Scelta e gestione dell’anticoagulante durante CRRT

Abstract

Le terapie sostitutive della funzione renale con metodiche extracorporee continue (CRRT) sono diffusamente utilizzate nel trattamento del danno renale acuto. Diverse cause, relative al trattamento stesso o alle condizioni del paziente, determinano la coagulazione del circuito extracorporeo. Queste interruzioni (down-time) hanno un impatto negativo sull’efficacia del trattamento sia in termini di clearance dei soluti che di bilancio dei fluidi. Storicamente la scelta di un aticoagulante è caduta sull’eparina non frazionata per semplicità di utilizzo e basso costo. Oggi l’indicazione primaria propende invece per il citrato per la sua alta efficacia e sicurezza. Numerosi studi sono concordi nell’affermare la superiorità del citrato in termini di sopravvivenza del filtro. La riduzione del down-time si traduce in una riduzione del delta fra la dose dialitica prescritta e quella realmente somministrata (ml/Kg/ora di effluente realmente raccolto). La letteratura è inoltre concorde nell’affermare una riduzione dell’incidenza di eventi emorragici maggiori quando si utilizza il citrato invece dell’eparina, senza tuttavia un impatto sulla mortalità.

Restano alcuni elementi di complessità tecnici e clinici nell’utilizzo dell’anticoagulazione loco-regionale con citrato, secondari al fatto che il citrato agisce sia come anticoagulante che come tampone. Le complicanze secondarie all’utilizzo del citrato (disordini dell’equilibrio acido-base e ipocalcemia) sono però rare e facilmente reversibili.

Esistono pochi dati sulla valutazione costi-benefici dell’utilizzo del citrato al posto dell’eparina; vautando l’ esperienza della nostra Unità Operativa, abbiamo osservato una tendenza al contenimento della spesa se normalizzata per 35 ml di effluente somministrato. Adeguati protocolli, un’accurata sorveglianza e la gestione automatizzata dell’anticoagulazione loco-regionale con citrato grazie a software dedicati rendono la metodica efficace e sicura.

Parole chiave: anticoagulazione, citrato, danno renale acuto, CRRT

Introduzione

Le terapie sostitutive della funzione renale con metodiche extracorporee continue (CRRT) sono diffusamente utilizzate nel trattamento del danno renale acuto in area critica. Durante CRRT coesistono diverse potenziali cause di attivazione della cascata coagulativa e delle piastrine che possono contribuire alla coagulazione del circuito. Alcuni fattori sono relativi allo stesso trattamento extracorporeo e alle modalità con cui viene condotto (contatto del sangue con le superfici sintetiche per quanto biocompatibili, contatto aria-sangue, flusso turbolento o stasi, emoconcentrazione). Altri fattori dipendono invece in maniera più specifica dalle condizioni del paziente, con particolare riferimento alle alterazioni dell’omeostasi coagulativa secondarie allo stato flogistico sistemico di cui il danno renale può essere conseguenza o concausa [1]. 

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La terapia extracorporea nella sepsi

Abstract

Il danno renale acuto (AKI) si manifesta nel 19% dei pazienti con sepsi, nel 23% di quelli con sepsi severa, e fino al 50% dei pazienti con shock settico. L’AKI rappresenta un fattore prognostico indipendente di mortalità (circa 45%); studi epidemiologici hanno inoltre sottolineato come l’insorgenza di AKI nella sepsi (S-AKI) sia correlata ad un outcome sfavorevole e al raggiungimento di un tasso di mortalità del 75%.

Negli anni si è cercato di prevenire e curare il danno emodinamico da “bassa portata” conseguente allo shock aumentando il flusso ematico renale, migliorando la gittata cardiaca e la pressione di perfusione. Nuovi studi sperimentali nell’S-AKI hanno dimostrato che il flusso ematico renale si mantiene, anzi aumenta, in corso di shock settico. Recentemente è stata proposta una “teoria unica” in cui il danno renale acuto è il risultato finale dell’interazione tra l’infiammazione, lo stress ossidativo, l’apoptosi, la disfunzione del microcircolo e la risposta adattativa delle cellule epiteliali tubulari all’insulto settico.

Il tipo di trattamento, la dose ed i tempi di avvio della RRT hanno una importanza strategica nel recupero dell’AKI nei pazienti settici.

L’utilizzo nei pazienti critici affetti da S-AKI di nuove strategie di anticoagulazione ha permesso di effettuare trattamenti per un numero di ore sufficiente a raggiungere la dose corretta di depurazione prescritta, riducendo al minimo il down-time e il rischio emorragico.

La disponibilità di nuove tecnologie permette oggi di personalizzare sempre più i trattamenti; l’integrazione fra nefrologi e intensivisti deve essere sempre più stretta per attuare una moderna medicina di precisione in Area Critica.

Parole chiave: S-AKI, shock settico, CRRT, citrato, CPFA, adsorbimento

Introduzione

La sepsi è una disfunzione d’organo pericolosa per la vita causata da una risposta dell’ospite abnorme e deregolata all’infezione, associata alla comparsa di manifestazioni sistemiche del processo infettivo.

La massiva risposta dell’ospite al quadro settico può evolvere verso un quadro di shock settico, definito come la comparsa di disfunzione d’organo o di segni di ipoperfusione tissutali secondari all’infezione, con ipotensione non responsiva all’espansione volemica che richiede l’utilizzo di terapia con vasopressori al fine di incrementare la pressione arteriosa media (MAP) ≥65 mmHg [1]. 

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Impiego del citrato nel paziente con Nefrolitiasi

Abstract

Il Citrato è un acido tricarbossilico ed è un metabolita intermedio del Ciclo di Krebs. Contribuisce al metabolismo ossidativo del rene e del fegato. I suoi sali alcalini rappresentano basi potenziali e contribuiscono pertanto alla riserva alcalina. Viene completamente filtrato dal glomerulo, con una frazione escreta pari al 10-40%. L’insufficienza renale, l’acidosi metabolica, la deplezione potassica ed alcuni farmaci inducono ipocitraturia. Il Citrato ha una spiccata affinità per il calcio con cui forma complessi solubili e svolge anche un’interferenza negativa con i processi di cristallizzazione dei sali di calcio. Si ha dunque un’inibizione termodinamica, la prima, e cinetica, la seconda. Inoltre l’azione alcalinizzante ha mostrato effetti positivi sulla mineralizzazione ossea. Si tratta pertanto del più importante e fisiologico inibitore ionico e questo giustifica il suo largo impiego nella prevenzione della nefrolitiasi calcica. Inoltre l’effetto alcalinizzante sulle urine è alla base del suo impiego anche nella NL urica e cistinica. L’ipocitraturia ha una incidenza significativa nei pazienti con NL calcica, sia quella secondaria di cui si è detto sopra, sia quella idiopatica, a volte famigliare. Nella prevenzione delle recidive viene utilizzato in dose di 0.1 mmol/kg/die, diviso in 2-3 dosi, in forma di sale tripotassico o di potassio-magnesio. Nella calcolosi urica l’aumento del pH a valori mantenuti costantemente intorno a 6.5 può indurre la chemiolisi di calcoli renali. Il suo effetto sull’osso, mediato dall’aumento della riserva alcalina, è stato dimostrato sia attraverso una riduzione dei marker di riassorbimento scheletrico che da un miglioramento dei dati densitometrici.

Parole chiave: citrato, citrato di potassio, ipocitraturia, nefrolitiasi calcica

INTRODUZIONE

Il Citrato è un acido tricarbossilico con formula di struttura C6H8O7 e peso molecolare di 192 daltons. Le costanti di dissociazione sono le seguenti: pKa1= 3.13, pKa2 = 4.76, pKa3 = 6.40. Pertanto al pH del sangue la maggior parte del citrato è sotto forma trivalente (Cit3-), mentre al pH urinario, che può variare fra 5.0 e 7.0, si ha la presenza, in varia proporzione, di Cit2- e Cit3-. La sua importanza fisiologica deriva dal fatto che il Citrato è un metabolita intermedio del Ciclo di Krebs e, come tale, rappresenta una fonte energetica, che contribuisce in modo significativo al metabolismo ossidativo del rene e del fegato (1). Inoltre, i suoi Sali alcalini di sodio e potassio rappresentano basi potenziali e contribuiscono pertanto alla riserva alcalina. Il Citrato plasmatico viene completamente filtrato dal glomerulo ed una sua frazione, dopo handling tubulare, viene escreta. La sua spiccata affinità per il Calcio con formazione di complessi solubili e la sua funzione di interferenza negativa con i processi di cristallizzazione dei Sali di calcio rendono questa molecola estremamente importante nella fisiopatologia della calcolosi urinaria. Infine, l’effetto alcalinizzante dei suoi sali può avere conseguenze positive per la salute dell’osso.

In questa breve rassegna prenderemo in esame i vari aspetti inerenti il ruolo fisiopatologico del citrato, in particolare, lo handling renale e intestinale, l’influenza della dieta sulla sua escrezione, gli effetti inibitori sulla litogenesi calcica, i potenziali benefici sul metabolismo scheletrico, i risultati clinici del suo impiego nella gestione del paziente litiasico.
 

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