La terapia extracorporea nella sepsi

Abstract

Il danno renale acuto (AKI) si manifesta nel 19% dei pazienti con sepsi, nel 23% di quelli con sepsi severa, e fino al 50% dei pazienti con shock settico. L’AKI rappresenta un fattore prognostico indipendente di mortalità (circa 45%); studi epidemiologici hanno inoltre sottolineato come l’insorgenza di AKI nella sepsi (S-AKI) sia correlata ad un outcome sfavorevole e al raggiungimento di un tasso di mortalità del 75%.

Negli anni si è cercato di prevenire e curare il danno emodinamico da “bassa portata” conseguente allo shock aumentando il flusso ematico renale, migliorando la gittata cardiaca e la pressione di perfusione. Nuovi studi sperimentali nell’S-AKI hanno dimostrato che il flusso ematico renale si mantiene, anzi aumenta, in corso di shock settico. Recentemente è stata proposta una “teoria unica” in cui il danno renale acuto è il risultato finale dell’interazione tra l’infiammazione, lo stress ossidativo, l’apoptosi, la disfunzione del microcircolo e la risposta adattativa delle cellule epiteliali tubulari all’insulto settico.

Il tipo di trattamento, la dose ed i tempi di avvio della RRT hanno una importanza strategica nel recupero dell’AKI nei pazienti settici.

L’utilizzo nei pazienti critici affetti da S-AKI di nuove strategie di anticoagulazione ha permesso di effettuare trattamenti per un numero di ore sufficiente a raggiungere la dose corretta di depurazione prescritta, riducendo al minimo il down-time e il rischio emorragico.

La disponibilità di nuove tecnologie permette oggi di personalizzare sempre più i trattamenti; l’integrazione fra nefrologi e intensivisti deve essere sempre più stretta per attuare una moderna medicina di precisione in Area Critica.

Parole chiave: S-AKI, shock settico, CRRT, citrato, CPFA, adsorbimento

Introduzione

La sepsi è una disfunzione d’organo pericolosa per la vita causata da una risposta dell’ospite abnorme e deregolata all’infezione, associata alla comparsa di manifestazioni sistemiche del processo infettivo.

La massiva risposta dell’ospite al quadro settico può evolvere verso un quadro di shock settico, definito come la comparsa di disfunzione d’organo o di segni di ipoperfusione tissutali secondari all’infezione, con ipotensione non responsiva all’espansione volemica che richiede l’utilizzo di terapia con vasopressori al fine di incrementare la pressione arteriosa media (MAP) ≥65 mmHg [1]. 

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Rimozione della bilirubina con Coupled Plasma Filtration and Adsorption in pazienti con colangiocarcinoma ilare

Abstract

Background: I pazienti affetti da colangiocarcinoma ilare possono essere operati solo nel 20-30% dei casi e sono gravati da una mortalità postoperatoria stimata intorno al 40-50%. Il trattamento di questa neoplasia necessita di un approccio multidisciplinare che coinvolge chirurghi, gastroenterologi, oncologi e radioterapisti. Recenti lavori hanno riportato che i livelli di bilirubina preoperatoria sono predittivi di morbidità e mortalità dopo la chirurgia.
La Coupled Plasma Filtration and Adsorption (CPFA) è una metodica di depurazione extracorporea già validata per il trattamento dei pazienti settici e in grado di rimuovere la bilirubina.
Metodi: Abbiamo trattato 10 pazienti afferiti al nostro Ospedale con colangiocarcinoma ilare complicato da ittero ostruttivo con 34 sedute di CPFA per verificarne la capacità di ridurre la bilirubinemia preoperatoria. Abbiamo poi valutato la mortalità postoperatoria a 90 giorni.
Risultati: La CPFA ha ridotto mediamente la bilirubina preoperatoria di circa il 30% ad ogni trattamento. Abbiamo inoltre riscontrato un miglioramento di alcuni indici di infiammazione e coagulazione. La mortalità a 90 giorni è stata del 40%.
Conclusioni: La CPFA si pone come un’alternativa efficace per le iperbilirubinemie in generale. La riduzione dei livelli di bilirubina ed il miglioramento di alcuni parametri di laboratorio della coagulazione e dell’infiammazione hanno consentito di ottimizzare il protocollo assistenziale, ma non di migliorare la mortalità. Ulteriori studi su campioni più numerosi servono per chiarire l’impatto del trattamento sulla sopravvivenza e sulle complicanze operatorie.

PAROLE CHIAVE: colangiocarcinoma ilare, Coupled Plasma Filtration and Adsorption, CPFA, bilirubina

INTRODUZIONE

La bilirubina è responsabile di tossicità acuta per valori molto elevati, ma anche di tossicità cronica per valori moderati se persistenti. Oltre i 15-20 mg/dl la bilirubina crea danno alle cellule alterando il sistema mitocondriale e la produzione di energia. Il danno neurologico è il più noto, ma anche altri organi ed apparati sono coinvolti (1).

Relativamente al sistema nervoso centrale (SNC) valori elevati di bilirubina nel neonato causano ittero nucleare con danno motorio severo, ipotonia o spasticità e sordità. Anche l’esposizione persistente a livelli moderati di bilirubina può causare danno allo sviluppo del SNC con manifestazioni neurologiche minori che sono identificate dalla “syndrome of bilirubin-induced neurologic dysfunction (BIND)” (2, 3).

La bilirubina esercita i suoi effetti tossici sul sistema nervoso con meccanismi di danno noti (4), ai quali se ne sono aggiunti altri recentemente scoperti come il blocco dell’ubiquitina nelle cellule dell’ippocampo con inibizione del proteasoma e danno cellulare (5). 

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