Fistola ad alta portata: un problema di non facile gestione

Abstract

Nei pazienti emodializzati con una fistola (FAV) ad alta portata si può sviluppare una insufficienza cardiaca in relazione al notevole aumento del flusso dell’accesso vascolare con conseguente eccessivo carico di lavoro cardiaco, insufficienza cardiaca congestizia ed ipertensione polmonare.
La definizione di “alto flusso” è, però, varia e quasi sempre collegata a fistole prossimali, nelle quali l’emodinamica è influenzata da un flusso sanguigno che supera di gran lunga quello richiesto per l’emodialisi, compromettendo tutta la dinamica circolatoria, in particolare nei soggetti anziani con associata patologia cardiaca.
Un flusso elevato di accesso vascolare è, spesso, associato a complicazioni come insufficienza cardiaca, ipertensione polmonare, fistola aneurismatica, stenosi della vena centrale, sindrome da furto associata alla dialisi o sindrome ischemica da ipoperfusione distale. Sebbene non vi sia un accordo univoco sui valori del volume di flusso della FAV, né sulla definizione di alto flusso, non c’è dubbio che la portata dovrebbe essere considerata troppo alta se si sviluppano segni di insufficienza cardiaca.
La soglia esatta per definire l’accesso vascolare ad alto flusso non è stata convalidata o universalmente accettata dalle linee guida, sebbene sia stato suggerito un valore di portata da 1 a 1,5 l/min.
Inoltre, valori anche più bassi possono essere indicativi di un flusso sanguigno relativamente eccessivo, a seconda delle condizioni del paziente.
La fisiopatologia che contribuisce a questo processo patologico è lo smistamento del sangue dal sistema arterioso ad alta resistenza al sistema venoso a bassa resistenza, aumentando il ritorno venoso fino allo scompenso cardiaco.
È necessaria una diagnosi accurata e tempestiva dell’emodinamica arterovenosa ad alto flusso mediante il monitoraggio del flusso sanguigno della fistola e della funzione cardiaca per interrompere questo processo prima che si manifesti l’insufficienza cardiaca.
Descriviamo la storia di due pazienti portatori di FAV ad alta portata con revisione della letteratura.

Parole chiave: portata FAV, insufficienza cardiaca, accesso vascolare, emodialisi

Introduzione

Una insufficienza cardiaca ad alta gittata può essere la conseguenza di svariate condizioni patologiche quali anemia, sepsi, ipertiroidismo, beri beri. Un’altra causa nota, in alcuni pazienti emodializzati, può essere la presenza di una fistola arterovenosa (FAV) in relazione al notevole aumento del flusso dell’accesso vascolare con conseguente eccessivo carico di lavoro cardiaco, insufficienza cardiaca congestizia ed ipertensione polmonare [13].

Come è ben noto, la sindrome uremica è associata ad un aumento della morbilità e mortalità cardiovascolare; il rischio di morte in un paziente emodializzato con insufficienza cardiaca è del 33%, 46% e 57% rispettivamente a 12, 24 e 36 mesi dopo l’inizio della terapia dialitica secondo i dati del Renal Data System statunitense [4]. Un’insufficienza cardiaca congestizia può manifestarsi nel 25-50% dei pazienti emodializzati, in particolare nei pazienti con “fistola artero-venosa ad alto flusso”.

La definizione di “FAV ad alto flusso” è, però, varia e, quasi sempre, collegata a FAV prossimali, nelle quali l’emodinamica è influenzata da un flusso sanguigno che supera di gran lunga quello richiesto per l’emodialisi, compromettendo tutta la dinamica circolatoria, in particolare nei soggetti anziani [5]. Sebbene una velocità di flusso eccessivamente alta sia associata a conseguenze avverse, la capacità di tollerare un flusso elevato è variabile.

Infatti, nei soggetti giovani può essere tollerato un flusso della fistola a riposo fino a 4 l/min senza alcun effetto negativo sull’emodinamica; anche se va considerato che, durante l’esercizio fisico, la gittata cardiaca può raddoppiare o triplicare e quindi il flusso può raggiungere anche 12 l/min con conseguente sovraccarico cardiaco ed ipertensione polmonare [1, 6].

Il termine di “FAV ad alto flusso” non è utilizzato in modo uniforme per i pazienti con i segni di insufficienza cardiaca (edemi periferici, ascite e ipotensione) o per quelli con un flusso ematico della FAV (Qa) >1500-2000 ml/min o quando il rapporto Qa e gittata cardiaca (GC = CO) è > 30% [7].

La Vascular Access Society definisce come FAV ad alta portata un accesso vascolare con valori di 1000-1500 ml/min ed affianca a tale definizione un ulteriore dato, il “ricircolo cardiopolmonare” (RCP), ossia il rapporto tra il flusso della FAV e la portata cardiaca al fine di valutarne l’impatto emodinamico. Quando tale indice è > 20% si può verificare una condizione di rischio di scompenso ad alto output. La prevalenza di questa condizione non è però ben stabilita, poiché molti casi non vengono segnalati e rimangono misconosciuti [1].

Le linee guida KDOQI [8] sottolineano l’importanza di uno stretto monitoraggio (attento esame fisico e determinazione di RCP) ogni 6-12 mesi (o, più frequentemente, in caso di necessità) per gestire precocemente la FAV con alto flusso, evitando complicazioni gravi o irreversibili, quali insufficienza cardiaca ad alta gittata, ipertensione polmonare, stenosi delle vene centrali, ipertensione venosa, degenerazione aneurismatica della FAV e ischemia della mano. Sebbene la soglia per definire l’accesso ad alto flusso non sia stata rigorosamente convalidata né universalmente accettata, è stata indicato dalle linee guida KDOQI un Qa compreso tra 1 e 1,5 l/min o un Qa > 20% della gittata cardiaca. Le linee guida riservano, inoltre, il termine di “insufficienza cardiaca” solo ai pazienti sintomatici e considerano “precursori dello scompenso cardiaco” alcune alterazioni ecocardiografiche quali la disfunzione diastolica, la dilatazione delle cavità cardiache e lo sviluppo di rigurgito valvolare. Inoltre le linee guida non sono d’accordo riguardo all’indicazione chirurgica della riduzione del flusso nei pazienti asintomatici [911].

Va sottolineato, tuttavia, che c’è un elemento di individualità intrinseco alla definizione di flusso elevato della FAV. Infatti, sintomi legati all’ insufficienza cardiaca congestizia si possono sviluppare a valori di Qa anche inferiori; in particolare nei pazienti con cardiopatia sottostante o comorbilità correlate; pertanto secondo le linee guida potrebbe essere di aiuto l’esecuzione di un ecocardiogramma bidimensionale ogni 6-12 mesi.

Le linee guida spagnole suggeriscono nei casi di Qa > 2000 ml/min e/o nei pazienti con ricircolo cardiopolmonare > 30% la riduzione del flusso della FAV (mediante banding o procedure di rivascolarizzazione come la revisione dell’afflusso distale o RUDI) al fine di ridurre il rischio di insufficienza cardiaca ad alta gittata [12].

Le linee guida della Società Europea di Chirurgia Vascolare raccomandano per i pazienti emodializzati con un Qa > di 1500 ml/min un regolare monitoraggio mediante misurazioni del flusso, ecocardiografia e valutazione dei segni clinici di insufficienza cardiaca [13].

È un aspetto di cruciale importanza dell’assistenza al paziente emodializzato fare una diagnosi accurata e precoce della FAV ad alto flusso ed, inoltre, selezionare le procedure più idonee per trattare questa condizione patologica e le sue complicanze; infatti l’insufficienza cardiaca, come evidenziato in letteratura, è potenzialmente reversibile con la riduzione della portata e/o con la chiusura della FAV, sia spontanea per trombosi, che chirurgica dopo trapianto di rene [14, 15].

Nel presente lavoro descriviamo la storia di due pazienti portatori di FAV ad alta portata con revisione della letteratura.

 

Caso clinico 1

Uomo di 45 anni sottoposto a trapianto di rene da donatore cadavere. Dopo rigetto cronico, all’età di 55 anni riprendeva il trattamento emodialitico, utilizzando come accesso vascolare una FAV radio-cefalica sx prossimalizzata, mantenuta pervia, contro il parere dei sanitari, durante tutta la durata (10 anni) di funzionalità del graft.

Alla presa in carico presso il nostro centro, il paziente si presentava asintomatico e con valori di pressione arteriosa nella norma, l’esame obiettivo metteva in evidenza una FAV molto sviluppata con un enorme aneurisma. L’indagine con ecocolordoppler mostrava una dilatazione aneurismatica post-anastomotica a pareti indenni da lesioni; il calcolo della portata risultava di 10 l/min (eseguito in modo automatico dall’ecografo attraverso l’impostazione di 2 parametri: diametro dell’arteria omerale in B-Mode e velocità media calcolata sempre sullo stesso vaso a circa 2 cm dalla piega del gomito secondo le indicazioni delle linee guida) (Fig. 1).

FAV con portata di 10 l/min. 
Figura 1: FAV con portata di 10 l/min.  I parametri necessari per il calcolo della portata della FAV sono: diametro del vaso (arteria omerale) e velocità media del sangue.  Flusso (ml/min) = Area × Velocità media × 60, dove per area si intende l’area di sezione del vaso (cm²) e la velocità media è quella dei globuli rossi (cm/sec) ricavata dal tracciato Doppler nella sede in cui viene misurata l’area del vaso.

L’ecocardiogramma evidenziava ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro, dilatazione biatriale, FE pari al 50% e assenza di ipertensione polmonare. Il paziente, dopo un breve periodo in cui è stato sottoposto a stretto monitoraggio, ha finalmente dato il suo consenso al trattamento chirurgico di riduzione dell’aneurisma e della portata della FAV, come concordato dal nefrologo e dal chirurgo vascolare.

Dopo anestesia plessica con carbocaina, è stata eseguita una flebografia dell’arto, tramite venopuntura della vena cefalica arterializzata, per valutare l’eventuale presenza di una stenosi dei vasi venosi centrali, non evidenziabile all’indagine ecocolordoppler. L’esame risultava negativo per stenosi. Pertanto, si procedeva con incisione longitudinale al terzo prossimale-medio dell’avambraccio, veniva isolata l’anastomosi ed il primo tratto del versante venoso dove era presente l’aneurisma (Fig. 2).

Aneurisma in FAV ad alta portata
Figura 2: Aneurisma in FAV ad alta portata. Dopo incisura al terzo prossimale-medio dell’avambraccio è ben visibile l’aneurisma a livello del primo tratto del versante venoso.

Dopo clampaggio dei vasi, è stata eseguita una venotomia longitudinale di circa 8 cm fino all’anastomosi (Fig. 3).

FAV prossimale ad alta portata.
Figura 3: FAV prossimale ad alta portata. Apertura della sacca aneurismatica.

La parete in eccesso della sacca aneurismatica veniva rimossa (Fig. 4), si procedeva a chiusura della parete con sutura continua e riduzione dell’anastomosi stessa (Fig. 5).

FAV prossimale ad alta portata.
Figura 4: FAV prossimale ad alta portata. Resezione con riduzione dell’aneurisma.
Termine intervento dopo aneurismectomia e riduzione del diametro dell’anastomosi.
Figura 5: Termine intervento dopo aneurismectomia e riduzione del diametro dell’anastomosi. Portata FAV attuale circa 2,0 l/min.

Al termine, la portata della FAV, intraoperatoria, si attestava a circa 2,0 l/min. A distanza di circa 8 mesi, il follow-up ecografico confermava la stabilità della portata della FAV (Fig. 6).

Portata FAV post-intervento: 1900 ml/min.
Figura 6: Portata FAV post-intervento: 1900 ml/min. Ecocolordoppler: curva spettrale a bassa resistenza con elevata componente diastolica.

 

Caso clinico 2

Uomo di 60 anni. In anamnesi ipertensione arteriosa, ipotiroidismo, nefrectomia renale sinistra per carcinoma a cellule renali nel 2005. Nel maggio 2017 si evidenziava comparsa di malattia nel rene destro per cui veniva sottoposto ad intervento di nefrectomia. Iniziava trattamento emodialitico con catetere venoso centrale e, successivamente, a giugno 2018, veniva allestito un accesso vascolare prossimale tra l’arteria omerale e la vena cefalica del braccio. La FAV, dopo adeguata maturazione, è stata punta regolarmente e sono stati eseguiti controlli periodici con ecocolordoppler in relazione ad alta portata (circa 4 l/min, con una bocca anastomotica di 5 mm). Nell’aprile 2019, per il riscontro all’ecocolordoppler di una stenosi al terzo medio della vena cefalica arterializzata, eseguiva una angioplastica (PTA).

Ad inizio 2020 il follow-up con ecocolordoppler mostrava un netto incremento della portata (8 l/min) ed un progressivo incremento delle dimensioni di una dilatazione aneurismatica post-anastomosi (Fig. 7).

Immagine B-mode: si apprezza l’anastomosi e l’aneurisma post anastomosi, il diametro dell’arteria omerale è di 9,2 mm.
Figura 7: Immagine B-mode: si apprezza l’anastomosi e l’aneurisma post anastomosi, il diametro dell’arteria omerale è di 9,2 mm.

Si proponeva al paziente la riduzione dell’anastomosi. L’intervento veniva, però, posticipato per oltre un anno per il sopraggiungere dell’emergenza Covid. In seguito ad un controllo ecocardiografico veniva effettuato un ricovero in Cardiologia e sottoposto ad angioplastica (PTCA) + stent medicati (DES) su IVA per riscontro di necrosi settale e severa disfunzione di pompa, in nota insufficienza mitralica e dilatazione biatriale, insufficienza tricuspidale con ipertensione polmonare (PAPS stimata > 65 mmHg).

La situazione clinica del paziente si complicava per una grave emorragia addominale causata dalla ripresa della malattia oncologica con metastasi addominali. Il paziente presentava episodi di flutter/fibrillazione atriale trattati con betabloccante e digitale endovena ed era ipoteso (PA 110/60 mmHg). A settembre 2021 ricovero per l’intervento di riduzione della FAV. Eseguito un esame fisico ed ecocolordoppler prima dell’intervento che metteva in evidenza la presenza di un collaterale a partenza dalla vena cefalica arterializzata di buon calibro (>3 mm) (Fig. 8), si decideva di utilizzare tale collaterale in sede di intervento.

Figura 8: Mega fistola con portata preintervento di 8 l/min.
Figura 8: Mega fistola con portata preintervento di 8 l/min.

In anestesia plessica con carbocaina, veniva eseguita incisione longitudinale in corrispondenza dell’aneurisma che veniva isolato. Si identificava il vaso collaterale da usare per nuovo allestimento di FAV, lo si mobilizzava e si chiudevano dei piccoli rami collaterali. Si lavava con fisiologia eparinata. L’aneurisma era chiuso, a livello prossimale e distale, e resecato. Veniva riconfezionato un nuovo accesso vascolare poco più prossimalmente rispetto al precedente (Fig. 9). L’intervento permetteva una riduzione della portata a meno di 2 l/min. Dopo la riduzione della portata, si assisteva ad un miglioramento del quadro clinico con buon compenso emodinamico, risalita dei valori pressori e riduzione della frequenza cardiaca. A distanza di pochi mesi però, si assisteva al decesso del paziente a causa di una sepsi a partenza da un’ulcera dell’arto inferiore destro.

Figura 9: Rappresentazione schematica di fistola pre- e post-intervento.
Figura 9: Rappresentazione schematica di fistola pre- e post-intervento.

 

Discussione

I casi clinici riportati riassumono le caratteristiche e le complicanze cliniche relative ad una FAV ad alta portata; tale condizione si associa, spesso, a dilatazioni aneurismatiche della vena arterializzata.

Sebbene non ci sia un rapporto causa-effetto chiaramente definito, alta portata e dilatazioni aneurismatiche sono meritevoli di particolare attenzione al fine di evitare quadri clinici più complessi come l’insufficienza cardiaca ad alta gittata con l’aumento del volume telediastolico ventricolare sinistro, l’ipertensione polmonare, le stenosi delle vene centrali e la sindrome ischemica da ipoperfusione distale, ulcerazioni cutanee e rottura. La dilatazione aneurismatica si verifica a causa di una complessa interazione tra fattori biologici che inducono il rimodellamento della parete e fattori fisici come la tensione della parete, in aggiunta all’indebolimento della parete da ripetute venopunture (lesioni tissutali e successiva guarigione) e all’aumento della pressione dell’accesso a causa di una stenosi relativa o assoluta [16]. Le manifestazioni cliniche associate ad un accesso ad alto flusso possono variare da un reperto accidentale asintomatico ad una situazione grave e pericolosa per la vita. Il sospetto di una alta portata della FAV va considerato in ogni paziente con caratteristiche cliniche riassunte nella Tabella 1.

Ipertrofia ventricolare sinistra eccentrica Rimodellamento del muscolo cardiaco con dilatazione delle quattro camere proporzionale al Qa
Insufficienza cardiaca ad alta gittata

Indice cardiaco superiore alla norma o gittata cardiaca elevata.

Sintomi: dispnea a riposo o con vari gradi di sforzo, ortopnea, dispnea parossistica notturna, edema polmonare e/o periferico

Ischemia miocardica Squilibrio avverso tra l’apporto di ossigeno subendocardico e l’aumento della richiesta di ossigeno dovuta all’aumento della gittata cardiaca
Ipertensione polmonare

Aumento della gittata cardiaca dopo creazione di FAV associato ad aumento della pressione arteriosa polmonare che è correlata al Qa.

Sintomi: dispnea progressiva, astenia, sincope e insufficienza cardiaca dx

Ischemia distale

indotta dall’accesso dell’emodialisi

Diminuzione della pressione di perfusione distalmente all’anastomosi FAV

Ischemia sino alla gangrena

Qa spesso elevato, in alcuni casi normale o basso

Diminuzione della clearance della dialisi Elevato ricircolo cardiopolmonare con ridotta efficienza dialitica
Stenosi venosa periferica e centrale

La stenosi del deflusso venoso è il risultato dell’iperplasia neointimale dovuta alla risposta dell’endotelio vasale all’alterazione del flusso sanguigno. Ciò avviene in siti specifici (biforcazione dei vasi, valvole venose, zone curve fortemente angolate all’interno del vaso) la cui anatomia favorisce un flusso sanguigno turbolento con conseguente squilibrio nello shear stress di parete.

Qa eccessivamente alto favorisce lo sviluppo di stenosi centrali

Allargamento aneurismatico dell’accesso (megafistola) Progressivo aumento dei vasi rendendo la FAV diffusamente tortuosa ed ectasica
Tabella 1: Manifestazioni cliniche legate ad una FAV ad alta portata.

La sintomatologia dell’insufficienza cardiaca ad alta gittata dovuta ad una FAV ad alto flusso è varia e caratterizzata da difficoltà respiratoria, palpitazioni, edema agli arti inferiori, inappetenza, ortopnea, dispnea anche per piccoli sforzi e/o dispnea parossistica notturna. La FAV ad alto flusso è una causa frequente di ipertensione polmonare quando la pressione arteriosa polmonare media supera i 25 mmHg a riposo o durante l’esercizio; in genere è asintomatica nei pazienti emodializzati, ma possono essere presenti sintomi come respiro corto, vertigini, svenimento, segni di insufficienza cardiaca destra ed edemi agli arti inferiori. Tale situazione può regredire con la riduzione del flusso e conseguente notevole abbassamento della pressione dell’arteria polmonare; incerto è, invece, un miglioramento della prognosi di vita di questi pazienti.

Nella pratica clinica quotidiana, spesso, non si riesce a trovare una correlazione univoca tra la sintomatologia e l’alto flusso di una FAV e non sono chiare le cause alla base dell’evoluzione di un sovraccarico di volume verso una insufficienza cardiaca conclamata. Le motivazioni sono svariate e legate sia alla tipologia del paziente (sovraccarico di volume, alterato metabolismo calcio-fosforo con calcificazioni arteriose, ipertensione arteriosa ed un aumento del cardiac output secondario all’anemia cronica, oltre alla coesistente presenza di malattie organiche come diabete, aritmie, cardiopatia ischemica o valvulopatie [17]), sia al fatto che la portata ematica di una FAV è legata soprattutto alla sede dell’anastomosi, più alta quanto più prossimale, alle dimensioni della breccia anastomotica (per esempio in una FAV prossimale > 4-6 mm), all’angolazione e al calibro del primo tratto venoso.

Diversi studi hanno dimostrato che, subito dopo la creazione di una FAV, si verifica una istantanea diminuzione delle resistenze vascolari periferiche e, per i successivi sette giorni, un progressivo compensatorio aumento, pari al 10-20% della gittata cardiaca e del 12,7% [18, 19] della massa ventricolare sinistra [20]. Lo sviluppo di una FAV è, quindi, un complesso rimodellamento vascolare venoso, arterioso e della circolazione sistemica con modificazioni dello shear stress di parete, dilatazione delle arterie e delle vene con cambiamenti strutturali della parete vasale [21]. Seppur raramente, sono descritti in letteratura casi di insufficienza cardiaca ad alta gittata “iperacuta” con quadri drammatici, già in sala operatoria, subito dopo l’allestimento di una FAV, tanto da rendere necessaria la legatura dell’accesso per ripristinare la stabilità emodinamica [22].

Basile e colleghi, in uno studio prospettico di riferimento, nel 2008, analizzando nelle FAV distali e prossimali la correlazione tra portata della FAV e cardiac output, hanno dimostrato un elevato valore predittivo dell’alta portata della FAV nel determinare una insufficienza cardiaca ad alta gittata soprattutto nelle FAV prossimali e/o nelle FAV con flussi maggiori o uguali a 2000 ml/min.

In particolare, i casi di scompenso ad alta portata sono osservati per il 70% tra i pazienti portatori di FAV prossimale e la soglia di rischio indicata riguarda un flusso maggiore di 2,2 l/min [23].

Molti autori hanno studiato gli effetti emodinamici di una FAV e l’impatto sugli indici ecocardiografici della funzione cardiaca (aumento dei volumi diastolici, gittata sistolica, ricircolo cardiopolmonare) già poco dopo la creazione della FAV ed, in particolare, nelle FAV prossimali rispetto a quelle distali [2426].

Quarello e colleghi, analizzando alcuni case report presenti in letteratura, suggeriscono che i pazienti in emodialisi dovrebbero essere valutati per scompenso cardiocircolatorio ad alta portata utilizzando il dato del RCP. Se RCP è > 30% l’ecocardiogramma di controllo deve essere eseguito con cadenza semestrale. Nei pazienti con RCP > 40%, in presenza di sintomatologia, si impone la chiusura della FAV al fine di ottenere il massimo recupero cardiaco. Miglioramenti della funzione cardiaca riducendo la portata sono stati segnalati da vari autori con riduzione dell’ipertrofia sia eccentrica che concentrica oltre che della gittata cardiaca e dell’ipertensione polmonare [27].

Se, da un lato, in letteratura, non vi è accordo sulla definizione di FAV ad alta portata, arbitrariamente possiamo considerare basso un flusso < a 600 ml/min, normale da 600 a 1500 ml/min, alto > 1500 ml/min.

Il test di Nicoladoni-Branham può aiutarci a capire se una fistola ad alto flusso è un fattore di stress per il cuore con un sovraccarico di volume cardiaco. È un test semplice, che si può utilizzare nella pratica clinica quotidiana e può essere effettuato al letto del paziente. Si esegue una pressione a livello dell’anastomosi arteriosa per 30-60 secondi al fine di occludere il flusso sanguigno alla fistola. La risposta a questa manovra è la diminuzione della frequenza cardiaca e l’aumento della pressione sanguigna, dovuto alla normalizzazione del flusso sanguigno circolante occludendo la fistola [28].

La diagnosi di una FAV ad alto flusso è, comunque, complicata [5]. Nella quotidianità un attento esame fisico può aiutare a confermare un sospetto di un elevato flusso, avvalorato dalla determinazione della portata della FAV sull’arteria brachiale con l’ecocolordoppler (Tabella 2); occorre poi eseguire una valutazione ecocardiografica e determinare la gittata cardiaca. L’insufficienza cardiaca può essere diagnosticata con un’ecografia transtoracica, ma, talora, può richiedere un cateterismo cardiaco destro per la diagnosi definitiva [29].

SEDE Qa elevato nelle FAV prossimali rispetto alle distali
DIMENSIONE

Grandi dimensioni, soprattutto se presente un’ostruzione a valle,

FAV diffusamente tortuosa ed ectasica

PALPAZIONE

Rilevazione del fremito (thrill) in corrispondenza dell’anastomosi.

Il thrill è continuo: indicatore di flusso.

Più forte (prominente) nell’accesso AV ad alto flusso rispetto ad un accesso con flusso normale o basso

AUSCULTAZIONE

Soffio vascolare continuo: indicatore di flusso.

La pulsazione o un soffio intermittente, invece, sono indicatori di elevata resistenza o iniziale occlusione.

Normalmente, man mano che si avanza lungo la vena, l’importanza del thrill e del soffio di sottofondo diminuisce leggermente; ciò non succede con un accesso con Qa ad alto flusso.

ECOCOLORDOPPLER

La diagnosi di un Qa elevato dipende dalla sua misurazione, che deve essere effettuata a livello dell’arteria brachiale almeno 5 cm prossimalmente all’anastomosi indipendentemente dal fatto che si tratti di una fistola AV radiale o dell’arteria brachiale.

Per l’elevata portata e l’alternarsi di tratti successivi di calibro diverso, è frequente riscontrare nella vena efferente, soprattutto nel suo tratto più vicino all’anastomosi, zone a flusso vorticoso, che conferiscono alternata codifica di colore (aliasing) nel lume vasale con un caratteristico andamento spiroidale

Tabella 2: FAV Alta Portata: caratteristiche Ecocolordoppler e correlati clinici.

In alcuni casi la FAV ad alto flusso, in presenza di stenosi dell’arco cefalico o della vena di deflusso (Fig. 10) e di dilatazioni aneurismatiche della vena arterializzata (Fig. 11), può evolvere verso la megafistola. Alcuni autori hanno stabilito i criteri per la definizione di megafistola: 1) Portata della FAV > 2,2 l/min, 2) Vena arterializzata ipertrofica, 3) Ricircolo cardiopolmonare > 20%, 4) Insufficienza cardiaca con gittata cardiaca > 4-8 l/min, 5) Indice cardiaco (rapporto tra gittata cardiaca e superficie corporea) > 3. Un’altra definizione proposta è la presenza di svariati segmenti della FAV molto dilatati (più del doppio del diametro della vena normale adiacente), portata maggiore di 2000 ml/min e pressioni intra-accesso elevate [11, 30, 31].

Stenosi sulla vena di deflusso.
Figura 10: Stenosi sulla vena di deflusso. Ben visibile il fenomeno dell’aliasing. All’analisi spettrale elevate velocità sisto-diastoliche.
Sezione trasversa e longitudinale in B-mode e color di tratti aneurismatici di FAV.
Figura 11: Sezione trasversa e longitudinale in B-mode e color di tratti aneurismatici di FAV.

Gardezi e colleghi, in un recente lavoro, valutando 10 pazienti con megafistola sottolineano quanto sia importante riconoscere e trattare le stenosi dell’outflow oltre alla sorveglianza continua dell’accesso, soprattutto nei pazienti che non sono in dialisi, come i portatori di trapianto, al fine di non avere quadri complicati con alta portata fino alla megafistola. Una volta che si sviluppa una megafistola, non ci sono molte opzioni di trattamento oltre alla legatura con conseguente perdita di un accesso che potrebbe ancora essere necessario in futuro [32].

In uno studio prospettico osservazionale, Stoumpos e colleghi hanno studiato, con l’utilizzo della risonanza magnetica nucleare (RMN), sia gli effetti della creazione della FAV che la funzione cardiaca nei pazienti con malattia renale cronica avanzata. In particolare, hanno messo in relazione le misurazioni ecografiche del Qa a 6 settimane con gli effetti dell’allestimento della FAV sulla massa ventricolare sinistra al basale e dopo un tempo medio di 6,3 settimane.

Gli autori hanno osservato un aumento sostanziale della massa ventricolare sinistra e della gittata cardiaca (p = 0,02) dopo 6,3 settimane, proporzionale alla portata misurata sull’arteria brachiale (p = 0,04). L’incremento della massa ventricolare sinistra era pari al 10,2% quando il Qa era superiore a 600 ml/min. Secondo gli autori tale aumento non era dovuto al peggioramento dell’uremia, al sovraccarico di volume plasmatico o alle variazioni dell’ematocrito poiché tali parametri non erano cambiati significativamente nell’intervallo di tempo osservato (mediana 8,3 settimane). Inoltre, gli autori hanno confermato che le fistole del braccio hanno flussi sanguigni più elevati rispetto alle fistole dell’avambraccio e, di conseguenza, hanno dimostrato che l’incidenza di insufficienza cardiaca è molto più alta nei pazienti con FAV prossimali rispetto alle distali. Questo è il primo studio che dimostra tali cambiamenti precoci nella massa del ventricolo sinistro e collega il flusso iniziale della FAV al cambiamento della massa del ventricolo sinistro [33].

Altri autori hanno valutato il Qa (mediante una tecnica di diluizione a due aghi) e la sopravvivenza in una popolazione in emodialisi per un periodo di 9 anni, considerando la mortalità cardiovascolare secondo la classificazione della European Renal Association-European Dialysis and Transplant Association.

Gli autori hanno studiato sia il Qa iniziale (definito come il primo valore di Qa ottenuto in una FAV ben funzionante) sia il ruolo del Qa effettivo (definito come il volume di flusso di accesso ottenuto di routine una volta ogni 1-2 mesi per la sorveglianza della FAV) e i cambiamenti periodici nel Qa effettivo. I risultati mostravano, in periodi di 3 mesi, un’associazione tra l’aumento del Qa effettivo e la mortalità (p = 0,010) indicando che solo i pazienti con un Qa crescente avevano maggiore probabilità di morire, sebbene il Qa effettivo non era correlato alla sopravvivenza. Inoltre, gli autori, pur riconoscendo i limiti dello studio (limitato numero di pazienti, dati ematochimici ed ecocardiogramma seriali non disponibili per tutti i pazienti), concludevano che la conoscenza di queste nuove caratteristiche del Qa può contribuire a comprendere l’elevata mortalità cardiovascolare nei pazienti emodializzati, e, pertanto, potranno essere di aiuto studi futuri combinati e seriali di cardiofisiologia e di imaging con il monitoraggio di marcatori biochimici [34].

Inoltre, piccoli studi osservazionali suggeriscono che la massa del ventricolo sinistro potrebbe migliorare dopo la legatura della FAV dopo trapianto di rene [3537].

Più recentemente, utilizzando la risonanza magnetica, è stato eseguito in Australia uno studio randomizzato in 63 pazienti adulti con trapianto di rene. La legatura della FAV in pazienti trapiantati stabili migliora il rimodellamento ventricolare sinistro con riduzione significativa dopo 6 mesi della massa ventricolare sinistra, dei volumi telediastolici, dei volumi atriali, della gittata cardiaca (da 6,8 l/min al basale a 4,8 l/min a 6 mesi p < 0,05) e del pro-BNP [38].

Inoltre, lo scompenso cardiaco si manifesta, anche, in presenza di un flusso non elevato della FAV per una riduzione della riserva cardiaca poiché un valore di Qa nel range di normalità (600-1200 ml/min) può essere eccessivo a causa di una bassa riserva coronarica (ridotta contrattilità miocardica con bassa gittata cardiaca), in quanto il cuore non riesce a soddisfare l’aumento della gittata cardiaca dovuta alla creazione della FAV [39, 40].

Recentemente, Malik e colleghi focalizzano l’attenzione sull’emodinamica cardiovascolare nei pazienti emodializzati portatori di FAV e suggeriscono alcuni elementi per la scelta dell’accesso vascolare più idoneo per ogni paziente considerando che la funzione cardiaca con o senza scompenso cardiaco dovrebbe essere uno dei criteri principali per selezionare il tipo di accesso appropriato utilizzando, in base alla gravità dei sintomi, la classificazione della New York Heart Association (4 classi) e dell’American Heart Association (stadio da A a D). Gli autori concludono proponendo l’utilizzo di modelli predittivi validati per stimare la portata che avrà la fistola dopo il suo allestimento ed i suoi effetti cardiaci [41].

Sono ben documentati i criteri terapeutici per la riduzione del flusso della FAV nelle condizioni quali malattie cardiopolmonari (insufficienza cardiaca, ipertensione polmonare, ischemia distale indotta dall’accesso all’emodialisi) associate a un Qa eccessivamente elevato. Al di là di queste condizioni, i criteri per il trattamento non sono ben definiti. Nei casi di stenosi venosa il Qa può essere normale, basso o elevato. Se il Qa è alto, dovrebbe essere eseguita una riduzione del flusso piuttosto che un’angioplastica, poichè ci si può aspettare che il Qa aumenti (ad eccezione di una stenosi venosa centrale) [42]. Questo aumento di flusso dopo angioplastica può peggiorare (come nel nostro caso clinico n°2) o slatentizzare problematiche quali l’insufficienza cardiaca, l’edema polmonare o l’ischemia della mano [43].

A tutt’oggi non esiste un valore target generalmente accettato per la riduzione del flusso; sono fondamentali il giudizio clinico e la considerazione della gravità della condizione individuale del paziente. L’obiettivo ideale del trattamento di una FAV ad alta portata è alleviare gli effetti avversi riducendo il Qa senza rischiare la perdita della pervietà dell’accesso vascolare.

Sono disponibili vari approcci per la riduzione del flusso quali la legatura degli affluenti venosi, il banding (chirurgico o endovascolare) e le procedure di rivascolarizzazione come la revisione dell’afflusso distale o RUDI [44].

 

Conclusioni

Il monitoraggio e la sorveglianza degli Accessi Vascolari sono essenziali al fine di migliorare la gestione e la cura del paziente in emodialisi e, per questo, si fa sempre più strada una stretta collaborazione tra nefrologo e altre professionalità con l’uso di protocolli e procedure basati su evidenze scientifiche uniformando gli interventi e i comportamenti. Dobbiamo definire e quindi ottimizzare il flusso sanguigno della FAV per prevenire le complicazioni a lungo termine, considerando che l’accesso vascolare può influenzare la funzione cardiaca e, in alcuni pazienti, potrebbe peggiorare lo stato clinico. Il trattamento deve essere individualizzato in base alla presentazione clinica, alla sintomatologia ed alle comorbilità del paziente.

Varie tecniche chirurgiche ed endovascolari sono state utilizzate per trattare l’alta portata. Il trattamento chirurgico, come nel nostro caso, consente di preservare la FAV autologa.

 

Bibliografia

  1. Bailey WB, Talley JD. High-output cardiac failure related to hemodialysis arteriovenous fistula. J Ark Med Soc 2000 96: 340-341.
  2. Alkhouli Mohamad, Sandhu Paul, Boobes Khlaed, Hatahet Kamel, Razae Farhan, Boobes Yousef. Cardiac complications of arteriovenous fistulas in patients with end-stage renal disease. Nefrologia. 2015;35(3):234–245. https://doi.org/1016/j.nefro.2015.03.001.
  3. Rao Nitesh N, Dundon Benjamin K, Worthley Matthew I, Faull Randall J. The Impact of Arteriovenous Fistulae for Hemodialysis on the Cardiovascular System Semin Dial 2016 May;29(3):214-21 3. https://doi.org/1111/sdi.12459.
  4. Saran R, Robinson B, Abbott KC, et al. US Renal Data System 2016 Annual Data Report: epidemiology of kidney disease in the United States. Am J Kidney Dis 2017; 69: A7–A8. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2016.12.004.
  5. Floccari F, Di Lullo L, Rivera R, Malaguti M, Santoboni A, Granata A, Timio M La fistola arterovenosa e lo scompenso ad alta gittata: un tema di grande… portata TN&D Anno XXIV n. 3.
  6. Iwashima Y, Horio T, Takami Y, Inenaga T, Nishikimi T, et al. (2002) Effects of the creation of arteriovenous fistula for hemodialysis on cardiac function and natriuretic peptide levels in CRF. Am J Kidney Dis 40: 974-982. https://doi.org/10.1053/ajkd.2002.36329.
  7. Malik J, Valerianova A, Tuka V, Trachta P, Bednarova V, Hruskova Z, Slavikova M, Rosner MH, Tesar V. The effect of high-flow arteriovenous fistulas on systemic haemodynamics and brain oxygenation. ESC Hear. Fail. 2021, 8, 2165–2171. https://doi.org/1002/ehf2.13305.
  8. Lock E, Huber T, Lee T, Shenoy S, Yevzlin A et al. KDOQI Clinical Practice Guideline For Vascular Access AJKD Vol 75, Iss 4, Suppl 2, April 2020. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2019.12.001.
  9. Sequeira A, Tan TW. Complications of a High-flow Access and Its Management. Semin Dial 2015; 28:533. https://doi.org/10.1111/sdi.12366.
  10. Management of high flow in A/V fistula and graft. Available at www.vascularaccesssociety.org.
  11. Miller GA, Hwang WW. Challenges and management of high-flow arteriovenous fistulae. Semin Nephrol 2012; 32:545. https://doi.org/10.1016/j.semnephrol.2012.10.005.
  12. Ibeas J, Roca-Tey R, Vallespin J, et al. Spanish clinical guidelines on vascular access for haemodialysis (vol 37, pg 1, 2017). Nefrologia 2019; 39: 1–2. https://doi.org/10.1016/j.nefro.2017.11.004.
  13. Schmidli J, Widmer M.K., Basile C., de Donato G. et al. Editor’s Choice – Vascular Access: 2018 Clinical Practice Guidelines of the European Society for Vascular Surgery (ESVS). Eur. J.Vasc. Endovasc. Surg. 2018, 55, 757–818. https://doi.org/10.1016/j.ejvs.2018.02.001.
  14. Unger Philippe, Velez-Roa S, Wissing KM. Regression of left ventricular hypertrophy after arteriovenous fistula closure in renal transplant recipients: a long-term follow-up. Am J Transplant Off J Am Soc Transplant Am Soc Transpl Surg. 2004 4(12): 2038-44. https://doi.org/10.1046/j.1600-6143.2004.00608.x.
  15. Movilli E, Viola BF, Brunori G, et al. Long-term effects of arteriovenous fistula closure on echocardiographic functional and structural findings in hemodialysis patients: a prospective study. Am J Kidney Dis 2010; 55: 682. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2009.11.008.
  16. Mudoni A, Cornacchiari M, Gallieni M, Guastoni C, McGrogan D, Logias F, Ferramosca E, Mereghetti M, Inston N. Aneurysms and pseudoaneurysms in dialysis access. Clin Kidney J. 2015 Aug;8(4):363-7. https://doi.org/10.1093/ckj/sfv042.
  17. Kanno T., Kamijo Y., Hashimoto K., Kanno Y. Outcomes of blood flow suppression methods of treating high flow access in hemodialysis patients with arteriovenous fistula. J. Vasc. Access 2015, 16 (Suppl. S1), S28–S33. https://doi.org/10.5301/jva.5000415.
  18. Korsheed S., Eldehni M.T., John S.G., Fluck, R.J., McIntyre C.W. Effects of arteriovenous fistula formation on arterial stiffness and cardiovascular performance and function. Nephrol. Dial. Transplant. Off. Publ. Eur. Dial. Transpl. Assoc. Eur. Ren. 2011,26, 3296–3302. https://doi.org/10.1093/ndt/gfq851.
  19. Ori, Y.; Korzets, A.; Katz, M.; Erman, A.; Weinstein, T.; Malachi, T.; Gafter, U. The contribution of an arteriovenous access for hemodialysis to left ventricular hypertrophy. Am. J. Kidney Dis. Off. J. Natl. Kidney Found. 2002, 40, 745–752. https://doi.org/10.1053/ajkd.2002.35685.
  20. Dundon, B.K.; Torpey, K.; Nelson, A.J.; Wong, D.T.; Duncan, R.F.; Meredith, I.T.; Faull, R.J.; Worthley, S.G.; Worthley, M.I. The deleterious effects of arteriovenous fistula-creation on the cardiovascular system: A longitudinal magnetic resonance imaging study. Int. J. Nephrol. Renovasc. Dis. 2014, 7, 337–345. https://doi.org/10.2147/IJNRD.S66390.
  21. Jie, K.; Feng, W.; Boxiang, Z.; Maofeng, G.; Jianbin, Z. et al. Identification of Pathways and Key Genes in Venous Remodeling After Arteriovenous Fistula by Bioinformatics Analysis. Front . Physiol. 2020, 11, 565240. https://doi.org/10.3389/fphys.2020.565240.
  22. Bornstein Yadin, Weaver M. Libby, Holscher Courtenay M., Reifsnyder Thomas. Development of Hyperacute High-Output Heart Failure at the Time of Access Creation February J of Vascular Surgery Cases and Innovative Techniques Volume 7, Issue 3, September 2021, Pages 529-531. https://doi.org/10.1016/j.jvscit.2021.02.006.
  23. Basile C, Lomonte C, Vernaglione L, Casucci F, Antonelli M, Losurdo N. The relationship between the flow of arteriovenous fistula and cardiac output in haemodialysis patients. Nephrol Dial Transplant 2008; 23(1): 282-7. https://doi.org/10.1093/ndt/gfm549.
  24. Zamboli P., Lucà S., Borrelli S., Garofalo C., Liberti M.E., Pacilio M. High-flow arteriovenous fistula and heart failure: could the indexation of blood flow rate and echocardiography have a role in the identification of patients at higher risk? J Nephrol, 31 (2018), pp. 975-983 https://doi.org/10.1007/s40620-018-0472-8.
  25. Movilli E, Viola BF, Brunori G, et al. Long-term effects of arteriovenous fistula closure on echocardiographic fun ctional and structural findings in hemodialysis patients: a prospective study. Am J Kidney Dis 2010; 55: 682. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2009.11.008.
  26. Saleh Mohamed Ayman, Kilany Wael Mahmoud El, Keddis Viola William, Tamer Wahid El Said. Effect of high flow arteriovenous fistula on cardiac function in hemodialysis patients Egypt Heart J 2018 Dec;70(4):337-341. https://doi.org/10.1016/j.ehj.2018.10.007.
  27. Quarello Francesco, Forneris Giacomo, Borca Marco Pozzato Marco Do central venous catheters have advantages over arteriovenous fistulas or grafts? J Nephrol May-Jun 2006;19(3):265-79. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/16874685/
  28. Burchell H. B, “Observations on bradycardia produced by occlusion of an artery proximal to an arteriovenous fistula (Nicoladoni-Branham sign),” Medical Clinics of North America, vol. 42, no. 4, pp. 1029–1035, 1958. https://doi.org/10.1016/s0025-7125(16)34255-9.
  29. Stern B. and Klemmer P. J. High-output heart failure secondary to arteriovenous fistula. Hemodialysis International, 2011. vol. 15, no. 1, pp. 104–107, https://doi.org/10.1111/j.1542-4758.2010.00518.x.
  30. Lam W, Betal D, Morsy M, et al. Enormous brachio cephalic arteriovenous fistula aneurysm after renal transplantation: case report and review of the literature. Nephrol Dial Transplant 2009; 24(11): 3542–3544. https://doi.org/10.1093/ndt/GFP337.
  31. Sangeetha B., Chaitanya V., Reddy M. H., Kumar A. C. V., Ram R., Sivakumar V. Mega‑ 2016, vol. 26, issue 5, 385-386. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5015523/.
  32. Gardezi Ali I, Mawih Mustafa, Alrawi Ezzideen B, Karim Muhammad S, Aziz Fahad, Chan Micah R. Mega Fistulae! A case series J Vasc Access. 2021 Nov;22(6):1026-1029. https://doi.org/10.1177/1129729820968425.
  33. Stoumpos, Rankin A, Barrientos P, Mangion K, McGregor E et al. Interrogating the haemodynamic effects of haemodialysis arteriovenous fistula on cardiac structure and function Scientific Reports (2021) 11:18102. https://doi.org/10.1038/s41598-021-97625-5.
  34. Yadav R., Gerrickens M.W.M., van Kuijk S M.J., Vaes R H. D., Snoeijs M G. J., Scheltinga M.R.M. Access flow volume (Qa) and survival in a haemodialysis population: an analysis of 5208 Qa measurements over a 9-year period Nephrol Dial Transplant (2021) 1–7. https://doi.org/10.1093/ndt/gfab242.
  35. Peteiro J, Alvarez N, Calvino R, et al. Changes in leftventricular mass and filling after renal-transplantation are related to changes in blood-pressure – an echocardiographic and pulsed Doppler study. Cardiology 1994; 85: 273–283. https://doi.org/10.1159/000176695.
  36. Ferreira SRC, Moises VA, Tavares A, et al. Cardiovascular effects of successful renal transplantation: a 1-year sequential study of left ventricular morphology and function, and 24-hour blood pressure profile. Transplantation 2002; 74: 1580–1587). https://doi.org/10.1097/00007890-200212150-00016.
  37. Rao NN, Stokes MB, Rajwani A, Ullah S, Williams K, King D, et al. Effects of arteriovenous fistula ligation on cardiac structure and function in kidney transplant recipients. Circulation 2019; 139: 2809–2818. https://doi.org/10.1161/CIRCULATIONAHA.118.038505.
  38. Van Duijnhoven, E.C.; Cheriex, E.C.; Tordoir, J.H.; Kooman, J.P.; van Hooff, J.P. Effect of closure of the arteriovenous fistula on left ventricular dimensions in renal transplant patients. Nephrol. Dial. Transplant. Off. Publ. Eur. Dial. Transpl. Assoc. Eur. Ren. 2001, 16, 368–372. https://doi.org/10.1093/ndt/16.2.368.
  39. Malik J. Heart disease in chronic kidney disease – review of the mechanisms and the role of dialysis access. J Vasc Access 2018; 19: 3–11. https://doi.org/10.5301/jva.5000815.
  40. Konner K, Nonnast-Daniel B and Ritz E. The arteriovenous fistula. J Am Soc Nephrol 2003; 14: 1669–1680. https://doi.org/10.1097/01.ASN.0000069219.88168.39.
  41. Malik J., Lomonte C., Rotmans J., Chytilova E., Roca-Tey R., Kusztal M., Grus T., Gallieni M. Hemodialysis vascular access affects heart function and outcomes: Tips for choosing the right access for the individual patient. Vasc. Access 2020, 22, 32–41. https://doi.org/10.1177/1129729820969314.
  42. Cornacchiari M, Mudoni A, Di Nicolò P, Mereghetti M, Gidaro B, Stasi A, Neri AL, Guastoni C Sindrome da ipoperfusione periferica e sindrome monomielica: dalla diagnosi al trattamento. Descrizione di un caso clinico con revisione della letteratura G Ital Nefrol. 2019 Luglio 24;36(4). https://giornaleitalianodinefrologia.it/tag/accesso-vascolare/.
  43. Yan Y, Sudheendra D, Dagli MS, William Stavropoulos S, Clark TW, Soulen MC, Mondschein JI, Shlansky-Goldberg RD, Trerotola SO. Effect of central venous angioplasty on hemodialysis access circuit flow: prospective study of 25 symptomatic patients.J Vasc Interv Radiol. 2015;26(7):984. https://doi.org/10.1016/j.jvir.2015.03.005.
  44. Vélez-Martínez M, Weinberg BD, Mishkin JD. Flash pulmonary oedema after relief of haemodialysis graft stenosis. Heart Lung Circ. 2013;22(8):672. https://doi.org/10.1016/j.hlc.2012.11.009.

Ultrasonografia vascolare nell’allestimento e nella sorveglianza della fistola artero-venosa: esperienza monocentrica

Abstract

L’incremento dell’età media dei pazienti che iniziano il trattamento emodialitico cronico e la maggiore prevalenza tra gli stessi di patologie ad elevato impatto sul sistema cardio-vascolare, determinano maggiori difficoltà nell’allestire una fistola artero-venosa (FAV).

La scelta dei vasi da utilizzare per il confezionamento dell’accesso vascolare per dialisi è avvenuta in passato essenzialmente attraverso l’esame obiettivo degli arti superiori. Le linee guida internazionali attualmente suggeriscono l’esecuzione di un ecocolordoppler (ECD) a completamento dell’esame fisico in tutti i pazienti candidati al confezionamento di una FAV. L’esame ultrasonografico vascolare costituisce altresì in fase post-operatoria un momento fondamentale per un’adeguata sorveglianza dell’accesso.

Nel nostro Centro abbiamo condotto un’analisi retrospettiva finalizzata ad analizzare, se e in quali termini, l’utilizzo dell’ECD nella pratica clinica abbia avuto delle ripercussioni sulla sopravvivenza degli accessi vascolari.

Sono stati a tal proposito individuati tre periodi storici, in relazione alla modalità di esecuzione della valutazione vascolare pre-intervento e della sorveglianza della FAV che ha visto, nelle tre fasi osservate, la progressiva integrazione dei parametri clinici con quelli ultrasonografici.

L’analisi dei dati ha evidenziato una migliore sopravvivenza statisticamente significativa per tutti gli accessi vascolari valutati cumulativamente e per le FAV distali nella terza fase rispetto alle precedenti, nonostante una percentuale di pazienti over 75 maggiore in quest’ultimo periodo (48% versus 28%).

In conclusione, riteniamo che l’approccio integrato, clinico ed ultrasonografico, sia indispensabile per identificare il sito più idoneo per il confezionamento di un accesso vascolare e per garantirne una buona funzionalità nel tempo.

Parole chiave: emodialisi, fistola arterovenosa, ecocolordoppler, monitoraggio, accesso vascolare

Introduzione

Un trattamento emodialitico adeguato necessita di un accesso vascolare ben funzionante nel tempo.

I pazienti affetti da insufficienza renale cronica (CKD) al IV° stadio (eGFR <30 ml/min), devono pertanto essere accuratamente studiati al fine di poter avviare il trattamento sostitutivo con un accesso vascolare idoneo [1].

I dati della letteratura e le linee guida internazionali in merito indicano la fistola artero-venosa (FAV), allestita con vasi nativi, quale accesso di prima scelta per un minore rischio d’infezione e trombosi, una migliore sopravvivenza, minori costi correlati alla necessità di ospedalizzazione se paragonati alla FAV protesica o al catetere venoso centrale tunnellizato (CVCt) [2].

Nei pazienti affetti da CKD il corretto utilizzo del patrimonio vascolare degli arti superiori costituisce un momento fondamentale ai fini del futuro confezionamento di una FAV. L’attuale incremento dell’età media dei pazienti a inizio trattamento emodialitico cronico e la maggiore prevalenza negli stessi di patologie ad elevato impatto sul sistema cardio-vascolare (diabete mellito, angiosclerosi, arteriopatia obliterante polidistrettuale), determinano maggiori difficoltà nell’allestire una FAV che garantisca buona efficienza dialitica e sufficiente durata nel tempo [3].

Tra le FAV native, il gold standard è rappresentato dalla FAV radio-cefalica distale con anastomosi a livello del polso: essa è associata ad un minor rischio sindrome di steal [4] e, al contrario di una FAV prossimale (omero-cefalica; omero-basilica), raramente sviluppa una elevata portata, causa non trascurabile di scompenso cardiaco nei pazienti uremici.

Basile et al. in uno studio prospettico hanno analizzato il rapporto tra Qa FAV ed output cardiaco e concludevano che una portata uguale o maggiore a 2000 ml/min rappresenta il giusto cut-off nel predire il rischio di scompenso cardiaco cronico ad alta gittata [5].

La FAV distale non è sempre proponibile e può andare incontro a scarsa maturazione e a conseguente fallimento, tuttavia la sua realizzazione, ove possibile, permette un più corretto utilizzo del patrimonio vascolare del singolo paziente e la possibilità per il medesimo di poter usufruire dell’eventuale confezionamento nel tempo di ulteriori accessi che richiedano l’utilizzo di vasi posti in sede più prossimale.

Altra tipologia di accesso vascolare che può essere considerato prima del confezionamento di una FAV prossimale è quella mid-arm, con l’utilizzo del tratto prossimale dell’arteria radiale. Essa è caratterizzata da una portata inferiore rispetto alla prima, ed in genere è ben tollerata anche nei pazienti anziani, diabetici o con vasculopatia periferica [6].

La scelta dei vasi da utilizzare per il confezionamento dell’accesso vascolare per dialisi è avvenuta in passato essenzialmente attraverso l’esame obiettivo degli arti superiori: un attento esame fisico ed anamnestico permette di raccogliere alcune importanti informazioni sul circolo venoso superficiale e sul circolo arterioso:

  • palpabilità delle vene superficiali, valutazione del loro calibro e decorso
  • palpabilità dei polsi arteriosi
  • presenza di cicatrici chirurgiche o aree di distrofia cutanea
  • presenza di pace-maker (PM)
  • pregressi traumi/fratture o interventi chirurgici a carico degli arti superiori o precedenti accessi vascolari
  • storia di pregressi posizionamenti di CVC
  • segni di pregressa reiterata venipuntura, segni di tromboflebite in atto o pregressa
  • presenza di comorbidità rilevanti (scompenso cardiaco, grave valvulopatia, cardiopatia ischemica, patologie della coagulazione).

Le linee guida internazionali attualmente suggeriscono l’esecuzione di un ecocolordoppler (ECD), a completamento dell’esame fisico, in tutti i pazienti candidati al confezionamento di una FAV. Esso consente, in fase preoperatoria, la scelta dei vasi più idonei all’intervento e, in fase post-operatoria, rappresenta un momento fondamentale per un’adeguata sorveglianza dell’accesso e la diagnosi precoce di eventuali cause di malfunzionamento suscettibili di correzione [7].

L’ECD fornisce, infatti, numerose e dettagliate informazioni sul circolo venoso superficiale e profondo e sul circolo arterioso dell’intero arto superiore, consente altresì valutazioni emodinamiche e morfologiche permettendo di identificare eventuali varianti anatomiche.

Lo studio vascolare pre-intervento effettuato di routine ha permesso di incrementare negli anni la percentuale di FAV confezionate con vasi nativi a scapito della FAV protesiche, nonché di migliorare la sopravvivenza nel tempo, attraverso una più adeguata sorveglianza e la identificazione precoce delle complicanze [89].

Il mapping artero-venoso pre intervento fa riferimento ai parametri di seguito riportati:

  1. Parametri arteriosi (Fig.1):
  • diametro dell’arteria radiale: un diametro minimo di 2 mm è stato correlato ad una elevata percentuale di pervietà primaria ad un anno (83%) [10]
  • spessore e qualità intima-media: l’incremento dello stesso correla con un peggior outcome della FAV [11]
  • flusso/compliance vascolare nel test dell’iperemia reattiva: un valore dell’indice di resistenza (IR) >0,7 in fase di iperemia reattiva è correlato ad un fallimento precoce dell’accesso vascolare [12]
  • presenza di calcificazioni vascolari
  • presenza di lesioni steno-ostruttive
Figura 1: Parametri arteriosi
Figura 1: Parametri arteriosi
  1. Parametri venosi (Fig.2):
  • pervietà del vaso e struttura di parete: lume anecogeno, comprimibilità del vaso, parete sottile
  • diametro e distensibilità della vena cefalica: 2 mm senza elastocompressione, 2,5 mm con elastocompressione [13]
  • profondità: <6 mm rispetto al piano cutaneo, al fine di consentire un’agevole venipuntura
  • decorso: deve essere sufficientemente rettilineo
  • presenza di circoli collaterali a meno di 5 cm dall’anastomosi [14].
Figura 2: Parametri venosi
Figura 2: Parametri venosi

Una FAV si definisce matura quando il diametro venoso permette la venipuntura con aghi di grosso calibro e la portata raggiunge i 600 ml/min, il diametro del vaso 6 mm, con un decorso del vaso a non più di 6 mm di profondità rispetto al piano cutaneo.

Appare auspicabile che i pazienti in emodialisi siano sottoposti ad una regolare sorveglianza dell’accesso vascolare, finalizzata alla diagnosi precoce delle cause di malfunzionamento dell’accesso. In particolare, l’identificazione di stenosi emodinamicamente significative (riduzione maggiore del 50% del lume vasale) e la valutazione del trend della portata dell’accesso, incrementano in modo significativo il tasso di pervietà riducendo di conseguenza l’incidenza di trombosi della FAV [15].

In merito alla sorveglianza degli accessi vascolari, i metodi di screening per la ricerca di stenosi significative sono stati suddivisi in quelli di I e II generazione [16]:

  1. Metodi di I generazione:
  • il monitoraggio fisico
  • vigilanza della pressione FAV (valutazione di pressione venosa dinamica, intra accesso e statica)
  • test del ricircolo
  • riduzione dell’efficienza dialitica (riduzione kt/v ed URR).
  1. Metodi di II generazione, permettono di calcolare la portata dell’accesso:
  • screening diluzionale
  • ECD.

La misurazione della portata a livello dell’arteria brachiale al di sopra del gomito tramite ECD rappresenta il miglior modo per sorvegliare una FAV; una portata <500 ml/min o una sua riduzione progressiva nel tempo sono altamente predittive di stenosi [1].

La trombosi, di fatto, rappresenta quasi sempre una causa di fallimento tardivo, con innumerevoli conseguenze cliniche negative, che determinano un incremento della frequenza di ospedalizzazione e della spesa sanitaria, nonché della morbidità e mortalità dei pazienti in emodialisi cronica [17].

 

Materiali e metodi

Nel nostro Centro abbiamo condotto un’analisi retrospettiva finalizzata ad analizzare se ed in quali termini l’utilizzo dell’ECD nella pratica clinica in ambito nefrologico abbia avuto delle ripercussioni sulla sopravvivenza degli accessi vascolari.

Sono stati a tal proposito individuati tre periodi storici (Tab. I), in relazione alla modalità di esecuzione nel Centro di:

  • valutazione vascolare pre-intervento
  • sorveglianza della FAV.
Pre-intervento Sorveglianza
2000-2004:
  • esame fisico
  • eventuale flebografia
  • monitoraggio clinico
  • test del ricircolo, scadimento efficienza dialitica
  • ECD (se presente indicazione clinica, ma non in ambito nefrologico)
2005-2009:
  • esame fisico
  • avvio mapping vascolare in ambito nefrologico
  • monitoraggio clinico
  • test del ricircolo, scadimento efficienza dialitica
  • inizio uso ECD per ricerca stenosi e misurazione portata:
    • ogni 90 giorni per le FAV protesiche
    • su indicazione clinica per le FAV native
    • ad un mese da procedure interventistiche e successivamente ogni 6 mesi
2010-2015:
  • esame fisico
  • mapping vascolare di routine in ambito nefrologico
  •  monitoraggio clinico
  • test del ricircolo, scadimento efficienza dialitica
  • ECD per ricerca stenosi e misurazione portata:
    • ogni 90 giorni per le FAV protesiche
    • su indicazione clinica per le FAV native
    • ad un mese da procedure interventistiche e successivamente ogni 6 mesi
Tabella I: Tre fasi storiche in relazione alla modalità di esecuzione di valutazione vascolare pre-intervento e di sorveglianza della FAV

Sono stati altresì definiti i parametri cui fare riferimento tanto per la fase di studio pre-operatoria, quanto per quella di sorveglianza (Tab. II).

Riferimenti nella fase di pre-intervento: Riferimenti nella fase di sorveglianza:
Esame fisico:

Presenza e consistenza dei polsi arteriosi (brachiale, radiale, ulnare)

Valutazione del reticolo venoso superficiale con elastocompressione: palpabilità, e decorso dei vasi

Monitoraggio clinico:

Presenza e trasmissione del thrill, prolungato sanguinamento a fine dialisi, difficoltà al posizionamento degli aghi

Flebografia:

Valutazione pervietà e calibro dei vasi venosi scarsamente palpabili

Parametri dialitici:

Test ricircolo urea >10%, scadimento trend della efficienza dialitica (riduzione dello 0.2 Kt/v)

Mapping Vascolare:

–        Arteria: calibro della a. radiale uguale o maggiore di 2 mm, profilo velocimetrico trifasico, test iperemia reattiva IR uguale e inferiore a 0.7

–        Vena: pervietà del vaso ed integrità di parete, calibro maggiore o uguale a 2.5 mm con elastocompressione (avambraccio), calibro uguale o maggiore di 4 mm per protesi

Parametri ultrasonografici:

Portata inferiore a 500 ml/min, trend con riduzione maggiore del 25%

Riscontro di aree di stenosi superiori al 50% (PSV > 400 cm/s o PSV ratio >2)

Tabella II: Parametri di riferimento

Tecnica chirurgica

Le FAV con vasi nativi sono state tutte confezionate in anestesia locale (ropivacaina 7.5%) con anastomosi latero-terminale per le FAV distali e prossimali, e latero-laterale o latero-terminale per le FAV mid-arm, con lunghezza del tratto anastomotico 5-7 mm.

Le FAV protesiche tutte in politetrafluoroetilene (PTFE), coniche 4-7 mm (gore-tex STRETCH), sono state confezionate in anestesia plessica (levobupivacaina 2%, ropivacaina 5%) con conformazione a loop fra arteria omerale e vena basilica, o conformazione retta fra arteria omerale e vena omerale o ascellare.

Dopo il primo anno di collaborazione con il chirurgo, tutti gli accessi sono stati eseguiti da equipe nefrologica.

Tecnica ultrasonografica

Al fine di decidere l’arto da utilizzare ed il tipo di accesso da confezionare, il nefrologo ha eseguito ECD usando sonda lineare L4-15 mHz eseguendo scansioni longitudinali e trasversali dei vasi esaminati con utilizzo del doppler pulsato per le valutazioni velocimetriche, facendo riferimento ai parametri specificati nella Tab. II.

Il numero dei pazienti prevalenti, compresi i pazienti incidenti, nei tre periodi considerati è stato di 130 ±6 pazienti, con una percentuale di CVCt che è gradualmente aumentata: 13% nel primo periodo, 18% nel a secondo periodo 22% nel a terzo periodo.

Al fine di prevenire il fallimento precoce dell’accesso, tutti i pazienti sottoposti ad intervento di confezionamento di FAV hanno avviato terapia antiaggregante (acido acetilsalicilico 100 mg) salvo quelli che eseguivano terapia con anticoagulante orali per altre motivazioni cliniche [18].

Metodo statistico

Per l’analisi statistica sono state utilizzate le curve di sopravvivenza secondo Kaplan-Meier al fine di valutare le differenze nei tre periodi osservati. Il livello di significatività definito come p <0.05.

 

Risultati

La sopravvivenza cumulativa degli accessi vascolari nei tre periodi osservati è apparsa migliore nel terzo periodo di osservazione in modo statisticamente significativo (P <0.05) rispetto ai precedenti (Fig. 3).

Figura 3: FAV totali
Figura 3: FAV totali

È stata successivamente condotta una analisi statistica specifica mirata alla valutazione della sopravvivenza di ciascuna tipologia di accesso realizzato nei tre periodi. L’analisi dei dati ha evidenziato per la FAV distale una migliore sopravvivenza, statisticamente significativa (p< 0.05), nella 3° coorte rispetto alle prime due (Fig. 4).

Figura 4: FAV distale
Figura 4: FAV distale

Per la FAV mid-arm, confezionata in due dei tre periodi osservati, si è evidenziata una migliore sopravvivenza nel terzo rispetto al secondo periodo, ma senza significatività statistica (Fig. 5).

Figura 5: FAV mid-arm
Figura 5: FAV mid-arm

Per la FAV prossimale si è osservato un trend di miglior sopravvivenza nella 3° coorte rispetto alle prime due, ma anche in questo caso senza significatività statistica (Fig.6).

Figura 6: FAV prossimale
Figura 6: FAV prossimale

Per la FAV protesica sono state osservate minime differenze nei tre periodi osservati prive di rilevanza statisticamente significativa (Fig.7).

Figura 7: FAV protesica
Figura 7: FAV protesica

È stata inoltre effettuata una analisi per valutare le caratteristiche anagrafiche della popolazione inclusa nei tre periodi osservati. A dispetto della migliore sopravvivenza degli accessi nella terza coorte dei pazienti, essa ha evidenziato un progressivo incremento percentuale delle FAV confezionate nei soggetti over 75 dal primo periodo (28,3%) al terzo periodo (47,9%) (Fig. 8).

Figura 8: Numero di pazienti e numero di accessi in pazienti over 75
Figura 8: Numero di pazienti e numero di accessi in pazienti over 75

A completare l’analisi dei dati, è stata effettuata una valutazione sull’incidenza dei fallimenti precoci, considerata a 30 giorni dal confezionamento dell’accesso, che ha evidenziato un tasso di incidenza con trend in riduzione, dal 12,8% del primo periodo al 5,5% e 6,7% rispettivamente del secondo e terzo periodo.

 

Discussione

Pur con i limiti dello studio retrospettivo, l’analisi dei risultati evidenzia un miglioramento degli outcomes clinici in termini di pervietà globale dopo l’introduzione in ambito nefrologico della tecnica ultrasonografica in fase di progettazione e sorveglianza dell’accesso vascolare, e la sua integrazione con il monitoraggio clinico, dato peraltro ampiamente confermato in letteratura [19-20].

Nei tre periodi considerati la percentuale di pazienti diabetici (25-30%) ed obesi (8-10%) era sovrapponibile, pertanto i risultati non appaiono influenzati in modo significativo da tali variabili.

È al contrario evidente che il supporto ultrasonografico risulta fondamentale al fine incrementare il numero di FAV confezionate nel paziente anziano, essendo il dato percentuale delle FAV realizzate nel paziente over 75 incrementato dal 28% del primo periodo, al 48% del terzo periodo. Aspetto quest’ultimo non trascurabile se si considera che l’utilizzo del CVCt quale accesso definitivo per emodialisi è correlato ad un maggiore morbilità e mortalità del paziente uremico [17].

Di fatto, la sola età anagrafica non può costituire un limite al confezionamento di una FAV nel paziente anziano da avviare alla terapia dialitica [21].

L’analisi eseguita in relazione alla singola tipologia di FAV ha posto in evidenza un risultato chiaramente significativo in termini di sopravvivenza a favore delle fistole confezionate con vasi nativi. Nella fattispecie, il dato è apparso statisticamente significativo per le fistole radio-cefaliche, ma ha mostrato un trend in miglioramento anche per le fistole mid-arm e prossimali.

È altrettanto vero che nei tre periodi considerati, si è registrata una riduzione percentuale delle FAV radio-cefaliche rispetto al totale delle FAV realizzate, dal 57% della prima coorte, al 44% della seconda fino al 37% della terza. Tale aspetto è tuttavia essenzialmente da riferire alla realizzazione nel secondo e nel terzo periodo delle FAV mid-arm, tipologia di accesso in precedenza non confezionato, che ha determinato una riduzione percentuale anche della FAV prossimali. Il dato è sostanzialmente da riferire al metodico studio preoperatorio ed alla scelta del sito reputato più idoneo per il confezionamento dell’accesso che, in una popolazione con elevata percentuale di anziani, ha favorito l’utilizzo di vasi in sede più prossimale rispetto al polso ma ha anche permesso di utilizzare in modo adeguato ed efficace il tratto intermedio del braccio, prima di optare per il confezionamento di una FAV prossimale [22].

Non vi è stata alcuna variazione significativa, nei tre periodi considerati, della sopravvivenza delle FAV di tipo protesico, la cui percentuale nei tre intervalli ha registrato leggero progressivo incremento come numero assoluto. Tuttavia per tale tipologia di accesso è possibile evidenziare un miglioramento della sopravvivenza nella seconda e terza coorte rispetto alla prima a 12 e 24 mesi, ma peggiore a 36 mesi.

Il dato non appare di semplice interpretazione, pur con i limiti dovuti alla modesta numerosità del campione esaminato, un adeguato mapping vascolare preoperatorio è sembrato importante al fine di ridurre il tasso di insuccessi precoci, come per altro dimostrato in letteratura [16]. La sopravvivenza peggiorativa a distanza sembra invece ridimensionare il valore del controllo strumentale della FAV protesica, nei confronti della quale, nel nostro pool di pazienti, è stato effettuato un metodico controllo ECD con cadenza trimestrale, avvalorando in modo indiretto il concetto del ruolo di primo piano del monitoraggio clinico nell’ambito della sorveglianza dell’accesso vascolare per emodialisi [23].

Il numero di procedure interventistiche è progressivamente aumentato: dalle 31 eseguite nel primo periodo alle 36 nel secondo periodo fino a raggiungere le 52 nel terzo periodo. L’incremento di tali procedure, che tuttavia è apparsa contenuta in termini assoluti, conduce a nostro parere a due riflessioni: da una parte l’innegabile ruolo dell’ECD nell’identificazione precoce di lesioni stenotiche correggibili per via endovascolare, dall’altra, la necessità di ottimizzare il programma di sorveglianza strumentale, senza tuttavia eccedere nell’indicazione allo studio angiografico.

Appare evidente che un’azione integrata, clinica ed ultrasonografica, sia indispensabile al fine di perseguire due fondamentali obiettivi: identificare il sito più idoneo per il confezionamento di un accesso vascolare e garantire una corretta sorveglianza finalizzata al mantenimento di una buona funzionalità della fistola nel tempo [924].

Alla luce di tali considerazioni e dell’esperienza da noi condotta, crediamo che un approccio multidisciplinare alla complessa problematica dell’accesso vascolare per emodialisi sia di fondamentale importanza: in tal senso in ambito nefrologico appare indispensabile la realizzazione di un settore specifico finalizzato alla valutazione ultrasonografica preoperatoria del paziente da indirizzare ad un programma di emodialisi, nonché alla sorveglianza dei pazienti medesimi nel tempo [25].

Il nefrologo dovrebbe costituire il riferimento clinico del team multidisciplinare, che vede coinvolti anche chirurghi vascolari, angioradiologi ed infermieri di dialisi ed in tal senso interagire con le figure menzionate e con esse decidere in merito alla creazione dell’accesso vascolare, alla gestione del medesimo ed alla risoluzione di eventuali problemi connessi al suo utilizzo.

Tale team multidisciplinare dovrebbe avere il compito fondamentate di definire il life-plan individuale del paziente con uremia terminale, nello specifico definire la sede e il timing di confezionamento dell’accesso vascolare nonché garantire l’adeguata sorveglianza nel tempo. Ogni scelta andrebbe effettuata in maniera prospettica tenendo presente che il paziente uremico nell’arco della sua storia dialitica potrebbe avere la necessità di confezionare più accessi [26].

Risulta a nostro parere importante acquisire e mantenere in ambito nefrologico le risorse umane e le competenze adeguate per poter garantire con continuità la realizzazione della FAV in tempi corretti e nel sito più idoneo, realizzando di fatto un primo livello clinico assistenziale sul tema specifico. Appare altresì fondamentale che tale attività sia coordinata con un secondo livello clinico assistenziale che vede attive le altre figure professionali coinvolte.

Chirurghi vascolari ed angioradiologi appaiono indispensabili per la risoluzione delle complicanze connesse all’utilizzo degli accessi vascolari nonché per la realizzazione di accessi complessi, ma estremamente importante è mantenere una costante attività di sorveglianza e collaborazione con infermieri della sala di dialisi che spesso costituisce la prima sede in cui è possibile verificare l’adeguato funzionamento dell’accesso vascolare o la eventuale presenza degli iniziali segni di malfunzionamento.

 

Conclusioni

In conclusione, crediamo di poter affermare che programmi formativi volti a consolidare le competenze di carattere ultrasonografico vascolare in ambito nefrologico possano essere rilevanti al fine di migliorare gli outcomes clinici della fistola artero-venosa per emodialisi.

Riteniamo anche che l’ausilio dell’ECD non possa in nessuna fase di cura sostituire l’importanza dell’esame fisico e della sorveglianza clinica che rimangono fondamentali per garantire una migliore sopravvivenza e qualità di vita dei pazienti uremici.

È auspicabile altresì che ogni unità operativa di Nefrologia e Dialisi effettui un monitoraggio continuativo dei propri dati e che valuti nel tempo la sopravvivenza delle FAV e l’incidenza di complicanze ad esse correlate, al fine di poter al meglio modulare la strategia operativa, sempre nel rispetto delle linee guida di riferimento in merito.

  

Bibliografia

  1. Besarab A, Work J, Brouwer D, Konner K, Bunchman TE, et al. Clinical practice guidelines for hemodialysis adequacy, update 2006. Am J Kidney Dis 2006; 48(S1):S1-S322. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2006.03.051
  2. Gibson KD, Gillen DL, Caps MT, et al. Vascular access survival and incidence of revisions: a comparison of prosthetic grafts, simple autogenous fistulas, and venous transposition fistulas from the United States Renal Data System Dialysis Morbidity and Mortality Study. J Vasc Surg 2001; 34:694-700. https://doi.org/10.1067/mva.2001.117890
  3. Hwang D, Park S, Kim HK, Huh SJ. Comparative outcomes of vascular access in patients older than 70 years with end-stage renal disease. Vasc Surg 2019; 69(4):1196-206. https://doi.org/10.1016/j.jvs.2018.07.061
  4. Leake AE, Winger DG, Leers SA, Gupta N, Dillavou ED. Management and outcomes of dialysis access-associated steal syndrome. J Vasc Surg 2015; 61(3):754-60. https://doi.org/10.1016/j.jvs.2014.10.038
  5. Basile C, Lomonte C, Vernaglione L, Casucci F, Antonelli M, Losurdo N. The relationship between the flow of arteriovenous fistula and cardiac output in haemodialysis patients. Nephrol Dial Transplant 2008; 23(1):282-87. https://doi.org/10.1093/ndt/gfm549
  6. Bonforte G, Rossi E, Auricchio S, Pogliani D, Mangano S, Mandolfo S, Galli F, Genovesi S. The middle-arm fistula as a valuable surgical approach in patients with end-stage renal disease. J Vasc Surg 2010; 52(6):1551-56. https://doi.org/10.1016/j.jvs.2010.06.165
  7. Tordoir J, Canaud B, Haage P, et al. EBPG on vascular Access. Nephrol Dial Transplant 2007; 22(S2):ii88-117. https://doi.org/10.1093/ndt/gfm021
  8. Lok CE. Fistula First Initiative: Advantages and Pitfalls. Clin J Am Soc Nephrol 2007; 2: 1043-53. https://doi.org/10.2215/CJN.01080307
  9. Zamboli P, Calabria M, Camocardi A, Fiorini F, D’Amelio A, Lo Dico C, Granata A. Color-Doppler imaging and arteriovenous fistula: preoperative evaluation and surveillance. G Ital Nefrol 2012; 29(S57):S36-46. https://giornaleitalianodinefrologia.it/wp-content/uploads/sites/3/pdf/storico/2012/S57/GINS57_12_ZAMBOLI.pdf
  10. Silva MB Jr, Hobson RW, Pappas PJ, et al. A strategy for increasing use of autogenous hemodialysis access procedures: impact of pre-operative noninvasive evaluation. J Vasc Surg 1998; 27:302-07. https://doi.org/10.1016/s0741-5214(98)70360-x
  11. Ku YM, Kim YO, Kim J, et al. Ultrasonographic measurement of intima-media thickness of radial artery in pre-dialysis uremic patients: comparison with histological examination. Nephrol Dial Transplant 2006; 21:715-20. https://doi.org/10.1093/ndt/gfi214
  12. Malovrh M. Native arteriovenous fistula: preoperative evaluation. Am J Kidney Dis 2002; 39:1218-25. https://doi.org/10.1053/ajkd.2002.33394
  13. Lockhart ME, Robbin ML, Fineberg NS, et al. Cephalic vein measurement before forearm fistula creation: does use of a tourniquet to meet the venous diameter threshold increase the number of usable fistula? J Ultrasound Med 2006; 25:1541-45. https://doi.org/10.7863/jum.2006.25.12.1541
  14. Beathard GA, Arnold P, Jackson J, et al. Aggressive treatment of early fistula failure. Kidney Int 2003; 64:1487-94. https://doi.org/10.1046/j.1523-1755.2003.00210.x
  15. Lomonte C, Meola M, Petrucci I, Casucci F and Basile C. The Key Role of Color Doppler Ultrasound in the Work-up of Hemodialysis Vascular Access. Seminars in Dialysis 2015; 28(2):211-15. https://doi.org/10.1111/sdi.12312
  16. Ibeasa J, Roca-Teyb R, Vallespínc J, Moreno T, Moñux G, et al. Spanish Clinical Guidelines on Vascular Access for Haemodialysis. Nefrologia 2017; 37(S1):1-191. https://doi.org/10.1016/j.nefro.2017.11.004
  17. Rehman R, Schmidt RJ, and Moss AH. Ethical and Legal Obligation to Avoid Long-Term Tunneled Catheter Access. Clin J Am Soc Nephrol 2009; 4(2):456-60. https://doi.org/10.2215/CJN.03840808
  18. Fan PY, Lee CC, Liu SH, Li I-J, Weng CH, et al. Preventing arteriovenous shunt failure in hemodialysis patients: a population-based cohort study. J Thromb Haemost 2018; 17(1):77-87. https://doi.org/10.1111/jth.14347
  19. Mudoni A, Caccetta F, Caroppo M, Musio F, Accogli A, et al. Echo color Doppler ultrasound: a valuable diagnostic tool in the assessment of arteriovenous fistula in hemodialysis patients. J Vasc Access 2016; 17(5):446-52. https://doi.org/10.5301/jva.5000588
  20. Aragoncillo Sauco I, Ligero Ramos JM, Vega Martínez A, Morales Muñoz ÁL, et al. Vascular access clinic results before and after implementing a multidisciplinary approach adding routine Doppler ultrasound. Nefrologia 2018; 38(6):616-21. https://doi.org/10.1016/j.nefro.2018.04.003
  21. Olsha O, Hijazi J, Goldin I, and Shemesh D. Vascular access in hemodialysis patients older than 80 years. J Vasc Surg 2015; 61(1):177-83. https://doi.org/10.1016/j.jvs.2014.07.005
  22. Borzumati M, Funaro L, Mancini E, Resentini V, Baroni A. Survival and complications of arteriovenous fistula dialysis access in an elderly population. J Vasc Access 2013; 14(4):330-34. https://doi.org/10.5301/jva.5000143
  23. Gallieni M, Hollenbeck M, Inston N, Kumwenda M, Powell S, et al. Clinical practice guideline on peri- and postoperative care of arteriovenous fistulas and grafts for haemodialysis in adults. Nephrol Dial Transplant 2019; 34:ii1–ii42. https://doi.org/10.1093/ndt/gfz072
  24. Aragoncillo I, Abad S, Caldés S, Amézquita Y, Vega A, Cirugeda A, at al. Adding access blood flow surveillance reduces thrombosis and improves arteriovenous fistula patency: a randomized controlled trial. J Vasc Access 2017; 18(4):352-58. https://doi.org/10.5301/jva.5000700
  25. Niyyar VD. Ultrasound in dialysis access: Opportunities and challenges. J Vasc Access 2020; 21(3):272-80. https://doi.org/10.1177/1129729819855487
  26. Lok C, Shenoy S, Yevzlin A, Huber TS, Lee T. KDOQI Clinical Practice Guideline For Vascular Access: 2018. AJKD Submission Draft, April 2019. https://www.vasbi.org.uk/static/uploads/resources/kdoqi_vasc-access-review2019_v2.pdf

La spondilodiscite nei pazienti emodializzati: una nuova patologia emergente? Dati di un centro italiano

Abstract

I pazienti emodializzati (HD) sono ad alto rischio di complicanze infettive come la spondilodiscite. L’obiettivo di questo studio retrospettivo è stato quello di valutare i casi di spondilodiscite infettiva che si sono verificati tra i pazienti in HD presso il nostro centro tra maggio 2005 e ottobre 2019.

In 14 anni, ci sono stati 9 casi (età media 69±12 anni). Le principali comorbidità riscontrate sono state diabete mellito (55,6% dei pazienti), ipertensione (55,6%), malattie ossee (22,2%), neoplasie (11,1%) e artrite reumatoide in terapia con steroidi (11,1%). L’esordio clinico comprendeva dolore al rachide (100% dei casi), febbre (55,6%), deficit neurologici (33,4%), leucocitosi (55,6%) ed elevati valori di PCR (88,9%). La maggior parte dei casi è stata diagnosticata mediante risonanza magnetica (66,7%), con un coinvolgimento più frequente della regione lombare (77,8%). Le emocolture sono risultate positive in cinque pazienti; tre di loro utilizzavano un catetere quale accesso vascolare per HD e, in due casi, è stata necessaria la sua rimozione. L’intervallo di tempo medio tra l’insorgenza dei sintomi e la diagnosi era di 34±42 giorni.

Tutti i pazienti hanno ricevuto una terapia antibiotica per una durata media di 6 settimane; la maggior parte dei casi è stata inizialmente trattata con vancomicina o teicoplanina e ciprofloxacina. La maggior parte dei pazienti (77,8%) è andata incontro a risoluzione dopo una media di 3,5 mesi.

La spondilodiscite infettiva in HD deve essere sospettata in presenza di dolore al rachide, anche in assenza di febbre o dei fattori di rischio tradizionali. Una diagnosi precoce potrebbe migliorare l’outcome. Un attento monitoraggio dell’accesso vascolare, oltre alle corrette procedure di disinfezione, è importante per evitare questa complicanza.

 

Parole chiave: spondilodisciti, emodialisi, dolore al rachide, accesso vascolare, infezioni, batteriemia

Ci spiace, ma questo articolo è disponibile soltanto in inglese.

Introduction

Septicemia and infections contribute to 12% of deaths in uremic patients [1].

Hemodialysis (HD) patients represent a risk category for bacteremia (in particular caused by S. aureus), because of the coexistence of multiple risk factors: the immunodepression typical of uremia, the frequent venopunctures of native and prosthetic fistulas and the presence of temporary or permanent venous catheters [23].

One of the possible complications of bacteremia is spondylodiscitis, defined as infection of the vertebra and intervertebral disc sometimes extended to the surrounding soft tissues [47]. The incidence of this disease varies between 1:250,000 patients/year [89] and 0,4-2,4:100.000 patients/year [5] in the general population, while the major studies carried out on HD patients report an incidence of 1:80–1:215 patients/year [1011].

Although bacterial spondylodiscitis is one of the most serious complications that can occur to dialysis patients, few cases have been reported in the literature; it is therefore not clear which is the best clinical management. Moreover, diagnosis may be often delayed due to the insidious onset of the symptoms.

Considering the cases occurred in our center, in this work we analyze the clinical features and the problems related to the diagnosis and the therapy of spondylodiscitis in HD patients; the possible risk factors related to the onset of this disease are also considered.

 

Methods

A retrospective study has been conducted by evaluating all cases of infective spondylodiscitis that occurred between May 2005 and October 2019 among the HD patients at our center (IRCCS Multimedica, Sesto San Giovanni, Milan, Italy).

Patients were identified according to a diagnosis of “spondylodiscitis” and “ESRD” from the hospital records. The diagnosis of infective spondylodiscitis was based on clinical data, laboratory results [5, 12] and diagnostic imaging tests [1213]. The exclusion criteria were as follows: post-operative spinal infection, patients affected by chronic renal insufficiency not in hemodialysis, patients who received HD for less than 14 days. We finally included 9 cases.

For each patient, demographic data, personal medical history, dialytic age and type of vascular access were collected. The baseline characteristics included age, gender, primary cause of ESRD and main comorbidities (diabetes mellitus, hypertension, malignancy, bone and joint diseases). Regarding infective spondylodiscitis, initial clinical symptoms, laboratory and culture test results, diagnostic tools and location of spinal infection were collected for each patient. We focused in particular on the time interval between the onset of symptoms and the diagnosis, often delayed.

Finally, we collected data regarding the treatments performed and the patients’ outcomes.

 

Results

In 14 years, there have been 9 cases of infective spondylodiscitis in our center, with an estimated incidence of 1:200 patients/year. The incidence was calculated by comparing the number of cases to the dialysis population over 14 years (we usually treat chronically 100 HD patients).

Table 1 shows the clinical characteristics of the patients with infective spondylodiscitis treated in our center. Sixty-seven percent of patients were male, the mean age was 69±12 years. The primary causes of ESRD included diabetic nephropathy (3 patients, 33.4%), obstructive nephropathy (2 patients, 22.2%), autosomal dominant polycystic kidney disease (1 patient, 11.1%), arterial hypertension (1 patient, 11.1%) and unknown causes (2 patients, 22.2%). Five patients (55.6%) were affected by diabetes mellitus, 11.1% by obesity, 55.6% by arterial hypertension and 22.2% by bone diseases. One patient was known for rheumatoid arthritis and was in chronic treatment with low-dose steroids and azathioprine; none of the other patients received chronic immunosuppressive therapy. One patient was affected by prostatic cancer.

All patients had back pain as an initial symptom, 55.6% had fever, while 33.4% had neurological symptoms, such as limb weakness and paresthesia (Table 2).

 

Patient Age [years] Gender Cause of ESRD Comorbidities
1 62 M Diabetes Diabetes
2 78 M Unknown Myelodysplasia
3 63 M Unknown Obesity, arterial hypertension, hypothyroidism, diabetes
4 78 F Unknown Rheumatoid arthritis, osteoporosis
5 69 F Nephrolithiasis Diabetes, secondary hyperparathyroidism
6 73 F ADPKD Diabetes, arterial hypertension, Graves’ disease, vasculopathy
7 88 M Obstructive nephropathy Arterial hypertension, prostatic cancer
8 48 M Diabetes Diabetes, arterial hypertension
9 61 M Arterial hypertension Arterial hypertension
ESRD, end stage renal disease; ADPKD, autosomal dominant polycystic kidney disease
Table 1: Characteristics of the patients with infective spondylodiscitis in care at our center.

 

Patient Back Pain Fever Neurological symptoms WBC CRP Diagnostic tools Location
1 Yes Yes No 26700 26.7 CT, MRI D9-D10
2 Yes Yes No 28000 22 MRI L5-S1
3 Yes No Yes 10200 5.83 MRI L3-L4
4 Yes No Yes 3800 9.9 MRI L4-L5
5 Yes Yes Yes 15500 10.1 MRI D4-D5
6 Yes No No 6230 8.52 CT, MRI L4-L5
7 Yes No No 5290 0.3 MRI L4-L5
8 Yes Yes No 22500 31.8 CT L4-L5
9 Yes Yes No 7130 3.7 MRI L1-L2
WBC, white blood cell count (cells/ml); CRP, c-reactive protein (mg/dl); MRI, magnetic resonance imaging
Table 2: Initial clinical presentation, initial laboratory results, diagnostic tools, location of infection.

 

Figure 1: MRI of the lumbosacral spine without gadolinium contrast showing discitis at the L4–L5 level (patient n. 6)

 

At hospital admission 55.6% of patients had leukocytosis, while 88.9% had elevated CRP levels (Table 2).

Six patients (66.7 %) had their diagnoses confirmed by magnetic resonance imaging (MRI) (Figure 1), while two had a CT performed prior to MRI (Table 2). One patient had his diagnosis confirmed by CT only (it was not possible to perform MRI because of the presence of a metallic foreign object in the patient’s body). All patients had performed a spine radiograph that turned out not to be diagnostic. In no case it was necessary to perform a FDG-PET for the diagnosis of spondylodiscitis. Echocardiography was performed in 2 cases, both negative for valvular vegetation, to exclude infective endocarditis.

The lumbar level was the most common site of infection (7 patients, 77.8 %); in 2 patients (22.2 %), the thoracic spine was also involved, while in no case the cervical spine was involved (Table 2).

The mean dialytic age was 33±38 months, as reported in Table 3. Four patients (44.4 %) used an arteriovenous fistula (AVF) as vascular access for hemodialysis, 1 patient (11.1 %) used an arteriovenous graft (AVG), 3 patients (33.4 %) used a tunneled cuffed catheter (TCC), and 1 patient (11.1 %) used a non-tunneled catheter (NTC) (Table 3). Two patients had experienced thrombosis of the arteriovenous fistula for hemodialysis and underwent endovascular surgery. The surgical interventions had not been successful; for this reason, central venous catheters for hemodialysis had been positioned (a tunneled cuffed catheter in one case, a non-tunneled catheter, then removed and replaced, in the other). Blood cultures were positive in five cases, four for S. aureus (Table 3) and one for S. agalactiae. In the first of our 9 cases, the non-tunneled catheter, which was the source of the infection, was removed and replaced. In the second case the infection was successfully treated without the need of removing the tunneled cuffed catheter. In the third and fourth cases, the patients had AVFs and no sign of local infection. In the fifth case, the removal of the TCC was necessary due to the persistence of a septic status related to the catheter. A NTC was subsequently placed and an AVF was created.

 

Patient Dialytic age [months] Vascular access Blood culture Bone biopsy Diagnostic delay
1 45 NTC S. aureus Not executed 1 month
2 24 AVF Negative Not executed 3 months
3 3 TCC S. aureus Not executed 5 days
4 57 AVF Negative Not executed 10 days
5 12 AVF S. aureus S. aureus 3 weeks
6 120 AVG Negative Negative 4 months
7 16 TCC Negative Not executed 3 weeks
8 1 TCC S. aureus Negative 3 days
9 15 AVF Streptococcus agalactiae Not executed 5 days
AVF, arteriovenous fistula; AVG, arteriovenous graft; NTC, non-tunneled catheter; TCC, tunneled cuffed catheter
Table 3: Dialytic age, vascular access for hemodialysis, culture results, time interval between onset of symptoms and diagnosis

 

A bone biopsy was performed in three instances (Table 3). In the first case, the patient developed a paraplegia with level D4 during hospitalization; she was therefore subjected to a neurosurgical operation of bone marrow decompression. The bone culture test confirmed the diagnosis of S. aureus spondylodiscitis. Despite surgical intervention and the use of targeted systemic antibiotic therapy, the recovery of lower limb function was not achieved. In the second case, a bone biopsy was performed because of the persistence of painful symptoms after months of antibiotic therapy; the cultural exam of the disc and the vertebral body was negative; the patient was then discharged with a diagnosis of chronic spondylodiscitis. In the third case, the bone biopsy was also performed due to the persistence of painful symptoms and the exam resulted negative.

The mean time interval between the onset of symptoms and the diagnosis was 34±42 days (Table 3). All patients received antibiotic treatment and the mean treatment duration was 6 weeks (Table 4). In most cases, vancomycin or teicoplanin plus ciprofloxacin were used as initial antibiotics (Table 4). The aim of the initial empiric treatment was to cover Staphylococci and Gram-negative bacilli. One patient underwent surgical intervention due to progressive neurologic deficits, as reported above. In four cases, the use of an orthopedic corset was prescribed (Table 4).

One patient had another infective spondylodiscitis within 2 years, caused by a different organism to in his first event. One patient had long-term neurologic sequelae despite surgical treatment. The others 7 patients recovered after a mean of 3.5 months (Table 4).

 

Patient Antibiotics Duration of antibiotic therapy Surgical treatment Orthopedic corset Outcome
1 Vancomycin plus gentamicin 4 weeks No Yes Recurrent after 2 years
2 Vancomycin plus ciprofloxacin; then teicoplanin plus ceftazidime 8 weeks No No Resolution after 2 months
3 Vancomycin plus ciprofloxacin plus ceftazidime 8 weeks No No Resolution after 3 months
4 Teicoplanin plus ciprofloxacin 4 weeks No Yes Resolution after 3 months
5 Vancomycin plus ciprofloxacin 8 weeks Yes, bone marrow decompression / Paraplegia D4
6 Levofloxacin plus rifampicin 4 weeks No Yes Resolution after 8 months
7 Ciprofloxacin 8 weeks No No Resolution after 3 months
8 Teicoplanin; then Linezolid 8 weeks No Yes Resolution after 4 months
9 Vancomycin plus levofloxacin 4 weeks No No Resolution after 1 month
Table 4: Treatments and outcome of patients

 

Discussion

In our center there have been 9 cases of infective spondylodiscitis over 14 years, with an estimated incidence of 1:200 patients/year, which is in line to what has been previously reported in the literature regarding HD patients [1011].

The mean age of the patients considered in our study was 69±12 years, suggesting, as is also reported in the literature, that in recent years spondylodiscitis has evolved from an acute pathology with a high mortality mostly affecting young patients to a more indolent disorder affecting elderly patients, with a reduced mortality but more frequent relapses and debilitating sequelae [14].

The most frequent comorbidities found in our patients were diabetes mellitus (55.6%), arterial hypertension (55.6%) and bone diseases (22.2%). Several risk factors for spondylodiscitis are reported in the literature: diabetes mellitus, intravenous drug abuse, liver disease, immunodeficiency, alcoholism, rheumatoid arthritis, steroid therapy, immunosuppressive therapy, tumors [1516]. The prevalence of arterial hypertension among our cases of spondylodiscitis appears lower than that of the hemodialysis population (55.6% vs 80%); however, the relationship reported in previous studies between arterial hypertension and spondylodiscitis in HD patients is an association, not a cause and effect relationship. The prevalence of diabetes mellitus in our sample appears to be higher than that reported in the literature among hemodialysis patients (55.6% vs 30%). This could indicate that diabetes can favor infectious processes, including spondylodiscitis, and confirms that diabetes mellitus could be a risk factor for vertebral infections, as reported in previous studies. It is interesting to note that in our case series one patient was treated for rheumatoid arthritis with low-dose steroids and azathioprine at the time of the spondylodiscitis episode; another patient was affected by prostatic cancer.

Our small sample of patients seems therefore representative of the main risk factors for spondylodiscitis, except for alcoholism and liver disease; in it we found diabetes mellitus, rheumatoid arthritis, steroid therapy and cancer. Moreover, other risk factors, related to the state of uremia and to dialysis treatment, may play a decisive role in the onset of spondylodiscitis: they are the immunodepression typical of uremia, the frequent use of central venous catheterization as vascular access for hemodialysis, the frequent venopuncture of the fistulas, both native and prosthetic, and the endovascular surgery procedures for thrombosis of the vascular access, with the consequent greater risk of bacteremia and infectious complications [23]. In our case series, 44.4% of patients used an AVF as vascular access for hemodialysis, 11.1% used an AVG, 33.4% used a TCC, and 11.1% used a NTC. Two patients had experienced thrombosis of the arteriovenous fistula, requiring endovascular surgery. Moreover, the blood cultures resulted positive for S. aureus in three of the four patients with central venous catheter and the catheter removal was necessary in two cases. A previous article reports that 91% of their spondylodiscitis cases used a central venous catheter instead of an arteriovenous fistula as vascular access for hemodialysis [17]. For this reason, possible preventive strategies in hemodialysis patients are the choice of AVF as vascular access, as it is associated with a lower incidence of spondylodiscitis compared to the TCC [11], and the close monitoring of the vascular access, paying particular attention to disinfection procedures and aseptic techniques [18].

In our case series, all patients had back pain at the onset of symptoms, while fever and neurological symptoms were present only in some. The literature also describes back pain as the main clinical manifestation of the disease; it is present in 90% of all cases, at the level of the affected bone metamer [15]. Fever is not a constant finding and is present only in half of the cases, while neurological symptoms are found in 30% of patients with spondylodiscitis [1516]. At hospital admission 55.6% of our patients had leukocytosis, 88.9% had elevated CRP levels. In the literature, leukocytosis is reported in 40% of cases and an increase in inflammatory indices in 80% of them [19].

Magnetic resonance imaging of the spine is the most sensitive and specific radiological method to diagnose vertebral osteomyelitis; it is also the procedure of choice to assess the extent of the disease, the involvement of soft tissues and neurological structures and the possible presence of abscesses [13]. Spine radiography is often performed first and shows alterations in 89% of cases [13]; however, it has a reduced sensitivity and specificity, especially in the early stages [20]. CT is less sensitive than MRI and is generally used when the latter is contraindicated, as well as to perform CT guided percutaneous biopsy [20]. A final exam that can help locate abnormalities and monitor the response to treatment is FDG-PET, which is especially indicated in cases where the patient cannot undergo MRI [12, 21]. In our case series, 66.7% of patients had their diagnoses confirmed by MRI, one patient had his diagnosis confirmed by CT, while two patients had a CT performed prior to MRI. In no case we performed FDG-PET.

In our sample of patients, the lumbar spine was the most common site of infection, followed by the thoracic spine. Generally, the lumbar vertebrae are the most frequently affected (60-70% of cases in the literature) given their wide vascularization [22]. As reported in previous studies, in 10% of cases the infection localizes at the cervical level (the site that can most frequently lead to neurological complications); in 20-30% of cases it is localized at the thoracic level, while the sacral localization is found in less than 10% of cases [5, 23].

In our study, blood cultures were positive in five instances, four for S. aureus and one for S. agalactiae. Spondylodiscitis are generally due to a hematogenous infection by S. aureus (50% of cases in the literature), but episodes caused by Gram-negative, P. aeruginosa, S. epidermidis, Streptococci of group C and G have been described (especially in diabetic patients) [4]. Generally, blood cultures are positive in 50-70% of patients with vertebral osteomyelitis [1516].

We performed a bone biopsy in three cases. CT-guided percutaneous vertebral disc biopsy may be considered in patients with negative blood cultures who do not respond to antibiotic therapy; it identifies the pathogen in 60-70% of cases. The possibility of identifying the causative pathogen is reduced if the patient has previously taken antibiotics. The histological examination of the biopsy may show disc necrosis and neutrophil infiltration, too [5]. In patients with suspected spondylodiscitis, with persistent symptoms despite antibiotic therapy and negative microbiological tests (blood culture and disc biopsy) it is indicated to repeat a second percutaneous biopsy and eventually proceed with an open biopsy, that is positive in 75% of cases [5, 12].

All our patients received antibiotic treatment, in most of the cases vancomycin or teicoplanin plus ciprofloxacin as initial therapy. Randomized controlled trials on empirical antibiotic therapy have not yet been conducted and therefore no antibiotic, alone or in an association, is currently considered superior to the others in treating this infection. Usually, an empirical antibiotic therapy is set up with broad-spectrum antibiotics with anti-staphylococcal activity (for example vancomycin or teicoplanin), also associating an agent with anti-negative bacilli activity [2425]. Antibiotic therapy should continue for at least 4-8 weeks (up to 6-12 weeks) [2425]. In our case series, the mean treatment duration was 6 weeks.

The recommended therapy also consists in immobilization, with bed rest with analgesia for at least 2-4 weeks, followed by the gradual mobilization with orthopedic corset; this was prescribed to four of our patients. Surgery can be indicated if there are neurological deficits, radicular compression, a need to prevent and correct instability and deformity, severe persistent pain, or when it is necessary to perform drainage of abscesses or open biopsy [6, 23]. In our case series, only one patient underwent surgical intervention due to progressive neurologic deficits.

The mortality rate for spondylodiscitis among HD patients is reported at 16.7%. In our case series, no patient died due to infection, although one had a second infective spondylodiscitis within 2 years and another suffered from long-term neurologic sequelae, despite surgical treatment. The others seven patients recovered after an average of 3.5 months.

An early diagnosis that identifies, where possible, the responsible microorganism, could prevent the development of such complications and could improve the outcome for patients, allowing for a prompt resolution of the infective episode [14]. An algorithm on the possible diagnostic/therapeutic workup for the management of suspected cases of spondylodiscitis among hemodialysis patients is shown in Figure 2.

 

Figure 2: Algorithm on the possible diagnostic/therapeutic workup for the management of suspected cases of spondylodiscitis among hemodialysis patients.

 

Our study certainly presents some limits due to the reduced number of cases and its descriptive and retrospective nature. However, it is the first Italian study that focuses on this rare disease, characterized by important mortality and complications, especially among hemodialysis patients, and on the diagnostic delay that often occurs.

 

Conclusions

Infective spondylodiscitis must be suspected in the presence of back pain in HD patients, even in the absence of fever and traditional risk factors. In order to improve the outcome for patients and obtain a prompt resolution, it is important to get an early diagnosis by identifying, if possible, the responsible microorganism, and to avoid any delays in the diagnosis. Finally, the close monitoring of vascular access, and a great attention to disinfection procedures and aseptic techniques are all important to avoid these serious infectious complications.

 

 

References

  1. United States Renal Data System. 2016 USRDS annual data report: Epidemiology of kidney disease in the United States. National Institutes of Health, National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases. Bethesda, MD: 2016.
  2. Eleftheriadis T, Antoniadi G, Liakopoulos V, et al. Disturbances of Acquired Immunity in Hemodialysis Patients. Semin Dial 2007; 20:440-51. https://doi.org/10.1111/j.1525-139X.2007.00283.x
  3. Helewa RM, Embil JM, Boughen CG, et al. Risk factors for infectious spondylodiscitis in patients receiving hemodialysis. Infect Control Hosp Epidemiol 2008; 29:567-71. https://doi.org/10.1086/588202
  4. Lew DP, Waldvogel FA. Osteomyelitis. Lancet 2004; 364:369-79. https://doi.org/10.1016/S0140-6736(04)16727-5
  5. Cottle L, Riordan. T. Infectious spondylodiscitis. J Infect 2008; 56:401-12. https://doi.org/10.1016/j.jinf.2008.02.005
  6. Zarghooni K, Röllinghoff M, Sobottke R, et al. Treatment of spondylodiscitis. Int Orthop 2012; 36:405–11. https://doi.org/10.1007/s00264-011-1425-1
  7. Ramírez-Huaranga MA, Sánchez de la Nieta-García MD, Anaya-Fernández S, et al. Spondylodiscitis, Nephrology department’s experience. Nefrología 2013; 33:250-55.
  8. Digby JM, Kersley JB. Pyogenic non-tuberculous spinal infection: an analysis of thirty cases. J Bone Joint Surg Br 1979; 61:47-55. 
  9. Roblot F, Besnier JM, Juhel L, et al. Optimal duration of Antibiotic Therapy in Vertebral Osteomyelitis. Semin Arthritis Rheum 2007; 36:269-77. https://doi.org/10.1016/j.semarthrit.2006.09.004
  10. Philipneri M, Al-Aly Z, Amin K, et al. Routine Replacement of Tunneled, Cuffed, Hemodialysis Catheters Eliminates Paraspinal/Vertebral Infections in Patients with Catheter-Associated Bacteremia. Am J Nephrol 2003; 23:202-07. https://doi.org/10.1159/000071479
  11. Abid S, DE Silva S, Warwicker P, et al. Infective spondylodiscitis in patients on high-flux hemodialysis and on-line hemodiafiltration. Hemodial Int 2008; 12:463-70. https://doi.org/10.1111/j.1542-4758.2008.00310.x
  12. Zimmerli W. Vertebral Osteomyelitis. N Engl J Med 2010; 362:1022-29. https://doi.org/10.1056/NEJMcp0910753
  13. Mylona E, Samarkos M, Kakalou E, et al. A Pyogenic vertebral osteomyelitis: a systematic review of clinical characteristics. Semin Arthritis Rheum 2009; 39:10-17. https://doi.org/10.1016/j.semarthrit.2008.03.002
  14. McHenry MC, Easley KA, Locker GA. Vertebral Osteomyelitis: Long-Term Outcome for 253 Patients from 7 Cleveland-Area Hospitals. Clin Infect Dis 2002; 34:1342-50. https://doi.org/10.1086/340102
  15. García-García P, Rivero A, del Castillo N, et al. Infectious Spondylodiscitis in Hemodialysis. Semin Dial 2010; 23:619-26. https://doi.org/10.1111/j.1525-139X.2010.00791.x
  16. Lewis SS, Sexton DJ. Metastatic Complications of Bloodstream Infections in Hemodialysis Patients. Semin Dial 2013; 26:47-53. https://doi.org/10.1111/sdi.12031
  17. Faria B, Canto Moreira N, Sousa TC, et al. Spondylodiscitis in hemodialysis patients: A case series. Clin Nephrol 2011; 76:380-87. https://doi.org/10.5414/cn106525
  18. Lu YA, Hsu HH, Kao HK, et al. Infective spondylodiscitis in patients on maintenance hemodialysis: a case series. Ren Fail 2017; 39:179-86. https://doi.org/10.1080/0886022X.2016.1256313
  19. Cebrián Parra JL, Saez-Arenillas Martín A, Urda Martínez-Aedo AL, et al. Management of infectious discitis. Outcome in one hundred and eight patients in a University Hospital. Int Orthop 2012; 36:239-44. https://doi.org/10.1007/s00264-011-1445-x
  20. Govender S. Spinal infections. J Bone Joint Surg Br 2005; 87:1454-58. https://doi.org/10.1302/0301-620X.87B11.16294
  21. Gemmel F, Dumarey N, Palestro CJ. Radionuclide imaging of spinal infections. Eur J Nucl Med Mol Imaging 2006; 33:1226-37. https://doi.org/10.1007/s00259-006-0098-2
  22. Sapico FL, Montgomerie JZ. Vertebral osteomyelitis. Infect Dis Clin North Am 1990; 4:539-50. 
  23. Hadjipavlou AG, Mader JT, Necessary JT, et al. Hematogenous Pyogenic Spinal Infections and Their Surgical Management. Spine (Phila Pa 1976) 2000; 25:1668-79. https://doi.org/10.1097/00007632-200007010-00010
  24. Grados F, Lescure FX, Senneville E, et al. Suggestions for managing pyogenic (non-tuberculous) discitis in adults. Joint Bone Spine 2007; 74:133-39. https://doi.org/10.1016/j.jbspin.2006.11.002
  25. Berbari EF, Kanj SS, Kowalski TJ, et al. Infectious Diseases Society of America (IDSA) Clinical Practice Guidelines for the Diagnosis and Treatment of Native Vertebral Osteomyelitis in Adults. Clin Infect Dis 2015; 61: e26-46. https://doi.org/10.1093/cid/civ482

Utilità della valutazione ecocolordoppler prima dell’allestimento di un accesso vascolare per emodialisi: esperienza di un singolo centro dialisi

Abstract

L’uso dell’ecocolordoppler preoperatorio migliora la valutazione clinica perché fornisce informazioni anatomiche ed emodinamiche che lo rendono uno strumento importante nella pianificazione dell’accesso vascolare.

Lo studio ecografico preoperatorio dei vasi può ridurre significativamente il tasso di insuccesso dell’intervento e l’incidenza di complicanze dell’accesso vascolare.

Riportiamo l’esperienza del nostro Centro, della durata di 10 anni, nel quale il nefrologo sottopone tutti i pazienti a valutazione ecografica preoperatoria del patrimonio vascolare dell’arto superiore.

L’ecocolordoppler è stato di grande utilità nella selezione dei vasi migliori e nella scelta della sede per l’allestimento della fistola artero-venosa, riducendone la percentuale di fallimento. Inoltre, la collaborazione tra le diverse professionalità del team degli accessi vascolari ha permesso il raggiungimento di risultati, a nostro avviso, soddisfacenti.

Parole chiave: accesso vascolare, uso dell’ecografia, ecocolordoppler, mapping preoperatorio, emodialisi

Introduzione

Il buon funzionamento dell’accesso vascolare (FAV) è uno degli elementi cruciali per la riuscita del trattamento emodialitico ed è associato ad una riduzione della morbilità e mortalità del paziente uremico. Un basso tasso di trombosi della FAV è uno degli obiettivi più importanti per migliorare la qualità di vita e delle prestazioni sanitarie dei pazienti in trattamento emodialitico. Tuttavia, ancora oggi, la problematica legata agli accessi vascolari rappresenta, nella sua evidente complessità, un nodo dolente della terapia sostitutiva renale. Inoltre, oggi più che mai, noi nefrologi siamo chiamati a gestire il paziente emodializzato in termini sempre più elevati di qualità della prestazione sanitaria e di riduzione dei costi.

Le prime Linee Guida KDOQI, pubblicate oltre dieci anni fa, raccomandavano di approntare una fistola con vasi nativi almeno 3-4 mesi prima del previsto inizio del trattamento emodialitico e di ridurre il posizionamento dei cateteri venosi centrali (CVC), incrementando il numero dei pazienti portatori di una fistola ben funzionante [1]. Le linee guida pubblicate più recentemente (UK Renal Association, Società Europea per gli accessi vascolari (ESVS), Associazione Europea ERA-EDTA ed il Gruppo Multidisciplinare Spagnolo degli Accessi Vascolari (GEMAV)) sono dirette oltre che ai chirurghi, anche a tutti i professionisti coinvolti nella cura e nella gestione dell’accesso vascolare al fine di migliorare la qualità di vita del paziente emodializzato [25]. Quindi sono di notevole aiuto al fine di stabilire le migliori strategie di gestione per tutti i pazienti che necessitano di un accesso vascolare (AV).

 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.