Tecniche chirurgiche mini invasive per il salvataggio del catetere peritoneale nelle infezioni refrattarie del tunnel

Abstract

Le complicanze infettive rappresentano la causa più significativa di morbilità e mortalità per i pazienti in dialisi peritoneale (DP). Nonostante negli ultimi vent’anni siano stati compiuti enormi sforzi finalizzati alla prevenzione e al trattamento degli episodi infettivi, le infezioni correlate al trattamento dialitico peritoneale costituiscono la causa principale di cessazione della DP. Dati recenti sembrano confermare la teoria che attribuisce alle infezioni dell’emergenza/tunnel (ESI/TI) un ruolo diretto nel causare la peritonite. Gli episodi di peritonite secondari a TI conducono fino nell’ 86% dei casi alla perdita del catetere. Quindi, nei casi di ESI/TI refrattari alla terapia medica, sembra ragionevole sottoporre il paziente a rimozione del catetere. Questo approccio implica inevitabilmente l’interruzione della DP e il passaggio all’emodialisi (HD) mediante il posizionamento di un catetere venoso centrale. Per risparmiare al paziente il cambio di metodica dialitica, è stato proposto l’intervento di rimozione e reinserimento del catetere peritoneale durante una singola seduta operatoria (SCR). Sebbene l’SCR eviti lo shift della tecnica dialitica, esso implica la rimozione del vecchio catetere, il reinserimento di un nuovo dispositivo e l’inizio immediato della DP con il rischio di complicanze meccaniche, quali il leakage e il dislocamento. Le tecniche chirurgiche mini invasive impiegate come “rescue procedures”, quali il curettage, il cuff-shaving, il reimpianto parziale del catetere e la rimozione della cuffia superficiale con la creazione di una nuova exit-site, oltre ad essere di facile esecuzione e poco traumatiche per il paziente, permettono di mantenere in sede il catetere peritoneale evitando le complicanze meccaniche.

Queste procedure, avendo dimostrato una percentuale di successo compresa fra il 70 e il 100%, devono essere sempre prese in considerazione negli episodi di ESI/TI non responsivi alla terapia medica prima di procedere alla rimozione del catetere peritoneale.

 

Parole chiave: dialisi peritoneale, infezione dell’exit-site, infezione del tunnel, peritonite, cuff-shaving, ecografia

Introduzione

Le complicanze infettive rappresentano la causa più significativa di morbilità e mortalità per i pazienti in dialisi peritoneale (DP) [1,2]. Negli ultimi vent’anni nonostante siano stati compiuti enormi sforzi finalizzati alla prevenzione e al trattamento degli episodi infettivi [36], le infezioni correlate al trattamento dialitico peritoneale costituiscono ancora oggi la causa principale di cessazione della DP [79].

Lavori recenti sembrano confermare la teoria che attribuisce alle infezioni dell’emergenza (ESI) un ruolo diretto nel causare la peritonite [10,11]. In particolare, è stata avanzata l’ipotesi che i microrganismi siano in grado di trasmigrare dall’emergenza cutanea lungo il tunnel fino alla cavità peritoneale [12]. Durante questo avanzamento i microrganismi possono depositarsi a livello della cuffia superficiale colonizzandola, e formare, in tale sede, un biofilm che ne facilita la proliferazione [13,14]. Inoltre, la creazione di tale strato, permettendo la protezione dei microbi da eventuali sostanze battericide, rende queste infezioni poco responsive alla terapia medica richiedendo nella maggior parte dei casi la rimozione del catetere [15]. Una volta colonizzata la cuffia, i microrganismi allo stato sessile sono in grado di passare dalla condizione di quiescenza a quella planctonica con la possibilità di migrare sia verso l’emergenza che verso la cuffia profonda determinando, nel primo caso infezioni ricorrenti dell’exit-site, e nel secondo peritoniti [16,17]. Gli episodi di peritonite secondari a infezione del tunnel (TI) sono responsabili nell’ 86% dei casi della perdita del catetere [18].

 

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Utilizzo degli ultrasuoni nelle infezioni da catetere peritoneale: indicazioni e risvolti clinici

Abstract

Gli episodi infettivi continuano a rappresentare la causa principale di morbilità e mortalità nei pazienti in dialisi peritoneale (DP). Nonostante siano stati compiuti sforzi considerevoli nella prevenzione delle infezioni correlate alla DP, oggigiorno circa un terzo dei fallimenti della metodica sono dovuti a complicanze infettive. Studi recenti hanno postulato un ruolo diretto dell’infezione dell’exit-site (ESI) e del tunnel sottocutaneo (TI) nel determinare l’insorgenza della peritonite; di conseguenza, una precoce diagnosi di ESI e TI seguita da un tempestivo inizio di un’appropriata antibioticoterapia dovrebbe portare ad una drastica diminuzione delle complicanze associate alle infezioni del catetere. L’esame ultrasonografico (US) rappresenta una metodica non invasiva, relativamente semplice, ripetibile, ben tollerata dal paziente e facilmente disponibile per la valutazione del tunnel.

Negli episodi di ESIs l’US permette di diagnosticare una concomitante infezione del tunnel con maggiore sensibilità rispetto ai soli parametri clinici distinguendo con elevata precisione le ESIs che si risolvono con la sola antibioticoterapia orale rispetto a quelle che potrebbero richiedere un maggiore impegno terapeutico. Nei casi di TI, l’US permette di localizzare con precisione il segmento del catetere maggiormente interessato dal processo infettivo conferendo importanti informazioni prognostiche; mentre la ripetizione dell’US a due settimane dall’inizio dell’antibioticoterapia permette il monitoraggio della risposta al trattamento. Non sussistono, invece, evidenze in grado di suggerire l’utilizzo dell’US del tunnel come strumento di screening per l’individuazione precoce di TI in pazienti asintomatici.

Parole chiave: dialisi peritoneale, infezione dell’exit-site, infezione del tunnel, peritonite, ultrasuoni, ecografia

Introduzione

Gli episodi infettivi continuano a rappresentare la causa principale di morbilità e mortalità nei pazienti sottoposti a terapia sostitutiva mediante dialisi peritoneale (DP) [13]. Nelle ultime tre decadi considerevoli sforzi sono stati compiuti nella prevenzione delle infezioni correlate alla DP: il miglioramento dei metodi di connessione [4], l’ottimizzazione della cura dell’exit-site (ES) [5], e la creazione di specifici percorsi per l’addestramento dei pazienti [6]. Nonostante l’adozione di queste misure circa un terzo dei fallimenti della DP sono secondari a peritoniti [7].
 

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