Impatto economico correlato alla gestione di pazienti nefropatici con diagnosi di sepsi in ambiente ospedaliero

Abstract

Introduzione: La sepsi è diventata negli ultimi decenni una vera emergenza medica, associata ad una mortalità elevata; necessita spesso di ricovero in ambito ospedaliero intensivistico, determinando elevati costi di gestione dei pazienti. A causa di una serie di fattori clinici (utilizzo di cateteri, terapie immunosoppressive, comorbilità, etc.) un numero sempre maggiore di pazienti nefropatici contraggono una sepsi e vengono trattati all’interno di degenze nefrologiche e ciò compromette la capacità del meccanismo di rimborso da tariffario nazionale dei Diagnosis Related Groups (DRG) di remunerare gli inevitabili costi aggiuntivi. Lo scopo principale di questo studio è quello di valutare i costi della sepsi nel caso di una singola Unità Operativa di Nefrologia e, secondariamente, rilevare il tasso di mortalità dei pazienti settici in ambito nefrologico.

Metodi: È stato condotto uno studio retrospettivo con riferimento alla coorte dei pazienti ricoverati in una degenza nefrologica nel 2017. I pazienti sono stati divisi in due gruppi: quelli che hanno contratto la sepsi e quelli che invece non l’hanno contratta, questi ultimi considerati come gruppo controllo. Sono stati raccolti dati anagrafici, ematochimici, clinici e terapeutici del campione mediante la scheda aziendale “Sepsi”. I pazienti settici sono stati rilevati utilizzando le Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO). Il costo relativo ad un ricovero per sepsi è stato ottenuto dalla somma di: (1) il costo medio di una giornata di degenza moltiplicato per il numero complessivo di giornate di degenza consumate; (2) il costo specifico del trattamento antibiotico eseguito in corso di degenza, rilevato direttamente dalla documentazione clinica.

Risultati: Su 408 pazienti arruolati, 61 sono risultati con sepsi. Il costo medio complessivo pro-capite del ricovero di un paziente con sepsi in Nefrologia ammontava a 23.087,57 €; esso era costituito dal costo medio totale del ricovero per questa tipologia di paziente (19.364,98 €) e dal costo medio totale ponderato pro-capite della antibiotico terapia (3.722,60 €). Il tasso di mortalità è risultato pari al 41,7%, con una mortalità addizionale del 312%.

Conclusioni: Un paziente nefropatico con sepsi aveva un costo totale di 23.087,57 €, pari quasi al triplo di un analogo paziente senza sepsi (9.290,79 €) ricoverato in Nefrologia. Le cause principali di questo discostamento erano dovute alla degenza media più lunga di 8,7 giorni e ai costi medi giornalieri pro-capite elevati della terapia antibiotica (221,24 €). Sono necessari ulteriori studi multicentrici nazionali per un’analisi più ampia dei costi aggiuntivi e per favorire l’adeguamento del corrispettivo tariffario di rimborso DRG della sepsi, attualmente applicabile principalmente in ambito intensivistico.

Parole chiave: sepsi, costi, insufficienza renale, scheda dimissione ospedaliera

Introduzione

La sepsi rappresenta una condizione clinica frequente di difficile gestione.  È associata a una mortalità molto elevata quando si accompagna a insufficienza d’organo (20-25%) o a uno stato di shock settico (40-70%), ed è pertanto definita un’emergenza medica [1].

La Consensus Conference della Society of Critical Care Medicine (SCCM) nel 2003, ha elaborato le definizioni di sepsi, sepsi grave e shock settico con lo scopo di rendere omogenea la terminologia utilizzata in questo ambito [2,3]. Recentemente, nuove definizioni sono state messe a punto nella Terza Consensus Conference della SCCM nel 2016 [4], che non hanno modificato nessun aspetto nell’identificazione e nel trattamento di questa patologia, ma hanno reso ridondante il termine “sepsi grave” che è stato sostituito da “sepsi” (Fig.1).

Gli studi epidemiologici riguardo la sepsi, attualmente disponibili, sono estremamente eterogenei e comprendono valutazioni retrospettive, incentrate sulle diagnosi di dimissione ospedaliera, e valutazioni prospettiche, basate su indagini osservazionali [5,6].

 

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Analisi dei costi delle infezioni correlate al catetere venoso centrale per emodialisi attraverso il sistema dei DRG, “per conto del Gruppo di Progetto degli Accessi Vascolari della Società Italiana di Nefrologia”

Abstract

Le infezioni correlate al catetere venoso per emodialisi (CRBSI) rappresentano una complicanza che comporta spesso un ricovero ospedaliero ed un impiego di risorse economiche. In Italia mancano lavori che considerano i costi delle CRBSI per cateteri tunnellizzati (CVCt). Scopo del lavoro è valutare i costi relativi delle CRBSI attraverso il sistema dei DRG. Dal 2012 al 2017 sono state analizzate 2.257 Schede di Dimissione Ospedaliera (SDO), delle quali 358 relative a pazienti emodializzati. I pazienti con CVCt (167), rispetto alle FAV (157), presentano degenze medie più lunghe (10 contro 8), costi superiori dell’8.5% e un maggior numero di ricoveri per infezioni (+114%). L’incidenza di CRBSI è stata pari a 0.67 episodi per 1000 giorni di CVCt. Le CRBSI rappresentano il 23% delle cause di ricovero dei pazienti con CVCt ed il 5.2% delle spese totali dei ricoveri. Le CRBSI complicate comportano un 9% in più di costo medio rispetto a quelle semplici, con giornate di degenza tre volte superiori. Il costo di una CRBSI varia da €4.080 fino a €14.800, con costo medio pari a € 5.575. I costi da noi calcolati sono meno di un terzo di quelli riportati dalla letteratura americana, ma ciò è spiegabile con i diversi sistemi di rimborso. La metodologia dei costi delle CRBSI attraverso i DRG appare semplice, il limite principale consiste nella corretta compilazione della SDO, e occorre ricordare che la SDO è parte integrante della cartella clinica ed assume un importante aspetto economico per il riconoscimento delle prestazioni erogate.

 

Parole chiave: Costi, CRBSI, catetere centrale venoso

Introduzione

Il catetere venoso centrale tunnellizzato (CVCt) rappresenta, dopo la fistola artero venosa, l’accesso vascolare più frequentemente utilizzato nei pazienti in emodialisi in Italia. Gli ultimi dati ufficiali riportano una prevalenza del 18.4% della popolazione (1), ma è verosimile ipotizzare che tale dato sia abbastanza sottostimato e che almeno un terzo della popolazione ne sia portatore. 

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