Settembre Ottobre 2019 - In depth review

Bardoxolone: un nuovo potenziale agente terapeutico nel trattamento del rene policistico autosomico dominante?

Abstract

La malattia del rene policistico autosomico dominante (ADPKD) è la più frequente causa di insufficienza renale cronica su base genetica. La storia naturale della malattia è caratterizzata dallo sviluppo di multiple cisti renali bilaterali che progressivamente sovvertono l’architettura del parenchima provocando aumento del volume renale totale (TKV) e decadimento della funzione renale. La crescita delle cisti attiva la risposta del sistema immunitario con infiammazione interstiziale e fibrosi che contribuiscono alla progressione della malattia. Negli ultimi anni l’armamentario terapeutico a disposizione del nefrologo nel trattamento dell’ADPKD si è arricchito di nuovi strumenti e in questo contesto il bardoxolone si classifica tra i potenziali agenti terapeutici. Si tratta di un derivato semisintetico dei triterpenoidi, una famiglia di composti largamente in uso nella medicina tradizionale asiatica che da secoli sfrutta le molteplici proprietà di queste molecole. Il bardoxolone esercita effetti antiossidanti promuovendo l’attivazione di Nrf2 (Nuclear factor erythroid2-derived – 2) e la downregolazione del segnale pro infiammatorio di NF-kB (Nuclear factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells). Diverse evidenze supportano l’uso del bardoxolone nel trattamento della malattia renale cronica (CKD) documentando un effetto sull’incremento della velocità di filtrazione glomerulare (GFR). Il suo utilizzo, tuttavia, è limitato in pazienti a rischio di insufficienza cardiaca. Lo studio FALCON chiarirà l’efficacia e la sicurezza del farmaco nel trattamento dell’ADPKD.

Parole chiave: rene policistico, infiammazione, bardoxolone, filtrazione glomerulare

Introduzione

La malattia del rene policistico autosomico dominante (ADPKD) è la più frequente nefropatia geneticamente trasmessa [12]. Si tratta di un disordine monogenico in cui sono state identificate mutazioni a carico di tre geni coinvolti: PKD1 (78% dei casi), PKD2 (15% dei casi) e GANAB (circa 0.3% dei casi) [3].  

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