L’ultrasonografia nella diagnosi e nel management della nefrolitiasi: stato dell’arte e prospettive future

Abstract

L’iter diagnostico per giungere ad un corretto management del paziente con nefrolitiasi costituisce un tema centrale dell’attività clinica del nefrologo. Negli ultimi anni i tassi di incidenza e prevalenza della nefrolitiasi hanno mantenuto un trend in continua crescita nel mondo, mostrando una stretta correlazione con altre patologie croniche quali diabete mellito, ipertensione arteriosa, obesità, sindrome metabolica e insufficienza renale. Le linee guida internazionali indicano la tomografia computerizzata come metodica di prima scelta per tutti i pazienti adulti con sintomatologia acuta sospetta per nefrolitiasi ostruttiva. La pielografia endovenosa è più utile nel follow-up dei pazienti con nefrolitiasi recidivante e composizione del calcolo già nota, mentre gli elevati costi e i lunghi tempi di acquisizione delle immagini limitano l’utilizzo routinario della risonanza magnetica. Le ultime innovazioni tecnologiche hanno permesso di ridurre sempre di più il dislivello tra ultrasonografia e tomografia computerizzata. Il corretto settaggio dell’apparecchio ecografico, il ricorso a nuovi parametri per la determinazione della dimensione del calcolo e l’uso appropriato del modulo color Doppler contribuiscono a migliorare la risoluzione dell’immagine e, quindi, l’accuratezza diagnostica dell’ultrasonografia. Obiettivo di questa review è stato riesaminare le ultime evidenze sui fattori di rischio e sulla fisiopatologia della nefrolitiasi e mettere a confronto le diverse tecniche di imaging nella gestione del paziente con calcolosi renale, ponendo l’accento sul ruolo dell’ultrasonografia e sulle strategie (sia attuali che in fase di studio) volte a migliorarne l’accuratezza diagnostica.

 

Parole chiave: nefrolitiasi, diagnostica per immagini, ultrasonografia, ecografia B-Mode, eco color Doppler, twinkling artifact

Introduzione

Il management del paziente con colica renale richiede un lavoro di equipe multidisciplinare, in cui i contributi del nefrologo e dell’urologo sono determinanti per giungere a una diagnosi eziologica precoce. La nefrolitiasi è senza dubbio una delle cause più frequenti di colica renale, i cui tassi di prevalenza e incidenza sono in continua crescita a livello globale. La vecchia concezione della nefrolitiasi come di una patologia circoscritta all’apparato urinario appare ormai obsoleta: le attuali evidenze scientifiche dimostrano infatti che essa è responsabile di numerose complicanze sistemiche, non per ultima una maggiore predisposizione allo sviluppo di insufficienza renale cronica. Sebbene l’anamnesi e l’esame obiettivo siano tappe fondamentali nell’iter diagnostico del paziente con colica renale, le tecniche di imaging sono di grande ausilio per il clinico al fine di una rapida diagnosi differenziale e consentono di acquisire alcune importanti informazioni, quali l’esatta determinazione della sede e delle dimensioni del calcolo, necessarie per pianificare la strategia terapeutica più opportuna. Obiettivi di questa review sono stati quelli di riesaminare le ultime evidenze sui fattori di rischio e sulla fisiopatologia della nefrolitiasi e di mettere a confronto le diverse tecniche di imaging nella gestione del paziente con calcolosi renale, ponendo l’accento sul ruolo dell’ultrasonografia e sulle strategie (sia attuali che in fase di studio) volte a migliorarne l’accuratezza diagnostica.

 

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Effetti metabolici della supplementazione con Colecalciferolo in pazienti con nefrolitiasi calcica e deficit di Vitamina D

Abstract

Introduzione. L’ipovitaminosi D è di frequente riscontro, anche fra i pazienti con calcolosi renale. Abbiamo inteso valutare se la somministrazione di colecalciferolo possa indurre effetti indesiderati sul rischio litogeno urinario.

Metodi. Sono stati studiati i profili della calciuria e dello stato di saturazione urinaria per CaOx (ßCaOx) e fosfato di calcio (ßbsh) in 33 pazienti litiasici (56±17 aa, 12 maschi) affetti da ipovitaminosi D, prima e dopo somministrazione orale di colecalciferolo, prescritto come carico iniziale di 100.000-200.000 UI, seguito da dosi settimanali di 5.000-10.000 UI, o mensili di 25.000-50.000 UI.

Risultati. Durante lo studio, non vi furono variazioni significative dell’escrezione urinaria di azoto, sodio e acidi fissi e dell’assorbimento intestinale di alcali. Dopo l’assunzione di colecalciferolo, la 25(OH)VitD3 aumentò da 11,8±5,5 a 40,2±12,2 ng/mL (p<0,01); la 1,25(OH)2VitD3 aumentò da 41,6±17,6 a 54,0±16,0 pg/mL (p<0,01); il PTH diminuì da 75,0±27,2 a 56,7±21,1 pg/mL (p<0,01); la calciuria di 24h aumentò da 2,7±1,5 a 3,6±1,6 mg/Kg p.c. (p<0,01), mentre la calciuria fasting non subì variazioni significative. In corso di terapia, vi fu un aumento significativo di ßbsh (da 0,9±0,7 a 1,3±1,3, p=0,02), ma non di ßCaOx (p=ns). Prima dell’assunzione di colecalciferolo, 6/33 pazienti (18,2%) mostravano ipercalciuria; dopo terapia, 13/33 pazienti (39,4%) risultarono ipercalciurici (pX2=0,03).

 Conclusioni. Nei pazienti con nefrolitiasi e ipovitaminosi D, la somministrazione di colecalciferolo può aumentare la calciuria e il rischio di recidive litogene. In questi casi, è opportuno monitorare attentamente il profilo metabolico urinario e modulare conseguentemente le terapie volte a ridurre la soprassaturazione urinaria (idroterapia, dieta, citrato di potassio, tiazidici).

 

Parole chiave: Ipovitaminosi D, Colecalciferolo, Nefrolitiasi, Urolitiasi, Ipercalciuria.

INTRODUZIONE

 La carenza di vitamina D è oggi diffusa, non soltanto fra i soggetti a rischio, quali ad esempio le persone anziane, con scarsa esposizione alla luce solare, obese o affette da patologie gastroenteriche con malassorbimento (1,2), ma anche fra gli individui giovani, attivi e in buone condizioni generali quali sono molti pazienti affetti da calcolosi renale (35). A riguardo di questi ultimi, sussistono alcuni peculiari aspetti metabolici meritevoli di essere considerati.

 

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Una giovane ragazza con calcolosi recidivante e ipercalcemia

Abstract

Mutazioni a carico del gene CYP24A1 sono associate ad alterazioni dell’attività dell’enzima 25-OH-D-24-idrossilasi, con conseguente disfunzione nel metabolismo della vitamina D. Tale deficit enzimatico può originare ipercalcemia, bassi livelli sierici di paratormone, ipercalciuria, nefrolitiasi e nefrocalcinosi. Si descrive il caso clinico di una giovane donna affetta da litiasi renale ricorrente, ipercalcemia ed ipercalciuria, la cui genesi è stata ricondotta a deficit dell’enzima 25-OH-D-24-idrossilasi, dunque a mutazione biallelica del gene CYP24A1.

Parole chiave: calcolosi renale, CYP24A1, 25-OH-D-24-idrossilasi, ipercalcemia

Introduzione

Il gene CYP24A1 codifica per l’enzima 25-OH-D-24-idrossilasi, che catalizza l’idrolisi e quindi la degradazione della 25(OH)D in 24-25(OH)D, la forma attiva della vitamina D. Mutazioni inattivanti a carico del gene CYP24A1 si associano ad alterata attività della 25-OH-D-24-idrossilasi che può determinare ipercalcemia, bassi livelli sierici di paratormone, ipercalciuria e conseguenti nefrolitiasi e nefrocalcinosi.

Presentiamo il caso di una giovane donna con storia di litiasi renale ricorrente ed infezioni delle vie urinarie, tendenza ad ipercalcemia, ipercalciuria, bassi livelli sierici di paratormone (PTH) ed ipovitaminosi D. Allo screening molecolare la paziente risultava portatrice delle varianti patogenetiche p.E143del e p.R396W del gene CYP24A1; i test genetici eseguiti sui genitori della paziente confermavano che le due varianti erano presenti in eterozigosi. 

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