Effetto della plasmafiltrazione e dell’adsorbimento nell’abuso di cocaina: un caso clinico

Abstract

La rabdomiolisi è una delle principali cause di insufficienza renale acuta. Numerose sono le cause endogene ed esogene che possono instaurare tale processo: tra le esogene ricordiamo l’abuso di cocaina, emergenza del nostro Paese interessante i giovani adulti. La cocaina, alcaloide stimolante naturale, ha un’azione tossica che può interessare tutti gli apparati, principalmente il sistema nervoso centrale e il sistema cardiovascolare. L’interessamento renale è multifattoriale e può manifestarsi spesso con un’insufficienza renale acuta o con una riacutizzazione di una malattia renale cronica. L’eziopatogenesi è correlata a modifiche dell’emodinamica, a danni diretti causati dall’accumulo di miofibrille a eventi immunologici determinanti vasculiti o microangiopatie trombotiche. In letteratura sono descritti approcci terapeutici differenti: terapia di supporto, terapia dialitica sostitutiva ed eventuale rimozione della causa scatenante, per la quale un ruolo ancora da confermare viene svolto dall’aferesi terapeutica.

Descriviamo il caso di un uomo di 42 anni, ricoverato presso il Reparto di Terapia Intensiva Cardiologica del nostro Presidio Ospedaliero, per riscontro di grave alterazione degli indici di miocardiocitonecrosi e di funzionalità epatica, in seguito ad abuso di cocaina. Durante la degenza si manifestava peggioramento della funzionalità renale con contrazione della diuresi e insorgenza di acidosi metabolica, non responsive alla terapia medica. Anche in considerazione degli elevati livelli circolanti di mioglobina, correlati alla rabdomiolisi, si sottoponeva il paziente a un ciclo di aferesi selettiva mediante immunoassorbimento con cartuccia TR350 associato a emodialisi: dopo due sedute di adsorbimento, il paziente riprendeva diuresi spontanea con una progressiva normalizzazione degli indici di funzionalità renale, epatica e di miocardiocitonecrosi.

Parole chiave: cocaina, rabdomiolisi, aferesi, adsorbimento

Introduzione

L’abuso di cocaina, emergenza epidemiologica e sanitaria sempre più ingravescente, se non controllato e trattato tempestivamente, può spesso determinare l’insorgenza di intossicazioni acute.

La cocaina e i suoi metaboliti in concentrazioni elevate, infatti, possono essere responsabili di manifestazioni clinico-laboratoristiche molteplici ed eterogenee: esistono forme silenti e asintomatiche e forme con coinvolgimento multiorgano. Anche il rene, mediante meccanismi eziopatogenetici variegati, può subire un insulto determinante un’insufficienza renale, spesso non responsiva alla terapia medica.

Gli approcci terapeutici prevedono principalmente una terapia sintomatica e determinata dalle manifestazioni multiorgano eventualmente presenti ma anche l’allontanamento della noxa patogena: non esistono infatti terapie farmacologiche specifiche per l’abuso di cocaina ma solo approcci comportamentali o terapie ancillari per le quali non esiste un univoco consenso tra gli specialisti (Tabella 1). 

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Poliradicolopatia infiammatoria cronica post Covid-19 e ruolo dell’aferesi terapeutica: caso clinico

Abstract

Esiste una stretta correlazione tra infezione da SARS-CoV-2 ed insorgenza di malattie autoimmuni neurologiche con atipica presentazione clinica e caratterizzate da una limitata risposta alla terapia medica, probabilmente causata dal meccanismo eziologico del virus stesso.

In situazioni come queste, dopo il fallimento della terapia farmacologica, è possibile procedere con le aferesi terapeutiche, tra cui l’immunoadsorbimento.

I trattamenti con le colonne adsorbenti IMMUSORBA TR-350 si sono dimostrate particolarmente efficaci nel gestire le forme refrattarie di neuropatie post Covid-19, consentendo un recupero completo della disabilità ed un annullamento dei segni e sintomi neurologici.

Discutiamo il caso di un paziente affetto da una poliradicolopatia cronica infiammatoria post Covid-19, resistente alla terapia medica, efficacemente trattato con l’immunoadsorbimento.

Parole chiave: Poliradicolopatie, SARS-CoV-2, Aferesi, Immunoadsorbimento

Introduzione

L’utilizzo dell’aferesi terapeutica per il trattamento di patologie neurologiche autoimmuni, non responsive alla terapia immunomodulante, è da anni oggetto di numerosi studi. Da una accurata analisi della letteratura, emergono alcune considerazioni: se da una parte vediamo un numero in aumento di varianti patologiche definite in alcuni casi atipiche o idiopatiche e correlate prevalentemente ad una assenza di risposta alla terapia di prima linea, dall’altra non sembra ancora del tutto chiaro e definito un approccio standardizzato, in caso di mancata risposta clinica.

Studi scientifici stanno evidenziando come l’infezione da SARS-CoV-2 possa essere responsabile sia del comportamento atipico di alcune patologie neurologiche infiammatorie e disimmuni, sia della loro refrattarietà alla terapia standard.

La nostra esperienza si è focalizzata sulla risposta efficace e quindi sul ruolo indispensabile dell’aferesi terapeutica, in una forma atipica di polineuropatia disimmune, resistente alla terapia medica.

 

Caso clinico

Esponiamo il caso clinico di un paziente di 48 anni, inviato alla nostra attenzione dai colleghi della SC Neurologia, affetto da poliradicolopatia demielinizzante cronica post Covid, resistente a somministrazione di immunoglobuline e quindi candidato a trattamento aferetico.

Il paziente, anamnesticamente affetto da tiroidite di Hashimoto dall’età di 29 anni, aveva presentato durante l’età adulta alcuni sporadici episodi di acufeni ed ipoacusia, trattati con terapia vasoattiva e steroidea con beneficio. All’età di 44 anni compariva progressivamente alopecia areata idiopatica su tutto il capo per la quale veniva tentato ciclo di terapia steroidea, risultato inefficace.

A marzo 2022, in seguito ad episodio febbrile, comparsa di astenia, malessere generalizzato e lievi sintomi respiratori, riceveva diagnosi di infezione da SARS-CoV-2: il paziente non presentando necessità di ospedalizzazione seguiva isolamento domiciliare con remissione spontanea della sintomatologia dopo circa 7 giorni. Circa una settimana dopo la guarigione il paziente presentava comparsa di parestesie dolorose distali agli arti inferiori con andamento ascendente e coinvolgimento delle mani e veniva pertanto ospedalizzato presso la SC di Neurologia del nostro presidio.

L’esame neurologico all’ingresso risultava nella norma eccetto per ipoestesia dolorifica alle piante dei piedi e allodinia. I riflessi osteotendinei non risultavano aboliti. La rachicentesi diagnostica mostrava un aumento della componente proteica a fronte della normalità del numero assoluto dei globuli bianchi. Agli esami ematochimici si evidenziava un aumento degli indici di flogosi con test sierologici negativi per Campylobacter jejuni, complesso TORCH, Mycoplasma pneumoniae ed Epstein-Barr virus; risultava invece positiva la ricerca di anticorpi anti SARS-CoV-2 su liquor e siero e negativa la PCR per SARS-CoV-2 su liquor. Gli esami neurofisiologici eseguiti mostravano esclusivamente una ridotta persistenza dell’onda F nel solo nervo peroneo profondo di sinistra, mentre la RMN dell’encefalo evidenziava un’anomalia vascolare del tronco, del tutto aspecifica. Nell’ipotesi di neuropatia delle piccole fibre associata a infezione da Covid-19 veniva avviata terapia steroidea.

Durante il ricovero si assisteva a peggioramento clinico per comparsa di atassia della marcia, lieve ipostenia distale agli arti superiori e prossimale agli inferiori, progressiva riduzione dei riflessi osteotendinei degli arti inferiori, deficit completo bilaterale del VII nervo cranico, accentuazione delle parestesie ed associazione di stipsi. Concomitava comparsa all’esame elettromiografico di un quadro di polineuropatia sensitivo-motoria di tipo demielinizzante a distribuzione simmetrica e distale di grado lieve suggestivo per poliradicolonevrite infiammatoria acuta demielinizzante con evidenza clinica di coinvolgimento delle piccole fibre.

Si avviava, quindi, ciclo di immunoglobuline umane endovena ad alte dosi (0,4 g/kg per 5 giorni consecutivi) associata a terapia sintomatica con netto miglioramento del deficit facciale e della forza, ed attenuazione della sintomatologia parestesica.

Seguiva breve ricovero presso struttura di riabilitazione neurologica, dove, a 14 giorni dal termine della somministrazione delle immunoglobuline, ricomparivano sia le parestesie sia l’ipostenia diffusa ai 4 arti. Nuovamente ricoverato presso la SC Neurologia, l’esame elettrofisiologico evidenziava un peggioramento della poliradicoloneuropatia. Nell’ipotesi di peggioramento correlato alla terapia, dopo consulto congiunto tra Neurologi e Nefrologi, si poneva indicazione a trattamento aferetico.

Previo posizionamento eco-guidato di catetere venoso centrale in vena giugulare interna destra e previo controllo dei valori di fibrinogemia, il paziente veniva sottoposto a 8 sedute di aferesi selettiva mediante tecnica di immunoadsorbimento. Veniva usata la colonna adsorbente IMMUSORBA TR-350 e si impostava un ritmo di trattamento a giorni alterni. Progressivamente, con l’esecuzione dei trattamenti aferetici, si assisteva ad una risoluzione quasi completa della sintomatologia neurologica e miglioramento del quadro elettromiografico.

A circa 30 gg dal termine della terapia aferetica il paziente presentava nuova riacutizzazione della sintomatologia neurologica per cui veniva posta diagnosi di polineuropatia Infiammatoria Cronica demielinizzante ad andamento recidivante remittente e, in regime di ricovero, venivano eseguite ulteriori 6 sedute di aferesi selettiva mediante tecnica di immunoadsorbimento.

Alla dimissione il paziente veniva avviato a follow-up congiunto Neuro-Nefrologico, tuttora in corso, durante il quale ha eseguito trattamento aferetico settimanale per il primo mese, bisettimanale per il secondo mese e mensile dal terzo mese in associazione all’avvio di terapia con ciclosporina, senza evidenza clinica o strumentale di ripresa di malattia.

 

Discussione

Le neuropatie disimmuni acute e croniche rappresentano al momento una importante causa di disabilità neurologica. Esse rientrano nel gruppo delle malattie autoimmuni poiché determinate da una iperattività dell’immunità cellulare ed umorale in risposta ad uno stimolo antigenico. Se in alcuni casi il trigger scatenante il meccanismo patogenetico è riconducile ad un’infezione da microrganismo noto, in tanti altri la noxa patogena rimane sconosciuta, comportando un ritardo diagnostico, una ritardata programmazione terapeutica ed un maggiore probabilità che il danno assonale diventi irreversibile [14].

Già nei primi mesi del 2020, si erano osservati numerosi casi di neuropatie disimmuni non riconducibili ad altri trigger se non all’infezione da SARS-CoV-2. In effetti, nei mesi successivi, la letteratura ha confermato una correlazione tra questa infezione virale e diverse malattie neurologiche immunomediate [57].

Il nostro paziente aveva un’anamnesi patologica suggestiva per una predisposizione ad una patologia autoimmune: sin dalla giovane età aveva manifestato episodi di sordità neurosensoriale e di alopecia, entrambi parzialmente controllati dalla somministrazione di una terapia immunomodulante.

Il sospetto che questa patologia neurologica fosse connessa all’infezione virale da Covid-19 è supportato dalla correlazione temporale con l’infezione, dall’elevato titolo anticorpale contro SARS-CoV-2 e dalla negatività sierologica e colturale di tutti i più importanti agenti microbici, solitamente causa di neuropatie post-infettive.

Non è ancora del tutto noto in che modo l’infezione virale da SARS-CoV-2 possa determinare un danno neurologico periferico e centrale: sussistono due teorie che ipotizzano da una parte un danno diretto causato dall’internalizzazione del virus nelle cellule nervose e dall’altro un danno post infettivo per la presenza costante di citochine pro-infiammatorie che determinano un’iperattivazione del sistema immunitario [811].

L’approccio terapeutico per queste forme di neuropatia prevede una prima scelta costituita da corticosteroidi ed immunoglobuline: in caso di risposta clinica inefficace o di insorgenza di recidiva di malattia sono previste terapie combinate tra immunosoppressori ed aferesi terapeutiche [3, 12].

Se da un lato le Linee Guida dell’American Society For Apheresis (ASFA) del 2019 ci indicano che le CIDP sono patologie suscettibili di trattamento aferetico, dall’altro non si esprimono su quali protocolli usare: non esistono infatti in letteratura approcci terapeutici univoci e standardizzati circa la metodica aferetica da prediligere, il filtro e la colonna adsorbente da usare o il timing delle sedute, lasciando una discreta libertà ai Centri Operanti [12, 13].

Nel nostro caso la terapia impostata mediante i corticosteroidi prima ed immunoglobuline dopo, aveva solo parzialmente controllato la patologia: alla sospensione, infatti, si era rapidamente manifestata una recidiva, ancora più aggressiva, rivelatasi poi resistente alla terapia stessa e pertanto necessitante di trattamento aferetico.

Al contrario di altre patologie neurologiche in cui immunoadsorbimento (IA) e plasmaexchange (PE) sono state confrontate in termini di efficacia, risultando equivalenti, per le CIDP non esistono al momento studi in tal senso [12, 1422].

IA e PE si differenziano tra loro per alcune caratteristiche: se la PE comporta una rimozione meno selettiva di molecole circolanti a fronte di una maggiore specificità fornita dall’IA, la stessa PE prevede che il plasma sottratto al paziente venga sostituito da un liquido di reinfusione esogeno.

I trattamenti di IA consistono, infatti, nel passaggio del plasma attraverso colonne caratterizzate dalla proprietà di assorbire selettivamente alcune particolari sostanze patogene, evitando la perdita di elementi essenziali e la conseguente infusione di plasma o di soluzioni sostitutive (Figura 1).

Figura 1: schematizzazione di un circuito usato per l’aferesi terapeutica.
Figura 1: schematizzazione di un circuito usato per l’aferesi terapeutica.

In considerazione del rischio aumentato di sviluppare infezioni o reazioni allergiche in seguito a reinfusione di liquido esogeno, di una potenziale efficacia sovrapponibile tra le due metodiche e della letteratura presente, la nostra scelta è ricaduta sull’IA, metodica con un profilo di rischio più accettabile [12, 23].

Abbiamo utilizzato la colonna assorbente IMMUSORBA TR-350, la cui membrana è costituita da Triptofano in gel di polivinilalcool, in grado di assorbire gli immunocomplessi circolanti mediante interazione chimico-fisica con il triptofano stesso [24] (Figura 2).

Figura 2: colonna adsorbente IMMUSORBA TR-350.
Figura 2: colonna adsorbente IMMUSORBA TR-350.

Come già anticipato, non essendo previsti dei protocolli univoci e standardizzati, dopo il posizionamento di un catetere venoso centrale in vena giugulare interna destra, abbiamo sottoposto il paziente a sedute di IA, a giorni alterni, per un totale di 6 sedute.

Ad ogni seduta di IA sono stati trattati, in considerazione del valore di ematocrito e del peso corporeo del paziente, tra i 2 litri e i 2,5 litri di plasma per una durata media della singola seduta di circa 2 ore (Figura 3).

Figura 3: formula per calcolare il volume di plasma durante il trattamento aferetico di Immunoadsorbimento.
Figura 3: formula per calcolare il volume di plasma durante il trattamento aferetico di Immunoadsorbimento.

Non essendo presenti alterazioni dei valori della coagulazione e non essendoci anomalie nel numero assoluto delle piastrine è stato usato come anticoagulante l’eparina a basso molecolare (4000 UI a trattamento).

Durante le singole sedute il paziente non ha manifestato alcuna intolleranza o effetto collaterale, mantenendo una stabilità dei parametri emodinamici.

Il giorno seguente il trattamento, veniva dosata la fibrinogemia: solo in un caso, è stato necessario somministrare fibrinogeno esogeno, poiché, come da letteratura, consumato dal trattamento aferetico al di sotto dei valori di sicurezza (200 mg/dl) [25, 26].

Dopo ogni seduta aferetica si è potuto osservare un progressivo miglioramento delle condizioni cliniche del paziente. Questa evidenza da noi osservata risulta essere in linea con i dai presenti in letteratura che confermano come IA sia un trattamento efficace nel ridurre a breve e a lungo termine la disabilità delle poliradicolopatie demielinizzanti croniche post infettive [2729]. Al termine del ciclo terapeutico, infatti, in considerazione della riduzione e poi scomparsa della sintomatologia neurologica, del netto miglioramento delle autonomie e della riduzione della disabilità, al paziente è stato indicato un follow-up ambulatoriale congiunto polispecialistico che ha previsto una progressiva riduzione del timing delle sedute, fino al raggiungimento di una singola seduta aferetica mensile.

 

Conclusioni

Non si conosce ancora molto circa le conseguenze cliniche a lungo e medio termine, dell’infezione da SARS-CoV-2. Molte condizioni patologiche su base autoimmunitaria, fino ad ora ritenute idiopatiche, dal 2020 in poi hanno visto una potenziale correlazione con la nota pandemia virale.

La letteratura sembra ipotizzare come l’andamento clinico e la risposta terapeutica di alcune patologie possa essere influenzata negativamente dall’infezione virale stessa, identificando delle varianti atipiche di malattia. Anche le CIDP possono rientrare in questa casistica ed il nostro caso clinico lo conferma.

L’aferesi, l’IA in particolare, si è rivelata un’ottima opzione terapeutica in grado di controllare e risolvere il meccanismo eziopatogenetico scatenante la patologia neurologica, dimostrandosi inoltre sicura: i potenziali effetti avversi dati dalla somministrazione di immunoglobuline e corticosteroidi da un lato e quelli dovuti all’infusione di liquido di sostituzione dall’altra sono stati completamente azzerati.

Questa esperienza conferma ulteriormente la necessità di realizzare percorsi multidisciplinari centralizzati, che vedano la condivisione tra più specialisti nell’approccio olistico al paziente.

Appare evidente come la mancata realizzazione di protocolli univoci e standardizzati relativi al paziente resistente o refrattario probabilmente abbia scoraggiato nel tempo il clinico nell’utilizzo di trattamenti aferetici, limitando così la possibilità di casistiche più ampie e sempre più differenziate.

 

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