La Semaglutide nella Malattia Renale Cronica: tanto entusiasmo. Ma come funziona?

Abstract

La Malattia Renale Cronica (CKD) è una condizione clinica caratterizzata dalla progressiva perdita della funzione del rene. Il 10% della popolazione mondiale è affetto da questa condizione, che rappresenta la quinta causa di morte a livello globale. Inoltre, la CKD è associata ad aumentato rischio di eventi cardiovascolari fatali e non-, e alla progressione verso l’insufficienza renale terminale. Negli ultimi venti anni, si è osservata una crescita esponenziale della sua prevalenza ed incidenza. Per questo motivo, sono stati sviluppati e implementati nella pratica clinica diversi farmaci, con vario maccanismo, allo scopo di ridurre e minimizzare questo drammatico rischio “cardio-renale”. Tra questi, gli inibitori di SGLT2, gli antagonisti dei recettori dei mineralocorticoidi e gli antagonisti recettoriali delle endoteline. Tuttavia, una cospicua parte dei pazienti con CKD non risponde sufficientemente a questi trattamenti. Gli agonisti recettoriali del GLP-1 rappresentano una classe di farmaci antidiabetici e nefroprotettivi molto promettenti nel migliorare la prognosi dei pazienti con CKD, specie se associata a una delle classi sopramenzionate. In questo articolo, discutiamo i meccanismi, diretti e indiretti, attraverso i quali uno degli agonisti del GLP-1, la semaglutide, garantisce la nefro- e cardioprotezione nei pazienti affetti da CKD e diabete tipo 2.
Parole chiave: malattia renale cronica, epidemiologia CKD, semaglutide

Introduzione

La malattia renale cronica (Chronic Kidney Disease, CKD) è una condizione clinica caratterizzata dalla perdita irreversibile e progressiva della funzione renale. La CKD colpisce circa il 10% della popolazione mondiale e rappresenta la quinta causa di morte a livello globale [1]. Nell’ultimo ventennio l’incidenza e la prevalenza di tale patologia sono cresciute in modo esponenziale, quasi raddoppiando entrambe. Le ragioni di questo aumento sono diverse: primo fra tutti, il progressivo allungamento della durata media della vita, che sta portando a un continuo incremento della fascia di popolazione con età > 65 anni; in secondo luogo, la notevole diffusione di patologie tipiche del mondo occidentale che sono al contempo fattori di rischio per la CKD. Infatti, il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa, l’obesità (la cui prevalenza è progressivamente cresciuta dagli anni ’90 in molti paesi, diffondendosi anche nella popolazione giovanile per importanti variazioni delle abitudini dieto-comportamentali) e le patologie cardiovascolari (CV), rappresentano dei fattori eziopatogenetici del danno renale, che si estrinseca attraverso vari meccanismi [2]. 

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