca di raccolta da 2000 ml, connettore per siringa, telini sterili, disinfettante iodato, siringhe sterili di varia volumetria (5-10-20-50 ml), garze sterili, una forbice sterile, condom (coprisonda) sterile
Figura 8: Fissaggio dell’ago di drenaggio
Figura 8: Fissaggio dell’ago di drenaggio con cerotto alla parete addominale durante il drenaggio

Il volume di liquido ascitico da evacuare è legato al soma del paziente, alla presenza di tensione addominale e alla situazione emodinamica del paziente. L’evacuazione fino a 4 litri di ascite non è di solito seguita da fenomeni emodinamici gravi, ma deve essere eseguita lentamente: in ogni caso, verificandosi per caduta, l’evacuazione di 4 litri di liquido ascitico richiede tempi di esecuzione non inferiori a 40’ [15]. La paracentesi di volumi elevati di liquido ascitico (>5 litri) può portare allo sviluppo di squilibrio emodinamico con aumento dell’output cardiaco, calo delle resistenze periferiche e un rialzo sierico della renina e dell’aldosterone: questa situazione di disfunzione circolatoria post-paracentesi può essere prevenuta con la somministrazione contestuale per via endovena di albumina nella quantità di 6-8 g per litro di liquido ascitico rimosso [16, 17]. Una volta evacuata la quantità di ascite preventivata, l’estrazione dell’ago deve essere seguita da adeguata compressione sul tramite d’ingresso e quindi con il posizionamento di medicazione compressiva sterile.

 

Conclusioni

La paracentesi è una metodica interventistica che riveste un duplice significato diagnostico e terapeutico nel paziente ascitico. L’esecuzione della paracentesi eco-guidata permette l’evacuazione in sicurezza del liquido ascitico, mediante un rapido approccio “bedside”, anche in grandi quantità e consente all’operatore di seguire in tempo reale la manovra, di valutare la quantità di versamento rimanente nel cavo addominale con un adeguata gestione del rischio clinico in linea con la buona pratica medica.

La gestione ecografica dell’ascite nel paziente in Nefrologia e Dialisi dovrebbe essere parte dell’attività del Nefrologo in quanto permette un’autonomizzazione da altri specialisti con importante risparmio dei tempi di attesa per l’esecuzione dell’esame, la diagnosi e il trattamento dell’ascite, permette un rapido follow-up, rendendo la gestione del paziente non solo efficace, ma anche particolarmente efficiente [13].

 

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Tecniche chirurgiche mini invasive per il salvataggio del catetere peritoneale nelle infezioni refrattarie del tunnel

Abstract

Le complicanze infettive rappresentano la causa più significativa di morbilità e mortalità per i pazienti in dialisi peritoneale (DP). Nonostante negli ultimi vent’anni siano stati compiuti enormi sforzi finalizzati alla prevenzione e al trattamento degli episodi infettivi, le infezioni correlate al trattamento dialitico peritoneale costituiscono la causa principale di cessazione della DP. Dati recenti sembrano confermare la teoria che attribuisce alle infezioni dell’emergenza/tunnel (ESI/TI) un ruolo diretto nel causare la peritonite. Gli episodi di peritonite secondari a TI conducono fino nell’ 86% dei casi alla perdita del catetere. Quindi, nei casi di ESI/TI refrattari alla terapia medica, sembra ragionevole sottoporre il paziente a rimozione del catetere. Questo approccio implica inevitabilmente l’interruzione della DP e il passaggio all’emodialisi (HD) mediante il posizionamento di un catetere venoso centrale. Per risparmiare al paziente il cambio di metodica dialitica, è stato proposto l’intervento di rimozione e reinserimento del catetere peritoneale durante una singola seduta operatoria (SCR). Sebbene l’SCR eviti lo shift della tecnica dialitica, esso implica la rimozione del vecchio catetere, il reinserimento di un nuovo dispositivo e l’inizio immediato della DP con il rischio di complicanze meccaniche, quali il leakage e il dislocamento. Le tecniche chirurgiche mini invasive impiegate come “rescue procedures”, quali il curettage, il cuff-shaving, il reimpianto parziale del catetere e la rimozione della cuffia superficiale con la creazione di una nuova exit-site, oltre ad essere di facile esecuzione e poco traumatiche per il paziente, permettono di mantenere in sede il catetere peritoneale evitando le complicanze meccaniche.

Queste procedure, avendo dimostrato una percentuale di successo compresa fra il 70 e il 100%, devono essere sempre prese in considerazione negli episodi di ESI/TI non responsivi alla terapia medica prima di procedere alla rimozione del catetere peritoneale.

 

Parole chiave: dialisi peritoneale, infezione dell’exit-site, infezione del tunnel, peritonite, cuff-shaving, ecografia

Introduzione

Le complicanze infettive rappresentano la causa più significativa di morbilità e mortalità per i pazienti in dialisi peritoneale (DP) [1,2]. Negli ultimi vent’anni nonostante siano stati compiuti enormi sforzi finalizzati alla prevenzione e al trattamento degli episodi infettivi [36], le infezioni correlate al trattamento dialitico peritoneale costituiscono ancora oggi la causa principale di cessazione della DP [79].

Lavori recenti sembrano confermare la teoria che attribuisce alle infezioni dell’emergenza (ESI) un ruolo diretto nel causare la peritonite [10,11]. In particolare, è stata avanzata l’ipotesi che i microrganismi siano in grado di trasmigrare dall’emergenza cutanea lungo il tunnel fino alla cavità peritoneale [12]. Durante questo avanzamento i microrganismi possono depositarsi a livello della cuffia superficiale colonizzandola, e formare, in tale sede, un biofilm che ne facilita la proliferazione [13,14]. Inoltre, la creazione di tale strato, permettendo la protezione dei microbi da eventuali sostanze battericide, rende queste infezioni poco responsive alla terapia medica richiedendo nella maggior parte dei casi la rimozione del catetere [15]. Una volta colonizzata la cuffia, i microrganismi allo stato sessile sono in grado di passare dalla condizione di quiescenza a quella planctonica con la possibilità di migrare sia verso l’emergenza che verso la cuffia profonda determinando, nel primo caso infezioni ricorrenti dell’exit-site, e nel secondo peritoniti [16,17]. Gli episodi di peritonite secondari a infezione del tunnel (TI) sono responsabili nell’ 86% dei casi della perdita del catetere [18].

 

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Utilizzo degli ultrasuoni nelle infezioni da catetere peritoneale: indicazioni e risvolti clinici

Abstract

Gli episodi infettivi continuano a rappresentare la causa principale di morbilità e mortalità nei pazienti in dialisi peritoneale (DP). Nonostante siano stati compiuti sforzi considerevoli nella prevenzione delle infezioni correlate alla DP, oggigiorno circa un terzo dei fallimenti della metodica sono dovuti a complicanze infettive. Studi recenti hanno postulato un ruolo diretto dell’infezione dell’exit-site (ESI) e del tunnel sottocutaneo (TI) nel determinare l’insorgenza della peritonite; di conseguenza, una precoce diagnosi di ESI e TI seguita da un tempestivo inizio di un’appropriata antibioticoterapia dovrebbe portare ad una drastica diminuzione delle complicanze associate alle infezioni del catetere. L’esame ultrasonografico (US) rappresenta una metodica non invasiva, relativamente semplice, ripetibile, ben tollerata dal paziente e facilmente disponibile per la valutazione del tunnel.

Negli episodi di ESIs l’US permette di diagnosticare una concomitante infezione del tunnel con maggiore sensibilità rispetto ai soli parametri clinici distinguendo con elevata precisione le ESIs che si risolvono con la sola antibioticoterapia orale rispetto a quelle che potrebbero richiedere un maggiore impegno terapeutico. Nei casi di TI, l’US permette di localizzare con precisione il segmento del catetere maggiormente interessato dal processo infettivo conferendo importanti informazioni prognostiche; mentre la ripetizione dell’US a due settimane dall’inizio dell’antibioticoterapia permette il monitoraggio della risposta al trattamento. Non sussistono, invece, evidenze in grado di suggerire l’utilizzo dell’US del tunnel come strumento di screening per l’individuazione precoce di TI in pazienti asintomatici.

Parole chiave: dialisi peritoneale, infezione dell’exit-site, infezione del tunnel, peritonite, ultrasuoni, ecografia

Introduzione

Gli episodi infettivi continuano a rappresentare la causa principale di morbilità e mortalità nei pazienti sottoposti a terapia sostitutiva mediante dialisi peritoneale (DP) [13]. Nelle ultime tre decadi considerevoli sforzi sono stati compiuti nella prevenzione delle infezioni correlate alla DP: il miglioramento dei metodi di connessione [4], l’ottimizzazione della cura dell’exit-site (ES) [5], e la creazione di specifici percorsi per l’addestramento dei pazienti [6]. Nonostante l’adozione di queste misure circa un terzo dei fallimenti della DP sono secondari a peritoniti [7].
 

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L’ecografia nell’uropatia ostruttiva nel rene nativo

Abstract

Il termine “uropatia ostruttiva” indica il complesso delle modificazioni strutturali e funzionali conseguenti all’interruzione del normale deflusso urinario e può manifestarsi ad ogni livello delle vie urinarie. In base alle modalità di insorgenza, durata ed entità, le ostruzioni delle vie urinarie si possono distinguere in acute o croniche, mono- o bilaterali, parziali o complete. L’ostruzione può essere localizzata al singolo o a pochi calici, oppure essere estesa all’intero sistema pielo-caliceale e/o all’uretere omolaterale. 

Il termine “idronefrosi” indica la dilatazione della pelvi riscontrata con le tecniche di imaging. Fra le tecniche di imaging, l’ecografia rappresenta il “gold standard” nella valutazione delle dilatazioni delle vie urinarie: essa permette di distinguere tre gradi di dilatazione, in base all’entità della dilatazione stessa e allo spessore del parenchima renale. Il nefrologo si confronta giornalmente con pazienti che manifestano insufficienza renale di nuovo riscontro e necessitano quindi di una rapida diagnosi differenziale fra insufficienza cronica ed acuta e, in quest’ultimo caso, di discernere tra la competenza nefrologica e quella urologica. Questo breve lavoro vuole fornire all’ecografista non esperto una serie di semplici ed utili informazioni per gestire al meglio, con l’ausilio dell’ecografo, una delle più comuni urgenze che il nefrologo deve affrontare.

Parole chiave: insufficienza renale acuta, insufficienza renale cronica, ostruzione delle vie urinarie, ecografia.

Introduzione

L’attività clinica quotidiana prevalente del nefrologo è basata sulla diagnosi e terapia della malattia renale ed il primo quesito che si pone è quello di capire se il paziente è affetto da una malattia renale cronica o acuta. In quest’ultimo caso è di fondamentale importanza distinguere le forme funzionali (pre-renali) ed organiche (renali) dalle forme post-renali, in quanto queste ultime sono nella maggior parte dei casi potenzialmente reversibili e di competenza sostanzialmente urologica.

Il termine “uropatia ostruttiva” indica il complesso delle modificazioni strutturali e funzionali conseguenti all’ostacolo del normale deflusso urinario. Dal punto di vista semantico, i termini uropatia ostruttiva e “idronefrosi” (o dilatazione della pelvi renale) vengono frequentemente utilizzati come sinonimi pur sottintendendo definizioni diverse. Il termine idronefrosi indica infatti la dilatazione della pelvi renale riscontrato con le tecniche di imaging e può essere presente anche in assenza di ostruzione al deflusso di urina. I due termini, pertanto, non possono considerarsi sinonimi (si veda Tab. 1  per alcune utili definizioni). 

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Nefrocalcinosi in età pediatrica

Abstract

La nefrocalcinosi (NC) è un quadro morfologico caratterizzato da deposito di calcio nel parenchima renale. Le cause possono essere organiche, iatrogene, ereditarie e talora correlate a patologie extrarenali. Il nostro studio è stato condotto su 34 bambini con NC, 21 M e 13 F (età media alla diagnosi 7,8 mesi), con l’obiettivo di analizzare le patologie associate, le manifestazioni cliniche, le alterazioni metaboliche presenti e correlare i parametri di crescita e funzionalità renale all’esordio con quelli dopo follow-up. All’esordio il 70% dei pazienti era asintomatico e la diagnosi è stata occasionale; la funzionalità renale era normale in 33 pazienti. I sintomi più frequenti erano scarsa crescita (9%), anomalie urinarie (7%), dolore addominale (6%). Le patologie associate erano: tubulopatie acidosi tubulare, S. di Dent, Bartter, Lowe), Rene a spugna midollare, policalicosi (3 pz), S. da intestino corto (3 pz), iperparatiroidismo, ipotiroidismo (2 pz), talassemia (1 pz), tirosinemia (1 pz.). 2 forme da ipervitaminosi D. In un pz la NC dipendeva dalla prematurità, in un altro dalla necrosi lipoidea. Tra le alterazioni metaboliche, riscontrate nel 25% dei pz, l’iperossaluria era la più frequente (47%), ipercalciuria (20%), ipercalcemia (15%). In alcuni casi riscontrate alterazioni endocrine non patogenetiche: ipovitaminosi D (2 pz) e ipoparatiroidismo (6 pz). Durante follow up la crescita è stata regolare nell’87% dei casi e la funzione glomerulare stabile nel 90%; in 3 casi sviluppo di IRC. Dalla nostra analisi emerge che il trattamento delle condizioni di base è associato a catch-up growth e stabilizzazione della funzionalità renale nella maggior parte dei pazienti, ma non alla riduzione del grado di NC.

Parole chiave: nefrocalcinosi, tubulopatie, iperossaluria, ecografia, crescita, funzionalità renale

INTRODUZIONE

La nefrocalcinosi (NC) è un quadro morfologico renale caratterizzato da aumentato deposito di calcio a livello del parenchima renale, più spesso a carico della midollare o della giunzione cortico-midollare, con accumuli di materiale cristallino all’apice delle piramidi renali che possono coinvolgere le cellule tubulari, l’interstizio o il lume tubulare (1). Le cause possono essere associate a: iperparatiroidismo, iper- ed ipotiroidismo, acidosi tubulare distale, iperossaluria ; S. di Bartter, S. di Dent, S. di Lowe, Rene a spugna midollare, M. di Wilson, tirosinemia, fibrosi cistica, anemia mediterranea, S. di Cushing, anemia falciforme, Ipomagnesiemia familiare con ipercalciuria; patologie iatrogene (diuretici, intossicazione da Vitamina D, Nutrizione parenterale , amfotericina B, Sindrome da intestino corto);  necrosi corticale renale e miscellanea di altre patologie che non sempre riguardano il rene. 

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Studio pragmatico sul ruolo degli ultrasuoni nel management delle complicanze infettive del catetere peritoneale

Abstract

L’utilizzo degli ultrasuoni (US) è di importanza essenziale per la diagnosi precoce di coinvolgimento del tunnel nei pazienti portatori di catetere peritoneale con infezione dell’Exit Site (ESI), per il follow up terapeutico dell’infezione del tunnel (TI) e soprattutto per valutare la prognosi nei casi di infezione profonda. L’infezione dell’Exit Site (ESI) è tra le principali cause di peritonite, in quanto è frequente l’invasione dei batteri della cuffia profonda attraverso l’exit site e la propagazione attraverso il tunnel sottocutaneo. L’uso degli US è oggi ampiamente riconosciuto, in corso di ESI consente di identificare i foci persistenti d’infezione come aree ipoecogene pericatetere e soprattutto permette di verificare la risposta alla terapia antibiotica.  Dal gennaio 2012 a dicembre 2015 sono stati sottoposti a controllo ecografico ed eco color Doppler del catetere peritoneale, 8 pazienti affetti da peritonite e/o infezione dell’ES.  Questo lavoro descrive come il follow-up ecografico del catetere peritoneale, implementato dal color Doppler, sia efficace per prevenire le peritoniti correllate all’ESI in quanto ci suggerisce inequivocabilmente il timing per l’intervento chirurgico di cuff shaving, intervento di rimozione della cuffia esterna. Infatti l’utilizzo del color Doppler permette di differenziare le aree essudative da quelle di intensa proliferazione vascolare e di intervenire tempestivamente per prevenire il rischio di cronicizzazione dell’infezione, evitando così, la propagazione dell’infezione alla cuffia profonda, eventuale peritonite nonché di salvare il catetere.

Parole chiave: catetere peritoneale, ecografia, Eco color Doppler

Introduzione

L’utilizzo degli US è di importanza essenziale per la diagnosi precoce di coinvolgimento del tunnel nei pazienti portatori di catetere peritoneale con infezione dell’Exit Site (ESI), per il follow up terapeutico dell’infezione del tunnel (TI) e soprattutto per valutare la prognosi nei casi di infezione profonda(10). L’infezione dell’Exit Site è tra le principali cause di peritonite, in quanto è frequente l’invasione dei batteri della cuffia profonda per la propagazione attraverso il tunnel sottocutaneo.   L’ecografia del tunnel rappresenta oggi un esame insostituibile per scoprire la sorgente d’infezione nei pazienti con peritonite (1,3,4).  In questo studio i pazienti in dialisi peritoneale, in corso di ESI o di peritonite venivano sottoposti ad una valutazione ecografica del catetere peritoneale dall’emergenza fino alla cuffia profonda(8).  La presenza di eritema e secrezione purulenta intorno all’emergenza fa porre diagnosi clinica di infezione dell’exit site (Fig 1), la presenza di eritema e edema cutaneo lungo il decorso del catetere fa diagnosticare l’infezione del tunnel. L’esame ecografico, in caso di infezione del tunnel consente di scoprire con facilità di esecuzione e con alta sensibilità anche piccole aree di raccolta liquida, lungo tutto il decorso sottocutaneo: l’ES, la regione della cuffia esterna, il tratto intercuffie, fino alla cuffia profonda (Fig 2, Fig 5).  Il controllo ecografico ed eco color Doppler del catetere peritoneale è oggi ampiamente riconosciuto, in corso di ESI e consente di identificare i foci persistenti d’infezione come aree ipoecogene pericatetere e soprattutto permette di verificare la risposta alla terapia antibiotica (5, 6). Infatti in corso di terapia, la persistenza o la non riduzione delle aree ipoecogene depone per una cattiva prognosi, cronicizzazione dell’infezione dell’ES e alto rischio di peritonite (1, 4, 6).
 

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