Emodialisi e assistenza infermieristica: uno studio pilota sulla qualità percepita dal paziente

Abstract

Introduzione: La dialisi è una forma di terapia sostitutiva renale e impone diversi cambiamenti sul piano relazionale, emotivo, lavorativo, familiare e può essere responsabile di stress dovuto a vari fattori.

Obiettivo: Scopo del nostro studio è stato quello di valutare la percezione da parte dei pazienti dializzati dell’assistenza infermieristica ricevuta.

Metodo: Nel 2021 è stato condotto uno studio cross sectional all’interno dell’AO Perugia somministrando ai pazienti un questionario costruito sulla base della Newcastle satisfaction with nursing scale.

Risultati: 30 pazienti di età media 68,9 ±15,1 hanno partecipato allo studio. Di questi, 66,7% erano maschi, 50% avevano un diploma di scuola superiore, 86,7% erano pensionati, e 50% erano in dialisi da meno di 5 anni. Le percezioni negative relative all’assistenza ricevuta hanno riguardato prevalentemente le donne, i pazienti giovani, e i pazienti in terapia da pochi anni.

Discussione: Il nostro studio ha evidenziato diversi aspetti fondamentali per migliorare la qualità dell’assistenza infermieristica, nonché la necessità di una maggiore attenzione a certe tipologie di pazienti per migliore l’esperienza dell’assistito e di conseguenza la qualità della loro vita.

Parole chiave: assistenza infermieristica, qualità, dialisi, questionario, Newcastle satisfaction with nursing scale

Introduzione

L’insufficienza renale cronica (IRC) è una progressiva, e generalmente irreversibile, diminuzione della velocità della filtrazione glomerulare: si tratta di uno stato che alla fine richiede una terapia sostitutiva renale (dialisi o trapianto) [1,2, 3]. La dialisi è una forma di terapia sostitutiva renale. Il ruolo di filtrazione del sangue da parte del rene è integrato da apparecchiature artificiali per la rimozione di acqua, soluti e tossine in eccesso. La dialisi garantisce dunque il mantenimento dell’omeostasi [4]. L’emodialisi è il metodo attualmente più utilizzato.

Il tempo delle sedute emodialitiche varia dalle tre alle cinque ore e durante questo tempo il sangue viene prelevato dal corpo del paziente e restituito depurato (dializzato). Solitamente le sedute sono tre volte alla settimana, ma possono variare in base alle condizioni cliniche [5].

Il trattamento emodialitico impone diversi cambiamenti sul piano relazionale, emotivo, lavorativo e familiare e, di conseguenza, l’adattamento a questa nuova realtà diventa decisivo e può avere un impatto sulla qualità della vita (concetto utilizzato per indicare il benessere generale delle persone o delle società, inclusi gli elementi di ricchezza e occupazione, l’ambiente, la salute fisica e mentale, l’istruzione, la ricreazione e l’appartenenza a un gruppo sociale) [611].

Tra i diversi stress sopra ricordati, tra cui l’impegno stabile e continuativo in termini di tempo e le numerose difficoltà fisiche correlate al trattamento, come la puntura della fistola, i crampi muscolari, i dolori addominali e il prurito, si aggiungono il disagio causato dalle restrizioni alimentari, la difficoltà nel limitare l’assunzione di liquidi e, a livello psicologico, la perdita permanente della funzione renale, la dipendenza dalla macchina e dagli operatori e/o dai familiari, le frustrazioni istintuali, la paura della morte [5, 12].

Lo studio di Xhulia et al. [13] ha evidenziato i bisogni dei pazienti che devono fare emodialisi: il bisogno di supporto e guida, di essere informati dal personale medico e infermieristico, la necessità di essere in contatto con altri gruppi di pazienti e di comunicare con i parenti, la necessità di un trattamento individualizzato e il bisogno di fidarsi del personale infermieristico e medico. Per incoraggiare la partecipazione personale del paziente al suo trattamento, bisogna soddisfarne i bisogni emotivi (relativi ad ansia, paura, solitudine) e i bisogni fisici (relativi a rilassamento, sonno, migliori condizioni di trattamento). Occorre dedicare il tempo necessario, avere pazienza, considerare la cultura del paziente, affinché il paziente comprenda il perché della terapia, le cause, e venga ascoltato e accolto così da verificarne la reale comprensione [13, 14].

Scopo del nostro studio è stato quello di valutare, usando uno strumento validato quale la Newcastle satisfaction with nursing scale, come i pazienti dializzati valutino il livello di assistenza ricevuto, per individuare e approfondire eventuale criticità.

 

Metodi

Disegno dello studio e setting

Nel periodo 08/03/2021-13/03/2021 è stato condotto all’interno dell’ambulatorio emodialisi dell’Azienda Ospedaliera di Perugia uno studio cross sectional sugli assistiti che afferiscono ogni settimana all’ambulatorio. Lo studio è stato condotto usando un questionario basato sulla Newcastle satisfaction with nursing scale nella sua versione italiana [15], in maniera totalmente anonima e auto compilata.

Criteri di inclusione per lo studio sono stati la maggiore età e la insussistenza di cause di incapacità a partecipare allo studio (come demenza senile o malattie neurodegenerative)

Newcastle satisfaction with nursing scale

La Newcastle Satisfaction with Nursing Scale è una scala che è stata definita nel 1966 per indagare la qualità percepita dagli assistiti circa il personale infermieristico. Nel 2007 è stata realizzata anche la sua versione italiana, usata in questo studio [15].

È formato da 3 sezioni.

1. ESPERIENZE DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA: una serie di 26 affermazioni su aspetti dell’assistenza infermieristica, che gli intervistati devono valutate tramite la scala Likert (1=sono completamente in disaccordo; 7=sono completamente d’accordo). Le risposte ai vari item vengono sommate e trasformate per produrre un range sull’esperienza che va da 0 a 100, dove 100 rappresenta il massimo risultato raggiungibile.

2. OPINIONI SULL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA: gli intervistati valutano la loro soddisfazione riguardo vari aspetti dell’assistenza infermieristica; vi sono 5 possibili risposte utilizzando la scala Likert (1=per niente soddisfatto; 5=completamente soddisfatto). Questa sezione comprende 19 elementi. Le risposte ai vari item vengono sommate e trasformate per produrre un range sull’esperienza che va da 0 a 100, dove 100 rappresenta il massimo risultato raggiungibile.

3. INFORMAZIONI DEMOGRAFICHE: la terza sezione chiede informazioni di tipo demografico (età, sesso, anni di emodialisi) insieme alle domande “Nel complesso, come valuta l’assistenza infermieristica che ha ricevuto in questo reparto?” e “Nel complesso, come valuta tutto il suo ricovero in questo reparto?” (con punteggi da 1=pessimo a 7=ottimo) [15].

Statistica

I risultati ottenuti sono stati raccolti in un database ed esportati per l’analisi statistica. Sono stati poi valutati la mediana e il range interquartile, e indicato anche il range minimo/massimo.

Inoltre, sono stati fatti i Test U di Mann-Whitney per valutare la differenza dei punteggi tra 2 gruppi divisi per sesso, per età <65, e per anni di dialisi <5. Un p-value minore di 0,05 è stato considerato statisticamente significativo. Le analisi sono state ottenute con il software SPSS versione 27.

Nella Tabella I sono state rappresentate le caratteristiche socio demografiche dei partecipanti; in Tabella II i risultati ottenuti dal questionario; in Tabella III sono stati presentati i principali risultati del Test U di Mann-Whitney (in cui sono stati messi a confronto i risultati ottenuti rispetto a gruppi di pazienti suddivisi per età, genere e anni di dialisi). In Tabella IV i gruppi sono stati identificati in base alla risposta alla domanda “Nel complesso, come valuta l’assistenza infermieristica che ha ricevuto in questo reparto?”. In particolare, le risposte da “pessima” a “discreta” sono state raggruppate in “scarsa” (i.e. punteggi da 1 a 4) mentre le risposte da “buona” a “ottima” in “buona” (i.e. punteggi da 5 a 7).

 

Risultati

L’ambulatorio di emodialisi dell’AO Perugia accoglie 124 assistiti a settimana: 89 eseguono l’emodialisi 3 volte a settimana, 24 eseguono l’emodialisi 2 volte a settimana, 2 eseguono l’emodialisi 1 volta a settimana, 9 eseguono l’emodialisi tutti i giorni.

Sono stati esclusi 42 assistiti per evidente incapacità a partecipare allo studio (es. demenza senile e malattie neurodegenerative). Inoltre, 18 hanno rifiutato di partecipare. Dei 64 partecipanti candidati allo studio, solo 30 hanno completato il questionario distribuito.

La maggior parte dei pazienti erano maschi (66,7%), con un diploma di scuola superiore (50%), pensionati (86,7%), in dialisi da meno di 5 anni (50%); l’età media era 68,9 ±15,1 (si veda la Tabella I per ulteriori dettagli). I valori ottenuti dalle risposte al questionario sono riassunti in Tabella II.

  Frequenza (N) %
Sesso    
F 10 33,3
M 20 66,7
Titolo di Studio    
elementari 5 16,7
Laurea 3 10,0
Medie 7 23,3
superiori 15 50,0
elementari 5 16,7
Lavoro    
Dipendente 1 3,3
Libero professionista 2 6,7
Pensionato 26 86,7
Anni emodialisi    
<5 15 50,0
>25 1 3,3
10-15 6 20,0
20-25 1 3,3
5-10 7 23,3
Tabella I: Caratteristiche socio demografiche dei partecipanti
  Mediana IQR Minimo Massimo
(valore minimo 1=sono completamente in disaccordo; valore massimo 7=sono completamente d’accordo)
Gli infermieri mi mettevano facilmente di buon umore 6 1 1 7
Gli infermieri trattavano alcuni pazienti meglio di altri 2 4 1 7
Gli infermieri non mi hanno informato abbastanza sul mio trattamento 3 4 1 7
Gli infermieri prendevano le cose con troppa calma 3 4 1 6
Gli infermieri impiegavano molto tempo ad arrivare quando erano chiamati 2 4 1 7
Gli infermieri mi davano le informazioni di cui avevo bisogno proprio al momento giusto 6 1 1 7
Gli infermieri davano l’impressione di non sapere cosa stessi provando 4 2 1 7
Gli infermieri mi facevano fare alcune cose prima che io fossi pronto 2 3 1 7
Per quanto fossero occupati, gli infermieri trovavano sempre tempo per me 6 1 1 7
Vedevo gli infermieri come persone amiche 6 1 1 7
Gli infermieri dedicavano del tempo a confortare i pazienti che ne avevano bisogno 6 1 2 7
Gli infermieri controllavano regolarmente che non avessi bisogno di nulla 6 1 2 7
Gli infermieri non erano in grado di tenere sotto controllo alcune situazioni 2 3 1 6
Gli infermieri non si interessavano a me come persona 2 3 1 7
Gli infermieri mi informavano sui miei problemi di salute 6 2 1 7
Gli infermieri mi spiegavano cosa stavano per farmi 6 1 2 7
Gli infermieri sapevano cosa fare prima ancora di consultare i medici 6 2 1 7
A volte gli infermieri dimenticavano le richieste dei pazienti 3 3 1 6
Gli infermieri garantivano la riservatezza e il pudore dei pazienti 6 1 1 7
Gli infermieri avevano il tempo di fermarsi e parlare con me, quando ne avevo bisogno 6 2 1 7
Medici e infermieri lavoravano bene insieme, come una squadra 6 2 1 7
Alcuni infermieri davano l’impressione di non sapere cosa gli altri colleghi stessero facendo 2 3 1 7
Gli infermieri sapevano sempre quale fosse la cosa migliore da fare 6 1 1 7
In reparto c’era un’atmosfera serena grazie agli infermieri 6 1 1 7
  Mediana IQR Minimo Massimo
(valore minimo 1= per niente soddisfatto; valore massimo 5=completamente soddisfatto)
La quantità di tempo che gli infermieri le hanno dedicato 4 1 1 5
La competenza degli infermieri nel loro lavoro 4 2 1 5
La presenza di un infermiere vicino quando ne aveva bisogno 4 1 1 5
Le conoscenze degli infermieri sul suo caso 4 0 2 5
La prontezza con cui gli infermieri sono arrivati quando li ha chiamati 4 1 1 5
Il modo in cui gli infermieri l’hanno fatta sentire a suo agio 4 1 1 5
La quantità di informazioni che gli infermieri le hanno dato sulle sue condizioni di salute e sulla terapia 4 1 1 5
La frequenza con cui gli infermieri controllavano che lei stesse bene 4 2 1 5
L’aiuto ricevuto dagli infermieri 4 1 2 5
Il modo in cui gli infermieri le hanno spiegato le cose 4 2 1 5
Il modo in cui gli infermieri hanno rassicurato parenti e amici 4 1 1 5
Il modo con cui gli infermieri svolgevano il loro lavoro 4 1 1 5
Il tipo di informazioni che gli infermieri le hanno fornito sulle sue condizioni di salute e sul suo trattamento 4 0 1 5
L’essere trattato come persona dagli infermieri 4 1 1 5
Come gli infermieri hanno ascoltato le sue preoccupazioni e ansie 4 1 1 5
La disponibilità degli infermieri a rispondere alle sue richieste 4 1 1 5
La riservatezza e il pudore che gli infermieri le hanno garantito 4 1 1 5
La consapevolezza dei suoi bisogni da parte degli infermieri 4 2 2 5
Tabella II: Valori ottenuti dalle risposte al questionario

I punteggi sono stati successivamente confrontati in base al sesso, all’età (<65 anni vs >=65) e agli anni di dialisi (<5 anni vs. >=5). In Tabella III sono riportati solamente i risultati significativi. Possiamo notare che la differenza di risposte tra uomini e donne riguarda la sfera informativa, in cui le donne riportano punteggi peggiori rispetto agli uomini. Il numero di anni di terapia invece evidenzia una maggior comprensione dei processi interni al day service. Mentre i pazienti con pochi anni di terapia evidenziano una disparità di trattamento o l’inesperienza degli infermieri, questo non è confermato da chi svolge dialisi da molti anni. Anche la differenza di età è risultata una variabile significativa per alcune risposte.

Sesso
F M p-value
Gli infermieri mi davano le informazioni di cui avevo bisogno proprio al momento giusto 6 (2)

1-7

6 (1)

1-7

0,049
Per quanto fossero occupati, gli infermieri trovavano sempre tempo per me 6 (2)

1-7

6 (1)

4-7

0,049
La quantità di informazioni che gli infermieri le hanno dato sulle sue condizioni di salute e sulla terapia 3 (2)

1-4

4 (0)

3-5

0,017
Il modo in cui gli infermieri le hanno spiegato le cose 3 (1)

1-4

4 (1)

3-5

0,005
Il tipo di informazioni che gli infermieri le hanno fornito sulle sue condizioni di salute e sul suo trattamento 4 (1)

1-4

4 (1)

3-5

0.031
Come gli infermieri hanno ascoltato le sue preoccupazioni e ansie 4 (1)

1-58

5 (1)

3-5

0,022
Età
<65 >=65 p-value
A volte gli infermieri dimenticavano le richieste dei pazienti 5 (3)

1-6

2 (4)

1-6

0,043
Alcuni infermieri davano l’impressione di non sapere cosa gli altri colleghi stessero facendo 5 (3)

1-7

2 (3)

1-6

0,025
La quantità di tempo che gli infermieri le hanno dedicato 3 (1)

1-4

4 (2)

3-5

0,017
La competenza degli infermieri nel loro lavoro 4 (1)

1-5

4 (1)

2-5

0,022
Anni terapia
<5 >=5 p-value
Gli infermieri trattavano alcuni pazienti meglio di altri 6 (3)

1-7

6 (1)

1-7

0,019
Gli infermieri davano l’impressione di non sapere cosa stessi provando 4 (2)

1-7

2 (3)

1-5

0,009
Gli infermieri sapevano sempre quale fosse la cosa migliore da fare 6 (2)

1-7

7 (1)

4-7

0,009
Tabella III: Principali risultati del Test U di Mann-Whitney (In ciascuna casella: Mediana – IQR – Range Min – Max)

Dalla Tabella IV, invece, possiamo vedere quali sono i punti salienti che permettono di definire la qualità dell’assistenza infermieristica. Qui viene messo in evidenza che ci sono due aree principali che differenziano la qualità percepita dell’assistenza infermieristica: una è quella della sfera emotiva (“Gli infermieri trattavano alcuni pazienti meglio di altri”, “Gli infermieri davano l’impressione di non sapere cosa stessi provando”, “Vedevo gli infermieri come persone amiche”) e l’altra è la sfera organizzativa (“Gli infermieri impiegavano molto tempo ad arrivare quando erano chiamati”, “Gli infermieri non erano in grado di tenere sotto controllo alcune situazioni”, “Alcuni infermieri davano l’impressione di non sapere cosa gli altri colleghi stessero facendo”).

  Buona Scarsa p-value
Gli infermieri mi mettevano facilmente di buon umore 6 (1)

1-7

5 (3)

1-6

0,050
Gli infermieri trattavano alcuni pazienti meglio di altri 1 (3)

1-7

5 (3)

2-6

0,021
Gli infermieri non mi hanno informato abbastanza sul mio trattamento 2 (4)

1-7

4 (1)

2-5

0,402
Gli infermieri prendevano le cose con troppa calma 2 (4)

1-6

5 (1)

2-6

0,015
Gli infermieri impiegavano molto tempo ad arrivare quando erano chiamati 2 (3)

1-6

4 (3)

2-7

0,038
Gli infermieri mi davano le informazioni di cui avevo bisogno proprio al momento giusto 6 (1)

1-7

6 (4)

1-7

0,174
Gli infermieri davano l’impressione di non sapere cosa stessi provando 3 (2)

1-6

5 (1)

2-7

0,029
Gli infermieri mi facevano fare alcune cose prima che io fossi pronto 2 (3)

1-7

5 (3)

1-5

0,082
Per quanto fossero occupati, gli infermieri trovavano sempre tempo per me 6 (1)

4-7

6 (2)

1-6

0,057
Vedevo gli infermieri come persone amiche 6 (1)

5-7

6 (2)

1-6

0,006
Gli infermieri dedicavano del tempo a confortare i pazienti che ne avevano bisogno 6 (1)

4-7

6 (3)

2-7

0,402
Gli infermieri controllavano regolarmente che non avessi bisogno di nulla 6 (1)

2-7

6 (0)

2-7

0,494
Gli infermieri non erano in grado di tenere sotto controllo alcune situazioni 2 (2)

1-6

5 (1)

2-6

0,006
Gli infermieri non si interessavano a me come persona 2 (3)

1-7

5 (2)

2-7

0,021
Gli infermieri mi informavano sui miei problemi di salute 7 (1)

1-7

5 (1)

1-6

0,009
Gli infermieri mi spiegavano cosa stavano per farmi 6 (1)

4-7

6 (2)

2-6

0,050
Gli infermieri sapevano cosa fare prima ancora di consultare i medici 6 (1)

1-7

6 (2)

2-6

0,082
A volte gli infermieri dimenticavano le richieste dei pazienti 2 (4)

1-6

5 (1)

2-6

0,158
Gli infermieri garantivano la riservatezza e il pudore dei pazienti 6 (1)

1-7

6 (4)

1-6

0,033
Gli infermieri avevano il tempo di fermarsi e parlare con me, quando ne avevo bisogno 6 (1)

2-7

6 (2)

1-6

0,065
Medici e infermieri lavoravano bene insieme, come una squadra 6 (1)

1-7

5 (3)

1-7

0,432
Alcuni infermieri davano l’impressione di non sapere cosa gli altri colleghi stessero facendo 2 (3)

1-6

5 (2)

2-7

0,011
Gli infermieri sapevano sempre quale fosse la cosa migliore da fare 6 (1)

4-7

5 (4)

1-6

0,013
In reparto c’era un’atmosfera serena grazie agli infermieri 6 (1)

4-7

5 (4)

1-6

0,065
La quantità di tempo che gli infermieri le hanno dedicato 4 (2)

1-5

3 (1)

1-4

0,015
La competenza degli infermieri nel loro lavoro 4 (1)

3-5

3 (1)

1-4

0,001
La presenza di un infermiere vicino quando ne aveva bisogno 5 (1)

2-5

4 (2)

1-4

0,009
Le conoscenze degli infermieri sul suo caso 4 (0)

3-5

4 (2)

2-4

0,093
La prontezza con cui gli infermieri sono arrivati quando li ha chiamati 4 (1)

3-5

4 (1)

1-4

0,065
Il modo in cui gli infermieri l’hanno fatta sentire a suo agio 5 (1)

3-5

4 (2)

1-4

0,038
La quantità di informazioni che gli infermieri le hanno dato sulle sue condizioni di salute e sulla terapia 4 (0)

2-5

3 (1)

1-3

0,000
La frequenza con cui gli infermieri controllavano che lei stesse bene 4 (1)

3-5

3 (1)

1-5

0,044
L’aiuto ricevuto dagli infermieri 5 (1)

3-5

4 (1)

2-4

0,018
Il modo in cui gli infermieri le hanno spiegato le cose 4 (1)

3-5

4 (1)

2-4

0,093
Il modo in cui gli infermieri hanno rassicurato parenti e amici 4 (2)

1-5

3 (2)

1-4

0,025
Il modo con cui gli infermieri svolgevano il loro lavoro 5 (1)

4-5

4 (2)

1-4

0,003
Il tipo di informazioni che gli infermieri le hanno fornito sulle sue condizioni di salute e sul suo trattamento 4 (1)

2-5

3 (1)

1-4

0,015
L’essere trattato come persona dagli infermieri 5 (1)

4-5

4 (1)

1-4

0,002
Come gli infermieri hanno ascoltato le sue preoccupazioni e ansie 4 (1)

3-5

4 (1)

1-5

0,093
La disponibilità degli infermieri a rispondere alle sue richieste 5 (1)

3-5

4 (1)

1-4

0,006
La riservatezza e il pudore che gli infermieri le hanno garantito 4 (1)

3-5

3 (0)

2-4

0,025
La consapevolezza dei suoi bisogni da parte degli infermieri 4 (1)

3-5

3 (0)

2-4

0,004
Tabella IV: Assistenza infermieristica percepita (in ciascuna casella: Mediana – IQR – Range Min – Max). I gruppi sono stati identificati in base alla risposta sull’assistenza infermieristica ricevuta: è stata ritenuta buona l’assistenza per le risposte con valutazione ≥4 e scarsa per quelle <4

 

Discussione e conclusioni

La soddisfazione del paziente è definita come la percezione delle cure ricevute rispetto alle cure attese e rappresenta un equilibrio tra la percezione e le aspettative delle cure infermieristiche ricevute. I pazienti valutano così i servizi sanitari, così come i fornitori, dal loro punto di vista soggettivo [16, 17]. La soddisfazione del paziente è un indicatore importante della qualità dell’assistenza. Pertanto, la qualità del lavoro può essere valutata mappando la soddisfazione del paziente con l’assistenza infermieristica [18].

Nel nostro lavoro abbiamo usato la Newcastle satisfaction with nursing scale in un contesto diverso rispetto ad altri studi pubblicati in precedenza. Questo elemento può rappresentare sicuramente un aspetto innovativo dello studio, ma può rappresentare anche un bias legato alla difficoltà di confronto con altri dati nel medesimo contesto. Altro limite dello studio è rappresentato dall’esiguità del campione analizzato, che può non essere totalmente rappresentativo della popolazione che si sottopone a emodialisi; ad esso si associa anche un importante tasso di mancata adesione/drop out. Infine, è opportuno tener presente che questa valutazione è stata effettuata in un periodo storico particolare (marzo 2021), durante la pandemia da COVID-19, e non si può totalmente escludere che questo possa avere in parte impattato anche sulla qualità/modalità dell’assistenza infermieristica.

Dalle nostre analisi è emerso che nel complesso il livello di assistenza fornita è ritenuta abbastanza buona. Sicuramente vari fattori sono responsabili di differenze nella percezione della qualità da parte del paziente dializzato.

Ad esempio, le donne riportano punteggi peggiori rispetto agli uomini, evidenziando la necessità di fornire più attenzione a questo gruppo di pazienti. Pazienti in terapia da anni attribuiscono agli infermieri poca disparità di trattamento e poca inesperienza. Pazienti anagraficamente più giovani tendono invece ad avere percezioni più negative.

Alcuni di questi elementi influenzanti la qualità percepita dell’assistenza sono stati indagati anche in altri studi e in altri contesti. Uno studio precedente di Balouchi et al. è stato condotto con lo scopo di chiarire il concetto di qualità dell’assistenza infermieristica percepita dal paziente in emodialisi. In questo studio di meta-sintesi, i risultati hanno indicato una dimensione completa, profonda e interattiva sul concetto di qualità dell’assistenza infermieristica e hanno mostrato come la qualità percepita sia influenzata da una moltitudine di fattori (l’aspetto umano, le attrezzature, le condizioni ambientali, i monitoraggi continui, l’educazione del paziente e la comunicazione efficace) [19].

Lo studio condotto da Ahmed et al. ha mostrato come il livello complessivo di soddisfazione dei pazienti adulti è relativamente moderato nei confronti delle quattro dimensioni dell’assistenza infermieristica. La soddisfazione riguardo le informazioni fornite e l’ambiente di cura è inoltre inferiore rispetto alle altre dimensioni. Ciò dimostra che i pazienti sono meno informati sulla loro diagnosi, trattamento e prognosi da parte degli infermieri di quanto si aspettino, e ciò è essenziale per prendere decisioni relative alla loro cura. È anche evidente che i pazienti sono preoccupati per la pulizia della stanza e la privacy e libertà negli ospedali [20].

Nello studio pubblicato da Gutysz-Wojnicka et al. i livelli di istruzione non hanno influenzato le esperienze dei livelli di assistenza infermieristica (p = 0,2204) e la soddisfazione per l’assistenza ricevuta (p = 0,1075). L’età dei pazienti invece ha avuto un impatto statisticamente significativo sia sui risultati della scala “esperienze di assistenza infermieristica” (p = 0,0005) sia della scala “soddisfazione infermieristica” (p = 0,0194) [21].

Anche nello studio di Akin et al. i pazienti erano generalmente soddisfatti dell’assistenza infermieristica ricevuta. Gli elementi con la valutazione più positiva sono stati rispettivamente: la quantità di libertà che hanno ricevuto in reparto, la privacy che hanno ricevuto dagli infermieri e quanto velocemente gli infermieri hanno risposto alle loro richieste. Lo studio ha rilevato che le pazienti di sesso femminile, i pazienti più anziani e coloro che avevano un’assicurazione sanitaria erano i più soddisfatti [22].

Questi risultati confermano quanto abbiamo osservato nel nostro studio e quindi suggeriscono la necessità di una maggiore attenzione verso le pazienti femmine  fornendo loro informazioni più dettagliate e complete.

Occorre dedicare più tempo a chi è in dialisi da un minor numero di anni, rassicurandolo e fornendo tutte le informazioni necessarie anche quelle che a volte al personale sanitario risultano ridondanti o superflue. Sempre per quanto riguarda i pazienti maschi, essi rilevano un certo distacco nel rapporto con il personale infermieristico e, dal momento che questa sensazione potrebbe inficiare la fiducia verso i professionisti sanitari, si rende necessaria la riduzione della percezione di distanza tra le parti assumendo un comportamento più partecipativo. Gli stessi miglioramenti possono essere applicati a tutte le età, con un aumento di zelo nei riguardi dei pazienti più giovani che riferiscono più criticità nelle informazioni ricevute e nel rapporto con gli infermieri.

Per migliorare la percezione del livello di assistenza di alcuni, occorrerà che gli infermieri livellino il rapporto che hanno tra i vari assistiti, e che siano più solerti nell’ascoltare le varie necessità e rispondere alle informazioni richieste. Sarà utile essere maggiormente professionali e allo stesso tempo empatici. Bisognerà aumentare il livello e la quantità di informazioni date.

Non da meno, dal punto di visto lavorativo, è fondamentale assumere atteggiamenti più professionali che rendano, all’occhio di chi guarda, il modello di lavoro più omogeneo e lo standard perseguito più alto, evitando principalmente di mostrare ritrosie e perplessità sull’operato degli altri membri dell’equipe assistenziale.

Sicuramente il nostro studio ha evidenziato che esistono spazi per migliorare l’esperienza dell’assistito. Sapendo che l’assistenza infermieristica ha costantemente bisogno di cambiamenti per soddisfare le esigenze individuali, è necessario, ed estremamente importante, avanzare nel campo di ricerca per migliorare la qualità dell’assistenza infermieristica e, di conseguenza, la qualità della vita individuale [9, 23, 24].

 

Bibliografia

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Intossicazione da solfato di litio trattata con emodialisi in paziente con normofunzione renale: caso clinico

Abstract

Il litio rappresenta la pietra miliare nella terapia dei pazienti psichiatrici, in particolare nel disturbo bipolare. Nonostante la sua elevata efficacia terapeutica esistono problematiche legate alla comparsa di effetti collaterali (renali, tiroidei, paratiroidei e dermatologici) e problematiche di gestione legate al suo ristretto range terapeutico, che espone i pazienti ad un elevato rischio di tossicità.

Il nostro lavoro descrive il caso clinico di un paziente affetto da disturbo bipolare in terapia con solfato di litio che ha sviluppato una severa intossicazione acuta su cronica. Presentatosi alla nostra osservazione in stato soporoso e con litiemia superiore a 3 mEq/L, è stato sottoposto ad emodialisi.

In considerazione dell’elevata tossicità da litio, che può determinare un deterioramento cognitivo e neurologico persistente e può talora essere letale, è importante una tempestiva e corretta scelta terapeutica per migliorare l’outcome del paziente. In tale contesto, tenendo in considerazione i valori della litiemia, la funzionalità renale e lo stato clinico del paziente, bisogna valutare l’impiego di trattamenti extracorporei, di cui il più idoneo è l’emodialisi.

Parole chiave: litio, intossicazioni, dialisi, disturbo bipolare

Introduzione

Dal 1949, data della sua scoperta, ad oggi il litio è la pietra miliare nel trattamento di disturbi psichiatrici, in particolare nella terapia del disturbo bipolare. Tuttavia, a fronte della sua elevata efficacia terapeutica, il litio presenta problematiche legate alla comparsa di effetti collaterali (renali, tiroidei, paratiroidei e dermatologici) e problematiche di gestione per la necessità di controllare in modo regolare il dosaggio plasmatico, dato il suo range terapeutico molto ristretto, che espone i pazienti ad un elevato rischio di tossicità [1]. L’incidenza della intossicazione da litio è infatti di 1/100 pazienti trattati per anno. Bisogna inoltre sottolineare che i valori di litiemia non sempre correlano con la clinica, pertanto i sintomi e la gravità dell’intossicazione ed il conseguente atteggiamento terapeutico variano a seconda di un’intossicazione acuta, acuta su cronica o cronica, in base alla dose assunta nonché alla presenza di fattori (sostanzialmente renali) che possono modificare la clearance del litio [1,2].

Scopo del nostro lavoro è descrivere un interessante caso clinico presentatosi presso la nostra struttura, un paziente psichiatrico con intossicazione acuta su cronica da litio.

 

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Resilienza in era COVID-19: guarigione di un paziente di 93 anni in trattamento emodialitico. Considerazioni generali

Abstract

Viene riportato il caso di una signora di 93 anni, in trattamento emodialitico da oltre 30 mesi, pluricomorbide, che ha superato l’infezione Covid-19 senza significativi problemi clinici. Vi è stata una ritardata clearance virale con negativizzazione del tampone confermata dopo 33 giorni; dopo una nuova positivizzazione, è seguita una seconda, persistente, negativizzazione dopo 49 giorni. Si sono riscontrati anticorpi IgG ed IgM dopo la prima negativizzazione del tampone, che persistono francamente positivi a distanza di un mese. L’analisi del caso, oltre ad evidenziare una inaspettata resilienza in un contesto di estrema fragilità, suggerisce di porre attenzione alla gestione assistenziale anche dopo la “guarigione laboratoristica”, con l’opportunità di identificare una temporanea area filtro isolata per il trattamento dialitico.

Parole chiave: Covid-19, dialisi, resilienza, tampone nasofaringeo, anticorpi

Introduzione

L’infezione Covid-19 ha avuto un significativo impatto a livello mondiale, con ricadute sociali ed assistenziali; la pandemia ha colpito milioni di persone ed ha duramente messo alla prova i sistemi sanitari nazionali, con 6.799.713 casi confermati dall’inizio dell’epidemia e 397.388 decessi secondo i dati WHO aggiornati al 07/06/2020 [1].

Molte conoscenze circa la fisiopatologia indotta dall’agente patologico si stanno definendo con il progredire dell’esperienza [26]. Si tratta di una patologia infettiva sconosciuta fino a fine 2019 che vede la comunità scientifica impegnata ad individuare strategie terapeutiche ed assistenziali in grado di migliorarne l’outcome [7, 8]; al momento, non risultano ancora completamente chiariti alcuni aspetti significativi quali la diversa risposta individuale all’agente infettivo.

Come in altre patologie infettive, la popolazione anziana risulta particolarmente colpita in termini di morbilità e mortalità; la presenza di comorbidità costituisce poi un fattore prognostico negativo [2, 9]. I pazienti con insufficienza renale negli stadi più avanzati (stadi IV-V CKD EPI) o in trattamento dialitico costituiscono una popolazione particolarmente fragile; lo stato di immunodepressione [10], infatti, può rallentare la clearance dell’agente patogeno. La gestione del trattamento sostitutivo artificiale risulta complessa in termini di prevenzione e di misure di isolamento [7, 11, 12].

Nell’ottica di fornire uno spiraglio di speranza, in un contesto comunque impegnativo, viene riportato il caso di una paziente di 93 anni con significativa storia cardiovascolare e in trattamento emodialitico da oltre 30 mesi che ha superato l’infezione (con negativizzazione confermata del tampone nasofaringeo) ed ha sviluppato un adeguato quadro anticorpale.

 

Dati anamnestici

La paziente ha 93 anni ed è ospite in una casa di riposo per anziani. Affetta da nefropatia non diagnosticata istologicamente, è seguita in ambito nefrologico dal 2008 per insufficienza renale su base nefroangiosclerotica (eGFR 27 ml/min). Dal settembre 2017 è in trattamento dialitico per scompenso cardiaco refrattario alla terapia medica, con ritmo dialitico trisettimanale (durata della seduta emodialitica: 4 ore). La paziente è portatrice di catetere venoso centrale a permanenza in giugulare destra. Peso 57 Kg, pressione arteriosa 120/70, con tendenza ad ipotensione in corso di trattamento dialitico.

Le principali comorbidità sono: esiti di colecistectomia; due interventi per ernia discale; melanosi del colon; cardiopatia ipertensiva; attacco ischemico transitorio nel febbraio 2018 (con disartria e disturbo del visus); infarto miocardico NSTEMI nel 2019; insufficienza mitralica; lesione ischemica III medio gamba sinistra nel 2020, con stenosi serrata a livello dell’arteria poplitea sovragenicolare; displipidemia; Gammopatia Monoclonale di Significato Indeterminato (MGUS) IgG/Kappa.

 

Decorso dell’infezione Covid-19

In data 28 marzo si registra iperpiressia in corso di dialisi fino a 38°5, persistita per 1 solo giorno, senza dispnea, né segni di desaturazione.

A partire dalla successiva emodialisi (31 marzo) la paziente viene trattata in una stanza isolata, pur in assenza di sintomatologia febbrile o disturbi soggettivi; in considerazione della domiciliazione in casa di riposo, viene eseguito tampone nasofaringeo il 2 aprile, risultato positivo per Coronavirus SARS-CoV-2. Si tratta di RNA test qualitatitivo eseguito con tecnica rt PCR Real time; geni target: E (aspecifico), RdRp (specifico), N (specifico). In data 4 aprile avviene il ricovero ospedaliero in considerazione delle significative comorbidità, pur in assenza di segni obiettivi di infezione.

Gli esami effettuati rivelano:

  • RX Torace (4/04/2020): non lesioni parenchimali a focolaio; accentuazione della trama bronco-vasale; ingrandimento ventricolare sinistro; aortosclerosi.
  • ECG: ritmo sinusale FC 58 bpm; rare extrasistoli ventricolari.
  • Esami ematochimici: Globuli Bianchi 6390/mmc (Neutrofili 3500/mmc, Linfociti 1600/mmc), Hb 13,2 g/dl, PLT 294.000/mmc, Ddimero 342 ug/L FEU, PCR 2,9 mg/L, LDH 255 U/L, IL 6 11,7 pg/ml (v.n. < 5,9).

Viene impostata una terapia con idrossiclorochina (Plaquenil 200 mg a fine dialisi) e calciparina 5000 U. La paziente ha proseguito la restante terapia cronica di supporto: doppia antiaggregazione con acido acetilsalicilico e clopidrogel, nitroderivato TTS 5mg/die, bisoprololo 1,25 mg 1 cp x 2, calcitriolo 0,25 mcg 1 cp 0,25mcg.

Il decorso clinico è stato regolare con adeguati valori saturimetrici in aria ambiente e soddisfacente equilibrio emodinamico (PA sistolica 110-140, diastolica 60-80 mmHg). La paziente viene poi dimessa in data 7 aprile, apiretica ed asintomatica. La terapia antivirale con idrossiclorochina è proseguita per altri 8 giorni, fino alla durata complessiva di 12 giorni.

Dopo la dimissione, ha proseguito il trattamento dialitico in zona Covid a giorni alterni, inizialmente con monitor per CRRT, usando una tecnica di emodiafiltrazione (CVVHDF) della durata di 4-6 ore (membrana polisulfone) con Qb 200 ml/min, Qd 3500 ml/ora, reinfusione in post-diluizione 2000 ml/ora; ha successivamente continuato il trattamento con tecnica di emodialisi convenzionale (bicarbonato dialisi, polisulfone low flux, superficie del filtro 1,5 m2) in stanza idonea a trattamento emodialitico con osmosi portatile. Non sono state utilizzate tecniche con sorbenti.

Gli esami laboratoristici hanno mostrato modeste fluttuazioni rispetto a quanto riscontrato in corso di ricovero, con una modesta riduzione dei valori di emoglobina (Tabella 1).

 

Tabella 1: Andamento principali dati laboratoristici in corso di infezione

 

I tamponi naso-faringei eseguiti in data 7/4, 14/4, 21/4 e 28/4 hanno confermato la positività del test. Il primo tampone naso-faringeo negativo risale al 5 maggio, con conferma a distanza di 24 ore. Dopo la negativizzazione, la paziente ha proseguito il trattamento dialitico in zona filtro in stanza singola; analogamente, è stata posta in ambiente filtro adeguato nella struttura residenziale.

In data 14 maggio si è riscontrata una nuova positivizzazione, in assenza di sintomatologia soggettiva o variazioni laboratoristiche. A seguire sono stati eseguiti 3 ulteriori tamponi, risultati tutti negativi. La successione dei tamponi naso-faringei è riportata in Tabella 2; nella tabella viene indicato anche il valore Ct (cycle threshold), che risulta più basso nelle fasi iniziali dell’infezione. Il numero di cicli di amplificazione costituisce un indiretto indice della carica virale nel tampone (inversamente proporzionale alla quantità di acido nucleico).

 

Tabella 2: Andamento temporale dei tamponi naso-faringei con valore di ct (cycle threshold) relativo ai singoli antigeni testati

 

La ricerca di anticorpi (S-Anticorpi anti SARS CoV-2 IgG ed IgM, tecnica ELISA) è stata eseguita a distanza di 7 giorni dalla prima negativizzazione del tampone (12 maggio) ed è risultata francamente positiva sia per IgM che per IgG. La positività di entrambi gli anticorpi è stata confermata in data 21/5, 28/5 e 4/6; ad una valutazione semiquantitativa, si evidenzia un progressivo incremento delle IgG, con una lenta tendenza alla riduzione del valore delle IgM. L’andamento degli anticorpi ed il relativo valore semiquantitativo è riportato in Figura 1.

La paziente ha ripreso il trattamento dialitico in sala dialisi, senza limitazioni contumaciali, a partire dal 9 giugno.

 

Figura 1. Andamento temporale del valore semiquantitativo delle immunoglobuline (blu: IgM, arancione IgG). IgG: <0.9 Index: Negativo, 0.9-1.1 Index: Zona grigia (Dubbio), 1.1-3.0 Index: Debole Positivo, >3.0: Positivo; IgM: <0.9 Index: Negativo, 0.9-1.1 Index: Zona grigia (Dubbio), 1.1-2.0 Index: Debole Positivo, >2.0: Positivo

 

Discussione

Nel corso dell’infezione da Covid-19 le conoscenze scientifiche hanno subito significative variazioni, con adeguamento dei percorsi terapeutici e delle procedure assistenziali. Si è registrata una estrema eterogeneità di manifestazioni cliniche; la presenza di pazienti asintomatici o paucisintomatici e l’impossibilità di uno screening di massa ha contribuito ad una verosimile sottostima della diffusione della patologia [13].

L’età avanzata e la presenza di comorbidità hanno costituito fattori prognostici negativi [14]. Secondo i dati della protezione civile italiana, aggiornati al 07-06-2020, le persone decedute con età superiore a 80 anni costituiscono il 62,3% sul totale dei 33.899 decessi. Il tasso di letalità (percentuale di persone decedute sul numero di pazienti con tampone positivo) per fasce di età risulta del 32.4% fra le persone di età compresa fra 80-89 anni e del 29.9% in quelle >90 anni [15]; è verosimile che in questi sottogruppi la mortalità sia sottostimata per una mancata diagnosi di infezione.

La infezione da Covid-19 ha avuto un significativo impatto sulla popolazione di pazienti con insufficienza renale avanzata necessitanti di supporto dialitico, che presentano un alto rischio di contrarre l’infezione dati i frequenti accessi in ospedale, il prolungato periodo di stazionamento per la terapia, i contatti ripetuti con personale di assistenza ed altri pazienti. Secondo i dati della Società Italiana di Nefrologia riferiti a metà aprile 2020, il 4,15% della popolazione di pazienti in trattamento emodialitico ha contratto l’infezione; la mortalità è risultata del 37% con un rischio di morte maggiore di 2,6 volte rispetto alla popolazione generale [16]. Nella nostra esperienza, abbiamo registrato un’incidenza del 1,4% (4 su 284 pazienti in emodialisi) con una mortalità del 50%.

Anche in ambito nefrologico la presenza di asintomatici/paucisintomatici ha incrementato la difficoltà di individuazione di potenziali pazienti infetti, con possibili pericolose ricadute gestionali. Nel caso descritto la sintomatologia è risultata del tutto modesta (episodio febbrile di un solo giorno); i dati laboratoristici e strumentali sono risultatati sfumati e non diagnostici. La tempestiva esecuzione del tampone naso-faringeo è stata suggerita soprattutto dalla domiciliazione in casa di riposo.

Si evidenziano numerosi fattori prognostici negativi: età avanzata, comorbidità cardiovascolare, trattamento emodialitico da >30 mesi, quadro infiammatorio subclinico. Non si può escludere che la terapia antivirale iniziata precocemente abbia avuto un ruolo positivo; la ridotta reattività immunologica tipica dei pazienti uremici [17] può aver costituito un fattore protettivo nei confronti del coinvolgimento polmonare. L’impressione complessiva, tuttavia, è che molti fattori prognostici sfuggano alla nostra disamina, compresi aspetti genetici, ambientali o legati alla carica ed alla virulenza del virus.

Nel caso riportato, si evidenzia un prolungato intervallo di tempo fra la diagnosi di infezione e la guarigione laboratoristica (negativizzazione del tampone dopo 33 giorni, seconda e costante negativizzazione dopo 49 giorni). L’intervallo di tempo appare maggiore di quanto riportato in letteratura nella popolazione con normale reattività immunologica [5, 18], anche se i dati non sono uniformi e vengono riportati casi aneddotici di prolungata positività anche in soggetti immunocompetenti. Il riscontro di nuova positivizzazione, segnalata anche in altre tipologie di pazienti [19, 20, 21], può essere interpretata alla luce della persistenza di RNA virale a bassa carica in un contesto di non ottimale sensibilità (60-70%) della metodica diagnostica [22, 23]. Il dato laboratoristico, confermato dal Laboratorio di Microbiologia, evidenzia peraltro la presenza di parti del genoma virale e può non essere espressione diretta di una replicazione virale in atto. Nella nostra pur limitata esperienza un andamento analogo è stato evidenziato anche in pazienti con trapianto renale; non è escluso che il dato complessivo di ritardata completa clearance virale nel corso del follow-up possa essere correlato con un’alterata risposta immunitaria (cellulare ed umorale) dei pazienti in trattamento dialitico cronico o in terapia immunosoppressiva [24, 25].

Non sono ancora disponibili dati su ampia casistica, in particolare nella popolazione in trattamento dialitico, circa lo sviluppo di protezione anticorpale post-infezione [26, 27]. Nel nostro caso, il riscontro di IgG a distanza di 7 giorni dalla prima negativizzazione del tampone si è associato a contemporanea rilevazione di IgM. La contemporanea presenza di IgG ed IgM persiste a distanza di un mese; il diverso andamento degli anticorpi, riscontrato alla valutazione semiquantitativa, dovrà essere analizzato in un più prolungato periodo per permettere una più puntuale interpretazione dell’esame. In questo contesto la disponibilità della titolazione IgG potrà accrescere il valore diagnostico dell’indagine; in ogni caso il dato sierologico costituisce un importante supporto epidemiologico [28].

Molteplici considerazioni possono derivare dall’analisi operativa di un singolo caso clinico. Nel periodo di evoluzione dell’infezione si è registrata una complessità assistenziale, in parte prevedibile, che ha richiesto continue revisioni di procedure operative relative al trattamento dialitico [7]. L’attività di triage precedente la dialisi, compreso il dato relativo alla domiciliazione, ha costituito un caposaldo delle misure preventive, anche se non può azzerare il rischio di una contaminazione da parte di soggetti asintomatici. Un isolamento precoce nei casi sospetti è risultato utile a ridurre il rischio di propagazione dell’infezione ed a limitare il numero di soggetti da considerare a “stretto contatto” con le conseguenti problematiche gestionali; tale strategia comporta un’organizzazione strutturata di percorsi e procedure, con aumentata necessità di risorse umane e logistiche. L’esecuzione del tampone nasofaringeo, eventualmente ripetuto, costituisce ancora l’indagine diagnostica di riferimento pur con i noti limiti metodologici; il dato, anche nella decisione di sede per il trattamento emodialitico, va inquadrato nel contesto clinico e laboratoristico [9, 22]. I test sierologici, eseguiti su ampia scala, potranno costituire un utile riferimento in caso di una non auspicabile ripresa dell’infezione anche nella popolazione di pazienti in trattamento dialitico.

Il caso descritto ci porta ad una considerazione circa la cautela che deve persistere dopo una diagnosi laboratoristica di guarigione dall’infezione, con l’opportunità di un periodo prudenziale di trattamento in zona filtro (proponibili due settimane). Resta comunque ipotizzabile, come nel caso esaminato, che la seconda positività del tampone sia associata ad una carica virale bassa, verosimilmente non infettante. È doverosa una riflessione circa l’impatto che la permanenza in strutture sanitarie per anziani ha avuto sulla diffusione dell’infezione; traslando il dato sociale alla nostra attività, si conferma l’importanza, quando praticabile, dello sviluppo di percorsi domiciliari per il trattamento della cronicità.

 

Conclusioni

L’esperienza acquisita permette di tracciare linee di comportamento utili al contenimento dell’infezione Covid-19. La nostra esperienza evidenzia la opportunità di una temporanea prosecuzione dell’isolamento dopo la guarigione “laboratoristica” e fino ad ulteriori conferme. Lo sviluppo di test laboratoristici, compreso l’andamento anticorpale e la titolazione di anticorpi IgG, potrà essere di ausilio nel monitoraggio clinico. I fattori prognostici, sempre utili in una valutazione complessiva, non possono costituire l’unico riferimento nel singolo individuo; è presente, anche in una popolazione estremamente fragile, una grande capacità di resistenza ed aleggia sempre una componente legata al fato. Per citare un aforisma di Eli Khamarov sul destino “Le cose migliori della vita sono quelle impreviste, perché non c’erano aspettative”.

 

 

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Terapia conservativa massimale o dialisi nei pazienti nefropatici fragili? Risultati di uno studio retrospettivo di confronto

Abstract

Background e obiettivi: Esiste crescente evidenza scientifica che la dialisi cronica nei pazienti nefropatici fragili può peggiorare il carico dei sintomi e l’autonomia funzionale, aumentando il rischio di mortalità precoce. Per questi pazienti è legittimo chiedersi se il trattamento dialitico rappresenti un reale vantaggio o se piuttosto non sia più adeguata una Terapia Conservativa Massimale (TCM), da associare alle cure palliative, con l’obiettivo di migliorarne la qualità di vita residua evitando il ricorso alla dialisi. L’obiettivo di questo lavoro è quello di descrivere l’applicazione e i relativi esiti del percorso di TCM in una serie completa di casi seguiti nel nostro ambulatorio nefrologico.

Disegno e setting dello studio: Si tratta di uno studio osservazionale retrospettivo su una coorte di 48 pazienti nefropatici fragili in TCM e 58 in dialisi, nel periodo compreso tra gennaio 2013 e dicembre 2019. Sono stati studiati luogo di morte, Incidence Rate (IR) e Incidence Rate Ratio (IRR) relativi alla sopravvivenza e ai tassi di ospedalizzazione.

Risultati: La durata media della TCM è stata di circa 9,7 mesi vs 13,5 mesi del trattamento dialitico. I pazienti in dialisi hanno una probabilità di sopravvivenza a un anno di 0,52 [CI 0,38-0,64] vs 0,48 [CI 0,33-0,62] nei pazienti in TCM, a fronte tuttavia di un maggior numero di ospedalizzazioni (IR 2,780 vs 1,269 nei pazienti in TCM), IRR 2,19 [CI 1,66-2,89], dato conforme a quanto descritto in letteratura.

Il 67% dei pazienti dializzati è deceduto in ospedale contro il 35% dei pazienti in TCM. Il 34% dei pazienti in TCM risulta ancora in vita al momento dell’analisi dei dati (31/01/2020); nessun paziente in dialisi è ancora in vita alla stessa data.

Conclusioni: Il ricorso al trattamento dialitico ha mostrato un effetto marginale, ancorché significativo, sulla sopravvivenza media dei pazienti nefropatici fragili, a spese però di un aumento anch’esso significativo del numero di ospedalizzazioni con conseguente impatto sulla qualità di vita. La scelta del percorso (TCM vs dialisi) non dovrebbe dunque essere condizionata solo dal numero delle comorbidità, ma soprattutto dalla tipologia di queste ultime, rappresentando di volta in volta un elemento sul piatto della bilancia a favore della scelta conservativa o dialitica.

Parole chiave: terapia conservativa, dialisi, sopravvivenza, fragilità

Introduzione

La Malattia Renale Cronica (MRC) è il destino comune di molte nefropatie che possono evolvere fino alla necessità del trattamento sostitutivo dialitico o del trapianto renale. Si tratta quindi di un significativo problema di salute pubblica non solo in quanto causa di morbidità nella popolazione generale, ma anche e soprattutto perché rappresenta un fattore di rischio indipendente per la compromissione, il declino funzionale e la fragilità associandosi ad outcomes negativi come eccesso di mortalità e ospedalizzazione [1].

 

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Terapie depurative extracorporee nell’intossicazione da litio

Abstract

Le intossicazioni da farmaci costituiscono un’importante causa di mortalità e morbilità ed il loro trattamento richiede notevoli risorse economiche. In anni recenti le intossicazioni da sali di litio si sono attestate tra le prime quattro cause di avvelenamenti per le quali si è reso necessario il ricorso a trattamenti di depurazione extracorporea. Il litio rappresenta a tutt’oggi il farmaco di elezione, in monoterapia o in combinazione, nel trattamento del disturbo bipolare. Il tallone d’Achille del farmaco è costituito dal basso indice terapeutico. Infatti, il range terapeutico del litio oscilla tra 0,6 e 1,2 mEq/L e già ad una concentrazione plasmatica di poco superiore – compresa tra 1,5 e 2,5 mEq/L – può essere osservata una tossicità di grado lieve. Tossicità moderata e severa possono manifestarsi rispettivamente per concentrazioni comprese tra 2,5 e 3,5 mEq/L e >3,5 mEq/L. Le terapie sostitutive renali rivestono un ruolo fondamentale, in casi selezionati, nel trattamento dell’intossicazione da litio. Non esiste consenso circa la modalità più adeguata di trattamento in tale contesto. Spesso, nella pratica clinica, la scelta del trattamento è dettata da fattori quali l’esperienza individuale ed il tipo di macchina per dialisi a disposizione. Seppur le attuali linee guida suggeriscano il ricorso a trattamenti intermittenti, le metodiche ibride – tra le quali la più utilizzata è la SLED (sustained low efficiency dialysis) – sembrano presentare le caratteristiche del trattamento ideale in pazienti con intossicazione da litio. Tali metodiche unificano i vantaggi propri sia delle metodiche intermittenti sia di quelle continue, consentendo una efficace rimozione del tossico, minimizzando il rebound post trattamento ed offrendo una rapida risoluzione della sintomatologia associata.

Parole chiave: litio, intossicazioni, dialisi, sustained low efficiency dialysis (SLED)

Introduzione

Le intossicazioni sono un vasto gruppo di patologie di differente gravità determinate da esposizione ad un ampio numero di agenti causali, i cosiddetti veleni o tossici. Tale esposizione può avvenire per vie e con modalità diverse. Con il termine farmaco si indica qualsiasi sostanza che induca in un organismo, attraverso la propria attività chimica, modificazioni delle funzioni biologiche e quindi della funzionalità cellulare e degli organi. Se la modificazione indotta dal farmaco è positiva per la salute esso viene definito medicamento, se invece è dannosa si parla di tossico o veleno. La maggior parte dei farmaci presenti in commercio esercitano una funzione terapeutica a determinate dosi e divengono tossici a concentrazioni più elevate.

Le intossicazioni da farmaci rappresentano un’importante causa di morbilità e mortalità ed il loro trattamento richiede notevoli risorse economiche. Negli Stati Uniti, a partire dal 2008, si è registrato un progressivo incremento degli avvelenamenti da farmaci. Tale fenomeno costituisce ad oggi una delle prime cause di mortalità, determinando un numero di morti superiori a quelle attribuibili ad incidenti stradali [1]. Secondo i dati dell’American Association of Poison Control Centers (AAPCC), nel 2017 si sono registrati negli Stati Uniti 7.222 casi di intossicazione da sali di litio, 3.271 dei quali hanno richiesto l’accesso ad una struttura sanitaria, con un tasso di mortalità pari allo 0,03%; circa la metà dei casi riguardava soggetti con età inferiore o uguale a 20 anni [2]. Nel corso degli ultimi decenni, le intossicazioni da sali di litio, insieme a quelle da metanolo, glicole etilenico e salicilati, sono state tra le prime quattro cause di avvelenamenti per cui si è reso necessario il ricorso a trattamenti di depurazione extracorporea (renal replacement therapies o RRT) [3

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Report preliminare dell’outbreak di Covid-19 nei centri dialisi della Valle d’Aosta

Abstract

La Valle d’Aosta, la regione più piccola d’Italia, ha dovuto fronteggiare un andamento epidemico di Covid-19 di assoluta rilevanza. Analogamente ai dati riferiti alla popolazione locale, anche la prevalenza di malattia nella popolazione uremica è stata significativa. Gli autori riportano i dati preliminari relativi alla diffusione della malattia a livello regionale e l’andamento clinico dei pazienti contagiati che hanno richiesto l’ospedalizzazione.

 

Parole chiave: Covid-19, epidemia, dialisi

Introduzione

A fine dicembre 2019, le autorità politiche e sanitarie cinesi riportano un numero crescente di polmoniti e sindromi respiratorie acute nella città di Wuhan, con la successiva identificazione eziologica di un nuovo agente virale appartenente alla famiglia dei Coronavirus, il SARS-CoV-2 (Severe Acute Respiratory Syndrome CoronaVirus 2) [1]. Nelle successive settimane, la diffusione della malattia assume caratteristiche di pandemia mondiale. I primi casi italiani di infezione da Covid-19 (coronavirus disease 2019), due turisti cinesi, vengono confermati dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) il 30 gennaio 2020. Il primo caso autoctono confermato dall’ISS è stato segnalato a Milano il 21 febbraio. Nelle settimane successive, la diffusione della malattia assume caratteristiche epidemiche di particolare rilevanza a partire dalla Lombardia per poi estendersi a tutto il territorio nazionale[2].

L’arrivo in Valle d’Aosta

L’andamento epidemico nella nostra regione, la più piccola d’Italia con i suoi 125.666 abitanti [3], ha assunto caratteristiche di particolare e prolungato rilievo epidemiologico a partire da inizio marzo, con dati di prevalenza sovrapponibili a quelli registrati in Lombardia, ma già superiori a quelli del Piemonte. Infatti, alla data del 13 aprile, in Valle d’Aosta si contavano 7,4 casi/1000 abitanti versus valori di 5,99/1000 abitanti per la Lombardia e 3,93/1000 abitanti per il Piemonte (fonte: Protezione Civile). Alcune circostanze caratterizzate da un notevole afflusso di turisti hanno potenzialmente innescato la diffusione epidemica espressa dai dati. Tra queste citiamo la Fiera di Sant’Orso, svoltasi il 30-31 gennaio, che ha richiamato poco più di 171 mila visitatori, ed i week-end di febbraio ed inizio marzo, caratterizzati da temperature primaverili, stato di innevamento ottimale e che hanno fatto registrare un numero significativo di passaggi autostradali ed un incremento esponenziale dei visitatori. Comprensibilmente, il successivo carico assistenziale sull’unica struttura sanitaria regionale è stato notevole, tale da indurre la trasformazione progressiva di 207 posti letto in unità Covid, con il coinvolgimento di personale medico, infermieristico ed ausiliario alla copertura delle neo-costituite unità di degenza.
Al momento della stesura di questo paper (16 aprile), i dati regionali indicano 927 contagiati a fronte di 3726 tamponi eseguiti (24,9%), pari allo 0,73% della popolazione (la percentuale più alta d’Italia), con 114 decessi (pari allo 12,3% dei contagiati) (fonte: Assessorato Regionale).

 

Covid-19 e dialisi

Il rischio di outbreaks infettivi all’interno dei centri dialisi è notevole, per diversi motivi ben noti agli addetti ai lavori.
L’erogazione di un trattamento terapeutico salvavita come quello dialitico esclude la possibilità di isolare efficacemente i pazienti, i quali devono poter accedere regolarmente alle strutture sanitarie.
La logistica di molti centri dialisi prevede oggi degli open space con aree contumaciali limitate poiché pratiche vaccinali già consolidate ed efficaci terapie eradicanti hanno significativamente ridotto la percentuale di pazienti infettati da malattie virali come l’epatite B/C e l’HIV.
L’aspetto sociale gioca poi un ruolo rilevante; l’età media dei nostri pazienti è in progressivo aumento, con relativa perdita dell’autonomia tale da determinare una frequente istituzionalizzazione ed il ricorso a mezzi di trasporto comuni da e verso i centri dialisi.
Vi sono poi gli aspetti legati all’uremia di per sé e alle frequenti comorbidità ad essa associate, che espongono i pazienti ad alterazione dell’immunità acquisita e naturale ed a maggiori morbilità e mortalità per cause infettive [46].
Facendo tesoro delle prime drammatiche esperienze lombarde [7,8] e sulla base delle evidenze scientifiche che si accumulavano in un contesto organizzativo e lavorativo estremamente dinamico, sin da fine febbraio abbiamo agito su tutta la filiera del potenziale contagio. Le misure pratiche messe in atto sono state: fornire un’informativa dettagliata ai pazienti e al personale, introdurre il triage telefonico e modificare trasporti e logistica, il tutto ponendo particolare enfasi sul rispetto del lavaggio delle mani, del distanziamento sociale e dell’uso di mascherine chirurgiche. Precocemente, all’interno dell’ospedale regionale, veniva ricavata una sala contumaciale dialitica a pressione negativa e dotata di sei postazioni tecniche per trattare i pazienti positivi. L’unico ambiente isolato della sala dialisi principale era riservato al trattamento dei pazienti sospetti, al fine di mantenere i centri periferici indenni da casi.
Ciononostante, al momento della stesura del primo report della Società Italiana di Nefrologia sulla diffusione della malattia nei centri dialisi italiani, pubblicato online il 6 aprile [9], la Valle d’Aosta presentava un’incidenza di diffusione del 10.8%, essendoci già 9 pazienti contagiati su un totale di 83 (di cui 70 in emodialisi (HD) e 13 in dialisi peritoneale (DP)), valore maggiore di quelli registrati sia in Lombardia (6.8%) che in Piemonte (4.9%). Da segnalare anche la positività al Covid-19 di 8 operatori (1 medico, 1 amministrativa, 2 operatori socio-sanitari e 4 infermieri). Volendo confrontare i nostri dati con quelli della letteratura internazionale ed in particolare cinese, riportiamo il lavoro del Dr. Ma il quale, su oltre 230 pazienti in emodialisi in una struttura di dialisi universitaria e nell’arco temporale di oltre un mese, descriveva 37 casi di Covid-19 (16%) con 7 decessi per complicanze cardiovascolari (19%) [10].

 

Analisi dei dati

Il nostro servizio eroga trattamenti dialitici in tre centri, di cui il principale è collocato presso l’Ospedale Regionale di Aosta; gli altri due, ad assistenza limitata, sono situati a St.Vincent e a Donnas. Nelle strutture sono presenti 70 pazienti in emodialisi, 13 pazienti che effettuano il trattamento dialitico peritoneale e 75 che sono portatori di trapianto renale (Tx), quindi il bacino di utenti nefropatici della regione è di 158 persone [11].
Il primo focolaio d’infezione si è verificato in una micro-comunità del Centro Valle (zona orografica che ha registrato un numero significativo di contagi), all’interno della quale erano ospiti un paziente dializzato ed una paziente trapiantata, i nostri pazienti “zero”. Contemporaneamente, risultava positivo un paziente in DP che alcune settimane prima era stato ricoverato in ospedale.
Nella popolazione valdostana, la crescita nel numero di contagi è notevolmente aumentata nelle settimane tra il 9 ed il 30 marzo: i cittadini contagiati sono passati da 15 a 517 (+ 3347%), gli ospedalizzati da 2 a 86 (+ 4200%), i tamponi effettuati da 60 a 1100 (+ 1733%) e i decessi da 1 a 50 (+ 5000%). Analogamente, anche nella nostra coorte di pazienti si è verificato un crescente numero di contagi. In seguito al primo caso positivo, riscontrato il 16 marzo, si sono registrati 11 contagiati nei 14 giorni successivi (Figura 1): 1 paziente in DP, 1 Tx e 9 in HD, di cui 7 provenienti dal centro principale e 2 dai centri periferici. Dal 31 marzo al 13 aprile, essendoci stati solo quattro ulteriori pazienti positivi (3 in HD e 1 Tx), si è osservato un trend in netta riduzione (-63.7%), probabilmente grazie all’efficacia delle misure restrittive adottate sul territorio, in osservanza del DPCM del 4 marzo.

 

Figura 1: Andamento cumulativo temporale dei contagiati (emodialisi-peritoneale e trapianto) (dettagli nel testo). Numero casi: A al 16 marzo; B al 23 marzo; C al 30 marzo; D al 6 aprile; E al 13 aprile

 

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Procedure in sala dialisi durante l’emergenza Covid-19

Abstract

Scopo
Scopo del presente documento è definire modalità omogenee di gestione del paziente dializzato a partire dalla comparsa di casi accertati nella popolazione italiana di infezione da nuovo Coronavirus 2019-nCoV (Covid-19).

Applicabilità
Il presente documento si applica alle attività di sala dialitica di seguito descritte. Il documento è attualmente in applicazione presso i due presidi ospedalieri dell’ASST Santi Paolo e Carlo e relativi CAL Mompiani e Rozzano.

Descrizione
Questo documento espone le misure di prevenzione e di controllo della diffusione dell’infezione da nuovo Coronavirus, attuate dal giorno 24/02/2020 dal personale dell’unità operativa dialisi al fine di limitare la trasmissione da persona a persona. Le indicazioni che seguono hanno quindi l’obiettivo di garantire l’uniformità di comportamento degli operatori sanitari nel confronto dei pazienti afferenti al centro, al fine di identificare e gestire i casi sospetti, probabili e confermati da infezione da Coronavirus. Tutti i pazienti che giungono in ospedale per eseguire la seduta emodialitica vengono considerati “potenzialmente” infetti da Covid-19 e, pertanto, tutti gli operatori e tutti i pazienti devono seguire le indicazioni del protocollo sui dispositivi di protezione individuale (DPI): l’igiene delle mani, l’utilizzo della cuffia, mascherina chirurgica occhiali o visiera, guanti e camice come da procedure.

Parole chiave: positività a Covid-19, dialisi, prevenzione, dispositivi di protezione individuale

1.    Assistenza al paziente dializzato durante l’emergenza Covid-19

 

1.1. Premessa

Con l’apertura di una sala dialisi e la sua preparazione s’intende la messa in atto di una serie di procedure che consentono all’operatore di poter effettuare una seduta dialitica sicura ed in ambiente protetto. Durante l’emergenza da Covid-19 sono state introdotte modifiche organizzative sia nei tempi che nelle modalità, implementando al meglio le competenze del personale. Sono state create nuove postazioni dialisi che hanno permesso di garantire la continuità assistenziale nei diversi reparti Covid-19 dell’Ospedale. Nel momento della sospetta infezione da Covid-19 (iperpiressia, desaturazione di ossigeno), il paziente viene isolato e si esegue il tampone. Se sono presenti segni e sintomi respiratori si segnala il paziente allo specialista infettivologo/pneumologo che attiverà un percorso diagnostico specifico (RX torace, TC torace, etc.). All’arrivo del paziente, l’infermiere e il medico si presentano per farsi riconoscere.

1.2. Obiettivo

Generale

L’obiettivo generale è garantire la terapia dialitica ai pazienti con insufficienza renale cronica (IRC) che sono obiettivamente più fragili e comorbidi. Queste condizioni, se associate all’età avanzata e alla ridotta capacità cognitiva, rende questi pazienti più esposti al contagio. Inoltre, gli operatori hanno più difficoltà nell’individuare i casi sospetti se la sintomatologia è scarsa e/o il paziente è incapace di riferirla.

Specifico

Il rispetto delle precauzioni universali e di quelle specifiche per la dialisi quali l’igiene delle mani, l’utilizzo della cuffia, della mascherina chirurgica, di occhiali o visiera, di guanti e camice, nonché la disinfezione meticolosa esterna dei monitor e delle superfici circostanti l’area del malato, nota a tutto il personale sanitario, produce sicuramente una riduzione fondamentale della possibilità di contagio all’interno del reparto

Arrivo dei pazienti al centro dialisi

  • Il paziente, accompagnato al centro dal personale addetto, indossa la mascherina chirurgica e i guanti monouso.
  • Si è provveduto a distanziare le sedute nella sala di attesa antistante il reparto.
  • Dopo l’accesso contingentato allo spogliatoio, un operatore socio-sanitario (OSS) e un infermiere, che indossano entrambi un camice monouso, una mascherina chirurgica e un paio di guanti monouso, come tutto il personale in turno, verificano la temperatura del paziente con un termometro laser e la saturazione. Vengono identificati come sospetti i pazienti con temperatura corporea ≥37.5° C e/o saturazione di ossigeno ≤96%.
  • Si compila l’apposita scheda triage (allegato 1) verificando attraverso domande codificate lo stato di salute del paziente per rilevare segni o sintomi riferibili all’infezione. Tale scheda viene allegata in cartella clinica.
  • Si tolgono i guanti al paziente e lo si invita a passare la soluzione alcolica ed a infilare un nuovo paio di guanti puliti prima di entrare.
  • Se il triage non evidenzia situazioni tali da dover approfondire la condizione clinica, il paziente viene accompagnato in sala dialisi, dove gli infermieri che indossano i DPI procedono con la seduta dialitica come da procedura in sala dialisi.

Accesso sala dialisi

Al momento di accogliere il paziente in sala dialisi, l’infermiere responsabile di sala e l’OSS verificheranno:

  • Che siano rispettate le norme di ingresso alla sala da parte di ciascun paziente e dei loro accompagnatori, anche se provenienti da altri reparti.
  • Che i pazienti con difficoltà alla deambulazione vengano accompagnati dalla sala di attesa alla propria postazione in carrozzina e vengano aiutati a salire sul letto bilancia, se necessario, con gli ausili idonei (sollevatore attivo o passivo e/o tavola) che verranno da procedura sanificati dopo ogni utilizzo.
  • La corrispondenza della postazione e del rene assegnato a ciascun paziente (controllo dell’identità del paziente) e che la disposizione dei letti garantisca il distanziamento necessario.
  • L’idoneità dell’abbigliamento del paziente (per eventuali variazioni di peso reale); non è ammesso l’ingresso in sala dialisi di cappotti, scarpe da passeggio, giacconi e quant’ altro proveniente dall’esterno.
  • Che durante la seduta dialitica, in presenza di tosse o starnuti, vengano utilizzati fazzoletti monouso con successivo cambio di guanti e mascherine.
  • Che durante la seduta dialitica non si manifestino segni e/o sintomi riferibili ad un rialzo febbrile.
  • Che i DPI non vengano rimossi: non è pertanto consentito assumere cibi o bevande durante la seduta emodialitica.

Al termine della seduta dialitica

Al termine si provvederà:

  • A misurare la temperatura corporea e la saturazione.
  • A sostituire i guanti dopo la sanificazione delle mani e alla consegna di una busta contenente una mascherina chirurgica e un paio di guanti nuovi, da utilizzare per la seduta successiva.
  • Ad accompagnare il paziente all’uscita ed affidarlo al personale del trasporto (qualora quest’ultimo non fosse ancora presente, si verificherà il mantenimento della distanza tra i pazienti durante l’attesa).

Pulizia e sanificazione

Come da procedura, al termine di ogni seduta dialitica si procede con la detersione e sanificazione con soluzioni alcoliche o clorate delle postazioni e delle apparecchiature utilizzate. Si procede con lo smaltimento corretto del materiale monouso. Per pulire le apparecchiature si utilizzano i prodotti indicati nel manuale di istruzioni delle ditte produttrici. Oltre alla pulizia ordinaria, si è provveduto a richiedere un ulteriore sanificazione settimanale di tutti gli ambienti dedicati all’attività assistenziale (rif. Protocollo aziendale impresa di pulizia).

 

1.3. Responsabilità


1.4.
Risorse impiegate

Queste operazioni comportano l’utilizzo di materiale fornito dalla U.O. di farmacia e dal magazzino economale.

 

2.    Identificazione del caso sospetto prima della seduta dialitica

 

2.1. Premessa

Si identifica un caso sospetto Covid-19 prima della seduta dialitica se si rilevano: temperatura alterata e/o sintomi respiratori, presenza di sintomi intestinali e/o mancanza di olfatto e gusto, oppure si rileva il contatto stretto con persona positiva accertata.

 

2.2. Obiettivo

Generale

L’obiettivo generale è isolare precocemente il paziente con sospetta infezione e procedere all’effettuazione degli esami diagnostici per la conferma, senza interrompere la terapia dialitica.

Specifico

Identificato il caso sospetto si procede a:

  • Informare il nefrologo di guardia che, in base ai protocolli aziendali, imposterà il percorso diagnostico più idoneo.
  • Nell’attesa, isolare il paziente in una stanza predefinita, distante dal reparto di dialisi.
  • Dopo la valutazione medica, accompagnare il paziente in pronto soccorso, se possibile.
  • Preparare la seduta dialitica in regime di isolamento, come se il paziente fosse Covid-19 positivo, se le condizioni cliniche non permettono di rinviare la seduta.
  • Effettuare i prelievi biologici, compreso il tampone rino-faringeo, e inviarli correttamente al laboratorio; questo viene fatto dall’infermiere, che indosserà i DPI idonei.

 

2.3. Responsabilità


3.    Trattamento dialitico del paziente Covid-19 positivo asintomatico o che non necessita di ricovero

 

3.1. Premessa

Per il paziente nefropatico che non può abbandonare la terapia dialitica, l’infezione da coronavirus asintomatica o che non necessita di ricovero non può rappresentare un motivo sufficiente per non raggiungere il centro.

 

3.2. Obiettivo

Generale

È necessario garantire una uniformità di comportamento tra tutti gli operatori sanitari e non coinvolti nel trasporto e nel trattamento del paziente e nel suo rientro a domicilio, al fine di evitare il contagio.

Specifico

Una volta ricevuto il referto di positività si procede a:

  • Informare e attivare la croce identificata per il trasporto del paziente, con indicazioni scritte via mail sulle procedure e i comportamenti da seguire in maniera rigorosa.
  • Coinvolgere e informare il servizio vigilanza e l’impresa di pulizie.
  • Inviare via mail una mappa che specifica il percorso che l’ambulanza, e poi l’accompagnatore e il paziente scortato dal vigilante, dovranno effettuare. Il personale dell’impresa di pulizie provvederà alla sanificazione del percorso sia all’andata che al ritorno (Allegato2).
  • Preparare la stanza dedicata alla seduta dialitica, appositamente attrezzata.
  • Utilizzare i DPI specifici (cuffia, occhiali/visiera, guanti, camici idrorepellenti, mascherina ffp2/ffp3, calzari) per il personale e mascherina chirurgica e guanti per i pazienti.
  • Fornire informazioni scritte ai famigliari e/o conviventi sulle norme e i comportamenti da tenere mentre in isolamento fiduciario.
  • Effettuare, come da indicazione infettivologica, i tre tamponi negativi che sono necessari per definire il paziente guarito e reinserirlo.

3.3. Attività svolte

I turni dialisi dei pazienti vengono modulati, nel numero e nel ritmo, al variare della diffusione del contagio. Utilizzando un’organizzazione sia strutturale che gestionale molto variabile si risponde in maniera efficace alle esigenze di controllo della diffusione.

  • La/e stanza/e identificata/e vengono riattrezzate seguendo le procedure di isolamento; a supporto di un riordino univoco si è creata una checklist (Allegato 3).
  • Un infermiere denominato “jolly” e un OSS indossano i DPI adeguati (mascherina chirurgica camice monouso e cuffia) e restano di supporto al personale delle sale senza occuparsi di assistere direttamente il paziente.
  • Ogni operatore che lavorerà nella sala effettuerà la vestizione come da protocollo, in una zona definita “pulita”, prima di accedere alla sala dialisi affidata.
  • Il paziente viene accompagnato dal personale addetto al trasporto, che indossa i DPI, fin dentro la sala.
  • Se il paziente è impossibilitato a deambulare autonomamente, le carrozzine denominate cardiopatiche, di proprietà dell’ambulanza, vengono riconsegnate al personale di trasporto che provvederà alla sanificazione; se il presidio per deambulare o la carrozzina è di proprietà del paziente viene trattenuta nella sala.
  • Gli infermieri della sala si occupano della mobilizzazione, seguendo le norme della mobilizzazione sicura.
  • Si procede alla rilevazione dei parametri della temperatura cutanea e dalla saturazione pre- e post-dialisi.
  • Ogni postazione identificata viene attrezzata con un kit precedentemente preparato contenente il necessario per l’attacco e lo stacco della seduta dialitica. Questo materiale è naturalmente monouso e il fine è quello di non utilizzare il materiale contenuto negli armadi chiusi della sala.
  • Il medico di guardia, indossando i DPI per l’assistenza a pazienti Covid-positivi, effettua la visita e definisce la terapia dialitica.
  • La prescrizione dialitica, la terapia e la rilevazione dei parametri durante la seduta vengono trascritti sulla scheda cartacea che, a fine dialisi, viene fotografata e poi smaltita all’interno della sala; la foto viene successivamente stampata e allegata alla cartella che, invece, non entra mai in sala.
  • Il PC della sala viene coperto e non viene utilizzato.
  • Ogni postazione nella stanza ha, da procedura standard, un contenitore per rifiuti speciali, correttamente chiuso, che conterrà tutto il materiale smaltito durante e alla fine della dialisi.
  • Ogni postazione sarà fornita di tre sacchi idrosolubili per smaltire gli effetti letterecci, divisi per tipologia, al termine della seduta; questi vengono chiusi all’interno della sala, per poi essere inseriti nei sacchi rossi posti all’esterno.
  • Le terapie richieste e/o i presidi eventualmente necessari verranno introdotti all’interno delle sale dal personale “pulito” posizionandolo nella zona filtro.
  • Eventuali esami e tamponi, una volta effettuati, verranno imbustati e passati al personale di supporto, che provvederà all’invio corretto in laboratorio.
  • Terminata la seduta dialitica e rilevati i parametri e le condizioni cliniche del paziente, si procede con la dimissione; quest’ultima si effettua con il cambio della mascherina e dei guanti, previa sanificazione delle mani dei pazienti.
  • Si mobilizzano e si accompagnano alla porta della sala i pazienti, che vengono poi lasciati al personale addetto al trasporto, quando presenti, al fine di non far stazionare i pazienti in corridoio
  • Usciti tutti i pazienti dalla sala, si provvede allo smaltimento dei circuiti, alla sanificazione dei monitor e il disfacimento dei letti, con successiva detersione del letto e del carrello servitore.
  • Si procede, sotto la supervisione del collega, alla svestizione nella zona filtro.
  • L’impresa di pulizie procederà quindi alla sanificazione ambientale delle sale utilizzate, come da protocollo aziendale.

 3.4. Responsabilità


4.    Dialisi al paziente ricoverato nei reparti Covid-19

 

4.1. Premessa

I pazienti dializzati che manifestano Covid-19 e necessitano di ricovero nei reparti, a seconda della gravità, devono essere dializzati in isolamento.

 

4.2. Obiettivo

Generale

L’obiettivo generale è garantire un’uniformità di comportamento degli operatori nell’esecuzione della seduta emodialitica in regime di isolamento.

Specifico

È necessario garantire il trattamento dialitico minimizzando il rischio di contagio attraverso l’utilizzo corretto dei DPI. È possibile effettuare una terapia dialitica efficace anche nei reparti Covid-19 predisposti in ASST per l’assistenza dei pazienti sintomatici.

 

4.3. Predisposizione postazioni dialisi

La trasformazione dei reparti ordinari in reparti in grado di accogliere i pazienti sintomatici Covid-19 positivi ha reso necessaria la dotazione, da parte del reparto dialisi, di 4 osmosi portatili e la predisposizione di diverse postazioni dialisi.

 

4.4. Implementazione

Prima dell’epidemia, la terapia dialitica all’interno del presidio ospedaliero San Paolo era garantita da un impianto di osmosi inversa con anello idraulico lungo tutto il reparto dialisi e con due postazioni raggiunte dal circuito, nel reparto terapia intensiva. Per poter dializzare negli altri reparti si sono dovute ricavare altre 15 postazioni, modificando l’impianto idraulico afferente al lavandino e posizionando un rubinetto che ha permesso l’innesto dell’osmosi portatile.

 

4.5. Attività svolte

Si è proceduto a:

  • Acquisire 4 impianti di osmosi portatili.
  • Tenere un corso di aggiornamento sull’utilizzo dell’osmosi portatile con il tecnico specialista.
  • Registrare e condivisione un video illustrativo sulla procedura di utilizzo e manutenzione.
  • Spostare le apparecchiature secondo le necessità, dopo sanificazione e manutenzione da parte del tecnico di dialisi del reparto.
  • Effettuare il priming del circuito ematico con soluzione fisiologica, al fine di garantire la sicurezza del paziente.
  • Utilizzare la metodica dialitica in bicarbonato dialisi (low flux), qualora la qualità organolettica dell’acqua utilizzata non fosse conforme alla richiesta di sicurezza.
  • Utilizzare i DPI secondo protocollo per l’assistenza a paziente positivi a Covid-19.

 

4.6. Risorse impiegate

Acquisizione di 4 osmosi portatili.
Personale dell’ufficio tecnico.

 

4.7. Responsabilità

 

Allegato 1: Scheda triage dialisi

 

Allegato 2: Percorsi esterni San Paolo pazienti Covid-19

 

Allegato 3: Allestimento sala Covid-19

Impatto clinico e sociale del telemonitoraggio in dialisi domiciliare

Abstract

Introduzione. Le cure domiciliari permettono di migliorare la gestione e la qualità della vita del paziente cronico. Si sono, quindi, valutati i vantaggi clinici e sociali apportati dal sistema di telemonitoraggio con il programma Doctor Plus® Nephro rispetto allo standard of care. Metodi. L’analisi ha considerato i pazienti in dialisi domiciliare (peritoneale ed extracorporea) inclusi nel servizio di telemonitoraggio del Centro di Nefrologia della ASL Roma 3 tra luglio 2017 ed aprile 2019. Ogni paziente è stato osservato per un periodo compreso tra 4 a 22 mesi, in cui si sono registrate pressione sistolica e diastolica, frequenza cardiaca, peso e ossimetria. Ad ogni paziente è stato anche somministrato il questionario SF-12 e valutato il livello di gradimento del servizio Doctor Plus® Nephro. Risultati. Si sono considerati nell’analisi i 16 pazienti (56,3% maschi, 62 anni in media) che hanno avuto una permanenza di almeno 4 mesi nel programma. Tra di essi, la pressione sistolica si è ridotta nel 69% dei pazienti, quella diastolica nel 62,5%. Il valore medio delle pulsazioni è sceso da 69,4 bpm a 68,8 bpm (p<0,0046). Il questionario SF-12 ha mostrato un miglioramento dello stato di salute percepito in tutti i pazienti. Gli accessi al Pronto Soccorso durante il programma sono diminuiti rispetto al periodo di standard care. Conclusioni. Doctor Plus® Nephro si è dimostrato uno strumento utile per migliorare la gestione clinica dei pazienti, con conseguente diminuzione degli accessi al Pronto Soccorso. I pazienti hanno rilevato un costante e crescente senso di “cura”, che nel tempo li ha aiutati ad accettare maggiormente il loro trattamento domiciliare.

Parole chiave: telemonitoraggio, dialisi, dialisi domiciliare, pressione arteriosa, qualità della vita

Introduzione

Puntare sulle cure domiciliari per migliorare la gestione e la qualità della vita del paziente cronico e della sua famiglia è l’indicazione contenuta nell’ultimo Piano Nazionale della Cronicità (PNC) approvato dal Ministero della Salute Italiano, che dedica una particolare attenzione alla malattia renale cronica e all’insufficienza renale. Nel capitolo del PNC dedicato alle malattie croniche e all’insufficienza renale uno degli obiettivi generali è favorire l’assistenza domiciliare del paziente; una delle linee di intervento proposte a supporto è sperimentare modelli di dialisi domiciliare (dialisi peritoneale e emodialisi domiciliare), utilizzando strumenti di tele-dialisi assistita [1].

La dialisi domiciliare offre numerosi vantaggi se comparata con la dialisi effettuata in ospedale. Gli studi dimostrano diversi benefici per i pazienti in dialisi domiciliare in termini di sopravvivenza, qualità di vita, costi di spostamento, autonomia e benefici clinici, quali aumento del controllo dei valori pressori e del fosforo [28]. Inoltre, nella maggior parte dei paesi, il costo della dialisi domiciliare è inferiore al costo della dialisi effettuata in ospedale [911].

 

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Influenza da Covid-19 e impatto sui pazienti con nefropatia: l’esperienza del Centro di Piacenza

Abstract

Roberto Scarpioni e colleghi riportano qui in breve l’esperienza del Centro di Nefrologia e Dialisi dell’Ospedale “Guglielmo da Saliceto” di Piacenza in questo difficile momento, che vede tutti ancora impegnati nella prevenzione e nel fronteggiare una situazione clinica correlata all’infezione da Covid-19, difficile da sostenere. A causa del forte afflusso di pazienti dalla zona rossa del basso lodigiano, a soli 15 Km di distanza, l’Ospedale di Piacenza si è trovato a fronteggiare un’escalation di pazienti con diagnosi di Covid-19. Gli autori descrivono la riorganizzazione del reparto di Nefrologia e i presidi utilizzati per contenere l’infezione tra i pazienti in emodialisi, soprattutto. Riportano anche le informazioni disponibili al 25/03/2020 sui pazienti positivi al virus, e sul tasso di mortalità, purtroppo molto elevato. Lo fanno sperando che sia di utilità per chi non è stato per fortuna ancora travolto dall’infezione come è accaduto in Emilia, Lombardia, Veneto, Marche ed altre zone.

Parole chiave: Covid-19, coronavirus, malattia renale, dialisi, nefrologia, Piacenza, Emilia Romagna

Il 31 dicembre 2019 è stato segnalato un focolaio di episodi di polmonite ad eziologia sconosciuta presso la città cinese di Wuhan; successivamente è stato identificato da ricercatori cinesi (China CDC) l’agente eziologico di questa infezione, un nuovo coronavirus denominato SARS-CoV-2 o Covid-19 [1]. Un mese dopo, il 31 gennaio, sono stati individuati e trattati in Italia i primi pazienti con infezione da Covid-19, due turisti Cinesi dalla città di Wuhan in vacanza a Roma. Il 21 febbraio primo paziente italiano con malattia da Covid-19 è stato ricoverato l’Ospedale di Codogno (Lodi), a soli 15 km di distanza da Piacenza [2]. Nelle settimane successive si è assistito a una crescita esponenziale dei casi di infezione da Covid-19 nel nostro Paese. L’Italia è, in queste ore, il Paese più colpito a livello globale dalla pandemia dopo la Repubblica Popolare Cinese, con 57.521 casi accertati; di questi, più di 8.256 nella sola Emilia Romagna, ove 1.077 pazienti sono deceduti e 721 sono stati dichiarati guariti [3].

Riportiamo qui in breve l’esperienza del Centro di Nefrologia e Dialisi in questo difficile momento, che vede tutti ancora impegnati tanto nella prevenzione che nel fronteggiare una situazione clinica difficile da sostenere. Speriamo che possa essere di utilità in chi, per fortuna, non è ancora stato travolto dall’onda dell’infezione come è accaduto in Emilia e in Lombardia. A causa del forte afflusso di pazienti dalla zona rossa del basso lodigiano, a soli 15 Km da Piacenza, nei giorni seguenti la chiusura dell’Ospedale di Codogno, l’Ospedale di Piacenza si è trovato a fronteggiare un’escalation di pazienti afferenti in pronto soccorso con diagnosi di Covid-19 (vedi Fig. 1).

 

Fig. 1: Accesso al pronto soccorso per polmonite-Covid-19

 

Nei giorni successivi abbiamo assistito a un esponenziale incremento del numero di pazienti nefropatici con infezione da Covid-19, che ci ha imposto di adottare rigide misure per contenere l’infezione tra i nostri pazienti ambulatoriali che accedevano direttamente al Centro per eseguire l’emodialisi. A partire dalla 3a e 4a giornata abbiamo autonomamente adottato delle misure di contenimento del virus sia tra i pazienti che tra il personale sanitario. Alla data odierna (25/03/2020), nessun medico è per fortuna stato trovato positivo, mentre tre infermieri positivi per contatto sono attualmente in isolamento al domicilio, per fortuna in buone condizioni.

I pazienti, accolti prima dell’ingresso in reparto con la misurazione della temperatura corporea, venivano invitati a indossare mascherine, lavarsi le mani con amuchina o soluzione alcolica e sostituire gli abiti e le calzature. Il personale indossava maschere sul volto, visiere e guanti, e disinfettava le sale e gli apparecchi prima di ogni turno [4].

Inizialmente i pazienti in emodialisi cronica sono stati trattati presso i reparti di ricovero con metodiche CRRT (Continuous Renal Replacement Therapy) o con emofiltrazione ad alti volumi (6 L/ora), associate a membrane adsorbenti allo scopo di rimuovere endotossine oltre a citokine infiammatorie (IL-6); una sola infermiera ha gestito contemporaneamente due trattamenti, nella stessa stanza e con trasporti dedicati, al fine di isolare il più possibile l’eventuale contagio. Successivamente, visto che l’incremento del numero di pazienti positivi non ci ha più permesso la gestione in reparto, distante dalle sale dialisi, abbiamo ‘sacrificato’ una sala contumaciale dedicata a pazienti con documentata infezione. In attesa dei tamponi, tutti i pazienti sono stati trattati come potenzialmente infetti da un personale bardato con mascherine, occhiali, guanti e sovracamice. Svuotando le sale del materiale non indispensabile, i posti dialisi sono stati distanziati di almeno 1-1,5 m; tutto il personale è stato obbligato ad utilizzare maschere e cuffie e si sono evitate le riunioni al chiuso. Con non poche difficoltà è stato anche organizzato un percorso dedicato specificatamente per i pazienti Covid positivi, con trasporti dedicati, sanificati a fine trasporto.

Alla data in cui scrivo la triste fotografia dimostra come tanti pazienti nefropatici siano stati colpiti da infezione da Covid-19: 41 pazienti, il 16% dei pazienti in dialisi, di età media 73±11 anni e range 52-90 anni, 31M/10F, tutti di razza caucasica. La diagnosi è stata data dal tampone oro-rino-faringeo, quando disponibile, o dal quadro TAC polmonare (infiltrato interstiziale a vetro smerigliato diffuso con eventuali focolai confluenti). Paradossalmente, la quantità di pazienti contagiati a Piacenza è uguale a quella del Renmin Hospital di Wuhan (16%) [5], anche se vi è un bias dovuto al numero selezionato di tamponi, eseguiti nei primi giorni solo ai pazienti sintomatici.

Tutti i pazienti con insufficienza respiratoria e febbre sono stati trattati empiricamente con 5-OH-clorochina e terapia anti-retro virale, quando ritenuto opportuno dell’infettivologo. Purtroppo, il tasso di mortalità è stato assai elevato nei pazienti nefropatici, anziani e fragili per definizione, spesso con comorbidità associate. Al momento in cui scrivo la metà dei pazienti in emodialisi cronica colpiti dal virus sono deceduti, ben 18/41 (41% mortalità grezza a Piacenza) versus circa 10% dei decessi totali in Italia (3), un prezzo assolutamente inaccettabile e di molto maggiore rispetto ai soggetti non-nefropatici [6].

In merito ai pazienti domiciliari trapiantati (118 in totale) ed a quelli in dialisi peritoneale (34), che sono stati invitati a recarsi in ospedale il meno possibile, abbiamo attivato contatti telefonici pressoché quotidiani da parte dei medici ed infermieri dell’ambulatorio. Al momento contiamo 4 pazienti trapiantati affetti da Covid-19: due sono ricoverato presso il Centro trapianti a Bologna e gli altri due si trovano a domicilio, con stretto monitoraggio clinico anche per le interazioni farmacologiche tra la terapia empirica anti-retrovirale e quella immunomodulatrice (dove somministrata). Fortunatamente solo un paziente in dialisi peritoneale domiciliare è risultato positivo e prosegue la terapia domiciliare sotto stretto monitoraggio.

Ad oggi sono solo 5 i casi di insufficienza renale acuta (IRA) che hanno richiesto trattamento in Rianimazione con CRRT, tuttora in corso per 4 pazienti maschi di età media 60 anni e range 39-71, tutti con comorbidità; la nostra esperienza è in linea coi pochi dati in letteratura che indicano una percentuale di IRA Covid-correlate relativamente scarsa (<3%) [7].

La nostra pesante esperienza legata all’infezione da Covid-19 ci dimostra come le rigide misure di vestizione e precauzioni abbiano verosimilmente consentito di limitare i danni dal contagio, anche in considerazione dell’elevatissimo tasso di mortalità nei pazienti nefropatici. Siamo in attesa di verificare i punti ancora controversi, come il ruolo del blocco dell’enzima di conversione dell’angiotensina in pazienti con Covid-19 quale potenziale ipotetico recettore funzionale del virus [8, 9]. Siamo in attesa di sapere se l’utilizzo su ampie casistiche di farmaci immunomodulatori inibenti IL-6 quali il tocilizumab (usato nell’artrite reumatoide) possano ridurre la progressione dell’insufficienza respiratoria, inibendo la cascata infiammatoria; oppure se altri nuovi farmaci anti-virali, o persino un ipotetico vaccino, possano ridurre l’incidenza di infezione e migliorare la prognosi, ad oggi infausta in circa l’8-10%. Per il momento, tuttavia, dobbiamo puntare soprattutto sulla prevenzione dell’infezione da Covid-19; essa è tanto più imperativa per i nostri pazienti fragili con insufficienza renale ed elevatissimo rischio di mortalità, che sono purtroppo esposti al contagio dovendo venire in Centro tre volte la settimana. L’efficacia dell’isolamento è peraltro dimostrata dallo scarso numero di contagiati tra i pazienti a domicilio.

 

Bibliografia

  1. Zhu N, Zhang D, Wang W, et al. A novel Coronavirus from patients with pneumonia in China, 2019. N Eng J Med 2020; 382(8):727-33. https://doi.org/10.1056/NEJMoa2001017
  2. Carinci F. Covid-19: preparedness, decentralisation, and the hunt for patient zero. BMJ 2020; 368:bmj.m799. https://doi.org/10.1136/bmj.m799
  3. Ministero della Salute (ultimo accesso 25/03/2020).
  4. Center for Disease Control and Prevention. Interim Additional Guidance for Infection Prevention and Control Recommendations for Patients with Suspected or Confirmed COVID-19 in Outpatient Hemodialysis Facilities: (ultimo accesso 15/03/2020).
  5. Naicker S, Yang C-W, Hwang S-J, et al. The Novel Coronavirus 2019 Epidemic and Kidneys. Kidney Int 2020; in press. https://doi.org/10.1016/j.kint.2020.03.001
  6. Xianghong Y, Renhua S, Dechang C. Diagnosis and treatment of COVID-19: acute kidney injury cannot be ignored. Natl Med J China 2020; epub ahead of print. https://doi.org/10.3760/cma.j.cn112137-20200229-00520
  7. Guan W, Ni Z, Yu Hu, Liang W, et al for the China Medical Treatment Expert Group for Covid-19. Clinical Characteristics of Coronavirus Disease 2019 in China. New Engl Journ Med 2020; https://doi.org/10.1056/NEJMoa2002032
  8. Zheng YY, Ma YT, Zhang JY, Xie X. COVID-19 and the cardiovascular System. Nat Rev Cardiol 2020; https://doi.org/10.1038/s41569-020-0360-5
  9. Perico L, Benigni A, Remuzzi G. Should COVID-19 Concern Nephrologists? Why and to What Extent? The Emerging Impasse of Angiotensin Blockade. Nephron. 2020 Mar 23:1-9. https://doi.org/10.1159/000507305

 

Lo scoppio dell’epidemia Covid-19 alla Nefrologia di Lodi: cronaca delle prime ore

Abstract

Marco Farina e colleghi presentano qui la cronaca delle prime ore dell’epidemia Covid-19 nella Nefrologia dell’Ospedale Maggiore di Lodi. Dal trapelare delle prime notizie da Codogno, il 20 febbraio, al ricovero, il giorno successivo, del primo paziente emodializzato con segni di polmonite, risultato poi positivo al virus.

Ci raccontano della riorganizzazione dell’intero ospedale, una vera e propria rivoluzione strutturale realizzata in tempi da record e presa a modello in più di una occasione, e dello spirito di abnegazione di tutto il personale sanitario. Presentano poi un quadro dei pazienti contagiati nei giorni successivi, sintetizzandone le caratteristiche cliniche, e concludono con una descrizione dei presidi sanitari utilizzati e delle opzioni attualmente disponibili per un paziente che risultasse Covid+ e sintomatico all’Ospedale Maggiore di Lodi.

Parole chiave: Covid-19, Ospedale Maggiore di Lodi, nefrologia, dialisi

Introduzione

L’epidemia Covid-19 ci ha travolti a febbraio. Era il giorno 20 e da poche ore iniziavano a trapelare notizie sul primo caso di isolamento di SARS-CoV-2 in quel di Codogno, estrema appendice del lodigiano. Non si erano ancora del tutto spenti i riflettori sulla sciagura ferroviaria del Frecciarossa e ancora una volta il lodigiano saliva alla ribalta delle cronache, questa volta per un’emergenza sanitaria.

Nelle prime ore convulse ci si è molto affannati a cercare di individuare da dove fosse partito il contagio, chi fosse il caso 1, dove fosse il caso 0, e si iniziava a parlare della possibilità che l’origine di tutto potesse essere una cena fra colleghi, uno dei quali forse  era rientrato dalla Cina. Ai quesiti che si accumulavano si aggiungeva l’apprensione per il paziente 1 e la moglie incinta, entrambi inviati immediatamente in altri nosocomi. È parso subito evidente che il virus era ormai approdato in Italia, iniziando la sua diffusione proprio dalla nostra terra, e che non era più il caso di indagare sulle eventuali frequentazioni cinesi. Da quel giorno si è avuta una escalation che, al momento in cui scrivo, non ha ancora fatto registrare una battuta d’arresto.

Il primo caso

Ricordo che il 21 febbraio, al mio arrivo in reparto, venni messo al corrente del ricovero in Nefrologia di un emodializzato di 62 anni con una RX del torace suggestiva per polmonite. Con molta lungimiranza la nostra ASST aveva già pubblicato il 5 febbraio un PDTRA con lo scopo di definire le modalità di identificazione, gestione e segnalazione di eventuali casi sospetti, probabili e confermati che avrebbero avuto accesso all’ASST di Lodi. Questo documento ci ha permesso, se non proprio di essere preparati a quanto sarebbe poi accaduto (e chi lo sarebbe stato?), per lo meno di avere criteri per non sottostimare il problema. E così il paziente ricoverato in Nefrologia, proveniente dalla cittadina che si sarebbe a breve dimostrata il cluster principale di origine del virus, venne messo in isolamento in una stanza singola e subito gestito dal personale sanitario con tutti i DPI del caso. Questi erano illustrati dettagliatamente nel PDTRA. Al paziente venne immediatamente effettuato il tampone naso-faringeo ed il panel dei prelievi ematochimici, secondo precise istruzioni operative contenute sempre nel PDTRA. Iniziarono ore di attesa fibrillanti. All’epoca si trattava dei primi invii presso il Laboratorio di Microbiologia clinica dell’Ospedale Sacco di Milano e dunque già in serata avemmo a disposizione il referto: positivo. Ci fu subito la segnalazione all’Unità di crisi della Regione, appena istituita allo scopo, e, nella notte fra il 21 e 22 febbraio, il paziente venne trasferito nel Reparto Infettivi dell’Ospedale S. Anna di Como. Mi hanno spiegato che l’Unità di crisi, almeno inizialmente, aveva avocato a sé la destinazione di tutti i trasferimenti ritenuti necessari. Il paziente poi venne trasferito presto in Rianimazione, non tanto per le condizioni (al momento del trasferimento da Lodi non fu necessario alcun supporto ventilatorio), ma per la necessità dialitica, impraticabile nell’U.O. di Malattie infettive. Purtroppo, di lì a un giorno le condizioni respiratorie si deteriorarono assai rapidamente (come abbiamo imparato a vedere nella storia clinica di alcuni di questi pazienti) e in poco tempo si arrivò all’exitus.

Come si può ben immaginare, la notizia, appresa essenzialmente dalla stampa, fu accolta con grande sconcerto in Nefrologia a Lodi. Non tanto per la giovane età del paziente che sapevamo tutti avere comorbidità importanti, ma per l’impatto emotivo che la prima morte di un paziente Covid+ del nostro Centro esercitò sul personale messo cautelativamente in quarantena. I primissimi contatti e le primissime esposizioni, quando ancora non era chiaro che ci trovavamo di fronte a un caso sospetto, erano avvenute, comprensibilmente, senza presidi.

 

La riorganizzazione dell’Ospedale di Lodi

Fin qui la cronaca delle prime ore. C’è un resoconto a cura del Direttore del Pronto Soccorso di Lodi-Codogno che arricchisce di maggiori dettagli quanto nelle stesse ore accadeva a Codogno (che noi non potevamo sapere); il resto è ben noto a tutti ed è il frutto delle direttive regionali e ministeriali che si sono succedute, definite e corrette di ora in ora. Dall’istituzione della “zona rossa” (DPCM 21 febbraio per i 10 Comuni del lodigiano), estesa successivamente a tutta la Regione Lombardia (DPCM 8 marzo), alle restrizioni assolute come richiesto da Regione Lombardia (DPCM 11 marzo). Fin dai primi giorni caratterizzati dal dilagare delle diagnosi Covid-19 in Pronto Soccorso (al momento in cui scrivo non viene ancora segnalata alcuna inversione del trend, ma la attendiamo con ansia…), l’Ospedale di Lodi ha iniziato una vera e propria rivoluzione strutturale, realizzata in tempi da record e in più di una occasione presa a modello da altri nosocomi. Il 26 febbraio ha aperto l’”area blu”, con 18 posti per Covid+ con necessità ventilatoria NIV (ex Neurologia); il 28 febbraio ha aperto l’”area gialla” con 37 posti letto per Covid+ senza necessità ventilatoria o con semplice supporto di O2-terapia in maschera (ex Medicina; il 4 marzo ha aperto l’”area arancione” con 38 posti letto (ex Medicina) e lo stesso giorno iniziavano anche i lavori in Sala dialisi ospedaliera per l’istituzione di 2 postazioni contumaciali per l’emodialisi dei Covid+; il 6 marzo è stata aperta l’”area rossa” in Nefrologia, con 13 posti letto per Covid+ (pareti di cartongesso, tirate su in una notte, hanno delimitato una zona filtro per vestizione/svestizione a regola d’arte). Il 7 marzo infine hanno iniziato a ricoverare polmoniti Covid+ anche nel reparto di Ortopedia, con gestione da parte del Chirurgo coadiuvato come in tutte le aree dal team infettivologo/pneumologo/rianimatore.

Medici ed infermieri venivano trasversalmente adibiti a nuove funzioni secondo le necessità, mutevoli di ora in ora ed erano chiamati ad acquisire competenze (es. sulle tecniche di ventilazione) che nessuno avrebbe lontanamente immaginato di dover affrontare in tempi normali. Alla regia un team multidisciplinare costituito dal Direttore di Pronto Soccorso, dal Direttore della Rianimazione, dal Direttore di Pneumologia, dal Direttore di Malattie infettive e da alcuni infermieri che, in stretta collaborazione con il Direttore del Laboratorio di Biochimica e Microbiologia e con la Direzione Strategica, costituirono l’Unità di Crisi dell’Ospedale. L’Unità di Crisi si era praticamente costituita in riunione permanente. Ho visto tutti darsi un gran daffare, spesso nel silenzio, accettando turni massacranti con grande spirito di abnegazione. A guardare le cronache è quello che è avvenuto un po’ in tutta la Lombardia, il Veneto e in molte altre situazioni.

Passando a qualche dato preliminare sul panorama della dialisi occorre dire subito che a dispetto delle sconcertanti previsioni iniziali, almeno a Lodi, non c’è stata l’ondata temuta (ma la realtà potrebbe cambiare). Fin da subito i dializzati provenienti dalla “zona rossa” sono stati trattati con molta attenzione e con presidi sia al CAL che in dialisi ospedaliera. Inoltre, data l’elevata promiscuità dei pazienti nei vari Centri di trattamento, quelli di essi che provenivano dall’area rossa e venivano dializzati, ad esempio, nella dialisi ospedaliera, effettuavano il trattamento in una sala dedicata, separata dal resto dei pazienti. L’anamnesi accurata all’attacco della seduta unitamente alla misurazione della temperatura corporea e della saturazione, ha permesso di esercitare una sorveglianza puntuale (triage pre-dialitico).

 

Altri contagi

I tamponi effettuati preventivamente ai pazienti venuti a contatto con il dializzato deceduto al S. Anna hanno rivelato solo 3 positivizzazioni su 18 tests (15% circa); nulla, tuttavia, si può affermare con certezza causa-effetto sulla reale fonte del contagio.

Al momento in cui scrivo, i dializzati risultati positivi al SARS-CoV-2 sono 7, anche se il dato è destinato probabilmente a salire; poiché i pazienti del Centro sono 162, fra emodializzati e dializzati peritoneali, questo numero rappresenta circa il 4%. A parte il caso di Como, altamente comorbide anche se in buone condizioni al momento del trasferimento, ne sono deceduti altri 2. Uno è un paziente di 84 anni, anch’esso altamente comorbide, ricoverato per altri motivi clinici e positivizzatosi per Covid-19 durante la degenza; oltre al riscontro RX di polmonite si era precisata recentemente la diagnosi di una neoplasia polmonare. Il terzo decesso riguarda una paziente con insufficienza renale in stadio 5, dunque non ancora in dialisi, gravemente cardiopatica che ha contratto l’infezione polmonare durante la degenza. Per le gravi condizioni generali precedenti l’infezione era stata avviata la palliazione.

In questa tabella cerco di sintetizzare le caratteristiche cliniche dei pazienti positivi e il loro outcome; mi riservo di recuperare in un secondo tempo i dati biochimici salienti eventualmente disponibili.

 

Tabella I: Caratteristiche cliniche e outcome dei pazienti positivi

Addendum e conclusioni

Essendo stati i primi ad essere travolti dall’epidemia, siamo stati di sicuro fra i primi a mettere in atto procedure e protocolli molto rigorosi. In ogni caso si fa sempre tutto il possibile, ma bisogna aggiungere che nella realtà non c’è sempre coincidenza fra la teoria dei protocolli e i presidi a disposizione. Finora tutti gli infermieri hanno mascherine FFP2 (che vengono consegnate “contate” ad inizio turno) e l’approvvigionamento è spesso in capo alla direzione sanitaria o alla Farmacia. Il corpo infermieristico dei CAL (dove non si dializzano casi Covid+ accertati) indossa divise monouso; in uno dei due CAL appartenente all’area rossa viene anche dato in dotazione un camice chirurgico impermeabilizzato. Tutti gli infermieri indossano il cappellino, mentre la FFP2 ostacola in molti casi la sovrapposizione della mascherina con visiera. Abbiamo quindi dotato ogni sala di occhiali che vengono sanificati a fine turno con alcool 70% per essere usati nel turno successivo. A parte la FFP2 e il camice impermeabilizzato (disponibile in un solo CAL) si può ben vedere che si tratta per la maggior parte di presidi standard e di buona pratica di sala dialisi.

Quanto ai pazienti, tutti indossano la mascherina chirurgica che viene rinnovata ad ogni inizio turno. La maggior parte la utilizza anche durante il trasporto (non riuscirei ad essere ineccepibile su questo punto), ma è probabile che sia la stessa con cui sono rientrati al domicilio la dialisi precedente. Durante l’attesa, tutti i pazienti vengono invitati a rispettare almeno un metro di distanza e a lavarsi accuratamente le mani e l’arto della FAV.

Attualmente, per un paziente che risultasse Covid+ e sintomatico a Lodi, si prospettano le seguenti opzioni, gestite dal bed manager (infermiere) di concerto con il Responsabile di pronto soccorso, il Responsabile rianimatore e il Coordinatore del team multidisciplinare descritto sopra:

  1. se vi è necessità di ventilazione invasiva: ricovero in RIA ed inizio CRRT o emodialisi secondo i casi. Sono disponibili attacchi per l’osmosi portatile;
  2. se vi è necessità di NIV: ricovero in “area gialla” dove è possibile fare CPAP; due stanze da 2 letti ciascuna sono state dotate di attacchi idraulici per l’osmosi portatile;
  3. con o senza necessità di NIV: ricovero in “area rossa” nefrologica, dove tre stanze da 3 letti ciascuna sono state dotate di attacchi idraulici per l’osmosi portatile.

In questi giorni è stato acquisito un secondo sistema per il trattamento dell’acqua che permette di trattare contemporaneamente due pazienti. Se si trasferisse il sistema che attualmente staziona nell’area gialla (che ha la capacità di far dializzare un paziente alla volta) e si associasse al sistema da due pazienti, nelle stanze da 3 letti della Nefrologia si potrebbero dializzare fino a 3 pazienti contemporaneamente, stabilendo un rapporto infermiere/paziente di 1:3.

Per un paziente Covid+ asintomatico o sospetto positivo l’emodialisi potrebbe essere condotta nella sala dialisi ospedaliera, dove sono state create le due postazioni contumaciali dotate di zona filtro. Queste due postazioni  potrebbero all’occorrenza diventare sei con pochissime modifiche strutturali (fissaggio di una porta intercomunicante con le altre sale).

Considerando complessivamente le opzioni a disposizione, il sistema appare ad oggi sufficientemente dimensionato. Tuttavia per il mutare continuo della situazione epidemiologica, qualsiasi valutazione potrebbe rivelarsi improvvisamente inesatta. Il problema più serio resta la disponibilità di posti in Rianimazione per pazienti dializzati che avessero necessità di essere intubati.