Marzo Aprile 2016 - In depth review

Fisiopatologia dell’insufficienza renale acuta nella sepsi

Abstract

La sepsi è una grave condizione clinica che può portare a insufficienza multiorgano, soprattutto nei pazienti ricoverati in ambito di terapia intensiva. L’insufficienza renale acuta è complicanza frequente in corso di sepsi, e si associa ad aumento della mortalità intraospedaliera ed a peggioramento della prognosi a medio e lungo termine. Nonostante i recenti progressi nel trattamento della sepsi e dell’insufficienza renale acuta, i meccanismi fisiopatologici di queste sindromi non sono ancora del tutto definiti. L’obiettivo di questa rassegna è quello di illustrare i possibili meccanismi fisiopatologici coinvolti nello sviluppo di AKI in corso di sepsi con particolare riguardo alle alterazioni emodinamiche sistemiche, renali, microvascolari ed ai recenti concetti sul coinvolgimento di meccanismi immunologici ed infiammatori.

Parole chiave: flusso renale ematico, infiammazione, insufficienza renale acuta, sepsi

 

Introduzione

La sepsi è una grave condizione clinica caratterizzata da una intensa risposta infiammatoria sistemica alla presenza di microrganismi patogeni e da uno spettro clinico notevolmente variabile. La sepsi è la decima causa di morte negli Stati Uniti, ed è la principale causa di mortalità nei pazienti in terapia intensiva [1]. Nel 20-25% dei pazienti affetti da sepsi il decorso è complicato dal decesso in ospedale [2], e l’incidenza e prevalenza della sindrome sono in aumento [3]. La sepsi può essere complicata da un quadro di insufficienza multiorgano (MOF), che spesso include l’insufficienza renale acuta (AKI). L’AKI è un problema clinico emergente con valori di incidenza in aumento, anche se notevolmente dispersi per le disomogeneità dei criteri diagnostici e delle casistiche. In media il 25% dei pazienti ricoverati in terapia intensiva (ICU, intensive care unit) risponde ai criteri di diagnosi di AKI, e fino al 50% di questi casi è attribuibile a sepsi [4] [5] (full text) [6] (full text) [7] (full text) [8] (full text).

I pazienti in terapia intensiva affetti da AKI presentano una mortalità doppia rispetto a quelli non affetti da AKI [9], in quanto l’associazione con la sepsi determina di per sé un rilevante aumento del rischio di mortalità ospedaliera (fino al 60%) [4] [10] (full text) [11] [12] (full text) [13] [14]. Circa il 50% dei pazienti affetti da AKI severa non recupera la funzione renale ai livelli basali [15],e fino al 20% di quelli che necessitano l’avvio di RRT (Renal Replacement Therapy) sono ancora dipendenti dalla dialisi al momento della dimissione [11]. Più in generale l’AKI, anche tra coloro che recuperano la funzione renale, si associa ad aumento della mortalità dopo la dimissione, ad aumentata incidenza di insufficienza renale cronica, ed a maggiore utilizzo delle risorse sanitarie [16] [17] (full text) [18] (full text). I costi per la sepsi e le sue complicanze sono stati calcolati in circa 10 miliardi di dollari all’anno negli Stati Uniti [1] [19] (full text).

I dati epidemiologici sottolineano l’importanza del rapporto tra sepsi e rene, ma nonostante negli ultimi 50 anni si siano osservati importanti miglioramenti in campo terapeutico, in ambito di monitoraggio delle funzioni vitali e nelle tecniche di supporto, la mortalità rimane ancora inaccettabilmente alta. Il dato è preoccupante soprattutto alla luce del continuo emergere di ceppi batterici altamente resistenti ai chemioterapici disponibili, e per il limitato sviluppo di nuovi farmaci antibatterici.

In anni recenti numerosi studi sono stati focalizzati a delineare i meccanismi cellulari e molecolari dell’ AKI – e in particolare dell’AKI in corso di sepsi – sviluppando nuove ipotesi fisiopatologiche. Poiché l’AKI è spesso associata a condizioni di shock, insufficienza cardiaca, sepsi od ipovolemia si è ritenuto che il meccanismo fisiopatologico fosse principalmente di tipo ischemico secondario ad ipoperfusione d’organo, e con costante riduzione del flusso ematico renale (renal blood flow, RBF). Tuttavia nel corso degli ultimi anni è emerso come l’eziopatogenesi dell’AKI in generale, e soprattutto dell’AKI in corso di sepsi, sia in realtà più complessa rispetto al solo danno da ischemia, ed è stato meglio delineato il ruolo dell’infiammazione, del sistema immunitario, delle alterazioni emodinamiche intraglomerulari e delle alterazioni del microcircolo.

Nell’ambito dell’AKI in corso di sepsi alcune problematiche specifiche rendono meno agevole lo studio della fisiopatologia di questa complessa sindrome. Un primo aspetto è legato alla mancanza fino a pochi anni fa di definizioni e classificazioni universalmente accettate ed utilizzate, sia per quanto riguarda la sepsi che per l’insufficienza renale acuta, rendendo di fatto più difficile il confronto fra i dati della letteratura.

Un limite rilevante allo studio delle alterazioni renali in corso di sepsi è sicuramente costituito anche dalla carenza di informazioni sulle alterazioni istopatologiche presenti nell’uomo. Ciò è dovuto nella maggior parte dei casi alla mancanza di indicazioni cliniche ad eseguire una manovra con potenziali complicanze, e spesso di difficile esecuzione nel contesto clinico della terapia intensiva. Una revisione della letteratura sull’argomento [20] (full text) ha messo in evidenza solo 6 studi riguardanti l’istopatologia renale in corso di AKI settica sull’uomo, per un totale di 117 pazienti. Emergevano quadri caratterizzati da alterazioni interstiziali e tubulari aspecifiche, con un riscontro relativamente basso di necrosi tubulare acuta, in passato ritenuta la lesione caratteristica. Gli studi considerati erano caratterizzati da bias metodologici nella definizione di AKI, nei criteri di selezione dei pazienti e di sepsi, e in due casi erano condotti su campioni bioptici post-mortem. Uno studio più recente condotto su biopsie renali post-mortem in 39 pazienti affetti da AKI e sepsi ha dimostrato la presenza di lesioni tubulo-interstiziali focali ed aspecifiche in una porzione limitata di tessuto renale. Le principali lesioni consistevano nello sfaldamento delle cellule tubulari a livello della midollare (97%), vacuolizzazione isometrica delle cellule tubulari prossimali (77%) e necrosi tubulare focale (44%). Si evidenziava inoltre una aumentata espressione di Kim-1, un marcatore di danno del tubulo prossimale [21]. In uno studio sull’istologia renale in 19 pazienti deceduti per shock settico con insufficienza renale acuta è stata riscontrata livello glomerulare la presenza di infiltrato monocitario e di polimorfonucleati intracapillari, ed inoltre si documentava deposizione di fibrina all’interno del lume dei capillari glomerulari nel 42% dei casi. A livello tubulare si riscontravano lesioni aspecifiche tra cui distacco delle cellule dalla membrana basale tubulare, perdita dell’orletto a spazzola e zone limitate di franca necrosi. Si osservavano fenomeni apoptotici a livello tubulare prossimale e distale nella totalità dei campioni bioptici, con positività per la caspasi-3, un mediatore di apoptosi. I capillari peritubulari sia corticali che midollari mostravano infiltrazione monocito-macrofagica oltre che di polimorfonucleati, e nel 21% dei casi erano presenti trombi. In contrasto con l’intensa infiltrazione infiammatoria dei capillari peritubulari la flogosi a livello interstiziale era minima o del tutto assente [22]. Più recentemente, in un modello suino di sepsi è stata documentata la precoce deposizione di collagene a livello tubulointerstiziale, e in particolare attorno ai capillari peritubulari, a sole 9 ore di distanza dall’infusione di LPS (lipopolisaccaride), a testimonianza della precocità dei fenomeni di fibrosi parenchimale [23] (full text).

Un ulteriore ostacolo alla piena comprensione della fisiopatologia dell’AKI in corso di sepsi è legato alla difficoltà di ricreare la sindrome in modelli animali (ad es. infusione di endotossina, infusione di batteri vivi, peritonite da legatura e puntura del cieco), che riproducano in modo accurato le condizioni ed il decorso clinico osservati nell’uomo [24] (full text) [25] [26]. Tra questi limiti e difficoltà vanno annoverati anche la necessità di utilizzare animali di dimensioni medio-grandi che consentano di eseguire in maniera agevole ed affidabile la misurazione invasiva dei parametri emodinamici, l’intrinseca resistenza di alcune specie di roditori all’endotossina, la necessaria breve durata dei modelli sperimentali, in contrasto con l’andamento spesso prolungato della sindrome osservato in condizioni cliniche.

Scopo di questa rassegna è quindi l’analisi dei rapporti tra sepsi e rene, con particolare riferimento agli aspetti emodinamici sistemici ed intrarenali, ed al crescente ruolo dei meccanismi immunitari ed infiammatori.

Emodinamica sistemica ed emodinamica renale nella sepsi e nello shock settico

La vasodilatazione sistemica con riduzione delle resistenze vascolari periferiche rappresenta un dogma incontestato dello stato settico [27] (full text). In questo contesto il paziente settico in ICU presenta frequentemente una condizione di circolo iperdinamico caratterizzato da elevata gittata cardiaca (GC). In quest’ottica le prime teorie riguardanti l’eziopatogenesi dell’AKI in corso di sepsi fondano le proprie radici nell’ipoperfusione renale da riduzione del RBF con meccanismo di danno ischemico. Di fatto si ipotizzavano forme di insufficienza renale acuta di tipo funzionale, con eventuale transizione a forme più o meno gravi di necrosi tubulare acuta[28] [29]. In base a questa ipotesi il cardine della prevenzione e della terapia dell’AKI in corso di sepsi dovrebbe quindi essere il rapido ripristino di un’adeguata perfusione renale, definito in base ad indici emodinamici misurati prevalentemente a livello sistemico [30] (full text).

L’esperienza clinica e le evidenze sperimentali non coincidono però con questa ipotesi. Infatti, se anche si dovesse verificare una riduzione del RBF, vi sono evidenze sufficienti per affermare che un quadro di ischemia renale subtotale non è in grado di per sè di promuovere una condizione di AKI. In modelli animali la riduzione selettiva del RBF fino al 10% rispetto al basale ha determinato solo una transitoria riduzione del filtrato glomerulare (glomerular filtration rate, GFR) con totale ripristino dello stesso alla riperfusione [31]. Allo stesso modo nei pazienti che sopravvivono ad episodi di arresto cardiocircolatorio l’AKI non è di comune riscontro, ad indicare come un quadro di ischemia renale isolata e non sostenuta non sia da sola in grado di innescare l’AKI [32].

Le conoscenze riguardanti le variazioni di RBF in corso di sepsi nell’uomo sono per ovvi motivi limitate, tuttavia già nei primi studi su casistiche di ridotta numerosità tale parametro emodinamico risultava mantenuto – o addirittura aumentato – in corso di sepsi [33]. In un elegante studio nel quale RBF veniva misurato invasivamente mediante tecniche di termodiluizione, 8 pazienti con AKI in corso di sepsi presentavano valori sostanzialmente normali [34].

I modelli sperimentali hanno spesso presentato risultati contrastanti, dimostrando a volte quadri di effettiva riduzione di RBF ed ipoperfusione renale, e talvolta valori di RBF aumentati o mantenuti [35] (full text) [36]. La spiegazione di tali differenze è da ricercarsi nelle caratteristiche del modello animale utilizzato: infatti è emerso come l’unico predittore di RBF sia la gittata cardiaca. In presenza di bassa gittata cardiaca, come ad esempio nello shock misto settico e cardiogeno) si riscontra un RBF ridotto, mentre in presenza di gittata cardiaca conservata (shock settico puro con stato iperdinamico caratterizzato da basse resistenze periferiche) RBF risulta conservato o addirittura aumentato [30] (full text). Dal momento che in corso di shock settico nell’uomo, almeno inizialmente è presente uno stato iperdinamico, ne consegue che solo i modelli di sepsi con circolazione iperdinamica possono essere considerati rappresentativi della condizione clinica. Negli studi che hanno utilizzato tali modelli animali RBF era infatti conservato od aumentato. In particolare in un modello suino è stato dimostrato che RBF era in generale aumentato, come pure risultava aumentato il flusso ematico a livello della midollare renale [37]. In un recente studio sperimentale (induzione della sepsi mediante infusione di E. coli in pecore) caratterizzato da stato settico iperdinamico con misurazione invasiva in continuo di gittata cardiaca ed RBF, quest’ultimo era marcatamente aumentato a fronte di resistenze periferiche notevolmente ridotte. Nonostante ciò si assisteva ad una importante riduzione del GFR, con incremento dei valori di creatinina di tre volte rispetto ai valori basali [38]. In accordo con questi dati si è osservato che la ripresa della funzionalità renale avveniva in parallelo a riduzione della gittata cardiaca, aumento delle resistenze renali e riduzione del RBF[39] (Figura 1).

Questi dati mettono almeno in parte in discussione le teorie sulla prevalenza del danno ischemico renale isolato in corso di sepsi, e dimostrano come nelle prime fasi di essa si possa assistere ad una riduzione del GFR anche in presenza di vasodilatazione sistemica con aumento del RBF. Questo fatto può essere spiegato se si considera non solo l’emodinamica e la perfusione d’organo, ma anche la dinamica della perfusione glomerulare. La filtrazione glomerulare è infatti il risultato del gradiente di pressione idraulica che si instaura a livello glomerulare come effetto della regolazione del flusso ematico a livello dell’arteriola efferente ed afferente. Qualora si verificasse una dilatazione dell’arteriola afferente ed in misura proporzionalmente maggiore di quella efferente, si verrebbe a ridurre la pressione di filtrazione, con conseguente riduzione del GFR pur in presenza di RBF aumentato (Figura 2) [40].

Disfunzione microvascolare vs ipoperfusione sistemica, disfunzione endoteliale

L’ossigenazione del parenchima renale è funzione del bilancio tra disponibilità e consumo di ossigeno. Il fabbisogno renale di ossigeno dipende principalmente dalla produzione di ATP, utilizzato per l’attività delle pompe e cellulari, e in particolare per la pompa Na/K ATPasi [41] (full text) [42]. In corso di sepsi la disfunzione microvascolare si caratterizza per una aumentata eterogeneità di distribuzione del flusso ematico, con riduzione del numero di capillari che presentano un flusso ematico continuo e costante a favore di quelli con flusso ematico intermittente [43] [44]. Le stesse alterazioni del microcircolo sono state evidenziate a livello dei capillari renali [45] (full text) [46], con comparsa di aree relativamente ipoperfuse o con perfusione non costante [47] [48] (full text). L’ipossia locale in queste aree può contribuire al processo infiammatorio ed alla disregolazione metabolica delle cellule tubulari renali [49]. La disfunzione del microcircolo renale può determinare ipossia tissutale anche in assenza di ipoperfusione renale. Tecniche recenti di studio del microcircolo renale hanno messo in evidenza importanti alterazioni nella distribuzione del flusso ematico [50] (full text) [51]. In alcuni modelli animali la microcircolazione corticale è risultata severamente compromessa, ed è stato dimostrato che la prevenzione dell’ipoperfusione a livello sistemico non è sufficiente a prevenire le alterazioni microvascolari, ed in particolare l’ipossia corticale [51] [52]. Tuttavia le evidenze sperimentali al momento sono almeno in parte contrastanti. Infatti, in alcuni modelli animali non è stato possibile dimostrare un’alterata distribuzione del flusso ematico renale a favore della corticale che possa giustificare l’ischemia midollare [53], mentre in un modello ovino in corso di shock settico non è stata riscontrata riduzione di ATP a livello renale utilizzando tecniche di spettroscopia applicata a risonanza magnetica [54] [55].

In corso di sepsi la disfunzione microvascolare è ascrivibile anche al danno endoteliale. L’attivazione dell’endotelio mediata dalle citochine pro-infiammatorie determina, infatti, un aumento dell’espressione di molecole di adesione, con conseguente aumento dell’adesione leucocitaria [56] (full text) [57] (full text) [58], aumentata espressione del TF (Tissue Factor) [59], che in associazione all’alterato equilibrio tra fattori pro-coagulanti ed anti-coagulanti può determinare la formazione di microtrombi a livello del microcircolo renale [22] [60] [61] (full text).

La disfunzione endoteliale determina la perdita dei meccanismi di vasodilatazione endotelio-dipendente mediata da NO, ed una aumentata risposta agli stimoli vasocostrittori [62]. L’NO di derivazione endoteliale prodotto dalla eNOS (endothelial nitric oxide sinthase) è infatti in grado di ridurre la disfunzione microvascolare determinando vasodilatazione, inibendo l’aggregazione piastrinica e l’attivazione leucocitaria. In caso di inibizione selettiva di eNOS si assiste ad un peggioramento dell’ischemia tissutale [63]. In corso di sepsi si osserva una aumentata produzione di NO mediata dalla nitrossido sintasi inducibile (iNOS), con riduzione dell’attività della eNOS, verosimilmente dipendente dall’aumentata attività della iNOS stessa [64] (full text)[65]. Tuttavia l’incremento di attività di iNOS è eterogeneo [66] [67] (full text), e questo in associazione ad una riduzione di attività di eNOS può concorrere a determinare alterazioni di perfusione microvascolare con conseguente ipossia tissutale [68] (full text). Vi sono inoltre evidenze che suggeriscono come l’inibizione selettiva di iNOS possa determinare una riduzione delle alterazioni microcircolatorie e delle manifestazioni istologiche e funzionali renali in corso di sepsi [67] (full text).

In un modello animale è stata documentata a livello renale una aumentata attività di tutte le isoforme di NOS, ed in misura maggiore a livello corticale rispetto alla midollare: questo potrebbe supportare una relativa ischemia midollare per aumentato utilizzo degli shunts intrarenali [69]. In particolare sono state ipotizzate 4 tipologie di shunt microvascolare che possono determinano una esclusione anatomica o funzionale del circolo capillare-glomerulare, con passaggio diretto del flusso ematico dalle arteriole alle venule. Il primo tipo riguarda la presenza di shunt anatomici normalmente non attivi, e che diventano pervi come conseguenza della disfunzione del sistema del NO; il secondo tipo o shunt diffusivo prevede la diffusione diretta dell’ossigeno dalle arteriole alle venule che si trovano in stretta vicinanza e ha come risultato una bassa concentrazione di ossigeno nel sangue che perfonde i capillari; il terzo meccanismo di shunt, o shunt da furto prevede una alterata distribuzione del flusso sanguigno ad aree capillari poste tra loro in parallelo come conseguenza di alterata vasodilatazione e vasocostrizione arteriolare; il quarto meccanismo prevede una incapacità dell’emoglobina a rilasciare ossigeno in maniera sufficientemente rapida durante il passaggio a livello capillare (il cosiddetto oxygen off-loading shunt) [70].

In conclusione per quanto riguarda la disfunzione microvascolare ed endoteliale, l’instaurarsi di una condizione di AKI in corso di sepsi non è attribuibile esclusivamente ad un meccanismo di ipoperfusione d’organo sostenuta da una riduzione del flusso ematico renale. Infatti le evidenze sperimentali dimostrano che in corso di sepsi, almeno nella fase iniziale, si instaura una circolazione iperdinamica nella quale RBF è mantenuto o addirittura aumentato. Questo però non esclude che pur in presenza di un RBF conservato non si possano verificare delle alterazioni sia dell’emodinamica intraglomerulare che portano ad una riduzione del gradiente pressorio di ultrafiltrazione con perdita di GFR o che si possano verificare delle alterazioni di distribuzione del flusso ematico a livello microvascolare in grado di determinare aree di ischemia parenchimale.

Ruolo dell’infiammazione e dei fattori immunitari nell’AKI in corso di sepsi

In corso di sepsi si determina un’intensa risposta infiammatoria a cui conseguono il rilascio in circolo di numerose citochine, l’attivazione del complemento, l’aumentata produzione di radicali dell’ossigeno e metaboliti dell’acido-arachidonico, l’attivazione della via estrinseca della coagulazione, l’attivazione dei linfociti T ed il reclutamento di neutrofili, macrofagi, piastrine e cellule endoteliali [71].

Mentre in passato l’attenzione si è prevalentemente focalizzata alla risposta pro-infiammatoria, successivamente [72] è stata avanzata l’ipotesi che, dopo un iniziale stato pro-infiammatorio, si perpetuasse una risposta dell’organismo in senso anti-infiammatorio di tipo compensatorio. Questo equilibrio tra fattori pro e anti-infiammatori sarebbe mirato da un lato all’eliminazione dei patogeni, e dall’altro a prevenire un danno all’ospite, derivante da una eccessiva attivazione dell’infiammazione stessa [73] (Figura 3).

Le interazioni tra patogeno e ospite in corso di sepsi sono molto complesse e probabilmente la risposta dell’ospite è diversa nel corso del tempo. Non si possono inoltre trascurare sia le caratteristiche proprie del patogeno, quali la carica e la virulenza, sia quelle dell’ospite quali il substrato genetico, lo stato immunitario e le comorbilità [1] [74] [75]. Numerosi studi in letteratura hanno analizzato il possibile ruolo di diversi mediatori della flogosi e processi biomolecolari nella fisiopatologia dell’AKI in corso di sepsi.

a) Apoptosi

Alcuni dati sperimentali suggeriscono che l’apoptosi indotta dal danno infiammatorio potrebbe rappresentare uno dei possibili meccanismi di AKI in corso di sepsi [22] [71] [76] [77]. In un modello murino di sepsi con AKI è stata riscontrata a livello autoptico una importante presenza a livello renale di cellule apoptotiche, sia di origine infiammatoria che renale. Inoltre è stata osservata una notevole riduzione del danno renale acuto con l’inibizione della caspasi-3, una proteasi coinvolta nell’avvio del processo apoptotico [77]. È stato inoltre documentato come elevate concentrazioni di LPS e TNF aggiunti a colture di cellule tubulari prossimali e di cellule endoteliali di derivazione glomerulare siano in grado di determinare un aumento dei mediatori pro-apoptotici, ed in particolare un aumento dell’espressione dell’mRNA di Fas e del Fas-associated death domain protein, con riduzione di quelli anti-apoptotici come Bcl-xL [78] [79].L’inibizione delle caspasi al fine di prevenire il danno renale acuto in corso di sepsi ha ottenuto in alcuni studi risultati negativi, probabilmente dovuti alla mancata inibizione della produzione di specie reattive dell’ossigeno esercitato dalle caspasi stesse [80].

b) TNF

L’espressione di TNFα è notevolmente aumentata in corso di sepsi. Alcuni studi sperimentali hanno evidenziato un possibile ruolo diretto del TNFα nello sviluppo di AKI [81] (full text) [82]. In uno studio sperimentale gli autori sono stati in grado di ridurre la perdita di GFR in modello di sepsi indotta da LPS neutralizzando il TNFα con TNFsp55 [82]. In uno studio sovrapponibile topi knock-out per TNFR1 (TNF receptor 1) erano meno proni allo sviluppo di AKI e presentavano minor grado di apoptosi su tessuto renale [81] (full text). Sfortunatamente in un ulteriore studio condotto su un modello suino gli autori hanno dimostrato concentrazioni maggiori di TNF nei maiali settici rispetto ai controlli, ma senza differenze tra gli animali che sviluppavano AKI rispetto a quelli che non la sviluppavano [83] (full text). Inoltre in altri modelli sperimentali l’inibizione del TNF con anticorpi monoclonali non è stata in grado di fornire protezione dai danni derivanti dalla sepsi [84].

DAMPs e PAMPs (Damage e Pathogen-Associated Molecular Pattern)

Recentemente è stato proposto [85] un modello in cui l’AKI in corso di sepsi sarebbe il risultato del danno infiammatorio e della risposta adattativa delle cellule tubulari ai DAMPs e PAMPs (Damage e Pathogen-Associated Molecular Pattern). Questi sono molecole o frazioni di origine citosolica o nucleare delle cellule dell’organismo (DAMPs) o dei patogeni (PAMPs). I DAMPs altrimenti noti con il termine di allarmine, sono componenti di cellule dell’ospite o della matrice extracellulare generate in corso di stress infiammatorio, e in generale in corso di danno o necrosi cellulare, e tra esse si possono annoverare HGBM1 (chromatin-associated protein high-mobility group box 1), le proteine della famiglia di S100, frammenti di DNA ed RNA, l’acido ialuronico, fibrinogeno, fibronectina, le Heat Shock Proteins e diverse interleuchine. I PAMPs invece sono componenti cellulari o frammenti di cellule batteriche, fungine, virus e parassiti tra cui il lipopolisaccaride (LPS), il peptidoglicano, i lipopeptidi, l’acido lipoteicoico, la flagellina, e i frammenti di DNA ed RNA dei patogeni stessi [86].

I DAMPs e i PAMPs interagiscono nell’organismo con i PRRs (Pattern Recognition Receptors), che svolgono un ruolo nel sistema immunitario innato riconoscendo vari segnali di pericolo (tra cui gli stessi DAMPs e PAMPs), ed attivando in risposta la cascata infiammatoria. I PRRs meglio studiati sono i Toll Like Receptors (TLRs), i Nod-like receptors ed i RIG-I-like receptors.

Il legame dei DAMPs e PAMPs ai PRRs da l’avvio ad una risposta sistemica infiammatoria coinvolgente il sistema immunitario cellulare ed umorale con produzione di citochine e chemochine e l’attivazione e mobilizzazione delle cellule del sistema immunitario innato, tra cui le cellule dendritiche, i macrofagi, le cellule natural Killer ed i neutrofili [87] (full text). Le cellule tubulari renali possono essere direttamente coinvolte dal processo infiammatorio, anche se evidenze suggeriscono un ruolo attivo nel modulare ed amplificare la risposta infiammatoria e il danno cellulare. Infatti le cellule tubulari sono in grado di riconoscere i DAMPs e PAMPs attraverso alcuni PPRs, ed in particolare TLR-2 e TLR-4 [88] (full text). L’interazione tra DAMPs e PAMPs con le cellule tubulari determina induzione di danno cellulare attraverso l’avvio dei processi apoptotici, arresto del ciclo cellulare, perdita della polarità cellulare e distacco dalla membrana basale tubulare. Le cellule tubulari “attivate” dal legame con i DAMPs e PAMPs possono esse stesse amplificare e mediare il danno infiammatorio esprimendo molecole co-stimolatorie che determinano la produzione di citochine e chemochine tra cui IL-6, IL-10, IL-18, TNFalfa, IL-8, IL1beta, Machrophage Inflammatory Protein 2 (MIP-2) [89] oltre ad una sovra-espressione di NF-kB attraverso la mediazione del fattore di differenziazione mieloide [90] (full text) (Figura 4) [91].

Microvescicole

Tra i DAMPs sono da annoverare anche le micro vescicole, i livelli delle quali aumentano in corso di sepsi [92]. Le microvescicole sono delle particelle derivanti dalle membrane cellulari di dimensioni tra 0.2-2 µm. Le microvescicole contengono proteine e lipidi delle membrane cellulari e citoplasma delle cellule da cui originano. Possono essere prodotte da cellule differenti tra cui le cellule endoteliali, i globuli rossi, monociti e le piastrine. Uno degli stimoli alla produzione di microvescicole di origine endoteliale è il danno microvascolare [93] (full text) [94].Le microvescicole esprimono sulla propria superficie due pro-coagulanti quali la Fosfatidil-serina e il Tissue Factor; inoltre contengono proteine, mRNAs e miRNAs (microRNAs) in grado di influenzare i processi di angiogenesi e di apoptosi cellulare [95] [96] [97] (full text) [98] [99] (full text)[100]. Gli effetti delle microvescicole dipendono dalle cellule da cui originano oltre che dal loro stato di attivazione, e potrebbero avere un ruolo centrale nella patogenesi della sepsi e dello shock settico [101] (full text) e in particolare nell’AKI in corso di sepsi [92] [102] Figura 5. In un modello murino di sepsi la maggior parte delle micro-vescicole era di origine piastrinica (85%), con una minoranza di origine endoteliale, monocitaria ed eritrocitaria [92]. La presenza di microvescicole è stata documentata anche in soggetti sani [101] (full text) [102] [103], anche se gli aumenti più rilevati dei loro livelli sono caratteristici della sepsi [92]. Le microvescicole sono in grado di modulare la produzione endoteliale di ossido nitrico e la produzione di prostacicline, di attivare la cascata della coagulazione, di stimolare la produzione di citochine, di aumentare la chemiotassi monocitaria attraverso l’aumento dell’espressione delle molecole di adesione e dei recettori chemochinici [101] (full text) [102] [103]. L’iniezione in ratti non settici di microvescicole ottenute da ratti settici è stata in grado di determinare le stesse alterazioni emodinamiche, infiammatorie e di stress ossidativo osservate in corso di sepsi [102]. È stato inoltre dimostrato che le microvescicole derivanti da soggetti sani non sono in grado di determinare variazioni in senso pro-infiammatorio e di stress ossidativo come quelle derivanti da pazienti settici [104].Inoltre le microvescicole di origine endoteliale contengono anche altri pro-coagulanti, tra cui CD 105 o endoglina un recettore ausiliario del TGF-beta altamente espresso sulle cellule endoteliali, che possono essere implicati nell’insorgenza di coagulazione vascolare disseminata [105] [106][107] (full text).

Le microvescicole potrebbero esercitare anche un’azione anti-infiammatoria ed immunosoppressiva. Le microvescicole di derivazione piastrinica ottenuta da concentrati piastrinici per trasfusione infatti sono in grado di alterare la funzione dei macrofagi e cellule dendritiche oltre a ridurre la sintesi e liberazione di TNFa [108] (full text). Allo stesso modo esistono evidenze in base alle quali le microvescicole di derivazione polimorfonucleata possono inibire la chemiotassi dei neutrofili [109] (full text).

Conclusioni

La sepsi è una grave condizione clinica la cui incidenza è in aumento ed è caratterizzata da una elevata mortalità. La sepsi è di frequente complicata da insufficienza multiorgano, ed in particolare da insufficienza renale acuta. Nonostante i notevoli progressi compiuti nel trattamento, nelle tecniche di monitoraggio e nelle tecniche di supporto i meccanismi fisiopatologici responsabili dell’AKI in corso di sepsi non sono ancora del tutto definiti.

Le ipotesi classiche che consideravano anche questa forma di AKI un’esclusiva espressione di ipoperfusione d’organo non hanno trovato conferma nelle evidenze sperimentali, che invece documentano la presenza di un flusso ematico renale aumentato o comunque mantenuto. Al momento sembrano avere maggior solidità le ipotesi che mettono al centro del processo patogenetico la cascata infiammatoria ed i suoi mediatori. Le alterazioni dell’emodinamica intraglomerulare che ne conseguono determinano perdita del gradiente pressorio di filtrazione per disregolazione del tono vascolare delle arteriole efferenti ed afferenti, con conseguente riduzione del GFR. I mediatori dell’infiammazione e altre componenti circolanti che derivano dalla presenza dei patogeni e della loro interazione con l’organismo, anche attraverso l’effetto dei DAMPs e PAMPs possono inoltre determinare un danno tubulare diretto innescando una risposta adattativa delle cellule tubulari che amplifica e potenzia il danno microvascolare, endoteliale ed infiammatorio.

Sono necessari ulteriori studi per meglio definire i complessi meccanismi che concorrono alla patogenesi delle alterazioni nella sepsi. La comprensione più approfondita di tali aspetti fisiopatologici potrebbe rappresentare il presupposto per individuare il razionale di interventi di supporto specifico rivolti alla modulazione dei processi di attivazione dell’immunità e dell’infiammazione in corso di AKI associata a sepsi.

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