Le tecniche di aferesi per il trattamento dell’iperbilirubinemia nell’unità di nefrologia

Abstract

L’aferesi terapeutica è una metodica ematologica e nefrologica importante per le patologie con alterazione della composizione del plasma. Trova, inoltre, indicazione per la rimozione delle molecole legate a proteine, come la bilirubina. Esistono diverse tecniche in grado di rimuovere tali composti, come il sistema di adsorbimento molecolare a circolazione extracorporea (MARS), lo scambio di plasma (PEX) e l’adsorbimento e perfusione di plasma (PAP). In questo lavoro riportiamo la nostra esperienza nel diretto confronto tra MARS, PEX e PAP, dato che le linee guida attuali non specificano quale metodo sia il più appropriato e in quali circostanze debba essere usato.

La scelta della tecnica non può basarsi sulla concentrazione desiderata di bilirubina plasmatica, poiché, secondo la nostra esperienza, queste tre tecniche mostrano risultati simili con un outcome finale simile (exitus). Infatti, PAP, PEX e MARS riducono significativamente i livelli di bilirubina, ma il grado di riduzione non è differente fra le tre. Inoltre, le tre tecniche non differiscono nel tasso di cambiamento della colinesterasi, mentre si è riscontrata una minore riduzione delle transaminasi epatiche mediante PAP.

Considerata la presenza di emodialisi durante la MARS, tale tecnica dovrebbe essere preferita nel caso di coinvolgimento renale oltre a quello epatico (sindrome epato-renale con iperbilirubinemia). La PAP ha il vantaggio di essere semplice e dal costo limitato. La PEX rimane una opzione quando non sia disponibile il sistema PAP in emergenza, ma deve essere valutato il rischio derivante dall’uso di emoderivati (plasma e albumina).

Parole chiave: sistema di adsorbimento molecolare a circolazione extracorporea, MARS, scambio di plasma, PEX, adsorbimento e perfusione di plasma (PAP), plasma exchange

Introduzione: inquadramento storico

La gialla discolorazione della pelle e occhi, lo yearkon ebraico, è una dei mali che la Bibbia riporta qualora non si ascolti la voce di Dio (Deuteronomio 28, 21). Già nel 500 a.C. se ne riconosce la causa nella ostruzione o costipazione del fegato, come riportato dal medico bizantino Alessandro di Tralles, e, infatti, la bile gialla è uno dei quattro umori identificati da Ippocrate di Cos (morto nel 377 a.C.).

Verso la fine del 1800 lo sviluppo di tecniche biochimiche applicate alla clinica porta alla identificazione della bilirubina (fra gli altri anche Virchow diede importanti contributi).

Nel 1933 Zimmermann e Yannet scoprono che il Kernicterus (una degenerazione dei gangli della base in corso di ittero, descritta da Christian Georg Schmorl nel 1904 e prima da Johannes Orth nel 1875) è causato dalla deposizione di bilirubina a livello cerebrale [1].

La bilirubina è lipofila, può attraversare la barriera emato-cerebrale. Gerard Odell nel 1959 [2] e poi il celebre Gilbert nel 1973 [3] dimostrano allora che l’albumina plasmatica riduce i livelli plasmatici di bilirubina grazie a un potente legame fra i due.

Nonostante la coeva introduzione della emodialisi, queste tecniche non si presentano come utili a rimuovere la bilirubina, proprio a causa del forte legame con la albumina, e solo la dialisi peritoneale presenta di una qualche utilità al proposito nei lontani anni ’60 [4].

Nei primi anni ’50 un biochimico dell’Università di Harvard (Boston), Edwin Cohn, usando un pool di plasma umano, sviluppò una procedura su larga scala per la purificazione dell’albumina come alternativa al plasma liofilizzato per i soldati feriti. La “centrifuga di Cohn” fu, di fatto, un antenato della plasmaferesi [5]. 

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