Un paziente con tumore può essere un donatore di organi?

Abstract

La potenziale trasmissione di neoplasie da donatore a ricevente è un rischio noto nell’ambito del trapianto d’organi. Il Centro Nazionale Trapianti (CNT) ha adottato delle linee guida specifiche per la valutazione dell’idoneità di potenziali donatori d’organo con storia di neoplasia. Il CNT fornisce inoltre un servizio di Second Opinion Oncologica per la valutazione dei donatori con storia oncologica e potenziale rischio di trasmissione di neoplasia al ricevente. L’obiettivo del CNT è minimizzare i rischi di trasmissione di malattia da donatore a ricevente.

Secondo le linee guida CNT, il donatore è definito “standard” se non presenta neoplasie attive o in anamnesi al momento della donazione. Donatori non idonei per “rischio inaccettabile” sono quei pazienti che presentano al momento della donazione o in anamnesi una neoplasia con rischio di trasmissione eccessivamente elevato, pertanto inaccettabile. Avere una neoplasia in sé non costituisce una controindicazione assoluta alla donazione, ma ogni caso deve essere valutato singolarmente.

Il CNT ha istituito un registro per eventi avversi (EA) dopo il trapianto. Dal 2012, con 10.493 donatori utilizzati e 34.193 trapianti effettuati, sono stati registrati 283 EA, che corrispondono a circa il 3% dei processi di donazione e l’1% dei trapianti. Il 13% erano EA oncologici. Nella maggior parte dei casi, EA oncologici derivano da una mancata diagnosi al procurement dell’organo, durante la chirurgia da banco o al trapianto.

Le linee guida, il servizio di Second Opinion Oncologica e il registro per EA hanno aiutato a minimizzare il rischio di trasmissione di neoplasie da donatore a ricevente d’organi.

Parole chiave: tumore, donatore d’organo, trapianto

Introduzione

La donazione di organi può comportare, con il beneficio del trapianto, anche il rischio di trasmissione di una patologia presente nel donatore.  Nel caso di donazione da donatore deceduto, il tempo disponibile è limitato a poche ore, e deve essere fatto ogni sforzo per escludere la presenza di quelle patologie che potrebbero costituire un danno al paziente superiore al beneficio del trapianto. Non si tratta solo della presenza di tumori – di cui si tratterà in maggior dettaglio – ma pure di infezioni gravi, patologie immunitarie o genetiche che se presenti nel donatore potrebbero essere di grave danno per i riceventi.

Il divario tra richiesta di organi e l’offerta è, a tutt’oggi, molto elevato. Per quanto sia sempre maggiore l’impegno profuso dalla Rete Nazionale Trapianti, coordinata dal Centro Nazionale Trapianti (CNT), il numero di persone che muoiono in lista di attesa è sempre elevato. Nel 2022 a fronte di 3.887 organi trapiantati, derivanti da 1.830 donatori deceduti/viventi, risultavano ancora in lista al 31.12.22 più di 8.000 pazienti. Per alcuni organi, principalmente il rene, la situazione è sicuramente meno critica considerando le possibilità di terapie alternative, per altri organi invece le difficoltà sono evidenti e questo spinge a dover ampliare sempre di più il pool di donatori e a cercare di utilizzare sempre di più donatori un tempo ritenuti marginali se non addirittura non idonei.

Al fine di ampliare il numero di potenziali donatori, a partire dal 2004 il CNT si è avvalso di una commissione nazionale per la sicurezza che ha il compito di fornire alla Rete Nazionale Trapianti (RNT) un supporto ed un punto di riferimento dal punto di vista medico-legale, infettivologico, anatomo-patologico, immunologico, genetico ed ematologico. Questa task-force di esperti, cosiddetta Second Opinion, garantisce supporto 7 giorni su 7, h24, e contribuisce a rafforzare ulteriormente la qualità e la sicurezza di tutto il percorso della donazione di organi solidi.

In particolare, la Second Opinion Oncologica (SOO) rappresenta lo strumento consultivo cui i Centri Regionali Trapianto (CRT) possono rivolgersi durante la valutazione di idoneità organo/donatore in presenza di un rischio di trasmissione di una neoplasia al ricevente.

La valutazione di idoneità del donatore è un processo dinamico che si basa sia su informazioni clinico-strumentali del donatore in corso di procurement sia sulle caratteristiche cliniche dei potenziali riceventi.

Sono principalmente due i momenti, durante il percorso di donazione, in cui la SOO può essere chiamata in causa, durante il procurement per valutare neoplasie presenti nell’anamnesi del donatore e quindi indicare il rischio oncologico pre-sala, oppure al momento del prelievo degli organi se viene riscontrata una lesione sospetta per neoplasia e si deve valutare la necessità di eseguire un esame istologico estemporaneo e successivamente indicarne il livello di rischio.

 

Le linee guida nazionali di idoneità del donatore d’organi

La rete italiana si è dotata di una normativa di riferimento: “Valutazione dell’idoneità del donatore in relazione a patologie neoplastiche (tumori solidi)” approvata in Accordo Stato-Regioni (ASR 24) nel gennaio 2018 (Rep. atti 17/CSR). Più recentemente queste linee guida sono state aggiornate (Versione 2.0 approvata nella seduta CNT‐Consulta Tecnica Permanente per i Trapianti il 17 marzo 2022, e disponibili al link: https://www.trapianti.salute.gov.it/imgs/C_17_cntPubblicazioni_480_allegato.pdf). Nelle raccomandazioni di questo documento, i due momenti sono, dove possibile, tenuti distinti in linea con quanto suggerito nelle Linee Guida della Comunità Europea, dove è ben evidente la differenza tra neoplasia diagnosticata al momento del prelievo e una neoplasia presente in anamnesi. Nel primo caso, bisogna essere molto scrupolosi ed accurati nei confronti di qualsiasi lesione sospetta per malignità identificata all’esame clinico o con metodiche imaging ed effettuare una verifica attraverso una diagnosi al congelatore in corso del processo donativo. Nel caso di una neoplasia presente in anamnesi si è chiamati ad esprimere un giudizio sul tipo di neoplasia ma si deve tenere ben presenti anche altri fattori, tra cui: intervento chirurgico radicale, stadiazione della neoplasia, follow-up regolare e documentato, eventuali ricorrenze cliniche o biochimiche di malattia. In questi casi è doveroso attendere che siano trascorsi almeno 5 anni dall’intervento chirurgico, tenendo per il momento da parte il carcinoma della mammella ed il melanoma, per i quali probabilmente sarà più prudente attendere un periodo di tempo maggiore, e che siano disponibili quante più possibili notizie inerenti al follow-up svolto dal donatore. In questa revisione delle linee guida è stata introdotta anche un’altra novità inerente al rischio non standard accettabile, infatti all’interno di questa categoria si sono distinte due sotto-categorie: accettabile a basso e ad alto rischio.

 

La valutazione di idoneità del donatore d’organi e di tessuto

Questa procedura è finalizzata a ridurre al minimo il rischio di trasmissione di malattie dal donatore al ricevente in seguito al trapianto. Nelle linee si definisce donatore idoneo o standard un donatore che non presenta, sulla base di tutte le informazioni/evidenze cliniche disponibili al momento della donazione o nella storia anamnestica, segni di neoplasia maligna. Situazione opposta, donatore non idoneo, rischio inaccettabile, quando si identificano al momento della donazione o nel raccordo anamnestico evidenze di un processo neoplastico maligno che comporterebbe un rischio troppo elevato di trasmissione neoplastica e che tale rischio è grandemente più elevato rispetto al rischio connesso al mantenimento in lista di attesa del potenziale ricevente. Tra queste due categorie di donatori esiste un’ampia area intermedia che racchiude una molteplicità di situazioni per le quali il rischio non è completamente assente, ma non è neanche così elevato da dover escludere a priori la possibilità di utilizzo degli organi. Questo gruppo viene definito donatori non standard. Nelle ultime due decadi, grazie ai dati della letteratura e all’enorme lavoro di raccolta di informazioni inerenti i donatori non standard svolto dal CNT, unitamente alle second opinion nazionali e ai vari CRT, è stato possibile rivedere e dettare delle sicure raccomandazioni per l’utilizzo degli organi di questo ampio numero di donatori e si è altresì compreso che non ci sono differenze, per quanto riguarda la qualità dell’organo, tra organi di donatore a rischio standard rispetto a quelli di un donatore a rischio non standard. Con tale affermazione si intende precisare che a parità di caratteristiche cliniche, in genere, la presenza di una neoplasia al momento della donazione o nella storia anamnestica del donatore, non altera la morfologia e la funzione dell’organo. Numerosi dati in letteratura, infatti, dimostrano che, ad esempio, l’utilizzo di organi da donatori con patologia neoplastica pregressa o in atto del sistema nervoso centrale, non inficia in alcun modo la qualità dell’organo e non altera l’outcome del ricevente. Risultati analoghi sono presenti anche per quanto riguarda l’utilizzo di reni con piccole neoplasie, previa la loro escissione radicale, come sottolineato dal gruppo di ricerca australiano [1] o anche dal gruppo di ricerca cinese [2]. Secondo le indicazioni più recenti, i donatori idonei a rischio non standard possono rientrare in una delle seguenti categorie: non standard trascurabile, non standard accettabile a basso rischio (si tratta di un donatore che presenta una neoplasia maligna in anamnesi oppure è stata diagnosticata al momento del prelievo degli organi, per la quale sono definibili con certezza istotipo, grado e stadio) e non standard accettabile ad alto rischio (si tratta di un donatore che presenta una neoplasia maligna in anamnesi che potrebbe avere un rischio di trasmissione dal 4 al 10%. In questa categoria sono contemplati gli organi utilizzabili solo per pazienti in gravi condizioni cliniche). Per ognuna di queste categorie, il trapianto può essere effettuato ma in riceventi che abbiano caratteristiche particolari, per i quali il beneficio del trapianto supera il rischio di trasmissione della patologia neoplastica. Nella Tabella I vengono sintetizzate le tipologie di tumori che rientrano in ciascuna di queste categorie.

Rischio standard Non standard trascurabile Non standard accettabile Rischio inacettabile
Basso rischio Alto rischio
  • i tumori benigni
  • le lesioni precancerose
  • Le lesioni displastiche.
  • Papillomi o adenomi
  • CIN/SIL (cervice uterina);
  • PIN di alto e di basso grado della prostata;
  • qualsiasi lesione precedentemente rimossa con diagnosi di displasia
  • diagnosi di displasia al momento del prelievo organi (esame istologico estemporaneo)

  • carcinoma in situ di qualsiasi organo, escluso quello di alto grado della mammella;
  • carcinoma basocellulare cutaneo;
  • carcinoma spinocellulare/squamoso cutaneo;
  • carcinoma uroteliale papillifero intraepiteliale di basso grado;
  • carcinoma prostatico:
  • micro-carcinoma papillifero della tiroide (dimensioni massime < 1 cm);
  • carcinoma del rene (a cellule chiare/papillifero/cromofobo) a basso grado (grado 1-2) < 4 cm (pT1a sec. WHO 2016) basso stadio
  • IPMN pancreas di basso grado secondo WHO 2019;
  • GIST ≤2 cm con meno di 5 mitosi/50 hpf (vedi tabella GIST);
  • adenocarcinoma polmonare in situ o minimamente invasivo (pT1a-mi) con almeno 5 anni di follow-up;
  • neoplasie cerebrali benigne;
  • neoplasie cerebrali maligne a basso grado di malignità/WHO grado 1-2.
  • carcinoma gastrico EGC-pT1/N0 (trascorsi più di 5 anni)
  • carcinoma intestinale del colon-retto pT1-2/N0, senza invasione vascolare/perineurale (trascorsi più di 5 anni)
  • IPMN pancreas con displasia di alto grado /carcinoma in situ secondo WHO 2019
  • carcinoma prostatico o dopo esame istologico completo durante procurement: ≤pT2 con score di Gleason =7 (4+3); o prostatectomia in anamnesi: dosaggio del PSA <0,2 ng/ml con <pT2 con Gleason score >7 e sono trascorsi più di 5 anni o Rischio pre-sala nei casi che attendono l’esito dell’esame istologico in corso di procurement
  • carcinoide tipico polmonare pT1/N0 (trascorsi più di 5 anni)
  • Melanoma infiltrante ≤0,5 mm (trascorsi più di 5 anni)
  • GIST ≤10 cm con meno di 5 mitosi /50 hpf
  • carcinoma gastrico pT2/N0, senza invasione vascolare perineurale (trascorsi almeno 5 anni e con TAC attuale negativa);
  • carcinoma intestinale del colon-retto pT3/N0 senza invasione vascolare/perineurale (trascorsi almeno 5 anni e con TAC attuale negativa);
  • Carcinoma prostatico o dopo esame istologico completo durante procurement: ≤pT2 con score di Gleason >7 oppure >pT2 e score di Gleason =7 (4+3); o prostatectomia in anamnesi: PSA <0,2 ng/ml con >pT2 e Gleason score >7 e sono trascorsi almeno 5 anni e la TAC attuale è negativa; post-radioterapia: PSA >2 ng/ml nadir con ≤pT2 e Gleason score >7; oppure >pT2 e Gleason score=7 (4+3) e sono trascorsi almeno 5 anni con TAC attuale negativa.
  • carcinoma della mammella;
  • melanoma infiltrante ≤0,8 mm e con linfonodo sentinella negativo (sono trascorsi almeno 5 anni e con TAC attuale negativa);
  • GIST > 10 cm con meno di 5 mitosi /50 hpf (sono trascorsi almeno 5 anni e con TAC attuale negativa).
  • Qualsiasi tipo di neoplasia epiteliale con stadio pT1-4 /N+/- diagnosticata al momento della donazione con esclusione delle neoplasie riportate al punto B1 profilo di rischio trascurabile;
  • carcinoma prostatico dopo esame istologico completo durante procurement: >pT2 e score di Gleason >7; o prostatectomia in anamnesi: PSA >0,2 ng/ml o con >pT2, Gleason score >7 e non sono trascorsi 5 anni; o post-radioterapia: PSA >2 ng/ml nadir con >pT2 e Gleason score >7
  • carcinoma della mammella con meno di 10-15 anni di follow-up
  • IPMN con componente di adenocarcinoma infiltrante
  • GIST con più di 5 mitosi per hpf (vedi tabella GIST)
  • Tumori SNC con neoplasie primitive gliali sec. WHO di alto  grado con almeno uno dei fattori di rischio clinici: carcinomi (ex. carcinoma dei plessi corioidei) / medulloblastoma/ cordomi /tumori embrionari /pineoblastoma
  • melanomi primitivi
  • linfomi
  • tumore fibroso solitario/emangiopericitoma grado 3 WHO/sarcomi delle meningi
  • processi metastatici
Tabella I. Il livello di rischio di trasmissione di un tumore, secondo quanto indicato dalle linee guida nazionali.

 

Quando non viene identificato il rischio oncologico

Pur seguendo le indicazioni della buona pratica clinica, può non essere identificato un rischio oncologico del potenziale donatore. La rete nazionale per questo si è dotato di uno strumento in grado di raccogliere tutti gli eventi non previsti che hanno riguardato la donazione e il trapianto di organi. La gestione del rischio clinico nazionale prevede che ogni CRT debba segnalare Eventi Avversi (EA, che non compartano un rischio di morte per il ricevente) o Reazioni Avverse (RA, che possono essere causa di decesso) che abbiano riguardato il processo di donazione e trapianto. Dal 2012, il CNT ha raccolto 283 segnalazioni di EA/RA. Nello stesso periodo il numero di donatori di organo è stato pari a 10.493, mentre il numero dei trapianti effettuati 34.193. In sintesi, in circa 1% dei trapianti effettuati e in circa 3% dei processi di donazione si è verificata un EA o una RA. Questi rischi non sono diversi da quelli segnalati in letteratura per le varie discipline mediche [3]. La Figura 1 illustra le diverse tipologie di rischio che sono state raccolte: quelle oncologiche rappresentano circa il 13% di tutte le segnalazioni. Il più delle volte la fase del processo nella quale si è generata una EA/RA è quella della chirurgia da banco, o del trapianto o del prelievo. Questo vale anche per le EA/RA oncologiche, è il caso ad esempio un tumore renale non intercettato in fase di monitoraggio del donatore ma di cui ci si accorge solo al momento del prelievo o della chirurgia da banco. Se si intercetta un tumore nella fase della chirurgia da banco o del trapianto di rene, gli altri organi salvavita sono già stati trapiantati. Più di rado, il tumore di origine del donatore viene accertato solo nel follow-up del trapianto, quando più riceventi di organi dello stesso donatore risultano poi ammalarsi dello stesso tumore. È questo il caso, ad esempio, di una leucemia mieloide acuta (LMA) che è stata diagnostica ai 2 riceventi di rene e al ricevente di fegato dello stesso donatore. La LMA non era in alcun modo identificabile nel donatore, che non presentava parametri alterati. Questo caso molto raro di trasmissione di un tumore dal donatore al ricevente è stato approfondito con l’analisi genomica del donatore (utilizzando il campione di DNA a disposizione del CRT) e quello dei riceventi prima e dopo il trapianto, al momento della comparsa della LMA. Queste analisi hanno consentito di comprendere che la LMA era già presente nel donatore, in una quota del 15% circa delle cellule circolanti. Le caratteristiche dei tumori nei riceventi erano quelle del donatore (i profili genetici riconducevano al profilo del donatore), con le stesse mutazioni (ad esempio quella del gene NPM1) presenti nel donatore. Le ulteriori mutazioni del tumore erano però evolute in maniera indipendente nei pazienti trapiantati, come ad esempio la mutazione del gene FLT3, presente in uno solo dei riceventi. Infine, l’analisi genomica ha dimostrato che l’aggressività del tumore nei riceventi trovava spiegazione non solo dalla terapia immunosoppressiva a cui erano sottoposti ma anche dalla delezione di alcuni geni HLA che conferivano al tumore la capacità di sfuggire alla sorveglianza immunitaria [4].

In questo caso non è stato possibile introdurre azioni correttive nella procedura di gestione del donatore, per escludere il ripetersi di questo evento. Infatti, non sono ancora disponibili test molecolari veloci compatibili con le tempistiche della donazione per intercettare potenziali donatori portatori di una LMA che non abbia dato ancora manifestazioni cliniche. In altre situazioni, è stato possibile introdurre elementi correttivi grazie alla raccolta e analisi degli EA/RA. È questo il caso, non in relazione al rischio oncologico, che riguarda la corretta conservazione dei reni durante il loro trasporto. Nella Figura 2 viene illustrato come in 10 anni siano stati segnalati 15 EA per problematiche sorte per un confezionamento non adeguato dei reni, soprattutto in relazione al mantenimento della temperatura di trasporto dell’organo. Per questo il 15 luglio 2021 è stata licenziata una procedura CNT per il confezionamento, conservazione e trasporto dei reni e dei campioni biologici a scopo di trapianto [5].

È interessante notare come da quel momento non siano più stati segnalati dalla rete italiana eventi avversi relativi a questo processo, configurandosi un buon esempio di come la gestione del rischio clinico consenta di apportare azioni correttive importanti e utili.

Figura 1. Eventi o Reazioni avverse che sono state raccolte dal CNT tra il 2012 e il 2021 in relazione alla tipologia di rischio (panel A) o alla fase del processo in cui sono state intercettate (panel B).
Figura 1. Eventi o Reazioni avverse che sono state raccolte dal CNT tra il 2012 e il 2021 in relazione alla tipologia di rischio (panel A) o alla fase del processo in cui sono state intercettate (panel B).
Figura 2. Le reazioni avverse segnalate in 10 anni dalla rete italiana in relazione al confezionamento e/o trasporto dei reni destinati a trapianto.
Figura 2. Le reazioni avverse segnalate in 10 anni dalla rete italiana in relazione al confezionamento e/o trasporto dei reni destinati a trapianto.

 

Conclusioni

La diagnosi pregressa o attuale di un tumore nel potenziale donatore non costituisce di per sé una controindicazione assoluta al prelievo e trapianto degli organi. La rete nazionale trapianti si è dotata di linee guida per facilitare la classificazione dei donatori in relazione al rischio di trasmissione di tumore. Inoltre, mette a disposizione dei “second opinion” per facilitare la valutazione del rischio oncologico. Le analisi preliminari della rete italiana dei trapianti indicano che le sopravvivenze degli organi che provengono da donatori non standard non sono diverse da quelle di donatori classificati come standard. La rete nazionale trapianti si è inoltre dotata di uno strumento per la gestione del rischio clinico, che consente di sorvegliare tutti gli eventi avversi che sono stati segnalati dalla rete. Questo consente una periodica revisione delle linee guida e procedure in atto, per diminuire il rischio di ripetizione degli eventi avversi. Va da sé che le attuali disposizioni in merito al rischio di trasmissione di tumori dal donatore con neoplasia ai riceventi sono dinamiche, e vanno rivalutate alla luce dell’esperienza maturata nella rete e dalla comunità scientifica internazionale. Ad esempio, uno studio recente ha determinato il rischio di trasmissione del cancro associato ai trapianti di organi da donatori deceduti con tumori cerebrali primari. Questo studio ha incluso un totale di 282 donatori con tumori cerebrali primari che avevano reso possibile 887 trapianti. 262 trapianti di essi provenivano da donatori con tumori ad alto grado e 494 da donatori con precedente intervento neurochirurgico o radioterapia. Tra gli 83 tumori maligni post-trapianto che si sono verificati in media dopo 6 anni in 79 riceventi di trapianti da donatori con tumori cerebrali, nessuno era di tipo istologico corrispondente al tumore cerebrale del donatore. La sopravvivenza del trapianto era equivalente a quella dei controlli abbinati. I risultati di questo studio di coorte suggeriscono quindi che il rischio di trasmissione del cancro nei trapianti da donatori deceduti con tumori cerebrali primari era inferiore a quanto si pensasse in precedenza, anche nel contesto di donatori considerati a rischio più elevato. Gli esiti del trapianto a lungo termine sono favorevoli [6].

Questi risultati suggeriscono che potrebbe essere possibile espandere in modo sicuro l’utilizzo di organi da questo gruppo di donatori [7].

 

Bibliografia

  1. DL et al. Kidney from patients with small renal tumors: a novel source of kidneys for transplantation. BJU Int 2008; 102:188–192 https://doi.org/1111/j.1464-410X.2008.07562.x.
  2. Wang X, Zhang X, Men T, et all. Kidneys With Small Renal Cell Carcinoma Used in Transplantation After Ex Vivo Partial Nephrectomy. Transplant Proc. 2018 Jan-Feb;50 (1):48-52. https://doi.org/10.1016/j.transproceed.2017.12.006.
  3. Jena AB, Seabury S, Lakdawalla D, et all. Malpractice risk according to physician specialty. N Engl J Med. 2011 Aug 18;365(7):629-36. https://doi.org/10.1056/NEJMsa1012370.
  4. Marchionni L, Lobo FP, A. Amoroso et all. Donor-derived acute myeloid leukemia in solid organ transplantation. Am J Transplant. 2022 Dec;22(12):3111-3119. https://doi.org/10.1111/ajt.17174.
  5. Centro Nazionale Trapianti – Istituto Superiore di Sanità – 2021 “Procedura nazionale confezionamento, conservazione, trasporto di reni e campioni biologici a scopo di trapianto” https://www.trapianti.salute.gov.it/imgs/C_17_cntPubblicazioni_417_allegato.pdf .
  6. Greenhall GHB, Rous BA, Robb ML, et all. Organ Transplants From Deceased Donors With Primary Brain Tumors and Risk of Cancer Transmission. JAMA Surg. 2023 May 1;158(5):504-513. https://doi.org/10.1001/jamasurg.2022.8419.
  7. Fong Y. Expanding the Donor Pool for Organ Transplant Using Organs From Donors With Cancer. JAMA Surg. 2023 May 1;158(5):513-514. https://doi.org/10.1001/jamasurg.2022.8427.

La Scuola Nefrologica Barese

Abstract

Questo articolo descrive la nascita e lo sviluppo della Scuola Nefrologica Barese che ha nobili origini nella Scuola Medica Italiana. La narrazione comincia con la descrizione della mia passione iniziale per la Medicina Interna e dopo per la Nefrologia, in cui si comprende l’importante ruolo che un docente ha sui propri discenti negli anni di formazione nell’università.

La seconda sezione descrive il disegno maturato e rivisto nel corso degli anni per realizzare la Scuola Nefrologica Barese, ispirandosi principalmente all’esperienza acquisita all’estero e coltivando le relazioni scientifiche con i colleghi a livello internazionale.

Nella terza sessione sono descritte le origini storiche della Scuola Nefrologica Barese, che è notevolmente cresciuta nel corso di 30 anni. Infine, dopo un breve cenno alla mia famiglia, non potevo non nascondere la mia passione per lo sport, vissuto in prima persona come attività podistica, e per il calcio. Il cinema ed il teatro sono un ottimo viatico per meditare.

In conclusione, la mia più viva speranza è che i miei allievi si ricordino sempre di perseguire obiettivi di eccellenza scientifica e, quando dovranno scegliere una persona da formare, quale potenziale futuro giovane ricercatore, osservino sempre i due principi fondanti della Scuola: serietà professionale, basata su un’ottima conoscenza clinica, e serietà scientifica, supportata da un’ottima produzione scientifica.

Parole chiave: Scuola Nefrologica, Nefrologia, Dialisi, Trapianto, Ricerca clinica

La mia vita di nefrologo con la passione per la clinica e la ricerca

La passione per la medicina interna e la nefrologia

La mia passione per la Medicina Interna è iniziata nel 1962 quando fui conquistato dall’approccio didattico del Prof. Virgilio Chini, che svolgeva le lezioni di Clinica Medica al quinto e sesto anno del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia nell’Università di Bari, presentando e commentando casi clinici complessi. Il Prof. Chini era un allievo del Prof. Frugoni, Clinico Medico, prima nell’Università di Padova e poi in quella di Roma.

In qualità di studente interno venivo da un’attività svolta prima in Anatomia Umana con il Prof. Rodolfo Amprino per 2 anni e dopo in Patologia Speciale Medica con il Prof. Claudio Malaguzzi-Valeri per altri 2 anni.  L’attrazione per la Medicina Interna si concretizzò con un internato di 2 anni in Clinica Medica dove trascorsi molto tempo in corsia. Durante quel periodo preparai una tesi di laurea sulla proteinuria dal titolo “Studio elettroforetico e cromatografico delle proteine urinarie”. In quell’occasione conobbi il mio maestro Prof. Lorenzo Bonomo, allora Aiuto del Prof Chini, che mi introdusse allo studio della immunologia e protidologia. Nel luglio del 1964 conseguii la laurea con il massimo dei voti e la lode e ricevetti il premio di laurea Lepetit per l’ottima tesi sperimentale. Dopo due anni, con l’aiuto del mio maestro, i risultati della tesi furono oggetto della mia prima pubblicazione su una rivista internazionale.

Dopo la laurea frequentai la Scuola di Sanità Militare per Allievi Ufficiali a Firenze, e dopo il Corso fui inviato, in qualità di Ufficiale Medico, prima al Battaglione Sila di Cosenza e dopo all’Ospedale Militare di Bari. Durante la frequenza della Scuola di Specialità in Medicina Interna ero allocato nel piano riservato ai medici della Clinica Medica. Pertanto la mia vita di specializzando fu un lungo periodo vissuto in corsia per l’attività clinica ed in laboratorio per l’attività scientifica. Fu in quel periodo che, praticando anche molta attività interventistica, come svuotamento di toraci con versamento pleurico, addomi con versamento ascitico, biopsie epatiche, e continuando ad occuparmi di proteinuria, fui inviato dal mio Maestro a Roma a frequentare per un trimestre l’Istituto di Patologia Speciale Medica del Policlinico Umberto I di Roma, diretto dal Prof. Cataldo Cassano, dove sotto la guida del suo Aiuto, Prof. Giuseppe Andres, imparai ad eseguire la biopsia renale previa insufflazione di ossigeno creando, in tal modo, un retropneumoperitoneo per visualizzare meglio il rene che doveva essere biopsiato. In quell’occasione imparai anche ad applicare la tecnica dell’immunofluorescenza sul tessuto renale. Al rientro a Bari iniziai ad effettuare le biopsie renali.

Dopo 4 anni di specialità di Medicina interna, prima di conseguire il diploma, fui invitato a partecipare ad un bando nazionale per una borsa di studio per soggiorno di due anni in una università europea. Fu così che nel 1968 iniziò la mia attività clinica e di ricerca presso l’Università Cattolica di Louvain (Belgio), dove sotto la guida di due eminenti figure della Nefrologia (Prof. C. Van Ypersele) e della Trapiantologia (Prof. G. Alexandre) mi fu affidato il compito di seguire i pazienti con trapianto di rene e di studiare la proteinuria in collaborazione con i Proff. E.C. Laterre e J.F. Heremans (illustre protidologo europeo). Il focus dello studio era la beta2 microglobulina urinaria, espressione di danno tubulare, nel trapianto di rene.

La passione per la ricerca clinica in nefrologia

Dopo due anni di attività a Louvain rientrai a Bari e nel 1971, a seguito della apertura della prima Scuola di Specialità in Nefrologia in Italia, mi avviai a conseguire quella specialità che sancì definitivamente la mia vita di nefrologo clinico e ricercatore, studiando oltre alle proteinurie, gli aspetti immunologici delle glomerulonefriti nell’Istituto di Clinica Medica, diretta dal mio Maestro, Prof. Lorenzo Bonomo. In quella sede ho trascorso 20 anni della mia carriera accademica, prima in qualità di libero docente in Patologia Speciale Medica, poi di ricercatore universitario, professore associato ed infine di professore ordinario in Medicina Interna (Terapia Medica Sistematica), per poi passare alla Nefrologia. Un percorso analogo a quello di tanti altri nefrologi che venivano dagli Istituti di Semeiotica Medica, Patologia Speciale Medica e Clinica Medica. La mia presenza in Clinica si alternò con altri periodi di soggiorno all’estero. Pertanto, trascorsi, prima, un anno a Londra presso il Guy’s Hospital dove, sotto la guida dell’amico Stewart Cameron, illustre nefrologo internazionale, studiai alcuni aspetti terapeutici delle glomerulonefriti e, successivamente, andai per alcuni mesi a Cleveland, Ohio (U.S.A.), presso l’Istituto di Anatomia Patologica della Case Western Reserve University, dove con l’amico Steven Emancipator approfondimmo alcuni aspetti immunologici della glomerulonefrite a depositi mesangiali di IgA. Quest’attività di ricerca fu proseguita da alcuni miei allievi che frequentarono per anni quell’istituto. Durante la mia permanenza a Cleveland maturai l’idea che era arrivato il momento di pensare al futuro, ovvero formare un gruppo misto di giovani medici e biologi perché l’esperienza maturata all’estero mi fece capire che per la ricerca era necessaria una stretta collaborazione tra ricercatori medici e biologi.

 

Sviluppo e realizzazione della Scuola Nefrologica Barese

Dopo il mio rientro dall’Università Cattolica di Louvain, invitai alcuni miei collaboratori a trascorrere brevi periodi di soggiorno in Europa. Ma dopo aver conseguito il titolo di professore ordinario e con l’esperienza maturata all’estero, arrivai alla conclusione che un giovane ricercatore per realizzare un progetto, doveva trascorrere un soggiorno di almeno due anni, per imparare nuove tecniche ed ottenere risultati per almeno una pubblicazione scientifica relativa al progetto. L’ideale era inviare giovani che avessero già acquisito una certa esperienza clinica e scientifica. Pertanto un giovane specializzando con tre anni di attività clinica e di ricerca scientifica in laboratorio era la persona ideale per poter realizzare in altra sede un progetto biennale o di maggior durata [1].

Nel 1985, in occasione del 18° Congresso dell’American Society of Nephrology a New Orleans, cominciarono i primi contatti. Nel corso di tre decenni, molti allievi frequentarono università americane ed europee (Tabella 1) ed il Congresso annuale dell’American Society of Nephrology divenne il punto di riferimento dove gli allievi mi relazionavano sulla loro attività scientifica. Ma la mia presenza fisica non si fece mancare in tutte quelle sedi dove, invitato a tenere delle conferenze, trascorrevo alcuni giorni nella sede con l’allievo per programmare le attività future dopo il rientro a Bari. Inoltre, ogni anno, il mio gruppo di lavoro presentava uno o più abstract al Congresso dell’American Society of Nephrology. Sono state queste le occasioni in cui gli allievi hanno presentato i dati dei loro progetti e si sono posti all’attenzione della comunità scientifica internazionale.

ALLIEVO MENTORE ISTITUZIONE
Pastore A. Spath P.J. Central Laboratory, Swiss Red Cross, Bern, Switzerland
Germinario C. Lambert P.H. Centre of Vaccinology, University of Geneve, Switzerland
Russo R. Kazatchkine M.D. Service de Néphrologie and INSERM U28, Hospital Brousias, Paris, France
Grasso C. Lubec G. Dept of Pediatrics, University of Vienna, Austria
Gesualdo L. Emancipator S.N. Institute of Pathology, Case Western Reserve University, Cleveland, Ohio, USA
Grandaliano G. Abboud H.E. Dept of Medicine, University of Texas Health Science Center, San Antonio, USA
Scivittaro V. Emancipator S.N. Institute of Pathology, Case Western Reserve University, Cleveland, Ohio, USA
Ranieri E. Storkus W.J. Dept of Surgery, University of Pittsburg School of Medicine, Pennsylvania, USA
Montinaro V. Rifai A. Dept of Pathology, Rhode Island Hospital, Providence, USA
Castellano G. Daha M.R. Dept of Nephrology, Leiden University Medical Centre, Leiden, The Netherlands
Zaza G. Evans W.E. St. Jude Children’s Research Hospital, Memphis, Tennessee, USA
Rossini M. Fogo A.B. Dept of Pediatrics, Vanderbilt University School of Medicine, Nashville, Tennessee, USA
Strippoli G.F.M. Graig J.C. NHMRC Centre of Clinical Research Excellence in Renal Medicine, University of Sydney, Australia
Pesce F. Falchi M. Dept of Genomics of Common Diseases, Imperial College London, London, UK
Simone S. Abboudh H.E. Dept of Medicine, University of Texas Health Science Center, San Antonio, USA
Fiorentino M. Kellum S. A. Centre of Critical Care Nephrology, University of Pittsburg, Pittsburg, USA
Tabella 1: Elenco degli allievi che hanno frequentato Istituzioni cliniche e di ricerca all’estero.

Durante il periodo di permanenza degli allievi all’estero, il primo elemento da tenere sotto controllo era lo stato di accoglienza ed il lavoro svolto dall’allievo in modo che l’istituto ospite potesse finanziare il secondo anno di permanenza. Secondo punto, era necessario trovare una collocazione al rientro in sede per non perdere l’allievo con l’esperienza acquisita che doveva servire a far crescere il gruppo. Terzo punto, trovare fondi per attrezzare la clinica di nuove strumentazioni che gli allievi avevano già utilizzato in altre sedi. Quarto punto, dare una continuità alla ricerca preparando progetti che potessero essere finanziati in Italia o all’estero con il coinvolgimento dei colleghi che avevano ospitato i miei allievi.

Questo programma, meditato e modificato dal punto di vista organizzativo nel corso degli anni, ha permesso di realizzare una Scuola dove sono stati studiati e approfonditi i diversi campi della ricerca in Nefrologia, Dialisi e Trapianto (Tabella 2). Ovviamente nell’attuare un programma, che si è svolto durante tutta la mia carriera accademica e continua oggi con la ricerca effettuata nella Fondazione Schena, da me costituita nel 2012, ho incontrato anche molte difficoltà che ho dovuto superare.

Glomerulonefriti primitive e secondarie
Immunocomplessi circolanti
Sistema del complemento e angioedema ereditario
Sistema della coagulazione
Pielonefrite
Biopsia renale (istologia ed immunofluorescenza)
Proteinurie
Calcolosi renale
Pre-eclampsia
Cellule staminali renali
Biocompatibilità delle membrane dialitiche
Trapianto renale
Studi clinici randomizzati ed osservazionali
Intelligenza Artificiale in Nefrologia
Revisioni sistematiche e meta-analisi
Tabella 2: Aree di ricerca della Scuola Barese in Nefrologia, Dialisi e Trapianti.

I principi meritocratici della Scuola sono sempre stati: serietà professionale basata su un’ottima conoscenza clinica, e serietà scientifica supportata da un’ottima produzione scientifica con traiettoria costante e consistenza di contenuto. La Scuola ha organizzato Congressi Scientifici Nazionali ed Internazionali in Puglia e ha ospitato, per ben due volte, il Congresso Nazionale della Società Italiana di Nefrologia, festeggiando nel 2007, il 50° anniversario della Costituzione della Società [2].

La Scuola Nefrologica Barese nel corso degli anni ha vinto molti progetti con finanziamenti forniti da istituzioni pubbliche e private in Italia e all’estero (Tabella 3), ed anche dopo ho continuato questo cammino con la Fondazione Schena. L’attività di ricerca è stata svolta sempre nel Policlinico di Bari e per 10 anni anche nel Consorzio C.A.R.S.O. di Valenzano, da me diretto, dove la Scuola e la Fondazione hanno vinto progetti di ricerca per un valore totale di 20 milioni di euro (Figura 1). Successivamente, in qualità di Emerito, sono rientrato nel Policlinico di Bari dove continuo a svolgere attività di ricerca con i miei collaboratori.

CNR
Ministero Pubblica Istruzione
Regione Puglia
Università di Bari
Ministero dell’Università e della Ricerca
Ministero della Sanità e dopo della Salute
Istituto Superiore di Sanità
Extramural Grant Baxter
National Institutes of Health
European Commission
Industrie per studi clinici randomizzati
Tabella 3: Lista delle Istituzioni che hanno finanziato la Scuola Nefrologica Barese e la Fondazione Schena.
 Il gruppo di ricerca della Scuola Nefrologica Barese che lavorava nel Consorzio
Figura 1: Il gruppo di ricerca della Scuola Nefrologica Barese che lavorava nel Consorzio C.A.R.S.O. Da sinistra verso destra: I ricercatori PhD De Palma G, Serino G, Cox SN, il sottoscritto, Sallustio F, Curci C. e Pesce F.

 

Origini storiche della Scuola Nefrologica Barese

La Figura 2 mostra l’albero genealogico della Scuola Nefrologica Barese che, come tutte le specialità, proviene da una delle Scuole di Medicina Interna. Nel nostro caso il fondatore è stato Francesco Orsi (1828-1909), Clinico Medico dell’Università di Pavia, che portò in cattedra due allievi, Pietro Grocco (1856-1916) a Firenze e Carlo Forlanini (1847-1918) a Pavia. Pietro Grocco fu il maestro di tre noti Clinici Medici come Raffaello Silvestrini (1868-1959) a Perugia, Pio Bastai (1888-1975), prima a Padova e dopo a Torino, e Cesare Frugoni (1881-1978) che dall’Università di Padova fu chiamato all’Università di Roma. I primi allievi e futuri cattedratici, furono Guido Melli (1900-1985) a Milano, Flaviano Magrassi (1908-1975) a Napoli e Virgilio Chini (1901-1983) a Bari. Tra gli allievi del Prof Chini, vanno ricordati Claudio Malaguzzi Valeri (1910-1995) prima patologo medico e dopo clinico, Oronzio Schiraldi (1924-2022) infettivologo e Lorenzo Bonomo (1924-2020) clinico medico prima nell’Università di Bari e dopo nell’Università La Sapienza di Roma.

Figura 2: Albero genealogico della Scuola Nefrologica Barese.
Figura 2: Albero genealogico della Scuola Nefrologica Barese.

La Scuola Nefrologica Barese iniziò i primi passi con il Prof. Albero Amerio (1916-2006), nefrologo ed aiuto del Prof Malaguzzi-Valeri. Fu il primo ad istituire in Italia la Scuola di Specialità in Nefrologia, ed il sottoscritto, allievo del Prof. Bonomo, in Clinica Medica, fu uno dei primi a frequentare la Scuola di Specialità negli anni ’70. Oggi, a seguito di quel progetto descritto e realizzato nel corso di 30 anni, la nefrologia pugliese è rappresentata da 5 professori ordinari di cui in questo momento l’ultimo è Giovanni Strippoli, già professore ordinario aggiunto di Epidemiologia Clinica nell’Università di Sydney e oggi ordinario di Nefrologia nell’Università di Bari. Comunque ai Professori Ordinari, Loreto Gesualdo nell’Università di Bari, Giuseppe Grandaliano nell’Università Cattolica di Roma, Giovanni Stallone nell’Università di Foggia e Giuseppe Castellano nell’Università Statale di Milano, si devono aggiungere i professori associati Carlo Manno, Giovanni Battista Pertosa, Gianluigi Zaza ed i prossimi professori associati Francesco Pesce a Roma e Marco Fiorentino a Bari. Tutti questi allievi hanno svolto un ruolo importante dal punto di vista scientifico e clinico nello sviluppo della Scuola Nefrologia Pugliese, come vincitori di progetti di ricerca finanziati e nuove attività cliniche avviate nella Scuola e partecipando a numerosi Congressi Nazionali ed Internazionali (Figura 3).

 Partecipazione della Scuola Nefrologica Barese al Congresso della Società Italiana di Nefrologia (SIN)
Figura 3: Partecipazione della Scuola Nefrologica Barese al Congresso della Società Italiana di Nefrologia (SIN), Rimini, ottobre 2022. Da sinistra verso destra: il sottoscritto, Pontrelli P, Ranieri E, Simone S, Grandaliano G, Pertosa G, Pesce F e Porri MG.

Comunque desidero sottolineare che non si può dimenticare l’importante ruolo svolto dai biologi nella Scuola. È stata molto fertile la collaborazione tra nefrologi e biologi ai fini della ricerca scientifica nel corso degli anni. Pertanto oggi sono presenti nella Scuola biologi che hanno dato lustro dal punto di vista scientifico e che sono progrediti nella carriera accademica, come Elena Ranieri, Professore Ordinario di Patologia Clinica nell’Università di Foggia, Paola Pontrelli Professoressa Associata di Patologia Clinica e Fabio Sallustio, Professore Associato di Scienze Biologiche nell’Università di Bari. Il numero di biologi e biologhe che ha frequentato la Scuola, nel corso degli anni, è stato elevato per l’enorme attività scientifica che è stata e viene tuttora svolta. Questo fertile connubio tra Nefrologi e Biologi ha radici profonde. Su mia proposta negli anni ’90, nella Facoltà di Medicina di Bari, fu istituita la Scuola Diretta a Fini Speciali di Tecnico di Laboratorio Biomedico, trasformata negli anni successivi in Laurea di primo livello e dopo in Laurea magistrale.

Negli anni successivi furono costituiti il Consorzio Europeo per gli studi della IgA nefropatia, supportato da un finanziamento dell’Unione Europea, la Rete regionale di omiche applicate agli esseri viventi, supportato da un finanziamento del Ministero dell’Università, e la rete nazionale di omiche applicate ai Trapianti Renali, supportato da un finanziamento del Ministro della Salute.

Un’altra importante iniziativa, che ha permesso a medici e biologi di collaborare nella ricerca, fu la richiesta, da parte mia, di istituire il Dottorato di ricerca in Scienze Trapiantologiche. Questa richiesta fu da me avanzata dopo aver costituito il Dipartimento di Emergenza e Trapianti di Organi e Tessuti, che diressi per il primo triennio. Inoltre per più di 25 anni sono stato il coordinatore delle attività trapiantologiche in Puglia. Dopo 24 trapianti di rene da donatore vivente, effettuati dal 1973 al 1983, iniziò negli anni ’90 un’intesa attività prima con il trapianto di rene, dopo quello di fegato ed infine quello di cuore. Recentemente, in occasione del Congresso Nazionale della Società Italiana Trapianti di Organi e Tessuti, che si è tenuto a Trieste nel mese di ottobre 2022, mi è stata assegnata una Targa per aver dedicato una vita all’attività dei trapianti di organi (Figura 4). In quell’occasione si è trascorsa una bella serata con i colleghi nefrologi partecipanti al programma nazionale trapianti di reni (Figura 5).

Figura 4: Premio “Una vita al servizio dei Trapianti di Organi”.
Figura 4: Premio “Una vita al servizio dei Trapianti di Organi”. Trieste, ottobre 2022. Da sinistra verso destra: Stallone G, Gesualdo L, il sottoscritto, Grandaliano G, Castellano G e Zaza G.
Una serata a Trieste con alcuni nefrologi coinvolti nel programma trapianti di rene a livello nazionale.
Figura 5: Una serata a Trieste con alcuni nefrologi coinvolti nel programma trapianti di rene a livello nazionale. Da sinistra verso destra: Biancone L (Torino), La Manna G (Bologna), Maggiore U (Parma), Garosi G (Siena), Zaza G (Foggia), Castellano G (Milano), Gesualdo L (Bari), il sottoscritto, Minetti E (Milano), Stallone G (Foggia), Grandaliano G. (Roma).

 

La mia famiglia e l’attività extra-lavorativa

Devo confessare che non sono stato un padre esemplare per la mia scarsa presenza in famiglia; però sono stato fortunato perché questo compito è stato completamente svolto da mia moglie che, in qualità di docente nella scuola, ha saputo seguire con affetto i nostri due figli sino al conseguimento della laurea.  Mio figlio Stefano, oggi, è Professore Associato di Cardiochirurgia nel Medical College of Wisconsin, Milwaukee, USA. Mia figlia Valentina, dopo un lungo periodo trascorso nel mondo della moda, ha deciso da qualche anno di intraprendere una nuova attività costituendo la Puglia Concierge per turisti stranieri.

La mia passione per lo sport

Questa passione è vissuta da molti decenni praticando sport non agonistico, quale una corsa di 8-10 km un paio di volte a settimana prima ed ora una volta a settimana, preferibilmente la domenica. Nel mese di marzo ho partecipato alla Run Like a Deejay di 10 km in pianura a Bari con buon successo (Figura 6). Quindi nel mio libro “Manuale della Dieta Mediterranea” dove consiglio ai pazienti di praticare attività fisica moderata, a seconda dell’età, metto in pratica questo consiglio anche per me stesso ogni settimana. Ho constatato di persona come con l’avanzare dell’età, dopo la corsa, c’è una maggiore velocità di pensiero e ideazione, grazie all’ossigenazione delle cellule cerebrali durante l’attività fisica.

Sono un appassionato di calcio, tifoso della Juventus e del Bari. Vado spesso allo stadio, specialmente quando ci sono squadre che possono esprimere il bel gioco. basato sulla velocità, prestanza fisica ed intelligenza nel saper smarcarsi. I recenti campionati del mondo sono stati una prova testimoniale di questo tipo, intelligente e divertente, di gioco del calcio.

Figura 6: Arrivo al traguardo dopo aver percorso la Run Like a Deejay di 10 km in pianura a Bari nel marzo 2023.
Figura 6: Arrivo al traguardo dopo aver percorso la Run Like a Deejay di 10 km in pianura a Bari nel marzo 2023.

La mia passione per il cinema ed il teatro

Il buio della sala cinematografica mi affascina perché è il luogo ideale per apprezzare e criticare un buon film; d’altronde i film in concorso nei Festival si proiettano solo in sale cinematografiche. Si tratta di un luogo completamente differente da quello di casa dove spesso, alla televisione, si vedono anche buoni film ma non si apprezzano perché, stando in casa, ti ricordi sempre quello che c’è da fare. Pertanto la prova di questa passione è testimoniata dalla frequentazione delle sale cinematografiche quando sono proiettati film interessanti. In conclusione, il film la domenica è quasi d’obbligo.

Frequento meno il teatro, ma sono presente quando ci sono delle buone rappresentazioni teatrali realizzate da artisti di alto livello professionale.

 

Conclusioni

Lo scopo di questo articolo è stato, principalmente, quello di narrare come è nata la Scuola Nefrologica Barese, basata principalmente sul mio impegno e su quello dei miei allievi. La mia più viva speranza è che i miei allievi si ricordino sempre di perseguire obiettivi di eccellenza scientifica e, quando dovranno scegliere una persona da formare, quale potenziale futuro giovane ricercatore, osservino sempre i due principi fondanti della Scuola: serietà professionale, basata su un’ottima conoscenza clinica, e serietà scientifica, supportata da un’ottima produzione scientifica.

 

Bibliografia

  1. Timio M. Professor F.P. Schena: an all-round protagonist of nephrology. G Ital Nefrol. 2010 Nov-Dec;27(6):681-4.
  2. Schena F.P., Fogazzi G.B. Interviste con la Storia della Nefrologia Italiana. pag 165- 174, 2016 Wichtig Editore, Milano.

Gestione del paziente in dialisi e con trapianto di rene in corso di infezione da coronavirus Covid-19

Abstract

L’emergenza sanitaria che ci troviamo ad affrontare è qualcosa di nuovo per tutti noi e richiede l’identificazione di approcci condivisi, specialmente per quelle categorie di pazienti che definisco la nostra specialità (emodializzati, trapiantati). Brescia rappresenta al momento della stesura di questo documento un focolaio infettivo molto attivo (2918 casi al 17/03/2020) e secondo solo a Bergamo. La logistica della nostra struttura ci ha consentito una riorganizzazione tale per cui i casi di pazienti trapiantati ed emodializzati Covid-19 positivi vengono ad essere gestiti direttamente nel nostro reparto; al momento della stesura di questo documento stiamo gestendo/abbiamo gestito su un’ampia rete territoriale 20 pazienti portatori di trapianto renale e 17 emodializzati. Questo ci ha posto di fronte alla necessità di un approccio organico, volto non solo alla gestione clinica dei pazienti ma anche all’organizzazione di un apparato di ricerca su questa malattia. Questo approccio è esitato nella stesura delle linee guida allegate, originariamente intese per un uso interno, ma che riteniamo possano rappresentare un punto di riflessione per altri colleghi che dovranno fronteggiare gli stessi problemi. Abbiamo inoltre avviato una raccolta dati su questi pazienti al fine di meglio comprendere la patologia, le sue dinamiche e le modalità di gestione; per chi fosse interessato chiediamo di contattarci per coordinare uno sforzo comune in tal senso.

Parole chiave: Covid-19, Brescia, nefrologia, dialisi, trapianto, linee guida

Introduzione

L’epidemia da Covid-19 in Lombardia richiede la messa a punto di un protocollo nei pazienti nefropatici, in particolare nei pazienti in trattamento dialitico e in quelli portatori di trapianto renale.

Recentemente, il China CDC ha pubblicato la più ampia casistica di Covid-19, che includeva 44672 casi; da questo studio emerge una mortalità totale del 2.3%. I fattori di rischio principali sembrano essere, oltre all’età (mortalità dell’1.3% nella fascia 50-59, 3.6% nella fascia 60-69, 8% nella fascia 70-79 e 14.8% nella fascia ≥80 anni), la presenza di malattie cardiovascolari (mortalità 10.5%), diabete (mortalità 7.3%), malattie respiratorie croniche (mortalità 6.3%), ipertensione arteriosa (mortalità 6%) e neoplasie (mortalità 5.6%) [1,2]. Nella regione Lombardia, tuttavia, la malattia sembra avere una mortalità decisamente maggiore di quella riportata in Cina, e questo deve indurci a studiare con attenzione tutti i fattori potenzialmente responsabili di questo andamento.

Le comorbidità associate ad aumentata mortalità in corso d’infezione da Covid-19 sono molto frequenti nei pazienti affetti da Insufficienza Renale Cronica (IRC) e nei pazienti in corso di terapia sostitutiva della funzione renale mediante emodialisi. Non esistono inoltre, al momento, dati solidi sui pazienti Covid-19 positivi in trattamento dialitico e nei portatori di trapianto di rene in cui, oltre ai vari fattori di rischio cardiovascolare, esiste una condizione di ridotta immunocompetenza.

Al momento della prima stesura di questo documento (17/03/2020) abbiamo seguito presso la nostra struttura di Brescia e l’annessa rete territoriale 20 pazienti trapiantati e 17 pazienti dializzati; la nostra preliminare esperienza suggerisce che la malattia ha un decorso severo, con outcome potenzialmente fatale, soprattutto nel sottogruppo di pazienti portatore di trapianto renale. Inoltre, un numero consistente di pazienti nefropatici con Covid-19 sono stati seguiti preso i centri di Lodi, Cremona, Manerbio, Montichiari e Chiari, che aderiscono alla task force di Brescia. L’esperienza cinese suggerisce che la malattia abbia un andamento meno severo nei pazienti dializzati, non solo rispetto ai pazienti con trapianto renale, ma anche ai pazienti non nefropatici. Questa è anche l’esperienza iniziale di Brescia, ma non è confermata da tutti i centri partecipanti alla nostra task force. Ovviamente, in assenza di dati adeguati sia nella popolazione generale (percentuale di asintomatici) che nei pazienti nefropatici, non è possibile formulare riflessioni conclusive. Proprio per questo, stiamo raccogliendo in dettaglio dati clinici e di laboratorio nei nostri pazienti, per poter condividere con la comunità nefrologica le caratteristiche cliniche e di outcome della malattia nei nefropatici.

In generale, l’ottimale gestione della patologia è ancora dibattuta e l’approccio terapeutico è privo di significative evidenze. L’indicazione alla terapia anti-retrovirale è dubbia e, ad oggi, non esiste alcun farmaco registrato per il trattamento di infezioni da Covid-19 [3]. Tuttavia, ci si può avvalere dell’esperienza derivante dall’uso di agenti anti-virali su virus appartenenti alla medesima famiglia di Beta-coronavirus (SARS e MERS); bisogna comunque considerare come la condizione di emergenza fornisca una buona ragione per l’utilizzo di antivirali, nonostante la mancanza di evidenze scientifiche preliminari. Nei pazienti affetti da IRC avanzata si pone inoltre la problematica dell’aggiustamento della terapia per il grado di funzione renale e, nei pazienti portatori di trapianto renale, la necessità di un’attenta modulazione della terapia immunosoppressiva; al momento non esistono chiare linee guida per la gestione di questi pazienti [4].

Al momento, Brescia rappresenta il secondo focolaio in Italia dopo Bergamo (2918 casi al 17/03/2019). Un gruppo di lavoro formato da infettivologi e intensivisti lombardi ha messo a punto un protocollo di terapia nei pazienti con Covid-19, sulla base della severità di malattia: le Linee guida sulla gestione terapeutica e di supporto per pazienti con infezione da coronavirus COVID-19. Edizione 2.0, del 12 marzo 2020. Mutuando in parte il background infettivologico ed intensivista del protocollo, abbiamo adattato questo approccio ai nostri pazienti in trattamento dialitico e con trapianto di rene, creando questa Proposta di schema di gestione terapeutica di pazienti emodializzati e trapiantati affetti da Covid-19 (cliccando questo link è possibile scaricare il documento in questione). Di seguito, forniremo inoltre alcune considerazioni logistiche derivanti dalla nostra esperienza diretta sulla gestione dei flussi di pazienti in corso di epidemia da Covid-19.

 

Trattamento farmacologico

Clorochina e idrossiclorochina: evidenze sperimentali supporterebbero un ruolo anti-virale in vitro e nel modello animale per la clorochina nei confronti del virus SARS e dell’influenza aviaria. Un panel di esperti cinesi supporta l’utilizzo del farmaco in ragione di un beneficio in termini di ospedalizzazione e outcome generale del paziente [5].

Lopinavir/ritonavir: evidenze aneddotiche supporterebbo un possibile ruolo di questo antiretrovirale di seconda generazione in corso di infezione da Covid-19.

Darunavir/ritonavir e darunavir/cobicistat: potenziali alternative al Lopinavir/ritonavir in ragione del meccanismo d’azione analogo.

Remdesivir: è un analogo nucleotidico il cui meccanismo d’azione consiste nell’incorporazione del farmaco nelle catene di RNA neosintetizzate. Viene proposto, in modelli animali e in vitro, un suo possibile ruolo nel ridurre la carica virale e nel migliorare i parametri di funzionalità polmonare [6,7]. Due trials clinici sono attualmente in corso in Cina.

Corticosteroidi: l’utilizzo dei corticosteroidi sarebbe controindicato nelle fasi iniziali della patologia. Dati suggeriscono tuttavia un loro ruolo nella gestione della sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), con un impatto significativo sulle curve di sopravvivenza dei pazienti trattati [8].

Tocilizumab: sulla scorta del ruolo centrale che l’IL6, in associazione ad altre citochine pro-infiammatorie, sembrerebbe avere nello sviluppo di ARDS indotta da Covid-19, il Tocilizumab potrebbe aver un ruolo nella gestione di casi selezionati, in assenza di controindicazioni maggiori.

 

Considerazioni logistiche

Riteniamo assolutamente necessaria un’adeguata pianificazione logistica nella gestione di questa emergenza sanitaria. Nel trattare questi pazienti si devono conciliare protocolli infettivologici (es. isolamento) con necessità intrinseche alla nostra specialità, come quella di movimentare i pazienti per l’emodialisi. La nostra esperienza, se pur ancora limitata, sembra suggerire un outcome migliore nei pazienti trapiantati gestiti direttamente in un reparto nefrologico rispetto al gruppo gestito in altre aree Covid generali e valutati dal nefrologo solo in consulenza.

La peculiare organizzazione logistica della nostra struttura ci ha in questo senso consentito un modello organizzativo efficiente. Riportiamo qui uno schema della nostra struttura:

 

Piano 1:

Piano 2:

A partire dal 27-28 febbraio abbiamo impostato una riduzione dei posti letto del Reparto femminile e un aumento delle dimissioni nel reparto maschile con successivo trasferimento delle pazienti donna non dimissibili nel lato maschile. Nella notte tra il 27 e 28 febbraio abbiamo ricoverata la prima paziente portatrice di trapianto di rene e positiva al virus, successivamente trasferita in terapia intensiva per deterioramento clinico. Al 28 febbraio, la situazione logistica era la seguente; da notare che nell’area COVID erano disponibili attrezzature ed impianti per l’eventuale effettuazione di emodialisi.

 

Piano 1:

Piano 2:

Tra il 2 e il 4 marzo abbiamo ricoverato i primi pazienti positivi nell’area COVID; in questa fase, la necessità era rivolta quasi esclusivamente ai pazienti trapiantati, avendo il nostro centro un grosso bacino d’utenza che include anche le aree di Lodi e Codogno. Il progressivo afflusso di pazienti positivi presso il nostro ospedale, unito alla necessità di accogliere pazienti emodializzati, ha quindi portato allo spostamento del reparto maschile e femminile al piano 2, alla chiusura del centro trapianti e alla rimodulazione degli spazi centrali del reparto in sale da emodialisi, in parte destinate a pazienti Covid positivi, in parte destinate a pazienti negativi.

 

Piano 1:

Piano 2:

In conclusione, ricordiamo nuovamente che le nostre linee guida per la gestione terapeutica dei pazienti emodializzati e trapiantati può essere scaricata qui.

 

La “Brescia Renal Covid Task Force”

Federico Alberici, Università degli Studi di Brescia, Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche, Scienze Radiologiche e Sanità Pubblica; ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Elisa Del Barba, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Chiara Manenti, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Laura Econimo, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Francesca Valerio, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Alessandra Pola, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Camilla Maffei, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Possenti Stefano, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Nicole Zambetti, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Margherita Venturini, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Stefania Affatato, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Paola Piarulli, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Mattia Zappa, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Guerini Alice, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Fabio Viola, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Ezio Movilli, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Paola Gaggia, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Sergio Bove, ASST Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Montichiari (BS), Italia

Marina Foramitti, ASST Cremona, Unità Operativa di Nefrologia, Cremona, Italia

Paola Pecchini, ASST Cremona, Unità Operativa di Nefrologia, Cremona, Italia

Raffaella Bucci, ASST Lodi, Unità Operativa di Nefrologia, Lodi, Italia

Marco Farina, ASST Lodi, Unità Operativa di Nefrologia, Lodi, Italia

Martina Bracchi, ASST Franciacorta, Unità Operativa di Nefrologia, Chiari (BS), Italia

Ester Maria Costantino, ASST del Garda, Unità Operativa di Nefrologia, Manerbio (BS), Italia

Fabio Malberti, ASST Cremona, Unità Operativa di Nefrologia, Cremona, Italia

Nicola Bossini, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Mario Gaggiotti, ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

Francesco Scolari, Università degli Studi di Brescia, Dipartimento di Specialità Medico-Chirurgiche, Scienze Radiologiche e Sanità Pubblica; ASST Spedali Civili di Brescia, Unità Operativa di Nefrologia, Brescia, Italia

 

Bibliografia

  1. The Novel Coronavirus Pneumoniae emergency Response Epidemiology Team. The Epidemiological Characteristics of an Outbreak of 2019 Novel Coronavirus Disease (COVID-19) – China. 2020. Chinese Center for Disease control and Prevention 2020; 2(8).
  2. Huang C, Wang Y, Li X, Ren L, et al. Clinical features of patients infected with 2019 novel coronavirus in Wuhan, China. Lancet 2020; 395:497-506.
  3. World Health Organization. Clinical management of severe acute respiratory infection (SARI) when COVID-19 disease is suspected. WHO reference number: WHO/2019-nCoV/clinical/2020.4 (13 March 2020).
  4. Naicker S, Yang C-W, Hwang S-J, Liu B-C, et al. The Novel Coronavirus 2019 Epidemic and Kidneys. Kidney Int 2020; in press. https://doi.org/10.1016/j.kint.2020.03.001
  5. Multicenter collaboration group of Department of Science and Technology of Guangdong Province and Health Commission of Guangdong Province for chloroquine in the treatment of novel coronavirus pneumonia. Expert consensus on chloroquine phosphate for the treatment of novel coronavirus pneumonia. Zhonghua Jie He He Hu Xi Za Zhi 2020;43(0):E019.
  6. Sheahan TP, Sims AC, Leist SR, Schäfer A, Won J, Brown AJ, et al. Comparative therapeutic efficacy of remdesivir and combination lopinavir, ritonavir, and interferon beta against MERS-CoV. Nat Commun 2020; 11:222.
  7. de Wit E, Feldmann F, Cronin J, Jordan R, Okumura A, Thomas T, et al. Prophylactic and therapeutic remdesivir (GS-5734) treatment in the rhesus macaque model of MERS-CoV infection. Proc Natl Acad Sci USA 2020; pii: 201922083.
  8. Wu C, Chen X, Cai Y, Xia J, Zhou X, Xu S, et al. Risk Factors Associated With Acute Respiratory Distress Syndrome and Death in Patients With Coronavirus Disease 2019 Pneumonia in Wuhan, China. JAMA Intern Med 2020; online first. https://doi.org/10.1001/jamainternmed.2020.0994

Trapianto di rene da donatore dopo morte cardiaca (DCD): esperienza monocentrica e revisione della letteratura

Abstract

Il trapianto di rene da donatore dopo morte cardiaca (DCD) rappresenta una valida opzione per incrementare il numero di organi disponibili, mantenendo standard di sopravvivenza e di funzionalità del graft sovrapponibili ai trapianti da donatore per morte cerebrale (DBD). Il Centro di Riferimento Trapianti dell’Emilia Romagna ha attivato un programma di donazione da DCD a partire da Gennaio 2016. Il presente studio è stato condotto con lo scopo di analizzare la casistica dei trapianti di rene eseguiti nei primi 30 mesi di attività del programma, confrontando gli outcome dei DCD con quelli dei trapianti da donatore DBD eseguiti nello stesso periodo. Sono stati inoltre indagati eventuali fattori prognostici predittivi di funzionalità renale. Nel periodo esaminato sono stati eseguiti 16 trapianti di rene da 10 donatori DCD (5 SCD-DCD e 5 ECD-DCD). Non sono state osservate Primary Non Function (PNF). Sono state osservate 2 graft loss entro 12 mesi, entrambe conseguenti a transplantectomia per rottura dell’arteria renale in corso di complicanza infettiva. Due pazienti sono deceduti in seguito a tali complicanze infettive. La DGF ha avuto un’incidenza del 44%. In termini di funzionalità del trapianto non sono state osservate differenze nei valori di creatininemia ed eGFR alla dimissione, a 12 ed a 24 mesi rispetto ai DBD. Le caratteristiche di marginalità del donatore (ECD-DCD o KDPI >65%) correlavano con una più elevata incidenza di DGF e valori di funzione renale peggiori alla dimissione. Nessuno dei fattori analizzati, tra cui lo Score di Karpinsky, ha mostrato correlazione con i valori di creatiniemia e filtrato glomerulare a 12 e 24 mesi.

Parole Chiave: DCD, trapianto, rene, perfusione, asistolia

Introduzione

Il trapianto di rene da donatore dopo morte cardiaca (donation after circulatory death – DCD) rappresenta una valida alternativa per colmare il gap tra numero di donatori e pazienti in lista di attesa. 

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