Maggio Giugno 2023 - Nefrologo in corsia

Insufficienza renale acuta da sindrome orellanica: caso clinico

Abstract

La sindrome orellanica è determinata da funghi del genere Cortinarius orellanus e speciosissimus (Europa), Cortinarius fluorescens (Sud America), Cortinarius rainierensis (Nord America).

I sintomi, inizialmente aspecifici come dolori muscolari e addominali, sensazione di gusto metallico in bocca, dopo alcuni giorni diventano più specifici, quali sete intensa, cefalea, brividi senza febbre, anoressia, a cui poi segue una fase di poliuria e poi di oligoanuria.

L’evoluzione verso l’insufficienza renale si verifica nel 70% dei casi e molto spesso risulta irreversibile.

Il caso clinico riguarda un uomo di 52 anni che ha sviluppato un’insufficienza renale acuta da sindrome orellanica con necessità di emodialisi.

Parole chiave: sindrome orellanica, fungo Cortinarius, dialisi

Introduzione

Esistono migliaia di specie diverse di funghi. L’effetto tossico dei funghi è dovuto a diversi fattori quali il tipo di veleno, la dose assunta, la concomitante assunzione di altre sostanze, il peso del soggetto. In base al tempo di comparsa dei sintomi le intossicazioni da funghi vengono suddivise in sindromi a breve, media e lunga latenza. Nelle prime la sintomatologia si manifesta entro 6 ore dall’ingestione, mentre in quelle a media-lunga latenza i sintomi compaiono tra le 6 e le 24 ore dall’ingestione, e a volte anche dopo qualche giorno.

Tra le sindromi a breve latenza che possono provocare un danno renale troviamo: la sindrome paxillica o citotossica allergica (Paxillus involutus e filamentosus) e la sindrome emolitica (Amanita rubescens, aspera, vaginata) che causano emolisi immunomediata. Tra le sindromi a media latenza di interesse nefrologico vi sono: la sindrome nefrotossica o norleucinica (Amanita smithiana Bas e Amanita solitaria) che comporta una grave insufficienza renale (a volte con necessità di trattamento sostitutivo extracorporeo renale), fortunatamente reversibile il più delle volte, e la sindrome rabdomiolitica (Thricholoma equestre, auratum e Russula subnigricans), che porta a una vera e propria rabdomiolisi.

Le sindromi a lunga latenza si caratterizzano per la loro elevata tossicità. Tra queste troviamo la sindrome gyromitrica (Gyromitra esculenta, gigas) che è causata dalla tossina chiamata giromitrina, dannosa per il tratto gastro intestinale, epatotossica e nefrotossica; la sindrome orellanica, determinata da funghi del genere Cortinarius, caratterizzata da sintomi inizialmente aspecifici per poi evolversi irreversibilmente verso l’insufficienza renale. La tossina responsabile si chiama orellanina [1, 2].

 

Caso clinico[2

Il nostro caso clinico riguarda un uomo caucasico di 52 anni che si presentava al Pronto Soccorso del nostro nosocomio per presenza di malessere generalizzato, gonfiore addominale, diarrea e oligoanuria riferita da circa 4 giorni. Gli esami ematochimici dimostravano la presenza di grave insufficienza renale (creatinina 25 mg/dl, urea 262 mg/dl, eGFR 1,8 ml/min/sc), iperkaliemia 7,1 mmol/l, iposodiemia 125 mol/l, ipocalcemia 1,84 mmol/l, PCR 42 mg/l, crasi ematica nella norma, normale equilibrio acido-base, funzione epatica e pancreatica nella norma, glicemia 112 mg/dl, mioglobinemia e CPK nella norma, protidogramma nella norma, esame urine non eseguibile per anuria. Ad esami bioumorali eseguiti dal paziente per altre ragioni 2 mesi prima la funzione renale risultava essere nella norma (creatinina 0,8 mg/dl), pertanto ci orientavamo per una forma di AKI (acute kidney injury).

Il paziente risultava vigile, orientato nello spazio, nel tempo e rispetto alla propria identità, apiretico, iperteso (160/90 mmHg), eupnoico in aria ambiente. Veniva predisposto il ricovero nella nostra UOC di Nefrologia per le cure e gli approfondimenti del caso.

Obiettivamente all’ingresso: non edemi declivi, toni cardiaci validi e ritmici, crepitii bibasali all’auscultazione del torace, addome trattabile, non dolente, cute normoidratata. Veniva posizionato un catetere vescicale che confermava l’anuria. Il paziente negava di aver assunto farmaci o sostanze. Inoltre negava episodi infettivi nelle settimane precedenti.

In anamnesi comparivano storia pregressa di litiasi renale, ipertensione arteriosa in terapia farmacologica, non allergie note, assenza di familiarità per patologie renali o genetiche.

Per escludere una causa ostruttiva veniva eseguita una TAC addome (Figura 1) che mostrava la presenza di versamento pleurico e addominale, reni con aspetto globoso con presenza di elementi calcolotici bilateralmente, non segni di idronefrosi, vescica depleta. Venivano nel frattempo eseguiti gli esami di autoimmunità per escludere una possibile causa di nefrite immunomediata.

Figura 1: TAC addome del paziente.
Figura 1: TAC addome del paziente.

Dopo un tentativo infruttuoso di stimolare, per circa 24 ore, la diuresi con furosemide al dosaggio di 1 grammo per via endovenosa in infusione continua, in seconda giornata si posizionava un catetere venoso centrale temporaneo in vena giugulare interna destra e veniva avviato trattamento emodialitico intermittente mediante dialisi bicarbonato senza anticoagulazione.

In terza giornata veniva erogato il secondo trattamento emodialitico senza complicanze e con miglioramento degli esami bioumorali (in particolare della potassiemia e dell’azotemia).

Avendo escluso le principali cause di AKI e persistendo l’anuria, in attesa del risultato degli esami di autoimmunità, interrogavamo nuovamente il paziente con una maggiore attenzione sull’eventuale consumo di cibi non consueti. Il paziente ricordava di aver consumato circa 15 giorni prima un risotto con dei funghi raccolti in montagna dalla moglie.

Decidevamo pertanto di contattare immediatamente il centro antiveleni di Pavia i cui esperti ci informavano dell’esistenza di un fungo, il Cortinarius orellanus, i cui effetti, dopo consumo, potevano presentarsi anche a distanza di diversi giorni e che purtroppo non esistevano antidoti, il danno risulta irreversibile, quindi nel caso di anuria l’unica terapia salvavita risultava essere il trattamento renale sostitutivo extracorporeo. Per la diagnosi è fondamentale l’identificazione della specie fungina ingerita con un accurato esame micologico sia macro che microscopico effettuato sui resti del cibo cotto. Nel caso preso in esame, non c’erano residui di alcun genere del fungo ingerito. Che si trattasse effettivamente del fungo in oggetto ce lo confermava la moglie del paziente che lo riconosceva nelle foto fatte visionare. A questo punto abbiamo ritenuto superflua l’esecuzione di una biopsia renale.

Purtroppo anche la signora (anamnesi muta, nessuna terapia farmacologica domiciliare) ne aveva fatto ingestione anche se in misura minore; è stata quindi ricoverata nel nostro reparto per eseguire idratazione endovenosa: gli esami di funzione renale all’ingresso dimostravano una creatinemia di 2,8 mg/dl (normofunzione ad esami di un mese prima), normale ionemia, normale crasi ematica, diuresi conservata con esame urine negativo, ecografia addome nei limiti di norma. Purtroppo alla dimissione avvenuta 5 giorni dopo la funzione renale della signora rimaneva decurtata con un eGFR intorno ai 28 ml/min/sc.

Il nostro paziente ha proseguito con le sedute emodialitiche dapprima quotidiane, poi a giorni alterni, ma non vi è stata alcuna risposta clinica, si è mantenuto sempre anurico; una volta stabilizzato è stato dimesso ed avviato a trattamento cronico con emodialisi a ritmo trisettimanale. Successivamente è stato avviato il percorso di valutazione per immissione in lista trapianto da donatore cadavere, trapianto che è avvenuto 15 mesi dopo con ottimo esito.

  Al ricovero 2a giornata 3a giornata 4a giornata 5a giornata
creatininemia (mg/dl) 25 26 18 14 8
azotemia (mg/dl) 262 270 200 155 130
pH venoso 7,35 7,34 7,35 7,34 7,34
HCO3- (mmol/l) 25 23 24 25 25,5
pCO2 (mmHg) 34 35,1 34,9 36,4 36,3
pO2 (mmHg) 97 98 98 98 97
BE (mmol/l) 0 0 0 0 0
potassiemia (mmol/l) 7,1 6,8 5,5 5 4,7
sodiemia (mmol/l) 125 126 130 135 139
calcemia (mmol/l) 1,84 1,9 2,3 2,4 2,4
Diuresi (ml/24 h) 0 0 0 0 0
Tabella I: Esami ematochimici.

 

Discussione 

La sindrome orellanica è determinata da funghi del genere Cortinarius orellanus (Figura 2) e speciosissimus (Europa), Cortinarius fluorescens (Sud America), Cortinarius rainierensis (Nord America). Queste specie di funghi producono una tossina chiamata orellanina, isolata per la prima volta nel 1955 dal medico polacco Stanisław Grzymała in seguito ad un avvelenamento di massa durante un banchetto nuziale che provocò ben 15 morti [1].

Figura 2: Cortinarius orellanus
Figura 2: Cortinarius orellanus

La tossina possiede una struttura bipiridinica. Chimicamente è costituita da doppi anelli eterociclici con un atomo d’azoto, di struttura cristallina, inodore, citotossica e termostabile. Non si inattiva con l’essiccamento e resiste all’ebollizione, solo le altissime temperature (oltre 270°C) e la luce ultravioletta trasformano l’orellanina in orellina, non tossica. La dose letale nell’uomo è pari a 40-50 g di fungo fresco ma sono sufficienti quantità minori per provocare danni renali irreversibili.

Questa tossina presenta un meccanismo d’azione non ancora ben definito: si ipotizza che l’orellanina sia metabolizzata a livello epatico e che, solo successivamente, si depositerebbe a livello renale, determinando un danno tale da portare alla necrosi dei tubuli renali. La patogenesi del danno renale è spiegabile con la quasi completa inibizione della fosfatasi alcalina, da parte dell’orellanina che, interrompendo la produzione di adenosintrifosfato (ATP), indispensabile per il metabolismo cellulare, conduce alla necrosi delle cellule dei tubuli renali [2].

La sindrome orellanica si caratterizza da sintomi inizialmente aspecifici come dolori muscolari e addominali, sensazione di gusto metallico in bocca, dopo alcuni giorni (fino a 20 giorni dopo l’ingestione) compaiono sintomi più specifici quali sete intensa, cefalea, brividi senza febbre, anoressia, seguiti da una fase di poliuria e poi di oligoanuria; l’evoluzione verso l’insufficienza renale si verifica nel 70% dei casi e molto spesso risulta irreversibile. L’esame istologico renale dimostra un quadro di nefrite interstiziale con necrosi tubulare diffusa, ostruzione tubulare da materiale necrotico, edema interstiziale, alterazioni glomerulari ischemiche con disintegrazione dei microvilli dell’orletto a spazzola e tendenza alla fibrosi interstiziale [3, 4].

L’unica terapia a disposizione è l’idratazione se la diuresi è ancora conservata, ma il danno renale rimane comunque irreversibile portando ad insufficienza renale cronica; più spesso il paziente risulta anurico e necessita di dialisi a vita fino ad un eventuale trapianto di rene.

 

Conclusioni

Il caso clinico in questione ci ricorda che nei casi di AKI da causa non chiara vanno sempre indagate tutte le possibili cause di insufficienza renale comprese quelle più rare come quelle conseguenti all’ingestione di funghi velenosi, soprattutto nel periodo estivo/autunnale. L’anamnesi approfondita resta sempre di fondamentale importanza.

 

Bibliografia

  1. Warrell DA, Eddleston M. In: Hunter’s Tropical Medicine and Emerging Infectious Disease (Ninth Edition): Elsevier Science, 2013; 923-937.
  2. Dickman KG, Grollman AP. In: Comprehensive Toxicology: Elsevier Science, 2010; 433-458.
  3. Berthaud S, Descotes J. In: Human Toxicology: Elsevier Science,1996; 719-729.
  4. Valli A. et al. I funghi quali causa di malattia renale. Atti del 2° Convegno Internazionale di Micotossicologia, Rovereto, Italia, 2002, 163-174.