Candidato al trapianto di rene con cancro: come procedere?

Abstract

L’incidenza dei pazienti con insufficienza renale end stage hanno un rischio aumentato di sviluppare alcune neoplasie. Questo rischio è proporzionale al livello di compromissione funzionale. Una incidenza aumentata di tumori si ha anche nei pazienti in trattamento dialitico. È interessante notare che, dopo un periodo iniziale successivo al trapianto di rene, si osserva un calo nel numero di decessi legati a neoplasie. Tuttavia, una visione a lungo termine rivela un progressivo aumento del rischio di sviluppare tumori anche nel paziente portatore di trapianto renale. Il processo di valutazione della candidatura al trapianto è approfondito e tiene conto di diversi fattori, tra cui l’anamnesi neoplastica del soggetto e le implicazioni della terapia immunosoppressiva. La terapia immunosoppressiva è uno strumento a doppio taglio nella gestione delle complicanze post-trapianto, poiché può favorire ambienti che facilitano la crescita della neoplasia. È fondamentale rivalutare, con l’ausilio di un parere oncologico, il tempo di attesa che intercorre tra la guarigione del cancro e l’inserimento nella lista per il trapianto di rene, sulla base dei dati clinici e del follow-up. Indipendentemente dal tipo di tumore, la necessità di trattare e ottenere la remissione ritarda il processo di inserimento nell’elenco, allungando di conseguenza il tempo trascorso con la malattia renale allo stadio terminale e sottoposto a dialisi. Questi fattori sono correlati ad un aumento della mortalità, ad un aumento del rischio di malattie cardiovascolari e alla perdita del trapianto.

Parole chiave: trapianto renale, tumore, terapia immunosoppressiva

Rischio oncologico nel paziente con malattia renale

I pazienti che soffrono di malattia renale terminale si trovano di fronte ad un incremento significativo del rischio di sviluppare neoplasie, in confronto a individui con una funzione renale normale, trovandosi più esposti ad alcuni specifici tipi di tumori.

Un contributo significativo a questa area di studio proviene da un’analisi condotta da William T. Lowrance e collaboratori, basata su un ampio campione retrospettivo di oltre un milione di adulti seguiti dal 2000 al 2008. In questa ricerca, emerge chiaramente come il rischio associato ad alcune neoplasie cresca parallelamente al progredire della malattia renale cronica, evidenziando come una diminuzione del tasso di filtrazione glomerulare (eGFR) sia correlata ad un aumento del rischio di neoplasia renale e, a valori inferiore di 30 ml/min per 1,73 m², anche ad un rischio maggiore di cancro uroteliale. D’altro canto, non è stata riscontrata una correlazione significativa con altri tipi di tumori, tra cui quelli della prostata, del seno e del polmone [1].

Rivolgendo lo sguardo alla popolazione in dialisi, notiamo come diversi registri nazionali abbiano contribuito a delineare lo scenario attuale. Un dato interessante emerge da uno studio taiwanese pubblicato su “PLOS ONE”, dove la popolazione in dialisi mostra un’incidenza di neoplasie significativamente superiore rispetto a un gruppo di controllo abbinato per età e sesso, con un hazard ratio di 3,43. Questo rischio si concentra principalmente sul rene e sull’apparato urinario [2].

Focalizzandoci sul contesto italiano, grazie ad uno studio recente condotto da Taborelli e collaboratori, possiamo confermare una tendenza simile, con un incremento del rischio neoplastico tra i pazienti in dialisi. Tra questi, si osserva una presenza più marcata di tumori della pelle, delle mucose e del rene. Inoltre, non sono rare neoplasie tipiche dei pazienti trapiantati, come il sarcoma di Kaposi e il mieloma multiplo [3].

In una ricerca pubblicata su JASN da Eric H. Au e collaboratori, viene messa in luce una dinamica interessante: se nei primi anni dall’inizio della dialisi si riscontra un aumento dell’incidenza di morte per neoplasia, questo trend si inverte nel post-trapianto. Con il passare degli anni, infatti, il rischio di morte per tumore cresce progressivamente. È interessante notare come il panorama delle neoplasie mortali muti sensibilmente: mentre nel paziente in dialisi predominano il mieloma multiplo, il tumore del polmone e il tumore renale, nel paziente trapiantato si riscontrano più frequentemente linfoma non-Hodgkin, tumore del polmone e tumore del colon-retto [4].

Il confronto con la popolazione generale svela un rapporto di mortalità standardizzato (SMR) pari a 2,6 per tutti i tipi di tumori nei pazienti in dialisi, un dato che cresce ulteriormente nei casi correlati direttamente alla malattia renale terminale. In modo simile, anche i pazienti trapiantati mostrano un SMR elevato, legato soprattutto ai tumori indotti dalla terapia immunosoppressiva.

Una riflessione attenta richiede anche l’analisi delle cause di morte post-trapianto: i tumori rappresentano la seconda causa di morte, paragonabile alle infezioni, e seguono gli eventi cardiovascolari, manifestandosi mediamente dopo circa 8,2 anni dal trapianto. È importante sottolineare che, con il passare del tempo, tanto l’incidenza di diagnosi di neoplasia quanto la mortalità per tale causa aumentano, in linea con la crescita della mortalità per tutte le altre cause [5, 6].

Guardando alla popolazione di pazienti anziani trapiantati, un gruppo in crescita costante, notiamo come le neoplasie si attestino come seconda causa di morte, superando le malattie cardiovascolari e posizionandosi subito dopo le infezioni [7].

 

Valutazione candidato a trapianto renale con storia di neoplasia

Nella valutazione per l’inserimento in lista per trapianto renale di un paziente con anamnesi positiva per neoplasia, sono da considerare alcuni aspetti, divisibili in 4 gruppi [8]. Per quanto riguarda la priorità, a differenza di altri trapianti quali ad esempio il cuore o fegato, è difficile che si presenti un’urgenza che richieda il trapianto di rene che prescinda una valutazione dello stadio del tumore o del follow-up libero da malattia neoplastica, quale la mancanza totale di accesso per dialisi.

Il secondo gruppo di fattori riguarda quelli legati alla neoplasia. È importante valutare la risposta al trattamento, l’andamento del follow-up, eventuali recidive, lo stadio e l’aggressività del tumore, il tempo trascorso dalla completa remissione.
Il terzo gruppo riguarda invece i fattori legati al paziente, al suo stile di vita, fattori modificabili o non modificabili nel post trapianto e l’aspettativa di vita in termini anche etici di ottimizzazione e gestione delle risorse disponibili oltre all’obiettivo di apporre un beneficio concreto rispetto alla permanenza in dialisi.

L’ultimo gruppo di aspetti da considerare è quello legato alla terapia immunosoppressiva. Infatti bisogna ragionare sugli effetti che la terapia può esercitare nel determinare una recidiva, se ci sono delle differenze organo-specifiche dell’immunosoppressione e anche in questo caso il tempo che passa dal momento del completamento del trattamento antineoplastico che il paziente potrebbe aver eseguito.

La terapia immunosoppressiva determina un’alterazione della funzionalità e del fenotipo del sistema immunitario, con relativa riduzione dell’efficienza nel monitoraggio e prevenzione dell’evoluzione in senso tumorale delle cellule. Le cellule dendritiche e le natural killer si riducono di numero e aumenta il numero delle cellule T senescenti e dei Treg.

In particolare, l’utilizzo degli inibitori della calcineurina, ampiamente utilizzati per l’apporto significativo che hanno dato in termini di riduzione del rigetto e il conseguente aumento della sopravvivenza del graft, determina una riduzione della capacità di riparazione del DNA, oltre a un ambiente citochinico che favorisce lo sviluppo del tumore.
Si verifica un aumento del VEGF, del TGFbeta, del segnale RAS-RAF, dell’IL-6.

Questi portano rispettivamente ad un aumento della neoangiogenesi tumorale, della crescita del tumore, dello sviluppo del carcinoma a cellule renali e dei disordini linfoproliferativi post-trapianto mediante proliferazione delle cellule B.

Lo stato di immunosoppressione porta inoltre all’aumento della replicazione di virus intracellulari o comunque associati ad alterazioni del DNA come l’epstein Barr, l’Herpes virus 8, il Papilloma virus, i virus dell’epatite B e C, il polioma virus delle cellule di Merkel  che determinano un aumento dell’incidenza di alcune neoplasie quali, rispettivamente, le malattie linfoproliferative post-trapianto, il sarcoma di Kaposi e il linfoma primitivo effusivo, tumori di testa e collo, della pelle e dell’apparato genitale, il carcinoma epatocellulare e il carcinoma a cellule di Merkel [9].

 

Outcome post-trapianto dei pazienti con storia di neoplasia

Dagli anni ’90 a oggi il numero di pazienti con storia di neoplasia sottoposti a trapianto di rene è cresciuto costantemente, fino a decuplicare, costituendo nel 2016 l’8,3% della popolazione trapiantata negli Stati Uniti  rispetto allo 0,9% del 1994 [10].
Questo riguardava in particolare i pazienti con storia di tumore solido o tumore cutaneo non-melanoma.
In un lavoro di Acuna S. e colleghi del 2016, analizzati più studi in merito, si considera quanto la storia pregressa di neoplasia sia un fattore di rischio di mortalità  post trapianto non solo per quanto riguarda il rischio di morte per neoplasia, con un rapporto di rischio (hazard ratio, HR) pari a 3,13 rispetto a trapiantati senza storia pre-trapianto di neoplasia, ma anche per tutte le cause di morte (HR 1,51) [11].

Due anni più tardi, nel 2018, sempre Acuna approfondisce questo tema, analizzando i pazienti sottoposti a trapianto di organo solido nel ventennio dal 1991 al 2010 in Ontario: i pazienti con storia pregressa di neoplasia presentavano un rischio dell’85% per la mortalità cancro-specifica e del 29% della mortalità per tutte le cause rispetto a chi non aveva storia di neoplasia.

Ma se si approfondisce dal punto di vista clinico, si evince che il rischio si stratifica a seconda del grado di malignità della neoplasia. I pazienti con storia di neoplasia considerata ad alto rischio presentavano un rischio di mortalità maggiore. Il divario si appiana se si pongono a confronto pazienti senza storia pre-trapianto di neoplasia e pazienti con storia di neoplasie considerate a basso rischio (ad esempio il tumore mammario e renale).

Questo risulta fondamentale nella valutazione pre-trapianto dei pazienti, richiedendo inoltre un confronto multidisciplinare con la figura dell’oncologo al fine di meglio valutare il tempo propizio per l’inserimento in lista.

Fino ad ora le Linee Guida, seppur non mandatorie ma indicative, hanno posto uno spartiacque di attesa per l’inserimento in lista di almeno 5 anni dalla diagnosi di neoplasie considerate a più alto rischio nei pazienti in remissione dal tumore.
Questo atteggiamento, corretto o meno, ha portato ad una aumentata mortalità per neoplasia o per tutte le cause post trapianto (HR 2,32 e 1,53 rispettivamente) rispetto ai pazienti senza storia di neoplasia e comunque maggiore rispetto ai pazienti con storia di neoplasia considerata a basso rischio come già analizzato in precedenza.

Ciò pone l’interrogativo se l’aumentata mortalità sia condizionata dal tempo di permanenza con un quadro di malattia terminale in attesa di trapianto piuttosto che dalla malignità della neoplasia.

Da questo quesito risulta critico il tempo di inserimento in lista trapianto, soppesando il rischio di recidiva e la gestione chemioterapica in concomitanza con la terapia immunosoppressiva dagli effetti di una insufficienza d’organo sull’outcome.
Analizzando poi gli outcome dei pazienti trapiantati dopo cinque anni dalla diagnosi di neoplasia, emerge che poco meno di 1 paziente su 6 è deceduto senza presentare recidiva. L’incidenza cumulativa della recidiva è stata del 14,4% che stratificata per neoplasia ad alto e basso rischio è rispettivamente del 21,1% e del 9,2% [12].

Prendendo in considerazione la popolazione dialitica, come si evince da lavori italiani, anche in dialisi vi è un rischio neoplastico. In particolare, l’incidenza cumulativa di sviluppare una neoplasia dall’inizio della dialisi è del 9,8% a 5 anni e del 13,9% a 10 anni. Tale rischio si riscontra maggiormente nella popolazione dialitica più giovane, soprattutto rispetto alla controparte della popolazione generale [13].

 

Timing di inserimento in lista trapianto renale

Considerando le linee guida KDIGO per il candidato a trapianto renale, si pone l’accento e si ribadisce quanto già analizzato: l’inserimento in lista d’attesa e quindi il trapianto dopo remissione della neoplasia dopo terapia dipende dal tipo di tumore e lo stadio.

Questa valutazione necessita del supporto dello specialista oncologo, oltre ad altre figure professionali che accompagnano il follow-up e la gestione nefrologica. Test molecolari, studi sulla genomica possono essere di aiuto nel paziente oncologico ai fini prognostici. Per alcuni tumori, sulla base dello stadio, il trapianto risulta controindicato (ad esempio il melanoma invasivo, il tumore anaplastico della tiroide).

Considerando piuttosto che anche il paziente dializzato presenta un rischio neoplastico superiore alla popolazione generale, così come di mortalità per tutte le cause, sarebbe opportuno, nella valutazione per inserimento in lista, valutare quelli che sono i benefici del trapianto a seguito del recupero della funzione renale in termini non solo di qualità di vita, ma anche di aspettativa di vita, indipendentemente dalla eventuale storia pregressa di neoplasia.

Infatti, la mortalità per infezione in dialisi è pari a 30,5 persone per mille/anno rispetto alle 6,8 in trapianto mentre, il tasso di mortalità per neoplasia del paziente dializzato è di 14 persone per mille/anno rispetto al 4,6 dopo il trapianto renale [13].

Un tempo di attesa di 2 anni tra il trattamento del tumore e il trapianto di rene è consigliato per la maggior parte delle neoplasie.  Nessun tempo di attesa è richiesto per: riscontro incidentale di carcinoma renale, carcinomi in situ, neoplasie focali e isolate, tumore vescicale di basso grado, carcinoma a cellule basali della cute. Per neoplasie quali la maggior parte dei melanomi, carcinomi mammari e colorettali è richiesto un tempo di attesa maggiore di 2 anni [12].

 

Conclusioni

L’outcome di pazienti con storia di neoplasia pre-trapianto considerata a basso rischio risulta sovrapponibile a quello di pazienti senza precedente storia di tumore. D’altro canto, i pazienti con storia precedente di neoplasia considerata ad alto rischio hanno presentato un outcome peggiore, indipendentemente dal tempo intercorso dalla diagnosi di tumore e il trapianto. Il rischio di recidiva neoplastica pare dunque essere condizionato dal tipo di tumore piuttosto che dal tempo che intercorre dalla guarigione. È opportuno riconsiderare sulla base dei dati clinici e del follow-up, con l’ausilio di un parere oncologico, il tempo di attesa tra la guarigione dal tumore e l’inserimento in lista per trapianto renale. Prescindendo dal tipo di tumore, la necessità di trattare e portare a remissione la neoplasia determina un ritardo nell’inserimento in lista attiva e dunque a un aumento del tempo trascorso con una malattia renale terminale e in dialisi. Questi aspetti sono associati, tra i fattori che determinano un’aumentata mortalità, ad un aumentato rischio di malattia cardiovascolare e perdita del graft.

 

Bibliografia

  1. Lowrance, W. T., Ordoñez, J., Udaltsova, N., Russo, P., & Go, A. S. (2014). CKD and the risk of incident cancer. Journal of the American Society of Nephrology, 25(10), 2327–2334. https://doi.org/10.1681/ASN.2013060604
  2. Lin, M. Y., Kuo, M. C., Hung, C. C., Wu, W. J., Chen, L. T., Yu, M. L., Hsu, C. C., Lee, C. H., Chen, H. C., & Hwang, S. J. (2015). Association of dialysis with the risks of cancers. PLoS ONE, 10(4). https://doi.org/10.1371/journal.pone.0122856
  3. Taborelli, M., Toffolutti, F., del Zotto, S., Clagnan, E., Furian, L., Piselli, P., Citterio, F., Zanier, L., Boscutti, G., Serraino, D., Shalaby, S., Petrara, R., Burra, P., Zanus, G., Zanini, S., Rigotti, P., Rendina, M., di Leo, A., Schena, F. P., di Cicco, M. (2019). Increased cancer risk in patients undergoing dialysis: A population-based cohort study in North-Eastern Italy. BMC Nephrology, 20(1). https://doi.org/10.1186/s12882-019-1283-4
  4. Au, E. H., Chapman, J. R., Craig, J. C., Lim, W. H., Teixeira-Pinto, A., Ullah, S., McDonald, S., & Wong, G. (2019). Overall and site-specific cancer mortality in patients on dialysis and after kidney transplant. Journal of the American Society of Nephrology, 30(3), 471–480. https://doi.org/10.1681/ASN.2018090906
  5. Van de Wetering, J., Roodnat, J. I., Hemke, A. C., Hoitsma, A. J., & Weimar, W. (2010). Patient survival after the diagnosis of cancer in renal transplant recipients: A nested case-control study. Transplantation, 90(12), 1542–1546. https://doi.org/10.1097/TP.0b013e3181ff1458
  6. Villeneuve, P. J., Schaubel, D. E., Fenton, S. S., Shepherd, F. A., Jiang, Y., & Mao, Y. (2007). Cancer incidence among Canadian kidney transplant recipients. American Journal of Transplantation, 7(4), 941–948. https://doi.org/10.1111/j.1600-6143.2007.01736.x
  7. S So et al. Kidney International Reports (2021) 6, 727-736
  8. Al-Adra, D. P., Hammel, L., Roberts, J., Woodle, E. S., Levine, D., Mandelbrot, D., Verna, E., Locke, J., D’Cunha, J., Farr, M., Sawinski, D., Agarwal, P. K., Plichta, J., Pruthi, S., Farr, D., Carvajal, R., Walker, J., Zwald, F., Habermann, T., … Watt, K. D. (2021). Pretransplant solid organ malignancy and organ transplant candidacy: A consensus expert opinion statement. In American Journal of Transplantation (Vol. 21, Issue 2, pp. 460–474). Blackwell Publishing Ltd. https://doi.org/10.1111/ajt.16318
  9. Livingston-Rosanoff, D., Foley, D. P., Leverson, G., & Wilke, L. G. (2019). Impact of Pre-Transplant Malignancy on Outcomes After Kidney Transplantation: United Network for Organ Sharing Database Analysis. Journal of the American College of Surgeons, 229(6), 568–579. https://doi.org/10.1016/j.jamcollsurg.2019.06.001
  10. Acuna, S. A., Fernandes, K. A., Daly, C., Hicks, L. K., Sutradhar, R., Kim, S. J., & Baxter, N. N. (2016). Cancer mortality among recipients of solid-organ transplantation in Ontario, Canada. JAMA Oncology, 2(4), 463–469. https://doi.org/10.1001/jamaoncol.2015.5137
  11. Acuna, S. A., Sutradhar, R., Kim, S. J., & Baxter, N. N. (2018). Solid Organ Transplantation in Patients with Preexisting Malignancies in Remission: A Propensity Score Matched Cohort Study. Transplantation, 102(7), 1156–1164. https://doi.org/10.1097/TP.0000000000002178
  12. Chadban SJ, Ahn C, Axelrod DA, Foster BJ, Kasiske BL, Kher V, Kumar D, Oberbauer R, Pascual J, Pilmore HL, Rodrigue JR, Segev DL, Sheerin NS, Tinckam KJ, Wong G, Knoll GA. KDIGO Clinical Practice Guideline on the Evaluation and Management of Candidates for Kidney Transplantation. Transplantation. 2020 Apr;104(4S1 Suppl 1):S11-S103. https://doi.org/10.1097/TP.0000000000003136.
  13. Vogelzang, J. L., van Stralen, K. J., Noordzij, M., Diez, J. A., Carrero, J. J., Couchoud, C., Dekker, F. W., Finne, P., Fouque, D., Heaf, J. G., Hoitsma, A., Leivestad, T., de Meester, J., Metcalfe, W., Palsson, R., Postorino, M., Ravani, P., Vanholder, R., Wallner, M. Jager, K. J. (2015). Mortality from infections and malignancies in patients treated with renal replacement therapy: Data from the ERA-EDTA registry. Nephrology Dialysis Transplantation, 30(6), 1028–1037. https://doi.org/10.1093/ndt/gfv007

Il trattamento della nefrite lupica, tra strategie consolidate e nuove opzioni terapeutiche: revisione narrativa

Abstract

Oltre la metà dei pazienti con Lupus Eritematoso Sistemico (LES) sviluppano nefrite lupica (NL) durante la loro storia di malattia. La diagnosi di NL, sospettata sulla base di dati clinici (proteinuria, sedimento urinario attivo, disfunzione renale) è formulata attraverso biopsia renale. Il trattamento immunosoppressivo delle classi proliferative di NL si basa su una fase di induzione dove steroidi ad alto dosaggio vengono associati a micofenolato mofetile (MMF) o ciclofosfamide, ed una successiva fase di mantenimento che affianca steroidi a basso dosaggio a MMF o azatioprina; differenti classi di farmaci (inibitori della calcineurina, anti-CD20) possono essere utilizzate come alternativa o in forme resistenti di NL, anche se il loro ruolo è meno consolidato. Studi recentemente pubblicati (o in via di conclusione) hanno aperto la possibilità di utilizzo di nuovi farmaci nella NL. In particolare, la deplezione (Obinutuzumab, anticorpo monoclonale anti-CD20) o la neutralizzazione (Belimumab, anticorpo monoclonale anti “B-cell activating factor”) dei linfociti B, e l’utilizzo di un inibitore della calcineurina a basso profilo di tossicità renale e sistemica (Voclosporina) hanno dimostrato un miglioramento della risposta renale in aggiunta alla terapia standard.

Parole chiave: nefrite lupica, terapia immunosoppressiva, lupus eritematoso sistemico

Introduzione

Il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) è una malattia cronica autoimmune ad eziologia ignota che comporta la perdita di tolleranza immunologica a materiale nucleare endogeno, con scatenamento di una risposta immune multi-sistemica che porta a danno di differenti organi e tessuti [1,2]. Il LES è maggiormente prevalente in giovani donne in età fertile, ed il coinvolgimento renale (nefrite lupica, NL), è frequente. Circa il 25-50% di pazienti con LES possono presentare segni o sintomi di malattia renale all’esordio, e fino al 60% di pazienti adulti con LES sviluppano coinvolgimento renale durante la loro storia di malattia [1]. Nella NL, immunocomplessi prodotti nei linfonodi, nella milza o in altre sedi di tessuto linfatico si depositano nei glomeruli; inoltre, auto-anticorpi prodotti nel LES possono cross-reagire in situ con antigeni glomerulari (DNA, istoni, nucleosomi), in particolare della membrana basale [3]. La sede di deposizione degli immunocomplessi a livello glomerulare giustifica il fenotipo istopatologico e clinico. Depositi sub-endoteliali favoriscono disfunzione endoteliale ed influsso intra- ed extra-capillare di cellule infiammatorie (classi “proliferative” III e IV secondo la classificazione della International Society of Nephrology/Renal Pathology Society, ISN/RPS, del 2003 [4], attualmente vigente), espressi dal punto di vista clinico in danno renale acuto, proteinuria, ematuria. Al contrario, la deposizione sub-epiteliale causa danno podocitario e minor grado di infiammazione (la membrana basale glomerulare previene il contatto con lo spazio intra-vascolare), corrispondendo a lesioni istologiche di glomerulonefrite membranosa (classe V ISN/RPS) e a fenotipo clinico di proteinuria, spesso nefrosica [3]. Fattori di rischio riconosciuti per lo sviluppo di NL includono sesso maschile, giovane età ed etnia (più frequente in quelle afro-americana, asiatica ed ispanica rispetto a quella caucasica) [1,2]. Inoltre, è descritta una peggiore prognosi renale in pazienti di etnia africana/afroamericana ed ispanica, con più frequente progressione a malattia renale cronica terminale (End-Stage Kidney Disease, ESKD) [2].

 

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La terapia immunosoppressiva del trapianto renale: ai limiti tra efficacia e tossicità

Abstract

Il trapianto renale rappresenta la terapia di elezione per i pazienti affetti da insufficienza renale terminale.

Nonostante la riduzione dell’incidenza di rigetto acuto e di perdita precoce del graft, grazie all’introduzione, nelle ultime decadi, di nuovi agenti immunosoppressori, si è assistito ad un limitato progresso nell’allungamento nella vita media del trapianto.

Le principali cause di fallimento tardivo sono la morte del paziente per complicanze infettive, tumorali o metaboliche e il progressivo deterioramento della funzione renale sia a causa di fattori immunologici che non immunologici.

La terapia immunosoppressiva può essere distinta in due componenti: la terapia di induzione che ha lo scopo di attuare un’immunosoppressione intensa ed immediata. La sua utilità è riconosciuta nei trapianti a rischio immunologico superiore allo standard a discapito di un maggior rischio di insorgenza di citopenie e infezioni virali; la terapia di mantenimento, il cui razionale è prevenire il rigetto dell’organo nel tempo, riducendo al minimo la tossicità farmacologica. E’ costituita generalmente dall’associazione di due o tre farmaci con differente meccanismo d’azione.

Lo schema più comunemente utilizzato prevede un inibitore della calcineurina in associazione ad un antimetabolita e basse dosi di steroide.

La terapia immunosoppressiva è correlata ad un maggior rischio di sviluppo di infezioni e di neoplasie.

Ciascuna classe di farmaci si associa ad un diverso profilo di tossicità. La scelta del protocollo terapeutico dovrebbe tenere in considerazione le caratteristiche cliniche del donatore e del ricevente e potrebbe richiedere eventuali modifiche in occasione di variazione delle condizioni cliniche o di insorgenza di complicanze.

Parole chiave: protocolli immunosppressivi, terapia di induzione, terapia immunosoppressiva, trapianto renale

Introduzione

Il trapianto renale è la terapia che garantisce la maggior aspettativa di vita e la migliore qualità tra le terapie proponibili ai pazienti affetti da IRC terminale, con costi complessivamente ridotti rispetto alla dialisi [1234].

Nelle ultime due decadi, grazie alla progressiva conoscenza dei meccanismi alla base della risposta immune all’innesto nell’organismo di cellule e tessuti eterologhi (attivazione e proliferazione dei linfociti T e B, citochine e chemochine di segnale, attivazione del complemento), sono entrati nella pratica clinica agenti immunosoppressori in grado di bloccare a vari livelli la cascata della risposta immune e di ridurre più efficacemente l’incidenza di rigetto acuto e di perdita precoce del graft.

Nonostante la riduzione del tasso dei rigetti acuti e di fallimento precoce, vi sono stati solo limitati progressi nell’allungamento della vita media del trapianto. Le principali cause di fallimento tardivo sono la morte del paziente con rene funzionante per complicanze infettive, tumorali o metaboliche, eventi cardiovascolari ed il progressivo deterioramento della funzione renale causato sia da fattori immunologici (rigetto cellulare tardivo, rigetto anticorpo-mediato, recidiva di nefropatia autoimmune) che da fattori non immunologici (nefrotossicità da CNI o altri farmaci, diabete, ipertensione arteriosa, invecchiamento dell’organo).
 

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