Ultrasonografia vascolare nell’allestimento e nella sorveglianza della fistola artero-venosa: esperienza monocentrica

Abstract

L’incremento dell’età media dei pazienti che iniziano il trattamento emodialitico cronico e la maggiore prevalenza tra gli stessi di patologie ad elevato impatto sul sistema cardio-vascolare, determinano maggiori difficoltà nell’allestire una fistola artero-venosa (FAV).

La scelta dei vasi da utilizzare per il confezionamento dell’accesso vascolare per dialisi è avvenuta in passato essenzialmente attraverso l’esame obiettivo degli arti superiori. Le linee guida internazionali attualmente suggeriscono l’esecuzione di un ecocolordoppler (ECD) a completamento dell’esame fisico in tutti i pazienti candidati al confezionamento di una FAV. L’esame ultrasonografico vascolare costituisce altresì in fase post-operatoria un momento fondamentale per un’adeguata sorveglianza dell’accesso.

Nel nostro Centro abbiamo condotto un’analisi retrospettiva finalizzata ad analizzare, se e in quali termini, l’utilizzo dell’ECD nella pratica clinica abbia avuto delle ripercussioni sulla sopravvivenza degli accessi vascolari.

Sono stati a tal proposito individuati tre periodi storici, in relazione alla modalità di esecuzione della valutazione vascolare pre-intervento e della sorveglianza della FAV che ha visto, nelle tre fasi osservate, la progressiva integrazione dei parametri clinici con quelli ultrasonografici.

L’analisi dei dati ha evidenziato una migliore sopravvivenza statisticamente significativa per tutti gli accessi vascolari valutati cumulativamente e per le FAV distali nella terza fase rispetto alle precedenti, nonostante una percentuale di pazienti over 75 maggiore in quest’ultimo periodo (48% versus 28%).

In conclusione, riteniamo che l’approccio integrato, clinico ed ultrasonografico, sia indispensabile per identificare il sito più idoneo per il confezionamento di un accesso vascolare e per garantirne una buona funzionalità nel tempo.

Parole chiave: emodialisi, fistola arterovenosa, ecocolordoppler, monitoraggio, accesso vascolare

Introduzione

Un trattamento emodialitico adeguato necessita di un accesso vascolare ben funzionante nel tempo.

I pazienti affetti da insufficienza renale cronica (CKD) al IV° stadio (eGFR <30 ml/min), devono pertanto essere accuratamente studiati al fine di poter avviare il trattamento sostitutivo con un accesso vascolare idoneo [1].

I dati della letteratura e le linee guida internazionali in merito indicano la fistola artero-venosa (FAV), allestita con vasi nativi, quale accesso di prima scelta per un minore rischio d’infezione e trombosi, una migliore sopravvivenza, minori costi correlati alla necessità di ospedalizzazione se paragonati alla FAV protesica o al catetere venoso centrale tunnellizato (CVCt) [2].

Nei pazienti affetti da CKD il corretto utilizzo del patrimonio vascolare degli arti superiori costituisce un momento fondamentale ai fini del futuro confezionamento di una FAV. L’attuale incremento dell’età media dei pazienti a inizio trattamento emodialitico cronico e la maggiore prevalenza negli stessi di patologie ad elevato impatto sul sistema cardio-vascolare (diabete mellito, angiosclerosi, arteriopatia obliterante polidistrettuale), determinano maggiori difficoltà nell’allestire una FAV che garantisca buona efficienza dialitica e sufficiente durata nel tempo [3].

Tra le FAV native, il gold standard è rappresentato dalla FAV radio-cefalica distale con anastomosi a livello del polso: essa è associata ad un minor rischio sindrome di steal [4] e, al contrario di una FAV prossimale (omero-cefalica; omero-basilica), raramente sviluppa una elevata portata, causa non trascurabile di scompenso cardiaco nei pazienti uremici.

Basile et al. in uno studio prospettico hanno analizzato il rapporto tra Qa FAV ed output cardiaco e concludevano che una portata uguale o maggiore a 2000 ml/min rappresenta il giusto cut-off nel predire il rischio di scompenso cardiaco cronico ad alta gittata [5].

La FAV distale non è sempre proponibile e può andare incontro a scarsa maturazione e a conseguente fallimento, tuttavia la sua realizzazione, ove possibile, permette un più corretto utilizzo del patrimonio vascolare del singolo paziente e la possibilità per il medesimo di poter usufruire dell’eventuale confezionamento nel tempo di ulteriori accessi che richiedano l’utilizzo di vasi posti in sede più prossimale.

Altra tipologia di accesso vascolare che può essere considerato prima del confezionamento di una FAV prossimale è quella mid-arm, con l’utilizzo del tratto prossimale dell’arteria radiale. Essa è caratterizzata da una portata inferiore rispetto alla prima, ed in genere è ben tollerata anche nei pazienti anziani, diabetici o con vasculopatia periferica [6].

La scelta dei vasi da utilizzare per il confezionamento dell’accesso vascolare per dialisi è avvenuta in passato essenzialmente attraverso l’esame obiettivo degli arti superiori: un attento esame fisico ed anamnestico permette di raccogliere alcune importanti informazioni sul circolo venoso superficiale e sul circolo arterioso:

  • palpabilità delle vene superficiali, valutazione del loro calibro e decorso
  • palpabilità dei polsi arteriosi
  • presenza di cicatrici chirurgiche o aree di distrofia cutanea
  • presenza di pace-maker (PM)
  • pregressi traumi/fratture o interventi chirurgici a carico degli arti superiori o precedenti accessi vascolari
  • storia di pregressi posizionamenti di CVC
  • segni di pregressa reiterata venipuntura, segni di tromboflebite in atto o pregressa
  • presenza di comorbidità rilevanti (scompenso cardiaco, grave valvulopatia, cardiopatia ischemica, patologie della coagulazione).

Le linee guida internazionali attualmente suggeriscono l’esecuzione di un ecocolordoppler (ECD), a completamento dell’esame fisico, in tutti i pazienti candidati al confezionamento di una FAV. Esso consente, in fase preoperatoria, la scelta dei vasi più idonei all’intervento e, in fase post-operatoria, rappresenta un momento fondamentale per un’adeguata sorveglianza dell’accesso e la diagnosi precoce di eventuali cause di malfunzionamento suscettibili di correzione [7].

L’ECD fornisce, infatti, numerose e dettagliate informazioni sul circolo venoso superficiale e profondo e sul circolo arterioso dell’intero arto superiore, consente altresì valutazioni emodinamiche e morfologiche permettendo di identificare eventuali varianti anatomiche.

Lo studio vascolare pre-intervento effettuato di routine ha permesso di incrementare negli anni la percentuale di FAV confezionate con vasi nativi a scapito della FAV protesiche, nonché di migliorare la sopravvivenza nel tempo, attraverso una più adeguata sorveglianza e la identificazione precoce delle complicanze [89].

Il mapping artero-venoso pre intervento fa riferimento ai parametri di seguito riportati:

  1. Parametri arteriosi (Fig.1):
  • diametro dell’arteria radiale: un diametro minimo di 2 mm è stato correlato ad una elevata percentuale di pervietà primaria ad un anno (83%) [10]
  • spessore e qualità intima-media: l’incremento dello stesso correla con un peggior outcome della FAV [11]
  • flusso/compliance vascolare nel test dell’iperemia reattiva: un valore dell’indice di resistenza (IR) >0,7 in fase di iperemia reattiva è correlato ad un fallimento precoce dell’accesso vascolare [12]
  • presenza di calcificazioni vascolari
  • presenza di lesioni steno-ostruttive
Figura 1: Parametri arteriosi
Figura 1: Parametri arteriosi
  1. Parametri venosi (Fig.2):
  • pervietà del vaso e struttura di parete: lume anecogeno, comprimibilità del vaso, parete sottile
  • diametro e distensibilità della vena cefalica: 2 mm senza elastocompressione, 2,5 mm con elastocompressione [13]
  • profondità: <6 mm rispetto al piano cutaneo, al fine di consentire un’agevole venipuntura
  • decorso: deve essere sufficientemente rettilineo
  • presenza di circoli collaterali a meno di 5 cm dall’anastomosi [14].
Figura 2: Parametri venosi
Figura 2: Parametri venosi

Una FAV si definisce matura quando il diametro venoso permette la venipuntura con aghi di grosso calibro e la portata raggiunge i 600 ml/min, il diametro del vaso 6 mm, con un decorso del vaso a non più di 6 mm di profondità rispetto al piano cutaneo.

Appare auspicabile che i pazienti in emodialisi siano sottoposti ad una regolare sorveglianza dell’accesso vascolare, finalizzata alla diagnosi precoce delle cause di malfunzionamento dell’accesso. In particolare, l’identificazione di stenosi emodinamicamente significative (riduzione maggiore del 50% del lume vasale) e la valutazione del trend della portata dell’accesso, incrementano in modo significativo il tasso di pervietà riducendo di conseguenza l’incidenza di trombosi della FAV [15].

In merito alla sorveglianza degli accessi vascolari, i metodi di screening per la ricerca di stenosi significative sono stati suddivisi in quelli di I e II generazione [16]:

  1. Metodi di I generazione:
  • il monitoraggio fisico
  • vigilanza della pressione FAV (valutazione di pressione venosa dinamica, intra accesso e statica)
  • test del ricircolo
  • riduzione dell’efficienza dialitica (riduzione kt/v ed URR).
  1. Metodi di II generazione, permettono di calcolare la portata dell’accesso:
  • screening diluzionale
  • ECD.

La misurazione della portata a livello dell’arteria brachiale al di sopra del gomito tramite ECD rappresenta il miglior modo per sorvegliare una FAV; una portata <500 ml/min o una sua riduzione progressiva nel tempo sono altamente predittive di stenosi [1].

La trombosi, di fatto, rappresenta quasi sempre una causa di fallimento tardivo, con innumerevoli conseguenze cliniche negative, che determinano un incremento della frequenza di ospedalizzazione e della spesa sanitaria, nonché della morbidità e mortalità dei pazienti in emodialisi cronica [17].

 

Materiali e metodi

Nel nostro Centro abbiamo condotto un’analisi retrospettiva finalizzata ad analizzare se ed in quali termini l’utilizzo dell’ECD nella pratica clinica in ambito nefrologico abbia avuto delle ripercussioni sulla sopravvivenza degli accessi vascolari.

Sono stati a tal proposito individuati tre periodi storici (Tab. I), in relazione alla modalità di esecuzione nel Centro di:

  • valutazione vascolare pre-intervento
  • sorveglianza della FAV.
Pre-intervento Sorveglianza
2000-2004:
  • esame fisico
  • eventuale flebografia
  • monitoraggio clinico
  • test del ricircolo, scadimento efficienza dialitica
  • ECD (se presente indicazione clinica, ma non in ambito nefrologico)
2005-2009:
  • esame fisico
  • avvio mapping vascolare in ambito nefrologico
  • monitoraggio clinico
  • test del ricircolo, scadimento efficienza dialitica
  • inizio uso ECD per ricerca stenosi e misurazione portata:
    • ogni 90 giorni per le FAV protesiche
    • su indicazione clinica per le FAV native
    • ad un mese da procedure interventistiche e successivamente ogni 6 mesi
2010-2015:
  • esame fisico
  • mapping vascolare di routine in ambito nefrologico
  •  monitoraggio clinico
  • test del ricircolo, scadimento efficienza dialitica
  • ECD per ricerca stenosi e misurazione portata:
    • ogni 90 giorni per le FAV protesiche
    • su indicazione clinica per le FAV native
    • ad un mese da procedure interventistiche e successivamente ogni 6 mesi
Tabella I: Tre fasi storiche in relazione alla modalità di esecuzione di valutazione vascolare pre-intervento e di sorveglianza della FAV

Sono stati altresì definiti i parametri cui fare riferimento tanto per la fase di studio pre-operatoria, quanto per quella di sorveglianza (Tab. II).

Riferimenti nella fase di pre-intervento: Riferimenti nella fase di sorveglianza:
Esame fisico:

Presenza e consistenza dei polsi arteriosi (brachiale, radiale, ulnare)

Valutazione del reticolo venoso superficiale con elastocompressione: palpabilità, e decorso dei vasi

Monitoraggio clinico:

Presenza e trasmissione del thrill, prolungato sanguinamento a fine dialisi, difficoltà al posizionamento degli aghi

Flebografia:

Valutazione pervietà e calibro dei vasi venosi scarsamente palpabili

Parametri dialitici:

Test ricircolo urea >10%, scadimento trend della efficienza dialitica (riduzione dello 0.2 Kt/v)

Mapping Vascolare:

–        Arteria: calibro della a. radiale uguale o maggiore di 2 mm, profilo velocimetrico trifasico, test iperemia reattiva IR uguale e inferiore a 0.7

–        Vena: pervietà del vaso ed integrità di parete, calibro maggiore o uguale a 2.5 mm con elastocompressione (avambraccio), calibro uguale o maggiore di 4 mm per protesi

Parametri ultrasonografici:

Portata inferiore a 500 ml/min, trend con riduzione maggiore del 25%

Riscontro di aree di stenosi superiori al 50% (PSV > 400 cm/s o PSV ratio >2)

Tabella II: Parametri di riferimento

Tecnica chirurgica

Le FAV con vasi nativi sono state tutte confezionate in anestesia locale (ropivacaina 7.5%) con anastomosi latero-terminale per le FAV distali e prossimali, e latero-laterale o latero-terminale per le FAV mid-arm, con lunghezza del tratto anastomotico 5-7 mm.

Le FAV protesiche tutte in politetrafluoroetilene (PTFE), coniche 4-7 mm (gore-tex STRETCH), sono state confezionate in anestesia plessica (levobupivacaina 2%, ropivacaina 5%) con conformazione a loop fra arteria omerale e vena basilica, o conformazione retta fra arteria omerale e vena omerale o ascellare.

Dopo il primo anno di collaborazione con il chirurgo, tutti gli accessi sono stati eseguiti da equipe nefrologica.

Tecnica ultrasonografica

Al fine di decidere l’arto da utilizzare ed il tipo di accesso da confezionare, il nefrologo ha eseguito ECD usando sonda lineare L4-15 mHz eseguendo scansioni longitudinali e trasversali dei vasi esaminati con utilizzo del doppler pulsato per le valutazioni velocimetriche, facendo riferimento ai parametri specificati nella Tab. II.

Il numero dei pazienti prevalenti, compresi i pazienti incidenti, nei tre periodi considerati è stato di 130 ±6 pazienti, con una percentuale di CVCt che è gradualmente aumentata: 13% nel primo periodo, 18% nel a secondo periodo 22% nel a terzo periodo.

Al fine di prevenire il fallimento precoce dell’accesso, tutti i pazienti sottoposti ad intervento di confezionamento di FAV hanno avviato terapia antiaggregante (acido acetilsalicilico 100 mg) salvo quelli che eseguivano terapia con anticoagulante orali per altre motivazioni cliniche [18].

Metodo statistico

Per l’analisi statistica sono state utilizzate le curve di sopravvivenza secondo Kaplan-Meier al fine di valutare le differenze nei tre periodi osservati. Il livello di significatività definito come p <0.05.

 

Risultati

La sopravvivenza cumulativa degli accessi vascolari nei tre periodi osservati è apparsa migliore nel terzo periodo di osservazione in modo statisticamente significativo (P <0.05) rispetto ai precedenti (Fig. 3).

Figura 3: FAV totali
Figura 3: FAV totali

È stata successivamente condotta una analisi statistica specifica mirata alla valutazione della sopravvivenza di ciascuna tipologia di accesso realizzato nei tre periodi. L’analisi dei dati ha evidenziato per la FAV distale una migliore sopravvivenza, statisticamente significativa (p< 0.05), nella 3° coorte rispetto alle prime due (Fig. 4).

Figura 4: FAV distale
Figura 4: FAV distale

Per la FAV mid-arm, confezionata in due dei tre periodi osservati, si è evidenziata una migliore sopravvivenza nel terzo rispetto al secondo periodo, ma senza significatività statistica (Fig. 5).

Figura 5: FAV mid-arm
Figura 5: FAV mid-arm

Per la FAV prossimale si è osservato un trend di miglior sopravvivenza nella 3° coorte rispetto alle prime due, ma anche in questo caso senza significatività statistica (Fig.6).

Figura 6: FAV prossimale
Figura 6: FAV prossimale

Per la FAV protesica sono state osservate minime differenze nei tre periodi osservati prive di rilevanza statisticamente significativa (Fig.7).

Figura 7: FAV protesica
Figura 7: FAV protesica

È stata inoltre effettuata una analisi per valutare le caratteristiche anagrafiche della popolazione inclusa nei tre periodi osservati. A dispetto della migliore sopravvivenza degli accessi nella terza coorte dei pazienti, essa ha evidenziato un progressivo incremento percentuale delle FAV confezionate nei soggetti over 75 dal primo periodo (28,3%) al terzo periodo (47,9%) (Fig. 8).

Figura 8: Numero di pazienti e numero di accessi in pazienti over 75
Figura 8: Numero di pazienti e numero di accessi in pazienti over 75

A completare l’analisi dei dati, è stata effettuata una valutazione sull’incidenza dei fallimenti precoci, considerata a 30 giorni dal confezionamento dell’accesso, che ha evidenziato un tasso di incidenza con trend in riduzione, dal 12,8% del primo periodo al 5,5% e 6,7% rispettivamente del secondo e terzo periodo.

 

Discussione

Pur con i limiti dello studio retrospettivo, l’analisi dei risultati evidenzia un miglioramento degli outcomes clinici in termini di pervietà globale dopo l’introduzione in ambito nefrologico della tecnica ultrasonografica in fase di progettazione e sorveglianza dell’accesso vascolare, e la sua integrazione con il monitoraggio clinico, dato peraltro ampiamente confermato in letteratura [19-20].

Nei tre periodi considerati la percentuale di pazienti diabetici (25-30%) ed obesi (8-10%) era sovrapponibile, pertanto i risultati non appaiono influenzati in modo significativo da tali variabili.

È al contrario evidente che il supporto ultrasonografico risulta fondamentale al fine incrementare il numero di FAV confezionate nel paziente anziano, essendo il dato percentuale delle FAV realizzate nel paziente over 75 incrementato dal 28% del primo periodo, al 48% del terzo periodo. Aspetto quest’ultimo non trascurabile se si considera che l’utilizzo del CVCt quale accesso definitivo per emodialisi è correlato ad un maggiore morbilità e mortalità del paziente uremico [17].

Di fatto, la sola età anagrafica non può costituire un limite al confezionamento di una FAV nel paziente anziano da avviare alla terapia dialitica [21].

L’analisi eseguita in relazione alla singola tipologia di FAV ha posto in evidenza un risultato chiaramente significativo in termini di sopravvivenza a favore delle fistole confezionate con vasi nativi. Nella fattispecie, il dato è apparso statisticamente significativo per le fistole radio-cefaliche, ma ha mostrato un trend in miglioramento anche per le fistole mid-arm e prossimali.

È altrettanto vero che nei tre periodi considerati, si è registrata una riduzione percentuale delle FAV radio-cefaliche rispetto al totale delle FAV realizzate, dal 57% della prima coorte, al 44% della seconda fino al 37% della terza. Tale aspetto è tuttavia essenzialmente da riferire alla realizzazione nel secondo e nel terzo periodo delle FAV mid-arm, tipologia di accesso in precedenza non confezionato, che ha determinato una riduzione percentuale anche della FAV prossimali. Il dato è sostanzialmente da riferire al metodico studio preoperatorio ed alla scelta del sito reputato più idoneo per il confezionamento dell’accesso che, in una popolazione con elevata percentuale di anziani, ha favorito l’utilizzo di vasi in sede più prossimale rispetto al polso ma ha anche permesso di utilizzare in modo adeguato ed efficace il tratto intermedio del braccio, prima di optare per il confezionamento di una FAV prossimale [22].

Non vi è stata alcuna variazione significativa, nei tre periodi considerati, della sopravvivenza delle FAV di tipo protesico, la cui percentuale nei tre intervalli ha registrato leggero progressivo incremento come numero assoluto. Tuttavia per tale tipologia di accesso è possibile evidenziare un miglioramento della sopravvivenza nella seconda e terza coorte rispetto alla prima a 12 e 24 mesi, ma peggiore a 36 mesi.

Il dato non appare di semplice interpretazione, pur con i limiti dovuti alla modesta numerosità del campione esaminato, un adeguato mapping vascolare preoperatorio è sembrato importante al fine di ridurre il tasso di insuccessi precoci, come per altro dimostrato in letteratura [16]. La sopravvivenza peggiorativa a distanza sembra invece ridimensionare il valore del controllo strumentale della FAV protesica, nei confronti della quale, nel nostro pool di pazienti, è stato effettuato un metodico controllo ECD con cadenza trimestrale, avvalorando in modo indiretto il concetto del ruolo di primo piano del monitoraggio clinico nell’ambito della sorveglianza dell’accesso vascolare per emodialisi [23].

Il numero di procedure interventistiche è progressivamente aumentato: dalle 31 eseguite nel primo periodo alle 36 nel secondo periodo fino a raggiungere le 52 nel terzo periodo. L’incremento di tali procedure, che tuttavia è apparsa contenuta in termini assoluti, conduce a nostro parere a due riflessioni: da una parte l’innegabile ruolo dell’ECD nell’identificazione precoce di lesioni stenotiche correggibili per via endovascolare, dall’altra, la necessità di ottimizzare il programma di sorveglianza strumentale, senza tuttavia eccedere nell’indicazione allo studio angiografico.

Appare evidente che un’azione integrata, clinica ed ultrasonografica, sia indispensabile al fine di perseguire due fondamentali obiettivi: identificare il sito più idoneo per il confezionamento di un accesso vascolare e garantire una corretta sorveglianza finalizzata al mantenimento di una buona funzionalità della fistola nel tempo [924].

Alla luce di tali considerazioni e dell’esperienza da noi condotta, crediamo che un approccio multidisciplinare alla complessa problematica dell’accesso vascolare per emodialisi sia di fondamentale importanza: in tal senso in ambito nefrologico appare indispensabile la realizzazione di un settore specifico finalizzato alla valutazione ultrasonografica preoperatoria del paziente da indirizzare ad un programma di emodialisi, nonché alla sorveglianza dei pazienti medesimi nel tempo [25].

Il nefrologo dovrebbe costituire il riferimento clinico del team multidisciplinare, che vede coinvolti anche chirurghi vascolari, angioradiologi ed infermieri di dialisi ed in tal senso interagire con le figure menzionate e con esse decidere in merito alla creazione dell’accesso vascolare, alla gestione del medesimo ed alla risoluzione di eventuali problemi connessi al suo utilizzo.

Tale team multidisciplinare dovrebbe avere il compito fondamentate di definire il life-plan individuale del paziente con uremia terminale, nello specifico definire la sede e il timing di confezionamento dell’accesso vascolare nonché garantire l’adeguata sorveglianza nel tempo. Ogni scelta andrebbe effettuata in maniera prospettica tenendo presente che il paziente uremico nell’arco della sua storia dialitica potrebbe avere la necessità di confezionare più accessi [26].

Risulta a nostro parere importante acquisire e mantenere in ambito nefrologico le risorse umane e le competenze adeguate per poter garantire con continuità la realizzazione della FAV in tempi corretti e nel sito più idoneo, realizzando di fatto un primo livello clinico assistenziale sul tema specifico. Appare altresì fondamentale che tale attività sia coordinata con un secondo livello clinico assistenziale che vede attive le altre figure professionali coinvolte.

Chirurghi vascolari ed angioradiologi appaiono indispensabili per la risoluzione delle complicanze connesse all’utilizzo degli accessi vascolari nonché per la realizzazione di accessi complessi, ma estremamente importante è mantenere una costante attività di sorveglianza e collaborazione con infermieri della sala di dialisi che spesso costituisce la prima sede in cui è possibile verificare l’adeguato funzionamento dell’accesso vascolare o la eventuale presenza degli iniziali segni di malfunzionamento.

 

Conclusioni

In conclusione, crediamo di poter affermare che programmi formativi volti a consolidare le competenze di carattere ultrasonografico vascolare in ambito nefrologico possano essere rilevanti al fine di migliorare gli outcomes clinici della fistola artero-venosa per emodialisi.

Riteniamo anche che l’ausilio dell’ECD non possa in nessuna fase di cura sostituire l’importanza dell’esame fisico e della sorveglianza clinica che rimangono fondamentali per garantire una migliore sopravvivenza e qualità di vita dei pazienti uremici.

È auspicabile altresì che ogni unità operativa di Nefrologia e Dialisi effettui un monitoraggio continuativo dei propri dati e che valuti nel tempo la sopravvivenza delle FAV e l’incidenza di complicanze ad esse correlate, al fine di poter al meglio modulare la strategia operativa, sempre nel rispetto delle linee guida di riferimento in merito.

  

Bibliografia

  1. Besarab A, Work J, Brouwer D, Konner K, Bunchman TE, et al. Clinical practice guidelines for hemodialysis adequacy, update 2006. Am J Kidney Dis 2006; 48(S1):S1-S322. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2006.03.051
  2. Gibson KD, Gillen DL, Caps MT, et al. Vascular access survival and incidence of revisions: a comparison of prosthetic grafts, simple autogenous fistulas, and venous transposition fistulas from the United States Renal Data System Dialysis Morbidity and Mortality Study. J Vasc Surg 2001; 34:694-700. https://doi.org/10.1067/mva.2001.117890
  3. Hwang D, Park S, Kim HK, Huh SJ. Comparative outcomes of vascular access in patients older than 70 years with end-stage renal disease. Vasc Surg 2019; 69(4):1196-206. https://doi.org/10.1016/j.jvs.2018.07.061
  4. Leake AE, Winger DG, Leers SA, Gupta N, Dillavou ED. Management and outcomes of dialysis access-associated steal syndrome. J Vasc Surg 2015; 61(3):754-60. https://doi.org/10.1016/j.jvs.2014.10.038
  5. Basile C, Lomonte C, Vernaglione L, Casucci F, Antonelli M, Losurdo N. The relationship between the flow of arteriovenous fistula and cardiac output in haemodialysis patients. Nephrol Dial Transplant 2008; 23(1):282-87. https://doi.org/10.1093/ndt/gfm549
  6. Bonforte G, Rossi E, Auricchio S, Pogliani D, Mangano S, Mandolfo S, Galli F, Genovesi S. The middle-arm fistula as a valuable surgical approach in patients with end-stage renal disease. J Vasc Surg 2010; 52(6):1551-56. https://doi.org/10.1016/j.jvs.2010.06.165
  7. Tordoir J, Canaud B, Haage P, et al. EBPG on vascular Access. Nephrol Dial Transplant 2007; 22(S2):ii88-117. https://doi.org/10.1093/ndt/gfm021
  8. Lok CE. Fistula First Initiative: Advantages and Pitfalls. Clin J Am Soc Nephrol 2007; 2: 1043-53. https://doi.org/10.2215/CJN.01080307
  9. Zamboli P, Calabria M, Camocardi A, Fiorini F, D’Amelio A, Lo Dico C, Granata A. Color-Doppler imaging and arteriovenous fistula: preoperative evaluation and surveillance. G Ital Nefrol 2012; 29(S57):S36-46. https://giornaleitalianodinefrologia.it/wp-content/uploads/sites/3/pdf/storico/2012/S57/GINS57_12_ZAMBOLI.pdf
  10. Silva MB Jr, Hobson RW, Pappas PJ, et al. A strategy for increasing use of autogenous hemodialysis access procedures: impact of pre-operative noninvasive evaluation. J Vasc Surg 1998; 27:302-07. https://doi.org/10.1016/s0741-5214(98)70360-x
  11. Ku YM, Kim YO, Kim J, et al. Ultrasonographic measurement of intima-media thickness of radial artery in pre-dialysis uremic patients: comparison with histological examination. Nephrol Dial Transplant 2006; 21:715-20. https://doi.org/10.1093/ndt/gfi214
  12. Malovrh M. Native arteriovenous fistula: preoperative evaluation. Am J Kidney Dis 2002; 39:1218-25. https://doi.org/10.1053/ajkd.2002.33394
  13. Lockhart ME, Robbin ML, Fineberg NS, et al. Cephalic vein measurement before forearm fistula creation: does use of a tourniquet to meet the venous diameter threshold increase the number of usable fistula? J Ultrasound Med 2006; 25:1541-45. https://doi.org/10.7863/jum.2006.25.12.1541
  14. Beathard GA, Arnold P, Jackson J, et al. Aggressive treatment of early fistula failure. Kidney Int 2003; 64:1487-94. https://doi.org/10.1046/j.1523-1755.2003.00210.x
  15. Lomonte C, Meola M, Petrucci I, Casucci F and Basile C. The Key Role of Color Doppler Ultrasound in the Work-up of Hemodialysis Vascular Access. Seminars in Dialysis 2015; 28(2):211-15. https://doi.org/10.1111/sdi.12312
  16. Ibeasa J, Roca-Teyb R, Vallespínc J, Moreno T, Moñux G, et al. Spanish Clinical Guidelines on Vascular Access for Haemodialysis. Nefrologia 2017; 37(S1):1-191. https://doi.org/10.1016/j.nefro.2017.11.004
  17. Rehman R, Schmidt RJ, and Moss AH. Ethical and Legal Obligation to Avoid Long-Term Tunneled Catheter Access. Clin J Am Soc Nephrol 2009; 4(2):456-60. https://doi.org/10.2215/CJN.03840808
  18. Fan PY, Lee CC, Liu SH, Li I-J, Weng CH, et al. Preventing arteriovenous shunt failure in hemodialysis patients: a population-based cohort study. J Thromb Haemost 2018; 17(1):77-87. https://doi.org/10.1111/jth.14347
  19. Mudoni A, Caccetta F, Caroppo M, Musio F, Accogli A, et al. Echo color Doppler ultrasound: a valuable diagnostic tool in the assessment of arteriovenous fistula in hemodialysis patients. J Vasc Access 2016; 17(5):446-52. https://doi.org/10.5301/jva.5000588
  20. Aragoncillo Sauco I, Ligero Ramos JM, Vega Martínez A, Morales Muñoz ÁL, et al. Vascular access clinic results before and after implementing a multidisciplinary approach adding routine Doppler ultrasound. Nefrologia 2018; 38(6):616-21. https://doi.org/10.1016/j.nefro.2018.04.003
  21. Olsha O, Hijazi J, Goldin I, and Shemesh D. Vascular access in hemodialysis patients older than 80 years. J Vasc Surg 2015; 61(1):177-83. https://doi.org/10.1016/j.jvs.2014.07.005
  22. Borzumati M, Funaro L, Mancini E, Resentini V, Baroni A. Survival and complications of arteriovenous fistula dialysis access in an elderly population. J Vasc Access 2013; 14(4):330-34. https://doi.org/10.5301/jva.5000143
  23. Gallieni M, Hollenbeck M, Inston N, Kumwenda M, Powell S, et al. Clinical practice guideline on peri- and postoperative care of arteriovenous fistulas and grafts for haemodialysis in adults. Nephrol Dial Transplant 2019; 34:ii1–ii42. https://doi.org/10.1093/ndt/gfz072
  24. Aragoncillo I, Abad S, Caldés S, Amézquita Y, Vega A, Cirugeda A, at al. Adding access blood flow surveillance reduces thrombosis and improves arteriovenous fistula patency: a randomized controlled trial. J Vasc Access 2017; 18(4):352-58. https://doi.org/10.5301/jva.5000700
  25. Niyyar VD. Ultrasound in dialysis access: Opportunities and challenges. J Vasc Access 2020; 21(3):272-80. https://doi.org/10.1177/1129729819855487
  26. Lok C, Shenoy S, Yevzlin A, Huber TS, Lee T. KDOQI Clinical Practice Guideline For Vascular Access: 2018. AJKD Submission Draft, April 2019. https://www.vasbi.org.uk/static/uploads/resources/kdoqi_vasc-access-review2019_v2.pdf

Utilità della valutazione ecocolordoppler prima dell’allestimento di un accesso vascolare per emodialisi: esperienza di un singolo centro dialisi

Abstract

L’uso dell’ecocolordoppler preoperatorio migliora la valutazione clinica perché fornisce informazioni anatomiche ed emodinamiche che lo rendono uno strumento importante nella pianificazione dell’accesso vascolare.

Lo studio ecografico preoperatorio dei vasi può ridurre significativamente il tasso di insuccesso dell’intervento e l’incidenza di complicanze dell’accesso vascolare.

Riportiamo l’esperienza del nostro Centro, della durata di 10 anni, nel quale il nefrologo sottopone tutti i pazienti a valutazione ecografica preoperatoria del patrimonio vascolare dell’arto superiore.

L’ecocolordoppler è stato di grande utilità nella selezione dei vasi migliori e nella scelta della sede per l’allestimento della fistola artero-venosa, riducendone la percentuale di fallimento. Inoltre, la collaborazione tra le diverse professionalità del team degli accessi vascolari ha permesso il raggiungimento di risultati, a nostro avviso, soddisfacenti.

Parole chiave: accesso vascolare, uso dell’ecografia, ecocolordoppler, mapping preoperatorio, emodialisi

Introduzione

Il buon funzionamento dell’accesso vascolare (FAV) è uno degli elementi cruciali per la riuscita del trattamento emodialitico ed è associato ad una riduzione della morbilità e mortalità del paziente uremico. Un basso tasso di trombosi della FAV è uno degli obiettivi più importanti per migliorare la qualità di vita e delle prestazioni sanitarie dei pazienti in trattamento emodialitico. Tuttavia, ancora oggi, la problematica legata agli accessi vascolari rappresenta, nella sua evidente complessità, un nodo dolente della terapia sostitutiva renale. Inoltre, oggi più che mai, noi nefrologi siamo chiamati a gestire il paziente emodializzato in termini sempre più elevati di qualità della prestazione sanitaria e di riduzione dei costi.

Le prime Linee Guida KDOQI, pubblicate oltre dieci anni fa, raccomandavano di approntare una fistola con vasi nativi almeno 3-4 mesi prima del previsto inizio del trattamento emodialitico e di ridurre il posizionamento dei cateteri venosi centrali (CVC), incrementando il numero dei pazienti portatori di una fistola ben funzionante [1]. Le linee guida pubblicate più recentemente (UK Renal Association, Società Europea per gli accessi vascolari (ESVS), Associazione Europea ERA-EDTA ed il Gruppo Multidisciplinare Spagnolo degli Accessi Vascolari (GEMAV)) sono dirette oltre che ai chirurghi, anche a tutti i professionisti coinvolti nella cura e nella gestione dell’accesso vascolare al fine di migliorare la qualità di vita del paziente emodializzato [25]. Quindi sono di notevole aiuto al fine di stabilire le migliori strategie di gestione per tutti i pazienti che necessitano di un accesso vascolare (AV).

 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Sindrome da ipoperfusione periferica e sindrome monomielica: dalla diagnosi al trattamento. Descrizione di un caso clinico con revisione della letteratura

Abstract

La Sindrome Ischemica è una complicanza severa, ma poco frequente, che può presentarsi dopo l’allestimento di un accesso vascolare (AV) e causare in casi gravi danni ischemici irreversibili. La fisiopatologia è multifattoriale e rappresenta la base per una diagnosi precoce al fine di una gestione corretta del paziente.

Negli anni, vari termini sono stati utilizzati per indicare la sindrome da furto e/o ischemica in soggetti portatori di AV, tanto da creare una certa confusione. Attualmente si utilizzano due nuove denominazioni: Haemodialysis Access-Induced Distal Ischaemia (HAIDI) e Distal Hypoperfusion Ischaemia Syndrome (DHIS).

Clinicamente distinguiamo la Sindrome da Ipoperfusione Periferica (SIP) e la Sindrome Monomielica (SM). Le due entità sono caratterizzate da quadri clinici ben distinti, che il nefrologo deve riconoscere al fine di poter attuare un trattamento adeguato.

Riportiamo il caso di un paziente uremico, diabetico, vasculopatico, portatore di fistola arterovenosa (FAV) brachio-cefalica che ha sviluppato una sindrome da ipoperfusione periferica tanto da rendere necessaria la chiusura dell’AV. La descrizione del caso è seguita da una revisione della letteratura sull’argomento.

Parole chiave: mano ischemica, accesso vascolare, ecocolordoppler, emodialisi

Case Report

Descriviamo il caso di un uomo di 58 anni con una storia di diabete mellito di lunga durata, ipertensione arteriosa e vasculopatia periferica. Il primo accesso vascolare (AV) allestito era una FAV brachio-cefalica al braccio sinistro. Subito dopo l’intervento, però, si assisteva alla comparsa di lieve dolore, parestesie e debolezza della mano, sintomatologia che è andata via via scomparendo nei giorni successivi. 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Lo pseudoaneurisma dell’arteria brachiale: rara ma temibile complicanza nel paziente emodializzato portatore di fistola arterovenosa

Abstract

La formazione di un pseudoaneurisma o falso aneurisma dell’arteria brachiale è un’evenienza infrequente nel paziente in trattamento dialitico portatore di fistola arterovenosa (FAV). Descriviamo il caso di una donna di 76 anni giunta alla nostra osservazione con una massa dolente e pulsante in corrispondenza della fossa antecubitale destra a 10 cm dalla FAV. L’esame ecografico in B-mode evidenziava uno stravaso ematico sacciforme. Il color doppler mostrava un movimento di ricircolo del sangue che creava un’immagine cromatica caratteristica a due colori detta a bandiera coreana. La paziente, trasferita in ambiente chirurgico, è stata sottoposta inizialmente a compressione ecoguidata della massa pulsante, successivamente ad intervento di esclusione chirurgica dello pseudoaneurisma. Dopo due settimane dall’intervento la FAV è stata riutilizzata per il trattamento dialitico.
La diagnosi ecografica differenziale tra falso aneurisma ed aneurisma non è sempre facile: le caratteristiche ecocolordoppler possono essere determinanti nella diagnosi precoce di pseudoaneurisma finalizzata alla pianificazione del trattamento, tenuto conto delle temibili complicanze legate alla sua rottura. Le opzioni terapeutiche comprendono: la compressione ecoguidata, l’iniezione percutanea di trombina, il posizionamento di stent medicati, la riparazione chirurgica mediante aneurismectomia e ricostruzione del vaso.

PAROLE CHIAVE: Pseudoaneurisma, Arteria brachiale, Ecocolordoppler, Fistola arteriovenosa

Introduzione

Il malfunzionamento dell’accesso vascolare rappresenta una delle principali cause di ospedalizzazione del paziente emodializzato (1); lì dove le problematiche relative al sistema venoso (trombosi, stenosi, aneurismi) sono alquanto frequenti, la patologia del sistema arterioso è insolita, fatta eccezione per la steal syndrome dove a causa di una stenosi arteriosa si ha un sovvertimento del flusso: il flusso arterioso diventa centripeto mentre quello venoso centrifugo, tutto ciò determina un “furto” di sangue che riduce drasticamente l’ossigenazione dei tessuti periferici (2). Nel paziente emodializzato la formazione di un pseudoaneurisma o falso aneurisma dell’arteria brachiale è un’evenienza infrequente (0,02%) ma possibile (3): generalmente legata alla puntura accidentale del vaso nel corso della venopuntura (4,5,6,7). Lo pseudoaneurisma è una raccolta ematica perivascolare che non ha una parete vascolare propria ma una capsula connettivale reattiva; può insorgere per stravaso emorragico in sede di puntura e può organizzarsi o rimanere in comunicazione con il vaso da cui viene alimentato formando un pseudoaneurisma pulsante. La tendenza ad accrescersi rapidamente può essere responsabile di temibili complicanze fino all’amputazione delle dita o dell’intero arto (8): sono pertanto auspicabili una precoce diagnosi e un trattamento rapido ed efficace. L’angiografia rappresenta il gold standard per la diagnosi (9), lo scopo di questo report è stato quello di illustrare le caratteristiche ecocolordoppler della lesione che hanno consentito di fare diagnosi precoce senza ricorrere a metodiche più invasive.
 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.

Stenosi di Vena Cava Superiore con CVC long-term e FAV protesica omolaterale: case-report

Abstract

L’utilizzo di cateteri venosi centrali (CVC) come accesso vascolare è aumentato notevolmente negli ultimi anni, in particolare a causa del progressivo invecchiamento della popolazione e della presenza di numerose comorbidità. Nei pazienti in emodialisi, l’uso dei CVC è associato a numerose complicanze. Tra queste le stenosi venose centrali rappresentano una complicanza comune che, se non diagnosticata correttamente, può comportare la trombosi totale del vaso, rendendo inutilizzabile l’accesso vascolare.
Di seguito riportiamo un caso di un paziente di 38 anni, portatore di CVC tunnellizzato in vena giugulare destra e di Fav protesica nell’arto omolaterale, che ha sviluppato una stenosi asintomatica della vena cava superiore. Lo screening ecografico ha permesso di individuare l’anomalia e di intervenire tempestivamente ripristinando la corretta pervietà del vaso.
Nei pazienti in emodialisi è pertanto indispensabile un adeguato follow-up dell’accesso vascolare, al fine di prevenire l’insorgenza di tali complicanze.

PAROLE CHIAVE: accesso vascolare, Fav protesica, ecocolordoppler, emodialisi.

Introduzione

Un accesso vascolare “ben funzionante” è un requisito indispensabile per una dialisi efficace ed efficiente; se da un lato, la fistola artero-venosa (FAV) nativa, dopo più di 50 anni dalla sua “creazione”, rimane sempre il miglior approccio a cui tendere, dall’altro l’uso dei cateteri venosi centrali (CVC) sta aumentando esponenzialmente, in tutti quei pazienti anziani, comorbidi e con un patrimonio vascolare eccessivamente compromesso per gli accessi vascolari.

A fronte di una facilità di utilizzo, i CVC presentano molteplici complicanze che incidono pesantemente sia sulla qualità di vita e sia sull’efficienza dialitica.

A riguardo, le linee guida K/DOQI consigliano e incentivano l’uso dell’ecografia per la pianificazione chirurgica di un accesso vascolare complesso come può esserlo l’impianto di un graft, per il quale è necessario un regolare follow-up ecografico al fine di garantirne il buon funzionamento nel lungo termine, con la possibilità di diagnosticare per tempo le “stenosi subcliniche”, che esiterebbero inevitabilmente in trombosi precoci.
 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.