Tripla stenosi su fistola arterovenosa brachio-basilica: utilità dell’angioplastica, case report e review della letteratura

Abstract

La principale complicanza della fistola artero-venosa (FAV) è rappresentata dalla patologia stenotica. Tale condizione è caratterizzata da una riduzione del calibro del vaso arterioso o venoso che costituiscono la FAV. Più frequentemente si riscontra in corrispondenza della regione iuxta-anastomotica del segmento venoso.

Ci sono molti meccanismi responsabili della formazione della stenosi; alcuni correlati allo shear stress nella parete del tratto venoso, altri associati alle ripetute venipunture durante il trattamento dialitico.

È raccomandabile che ogni centro dialisi attivi un programma di monitoraggio della FAV in grado di identificare e trattare le stenosi.

Descriviamo il caso clinico di una giovane donna con una malattia da stenosi multipla di una FAV brachio-basilica trasposta.

Parole chiave: FAV, emodialisi, stenosi, angioplastica, angioplastica ecoguidata

Introduzione

Tra le complicanze della fistola arterovenosa (FAV) per emodialisi (Tabella I), vanno annoverate le stenosi; trattasi di una complicanza strutturale a cui è esposta la FAV. Le stenosi delle FAV native possono interessare sia il versante venoso che quello arterioso. L’incidenza di stenosi coinvolgenti il sistema venoso della FAV risulta essere di gran lunga maggiore rispetto a quello arterioso [15]. Le stenosi sono senza dubbio la causa più frequente di failure della fistola arterovenosa; la caduta di portata di cui sono responsabili riduce l’efficienza dialitica con calo del Kt/V, inoltre sono causa di un incremento della pressione negativa nel circuito, ostacolano il ritorno venoso, favoriscono il ricircolo [6, 7].

COMPLICANZE STRUTTURALI COMPLICANZE EMODINAMICHE
Ridotto/assente inflow (stenosi vaso afferente) Ridotta portata della FAV per perdita dell’inflow
Ridotto/assente outflow (stenosi del vaso efferente) Sindrome da furto (Steal syndrome)
Stenosi della porzione centrale del vaso efferente Presenza di collaterali venose che riducono la portata
Ematoma Scompenso cardiaco congestizio
Aneurisma Edema del braccio
Pseudoaneurisma
Calcificazioni
Tabella I: complicanze della FAV (Meola M: Ecografia clinica in nefrologia. Fistola arterovenosa, p 1308. Meola M. Eureka editore 2015).

Alcuni autori hanno classificato le stenosi del versante venoso della FAV in iuxta-anastomotiche o distali, a seconda che la sede della stenosi sia rispettivamente entro o oltre i 2 cm dall’anastomosi; anche se per Tessitore [8] vanno considerate tali anche le stenosi entro i 5 cm dall’anastomosi; questo sottotipo è responsabile dell’80 % delle stenosi.

Altra possibile classificazione riguardante la sede delle stenosi prevede la distinzione di stenosi centrali, iuxta-anastomotiche e stenosi riguardanti il tratto di vena compreso tra queste due regioni. Infine, da un punto di vista emodinamico, possiamo classificarle in stenosi dell’inflow e stenosi dell’outflow. Le prime determinano, da un punto di vista emodinamico, una riduzione della portata della fistola e riguardano le stenosi arteriose e le stenosi venose iuxta-anastomotiche; le seconde, invece, sono le stenosi venose distali che determinano un ostacolo al deflusso venoso anche in presenza di una valida portata [9].

La sede più frequente di stenosi è la porzione iuxta-anastomotica [1013], ma sono frequenti anche le stenosi della porzione centrale della vena efferente sede di venopuntura. Possiamo definire critica una stenosi quando la riduzione del diametro del lume vasale è superiore al 50 % rispetto a quello misurato nella porzione prestenotica. Ma tale definizione non può prescindere dalle alterazioni emodinamiche causate dalla stenosi: una riduzione della portata, l’aumento degli indici di resistenza, l’incremento della velocità di picco sistolico in corrispondenza della stenosi e, non ultima, l’inadeguata efficienza dialitica che accompagnano la stenosi [14].

La FAV è un “bene prezioso” per il paziente emodializzato; il patrimonio vascolare non è illimitato e il ricorso al catetere venoso centrale dovrebbe essere una seconda scelta. La stenosi deve essere considerata come l’iniziale processo di chiusura della FAV: se precocemente riconosciuta e trattata può evitare la chiusura definitiva dell’accesso vascolare.

 

Case report

Descriviamo il caso di una paziente di 54 anni, ipertesa, uremica in trattamento emodialitico da 3 anni, affetta da sindrome Nail-Patella. All’avvio al trattamento veniva confezionata una FAV radio-cefalica distale all’avambraccio sinistro previo mapping preoperatorio dell’arto che evidenziava una vena cefalica di 2 mm che incrementava il suo diametro a più del 50% dopo posizionamento del laccio emostatico; arteria radiale di 2,2 mm con portata di 15 ml/m e un test dell’iperemia reattiva che mostrava una caduta delle resistenze e incremento della portata.

Dopo 6 mesi la FAV andava incontro a failure, per cui veniva posizionato un catetere venoso centrale definitivo in vena giugulare destra. Allestita una nuova FAV distale radio-cefalica a carico dell’avambraccio di destra, quest’ultima andava incontro ad early failure nonostante il mapping preoperatorio mostrasse vasi aggredibili con buona compliance vascolare. Veniva quindi allestita una FAV prossimale brachio-basilica a carico del braccio sinistro con trasposizione della basilica. La portata della fistola, calcolata sull’arteria brachiale, dopo 7 giorni dall’allestimento era pari a 765 ml/m e incrementava a 1130 ml/m dopo 30 giorni.

Durante i trattamenti emodialitici si riscontravano pressioni venose elevate nell’accesso vascolare e pressioni arteriose eccessivamente negative. Veniva intrapreso quindi un follow-up ecografico e veniva posticipata la rimozione del CVC definitivo. Un controllo a distanza di 8 mesi mostrava una caduta della portata a 880 ml/m. L’accesso vascolare, monitorato nei mesi successivi, mostrava una progressiva riduzione di portata: 760 ml/m dopo 10 mesi dall’allestimento; 600 ml/m dopo 13 mesi. Giunge alla nostra osservazione a marzo 2022. L’esame doppler metteva in evidenza una portata pari a 465 ml/min. IR pari a 0,5 e l’evidenza di 3 stenosi lungo il decorso della vena basilica trasposta. Di queste, una si presentava in regione iuxta-anastomotica, con velocità di picco sistolico (PSV) calcolata in corrispondenza della stenosi pari a 350 cm/sec e le due restanti in regione distale con PSV rispettivamente di 617 cm/sec e 387 cm/sec. Si concludeva dunque per FAV malfunzionante con patologia stenotica multipla, con impatto emodinamico significativo. Per difficoltà operativa nel reperire un accesso unico che consentisse di trattare tutte e tre le stenosi contemporaneamente, veniva pianificato un trattamento di PTA in due tempi:

  1. PTA delle due stenosi distali con approccio anterogrado.
  2. PTA della stenosi iuxta-anastomotica con approccio retrogrado.

Veniva eseguita una prima procedura di PTA ecoguidata con balloon non compliante ad alta pressione delle dimensioni di 6 x 30 mm gonfiato fino a 24 atmosfere con completa distensione delle due lesioni stenotiche. Immediatamente dopo la procedura la portata dell’accesso vascolare risultava essere di 1100 ml/min con IR pari a 0,42 (Figure 1-5).

Figura 1: B-Mode. Scansione longitudinale su vena basilica efferente la FAV. Si nota esteso tratto stenotico.
Figura 1: B-Mode. Scansione longitudinale su vena basilica efferente la FAV. Si nota esteso tratto stenotico.
Figura 2: Color-doppler. Portata calcolata su arteria brachiale: 465ml/min; IR 0.5.
Figura 2: Color-doppler. Portata calcolata su arteria brachiale: 465ml/min; IR 0.5.
B-Mode. Gonfiaggio del pallone per angioplastica nel lume
Figura 3: B-Mode. Gonfiaggio del pallone per angioplastica nel lume venoso in corrispondenza del tratto stenotico. Si notano due incisure disegnate sul profilo del pallone, sede di maggiore resistenza della stenosi, che verranno completamente sfiancate al raggiungimento di 24 atmosfere.
B-Mode. Risultato finale della procedura. Assenza di recoil della stenosi, omogeneo il lume vascolare.
Figura 4: B-Mode. Risultato finale della procedura. Assenza di recoil della stenosi, omogeneo il lume vascolare.
Color-doppler. Portata calcolata su arteria brachiale successivamente alla procedura.
Figura 5: Color-doppler. Portata calcolata su arteria brachiale successivamente alla procedura. Si nota un incremento della portata a 1094 ml/min con riduzione indici di resistenza a 0,41.

A distanza di 15 giorni veniva eseguita seconda proceduta di PTA ecoguidata su stenosi iuxta-anastomotica. Veniva utilizzato balloon non compliante ad alta pressione delle dimensioni di 6 x 30 mm gonfiato fino a 24 atmosfere con completa risoluzione della stenosi (Figure 6-10).

Scansione longitudinale su vena basilica efferente la FAV in corrispondenza della regione iuxta-anastomotica stenotica.
Figura 6: B-Mode. Scansione longitudinale su vena basilica efferente la FAV in corrispondenza della regione iuxta-anastomotica stenotica.
Figura 7: Color-doppler. Portata calcolata su arteria brachiale: 920 ml/min con IR 0.49.
Figura 7: Color-doppler. Portata calcolata su arteria brachiale: 920 ml/min con IR 0.49.
Gonfiaggio del pallone per angioplastica nel lume venoso in corrispondenza del tratto stenotico.
Figura 8: B-Mode. Gonfiaggio del pallone per angioplastica nel lume venoso in corrispondenza del tratto stenotico. Pallone completamente disteso, gonfiato a 24 atmosfere.
Figura 9: B-Mode. Risultato finale della procedura. Assenza di recoil della stenosi, omogeneo il lume vascolare.
Figura 9: B-Mode. Risultato finale della procedura. Assenza di recoil della stenosi, omogeneo il lume vascolare.
Portata calcolata su arteria brachiale successivamente alla procedura
Figura 10: Color-doppler. Portata calcolata su arteria brachiale successivamente alla procedura. Si nota un incremento della portata a 1756 ml/min con riduzione indici di resistenza a 0,37.

La portata dell’accesso al termine della procedura risultava pari a 1600 ml/min con IR pari a 0,37. Contestualmente nella stessa seduta operatoria veniva rimosso CVC giugulare definitivo destro. In Figura 11 è riportato l’andamento della portata della FAV dal suo allestimento fino all’espletamento dell’ultima procedura descritta.

Figura 11: Il grafico, portata/tempo, mostra l’andamento del flusso prima e dopo le due procedure di angioplastica.
Figura 11: Il grafico, portata/tempo, mostra l’andamento del flusso prima e dopo le due procedure di angioplastica.

 

Discussione

Il primum movens del processo di stenosi è rappresentato dall’iperplasia neointimale, a sua volta legata ad un incremento dello shear-stress di parete per l’imponente incremento di flusso cui è sottoposto il vaso dopo la creazione dell’anastomosi. Concorrono, al processo di stenosi, anche lo stato pro infiammatorio proprio della malattia renale cronica, le venipunture ripetute, lo stress chirurgico, fattori genetici. Tutti questi elementi sono responsabili del rimodellamento della parete vascolare e di una anomala proliferazione [15] e migrazione delle cellule muscolari lisce mediata da una serie di fattori: citochine, chemochine, ossido di azoto, endotelina, osteopontina, apolipoproteina [10, 16-21].

È inoltre dimostrata una migrazione di fibroblasti dall’avventizia all’intima e la loro trasformazione in miofibroblati che contribuisce in maniera significativa alla riduzione del lume vascolare [2228]. Alcuni studi hanno incentrato l’attenzione sulla natura delle cellule che costituiscono la neointima: la loro identificazione pone infatti le basi per azioni terapeutiche volte a inibire il processo di proliferazione neointimale. In particolare la recente evidenza di fibroblasti migrati dall’avventizia all’intima e trasformati in miofibroblasti ha sottolineato il ruolo fondamentale di queste cellule nella produzione di matrice extracellulare della neointima. Tutto questo rimarca l’importanza dell’avventizia come attore in prima linea nel processo di iperplasia neointimale e la pone al centro dell’attenzione di interventi terapeutici che mirino al controllo di tutti questi elementi cellulari (fibroblasti, miofibroblasti, cellule muscolari lisce). Da ciò la proposta di alcuni autori di utilizzare farmaci antiproliferativi ad azione perivascolare [29-31]. Non ultima la necessità di una corretta manipolazione chirurgica intraoperatoria finalizzata a preservare l’avventizia e i vasa vasorum [29]; è dimostrato infatti che il ridotto traumatismo della parete vasale riduce in maniera significativa l’iperplasia neointimale [32].

Il malfunzionamento dell’accesso vascolare è una temuta complicanza del paziente in trattamento emodialitico: la sorveglianza clinica e il monitoraggio strumentale della FAV tendono a scongiurare questo pericolo. Negli anni si sono sviluppati programmi di sorveglianza clinico/strumentale spesso dissociati in quanto il nefrologo non sempre è il fulcro di questa sorveglianza, demandando al chirurgo vascolare o al radiologo la parte tecnico/strumentale. Nel nostro centro da tempo è stata posta l’attenzione a questo tipo di problematica e un team dedicato, oltre ad effettuare una sorveglianza clinica (esame ispettivo della FAV, Kt/V, ricircolo dell’accesso, monitoraggio delle pressioni venose ed arteriose intradialitiche), provvede al monitoraggio ecografico delle FAV a rischio di chiusura. L’ecocolordoppler infatti va ritenuto l’unica indagine capace di fornire informazioni strutturali e funzionali sull’accesso vascolare [33-36]; la metodica, infatti, oltre ad identificare deficit funzionali, mediante la valutazione della portata [3547], è in grado di individuare stenosi e trombosi da correggere mediante interventi di angioplastica, anch’essi ecoguidati, con i quali lo stesso nefrologo può cimentarsi.

Va comunque precisato che i programmi di sorveglianza degli accessi vascolari a tutt’oggi sono oggetto di discussione, in quanto lì dove studi osservazionali indicano che la correzione preventiva delle stenosi riduca la percentuale di fallimento dell’accesso vascolare [47] e le stesse linee guida NKF-K-DOQI [48] consigliano di sottoporre gli emodializzati portatori di FAV ad un programma di sorveglianza dell’accesso vascolare, ci sono pareri discordanti che attribuiscono una scarsa efficacia a detti programmi [4951].

I dati presenti in letteratura mostrano come vi sia una tendenza alla recidiva della stenosi dopo trattamento mediante PTA.

Le varie casistiche identificano una pervietà della FAV tra il 50-60% ad un anno dal trattamento. L’ipotesi eziopatogenetica è identificata nella iperplasia reattiva dei miociti della parete del vaso sottoposto a stretching durante la procedura con conseguente reazione sclerotico-cicatriziale e riformazione della stenosi [52]. A tal ragione vengono usati con maggiore frequenza balloon medicati (DCB), ricoperti da farmaci antiproliferativi come il Placitaxel, che rilasciati nella parete vascolare durante la dilatazione della stenosi vanno ad inibire la proliferazione reattiva. Grazie all’utilizzo di tali dispositivi si è ottenuta una pervietà primaria maggiore rispetto ai ballon convenzionali: fino all’80% a 6 mesi [53].

 

Conclusioni

La FAV va considerata l’accesso vascolare di prima scelta, la sua sopravvivenza deve essere garantita con l’utilizzo di tutti i mezzi a nostra disposizione: osservazione clinica e strumentale, monitoraggio intradialitico, accuratezza nella venopuntura. Le stenosi rappresentano la causa più frequente di malfunzionamento della FAV, se precocemente riconosciute e trattate l’accesso vascolare “sopravvive”. È nostra esperienza che la restenosi di una FAV, sottoposta ad angioplastica, è una evenienza possibile, ma proprio la sorveglianza di queste FAV a rischio ci consente di reintervenire concedendo all’accesso vascolare un ulteriore periodo di utilizzo.

 

Bibliografia

  1. NKF-K/DOQI: Clinical Practice Guidelines and Clinical Practice Recommendations, Update 2006. Am J Kidney Dis 2006; 48 (suppl 1): 5248-73. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2006.03.010.
  2. Beathard GA, Arnold P, Jackson J, Litchfield T; Physician Operators Forum of RMS Lifeline. Aggressive treatment of early fistula failure. Kidney Int. 2003 Oct;64(4):1487-94. https://doi.org/1046/j.1523-1755.2003.00210.x.
  3. Marcello Napoli, Raffaele Prudenzano, Francesco Russo, Assunta Lucia Antonaci, Maria Aprile, Erasmo Buongiorno. Juxta-anastomotic stenosis of native arteriovenous fistulas: surgical treatment versus percutaneous transluminal angioplasty. J Vasc Access. 2010 Oct-Dec;11(4):346-51. https://doi.org/5301/jva.2010.5968.
  4. Roy-Chaudhury P. PTA versus surgery for juxta-anastomotic stenosis. Acta of 5th Annual Controversies in Dialisys Access. Washington, DC USA October 2008.  J  Vasc Access 2008; 9: 185.
  5. Clark Timothy W I, Hirsch David A, Jindal Kailash J, Veugelers Paul J, LeBlanc John. Outcome and prognostic factors of restenosis after percutaneous treatment of native hemodialysis fistulas. J Vasc Interv Radiol. 2002 Jan;13(1):51-9. https://doi.org/1016/s1051-0443(07)60009-8.
  6. Aruny JE, Lewis CA, Cardella JF, Cole PE et al. Quality improvement guidelines for percutaneous management of the thrombosed or dysfunctional dialysis access. Standards of Practice Committee of the Society of Cardiovascular & Interventional Radiology. J Vasc Interv Radiol. 1999 Apr;10(4):491-8. https://doi.org/1016/s1051-0443(99)70071-0.
  7. National Kidney Foundation: K/DOQI Clinical practice guidelines for vascular access 2006 Am J Kidney Dis . 2006 Jul;48 Suppl 1:S176-247. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2006.04.029.
  8. Tessitore Nicola, Mansueto Giancarlo, et al. Endovascular versus surgical preemptive repair of forearm arteriovenous fistula juxta-anastomotic stenosis: analysis of data collected prospectively from 1999 to 2004. Clin J Am Soc Nephrol. 2006 May;1(3):448-54. https://doi.org/2215/CJN.01351005.
  9. Dacian-Călin Tirinescu et Al. Ultrasonographic diagnosis of stenosis of native arteriovenous fistulas in haemodialysis patients. Med Ultrason. 2016 Sep;18(3):332-8. https://doi.org/11152/mu.2013.2066.183.fis.
  10. Rajan DK, Bunston S, Misra S, Pinto R, Lok CE. Dysfunctional autogenous hemodialysis fistulas: outcomes after angioplasty–are there clinical predictors of patency? Radiology. 2004 Aug;232(2):508-15. https://doi.org/1148/radiol.2322030714.
  11. Clark TW, Hirsch DA, Jindal KJ, Veugelers PJ, LeBlanc J. Outcome and prognostic factors of restenosis after percutaneous treatment of native hemodialysis fistulas. J Vasc Interv Radiol. 2002 Jan;13(1):51-9. https://doi.org/10.1016/s1051-0443(07)60009-8.
  12. Giovanni Lipari1, Nicola Tessitore, Albino Poli, Valeria Bedogna, Antonella Impedovo, Antonio Lupo, Elda Baggio. Outcomes of surgical revision of stenosed and thrombosed forearm arteriovenous fistulae for haemodialysis. Nephrol Dial Transplant 2007 Sep;22(9):2605-12. https://doi.org/10.1093/ndt/gfm239.
  1. Allon M, Robbin ML. Increasing arteriovenous fistulas in hemodialysis patients: problems and solutions. Kidney Int. 2002 Oct;62(4):1109-24. https://doi.org/10.1111/j.1523-1755.2002.kid551.x.
  2. Mario Meola, Antonio Marciello, Gianfranco Di Salle , Ilaria Petrucci. Ultrasound evaluation of access complications: Thrombosis, aneurysms, pseudoaneurysms and infections. J Vasc Access. 2021 Nov;22(1_suppl):71-83. https://doi.org/10.1177/11297298211018062.
  3. Chang CJ, Ko PJ, Hsu LA, et al. Highly increased cell proliferation activity in the restenotichemodialysis vascular access after percutaneous transluminal angioplasty: implication in prevention of restenosis. Am J Kidney Dis 2004;43:74–84. https://doi.org/10.1053/j.ajkd.2003.09.015.
  4. Lawrence Vascular Access for Hemodialysis in adult. Chap 4.pp 49-78. of dialysis therapy. Nissenson AR, Fine RN Eds. 4th edition: Saunders-Elsevier Philadelphia, 2008
  5. Asif A, Roy-Chaudhury P, Beathard GA Early arteriovenous fistula failure: a logical proposal for when and how to intervene. Clin J Am Soc Nephrol. 2006 Mar;1(2):332-9. https://doi.org/10.2215/CJN.00850805.
  6. Moreno PR, Fallon JT, Murcia AM, Leon MN, Simosa H, Fuster V, Palacios. Tissue characteristics of restenosis after percutaneous transluminal coronary angioplasty in diabetic patients.J Am Coll Cardiol. 1999 Oct;34(4):1045-9. https://doi.org/10.1016/s0735-1097(99)00338-1.
  7. Megan Nguyen, Finosh G Thankam, Devendra K Agrawal. Sterile inflammation in the pathogenesis of maturation failure of arteriovenous fistula. J Mol Med (Berl). 2021 Jun;99(6):729-741. https://doi.org/10.1007/s00109-021-02056-4.
  8. Jinjing Zhao, Frances L Jourd’heuil, et al. Dual Function for Mature Vascular Smooth Muscle Cells During Arteriovenous Fistula Remodeling. J Am Heart Assoc. 2017 Mar 30;6(4):e004891. https://doi.org/10.1161/JAHA.116.004891.
  9. Chun-Yu Wong, Margreet R de Vries, Yang Wang, Joost R van der Vorst, et al. Vascular remodeling and intimal hyperplasia in a novel murine model of arteriovenous fistula failure. J Vasc Surg. 2014 Jan;59(1):192-201.e1. https://doi.org/1016/j.jvs.2013.02.242.
  10. Honda HM, T Hsiai,  Wortham C M, M Chen, H Lin, M Navab, L L Demer. A complex flow pattern of low shear stress and flow reversal promotes monocyte binding to endothelial cells. Atherosclerosis 2001 Oct;158(2):385-90. https://doi.org/10.1016/s0021-9150(01)00462-2.
  11. Dardik A, Leiling Chen, Frattini J, et al. Differential effects of orbital and laminar shear stress on endothelial cells. Comparative Study. J Vasc Surg 2005 May;41(5):869-80. https://doi.org/10.1016/j.jvs.2005.01.020.
  12. Gambillara V, Montorzi G, Christelle Haziza-Pigeon, Stergiopulos N, Silacci P. Arterial wall response to ex vivo exposure to oscillatory shear stress. J Vasc Re Nov-Dec 2005;42(6):535-44. https://doi.org/10.1159/000088343.
  13. Roy-Chaudhury P, Sukhatme VP, Cheung AK. Hemodialysis vascular access dysfunction: a cellular and molecular viewpoint. J Am Soc Nephro. 2006 Apr;17(4):1112-27. https://doi.org/10.1681/ASN.2005050615.
  14. Alfred K Cheung, Christi Terry, Li Li. Pathogenesis and local drug delivery for prevention of vascular access stenosisJ Ren Nutr. 2008 Jan;18(1):140-5. https://doi.org/1053/j.jrn.2007.10.028.
  15. Li G, Chen SJ, Oparil S, et al. Direct in vivo evidence demonstrating neointimal migration ofadventitial fibroblasts after balloon injury of rat carotid arteries. Circulation 2000;101:1362–1365. https://doi.org/10.1161/01.cir.101.12.1362.
  16. Li Li 1, Christi M Terry, Donald K Blumenthal, Tadashi Kuji, Takahisa Masaki, Bonnie C H Kwan, Ilya Zhuplatov, John K Leypoldt, Alfred K CheungCellular and morphological changes during neointimal hyperplasia development in a porcine arteriovenous graft modelNephrol Dial Transplant. 2007 Nov;22(11):3139-46. https://doi.org/1093/ndt/gfm415.
  17. Napoli M. Complicanze steno-trombotiche delle AVF. Eco color doppler & accessi vascolari per emodialisi Cap 4 pp 67-84. Wichtig Editore 2010.
  18. Kim SJ, Masaki T, Leypoldt JK, et al. Arterial and venous smooth-muscle cells differ in their responsesto antiproliferative drugs. J Lab Clin Med 2004;144:156–162. https://doi.org/10.1016/j.lab.2004.06.002.
  19. Kim SJ, Masaki T, Rowley R, et al. Different responses by cultured aortic and venous smooth musclecells to gamma radiation. Kidney Int 2005;68:371–377. https://doi.org/10.1111/j.1523-1755.2005.00407.x.
  20. Shenoy S. Pro/con juxta-anastomotic stenosis… Avoidable. Selected short paper from “Controversies in dialysis access”. San Francisco USA November 2006. J Vasc Access 2006; 7:167.
  21. Meola M. Ecografia clinica in nefrologia. Fistola arterovenosa, p 1299. Meola M. Eureka editore 2015.
  22. RobbinM, Chamberlain N, et al. Hemodialysis arteriovenous fistula maturity: US evaluation. Radiology. 2002 Oct;225(1):59-64. https://doi.org/10.1148/radiol.2251011367.
  23. Lomonte C, Meola M, Petrucci I, Casucci F, Basile C. The Key Role of Color Doppler Ultrasound in the Work-up of Hemodialysis Vascular Access. Semin Dial. 2015; 28: 211-5. https://doi.org/10.1111/sdi.12312.
  24. Ferring M, Henderson J, Wilmink A, Smith S. Vascular ultrasound for the pre-operative evaluation prior to arteriovenous fistula formation for haemodialysis: review of the evidence. Nephrol Dial Transplant. 2008 Jun;23(6):1809-15. https://doi.org/10.1093/ndt/gfn001.
  25. Silva Jr, Hobson MB, Pappas PJ, et al. A strategy for increasing use of autogenous hemodialysis access procedures: impact of preoperative noninvasive evaluation. J Vasc Surg. 1998 Feb;27(2):302-7; discussion 307-8. https://doi.org/10.1016/s0741-5214(98)70360-x.
  26. McCarley P, Wingard RL, et al. Vascular access blood flow monitoring reduces access morbidity and costs. Kidney Int . 2001 Sep;60(3):1164-72. https://doi.org/10.1046/j.1523-1755.2001.0600031164.x.
  27. Sands J, Miranda C. Prolongation of hemodialysis access survival with elective revision. J Clin Nephrol. 1995 Nov;44(5):329-33.
  28. Wiese P, Nonnast-Daniel B. Colour Doppler ultrasound in dialysis access. Nephrol Dial Transplant. 2004 Aug;19(8):1956-63. https://doi.org/1093/ndt/gfh244.
  29. Richard E. et al. Predictive measures of vascular access thrombosis: A prospective study. Kidney International Volume 52, Issue 6, December 1997, Pages 1656-1662. https://doi.org/10.1038/ki.1997.499
  30. Lauvao LS, Ihnat DM, et al. Vein diameter is the major predictor of fistula maturation. J Vasc Surg. 2009 Jun;49(6):1499-504. https://doi.org/1016/j.jvs.2009.02.018.
  31. RobbinML, Oser RF, et al. Hemodialysis access graft stenosis: US detection. Radiology. 1998 Sep;208(3):655-61. https://doi.org/10.1148/radiology.208.3.9722842.
  32. BackMR, Maynard M, Winkler A, et al. Expected flow parameters within hemodialysis access and selection for remedial intervention of nonmaturing conduits. Vasc Endovascular Surg. Apr-May 2008;42(2):150-8. https://doi.org/10.1177/1538574407312648.
  33. Dumars MC, Thompson WE, et al. Management of suspected hemodialysis graft dysfunction: usefulness of diagnostic US. Radiology. 2002 Jan;222(1):103-7. https://doi.org/10.1148/radiol.2221991095.
  34. Malovrh Native arteriovenous fistula: preoperative evaluation. Am J Kidney Dis 2002 Jun;39(6):1218-25. https://doi.org/10.1053/ajkd.2002.33394.
  35. Tordoir JH, de Bruin HG, Hoeneveld H. Duplex ultrasound scanning in the assessment of arteriovenous fistulas created for hemodialysis access: comparison with digital subtraction angiography. J Vasc Surg. 1989 Aug;10(2):122-8. https://doi.org/10.1067/mva.1989.0100122.
  36. NKF-K/DOQI: Clinical Practice Guidelines and Clinical Practice Recommendations, Update 2006. Am J Kidney Dis 2006; 48 : 1-322.
  37. TonelliM, Jindal Screening for subclinical stenosis in native vessel arteriovenous fistulae. J Am Soc Nephro. 2001 Aug;12(8):1729-1733. https://doi.org/10.1681/ASN.V1281729.
  38. Tonelli M, James M,Wiebe N. Ultrasound monitoring to detect access stenosis in hemodialysis patients: a systematic review. Am J Kidney Dis. 2008 Apr;51(4):630-40. https://doi.org/1053/j.ajkd.2007.11.025.
  39. Sands JJ, Ferrell LM, Perry MA. The role of color flow Doppler ultrasound in dialysis access. Semin Nephrol. 2002 May;22(3):195-201. https://doi.org/1053/snep.2002.31705.
  40. WouterJukema J, Verschuren JJW. Restenosis after PCI. Part 1: pathophysiology and risk factors. Nature Reviews Cardiology volume 9, pages5362 (2012).
  41. Robert A. Lookstein et Al. Drug-Coated Balloons for Dysfunctional Dialysis ArteriovenousFistulas. NEJM 20 Aug 2020.

Sindrome dell’arco cefalico: un’entità da tenere in considerazione nelle stenosi delle fistole artero-venose. Descrizione di un caso clinico e revisione della letteratura

Abstract

L’arco cefalico (AC) è uno dei siti più noti di stenosi nelle fistole arterovenose (FAV) brachio-cefaliche. La causa della stenosi dell’AC non è nota, ma contribuiscono vari fattori patogenetici.

Le opzioni terapeutiche per la stenosi dell’AC sono limitate. Sono state proposte terapie endovascolari e chirurgiche ma, ancora oggi, soprattutto per le forme ricorrenti, non esiste una strategia ideale che consenta di rendere l’AV più longevo possibile, con il minor numero di interventi.

Descriviamo la storia di una donna di 57 anni con cardiopatia ischemica, pregresso attacco ischemico transitorio, epilessia e broncopatia cronica, in emodialisi dall’età di 50 anni. Dopo vari insuccessi è stata allestita una FAV omero-cefalica destra, utilizzata per due anni.

A causa di elevate pressioni venose, sanguinamento prolungato a fine dialisi e scarsa efficienza dialitica, ha eseguito ecocolordoppler (ECD) con evidenza di una portata di 400 ml/min, un trombo nel lume al terzo medio della cefalica, elevate velocità sisto-diastoliche a livello post-anastomotico e dell’asse venoso prossimale come da doppia stenosi serrata.

È stato eseguito intervento di disostruzione dell’asse venoso cefalico prossimale fino alla confluenza della succlavia destra ed estrazione di materiale trombotico con buon flusso venoso refluo. Sono state corrette con PTA le stenosi al terzo medio della cefalica, a livello della confluenza dell’arco venoso della cefalica in succlavia, e del tronco venoso brachiocefalico, alla confluenza in vena cava superiore, ed è stata effettuata PTA stenting in AC.

Il controllo angiografico ha evidenziato pervietà della FAV in assenza di stenosi. Il controllo ECD, dopo 14 mesi, mostra una FAV ben funzionante in assenza di velocità di flusso patologiche, di stenosi e pervietà dello stent.

Parole chiave: arco cefalico, stenosi, fistola brachiocefalica, emodialisi

Introduzione

Le complicanze dell’accesso vascolare (AV) condizionano la qualità di vita e la sopravvivenza del paziente in emodialisi e rappresentano una delle principali cause di morbilità e mortalità nella popolazione emodializzata [1]. La maggiore causa di disfunzione e successiva trombosi di una fistola artero-venosa (FAV) è la stenosi venosa.

È ben noto che la localizzazione della stenosi e i segni clinici dipendono in gran parte dal tipo di AV [2]. Vari sono i segmenti della FAV soggetti a stenosi sul versante venoso; in relazione alla sede, possiamo distinguere tra: 1) stenosi a livello di inflow, in genere post-anastomotica, tipica della FAV dell’avambraccio; 2) stenosi a livello di outflow, localizzate a livello prossimale e presenti prevalentemente nelle FAV del braccio; 3) stenosi nelle zone di venipuntura e 4) stenosi riguardanti le vene centrali [3].

Un’altra sede tipica di stenosi è l’arco cefalico (AC); particolarmente interessate sono le FAV brachiocefaliche (dal 39% fino al 77%) rispetto alle FAV radiocefaliche (dal 2% al 15%) [4]. Ciò, verosimilmente, in relazione alla portata più elevata dell’AV, alla turbolenza del flusso e a fattori anatomici a causa del restringimento e della curvatura fisiologica dell’AC attraverso la fascia clavipettorale.

Jaberi et al. hanno dimostrato una correlazione statisticamente significativa tra stenosi dell’AC e la portata della FAV misurata con Transonic Systems [5]. Obiettivamente, i segni di presentazione della stenosi dell’AC sono vari e aspecifici. Si tratta di segni di ostacolo al deflusso: presenza di dilatazione aneurismatiche lungo il decorso del vaso, tortuosità ed iperpulsatilità della FAV, aumento della pressione venosa durante emodialisi, sanguinamento prolungato post-dialitico e scarsa portata, con le relative conseguenze sulla efficienza del trattamento dialitico.

Le opzioni terapeutiche per la stenosi dell’AC sono limitate. Sono state proposte terapie endovascolari e chirurgiche ma, ancora oggi, soprattutto per le forme ricorrenti, non esiste una strategia ideale che consenta di rendere l’AV più longevo possibile, con il minor numero di interventi. Infatti, non è possibile applicare un algoritmo di trattamento poiché la stenosi dell’AC è una di quelle situazioni cliniche ambigue, sia per i contesti clinici complessi, ma anche per la posizione anatomica della stenosi, non sempre agevole per il chirurgo [4,6,7]. Negli ultimi anni c’è stato un notevole e graduale passaggio ad un approccio endovascolare mininvasivo. Infatti, si crede che questa strategia possa essere associata ad una minore morbilità e mortalità, oltre che ad un più rapido recupero, particolarmente importante nei pazienti emodializzati con comorbidità multiple [4].

La stenosi dell’AC rappresenta, ancora oggi, un impegno ed una importante sfida per noi nefrologi, sia per la complessità diagnostica che per la resistenza al trattamento.

 

Caso clinico

Descriviamo la storia di una donna di 57 anni, in emodialisi periodica dall’età di 50 anni, affetta da cardiopatia ischemica trattata chirurgicamente, pregresso attacco ischemico transitorio, epilessia e broncopatia cronica ostruttiva. La storia anamnestica riguardante l’AV risulta abbastanza complicata, con la necessità di una integrazione tra varie professionalità: si è resa infatti necessaria una stretta collaborazione tra il nefrologo referente esperto di ultrasonografia vascolare, il radiologo interventista ed il chirurgo vascolare.

La paziente è stata avviata all’emodialisi durante la degenza in Cardiochirurgia per la rivascolarizzazione coronarica, utilizzando come accesso vascolare un catetere venoso centrale in vena giugulare destra. Dapprima è stata allestita una FAV distale all’avambraccio sinistro, complicata da stenosi recidivanti in regione post-anastomotica trattate con Angioplastica Percutanea Transluminale (PTA). Successivamente è stata impiantata una protesi vascolare in politetrafluoretilene (PTFE), complicata da una grave infezione con successiva trombosi con perdita dell’accesso. Anche una FAV distale all’avambraccio destro è andata incontro a trombosi precoce.

Pertanto, dopo il fallimento di accessi vascolari più distali, è stata allestita una FAV omero-cefalica destra trattata prima della venipuntura con PTA. Il monitoraggio ecocolordoppler, con il calcolo della portata, è stato eseguito regolarmente dal nefrologo di reparto: la portata della FAV era pari a 1800 ml/min.

Dopo circa due anni di utilizzo si assisteva alla presenza di elevate pressioni venose durante il trattamento dialitico, sanguinamento prolungato a fine dialisi e scarsa efficienza dialitica. L’ecocolordoppler (ECD) metteva in evidenza 1) all’esame B-mode, una netta riduzione di calibro della vena cefalica a livello post-anastomotico e di outflow, e la presenza di una formazione trombotica nel lume al terzo medio; 2) all’ecocolordoppler, evidenza di turbolenza di flusso con aliasing (Figura 1); 3) all’analisi spettrale, elevate velocità sisto-diastoliche, sia livello post-anastomotico che dell’asse venoso prossimale, in corrispondenza del tratto precedente la confluenza della vena cefalica nella vena succlavia. Inoltre, era presente un netto calo della portata della FAV (400 ml/min) rispetto al controllo precedente di circa sei mesi prima.

Scansione longitudinale vena cefalica.
Figura 1: Scansione longitudinale vena cefalica. a) B-mode: presenza nel lume della vena cefalica di materiale ipoecogeno occupante buona parte del lume vasale; b) Ecocolordoppler: presenza di turbolenza di flusso con aliasing

Questi elementi hanno indirizzato la diagnosi verso una stenosi emodinamicamente significativa in sede post-anastomotica e dell’arco cefalico (Figura 2) con associata trombosi. È stato pertanto coinvolto il chirurgo vascolare, con il quale c’è una stretta collaborazione nella gestione degli AV complicati. Previa anestesia locale, dopo incisione cutanea al braccio destro, è stata isolata la vena cefalica che è apparsa di consistenza teso-elastica. Dopo venotomia transversale, è stata eseguita una disostruzione dell’asse venoso cefalico prossimale fino alla confluenza della succlavia destra, con catetere di Fogarty 4 Fr su guida 0.035, con estrazione di abbondante materiale trombotico (Figura 3). Al termine, buon flusso venoso refluo, clampaggio e sutura della venotomia con prolene 5/0 e, successivo declampaggio. È stata punta la FAV, posizionato un introduttore 7 FR ed è stata effettuata la fase angiografica che ha messo in evidenza stenosi severe, multiple, in successione al 1/3 medio della vena cefalica, a livello della confluenza dell’arco venoso della cefalica in succlavia destra e del tronco venoso brachiocefalico, in corrispondenza della confluenza in vena cava superiore. Su guida 0.035 è stata eseguita PTA con pallone 14 x 40 mm del tronco brachiocefalico, PTA stenting con impianto di uno stent in nitinol autoespandibile (Cordis Smart stent) 10 x 40 in AC (Figura 4) e PTA con pallone ad alta pressione 10 x 40 della cefalica al 1/3 medio del braccio.

 Aliasing: l’etereogeneità di colore indica alte velocità di flusso con estrema turbolenza
Figura 2: a) Aliasing: l’etereogeneità di colore indica alte velocità di flusso con estrema turbolenza dimostrata dall’alternarsi disordinato di rosso e blu nello stesso tratto del lume vasale; b) all’analisi spettrale elevate velocità di flusso sisto-diastoliche. L’aumento segmentale di velocità di picco sistolico > 400 cm/s associato a una riduzione della portata (<600 ml/minuto o una diminuzione >25% rispetto alle misurazioni precedenti) sono criteri validi per la stenosi significativa
È stata effettuata la disostruzione dell’asse venoso cefalico prossimale
Figura 3: È stata effettuata la disostruzione dell’asse venoso cefalico prossimale fino alla confluenza con la vena succlavia destra con estrazione di abbondante materiale trombotico; utilizzato catetere di Fogarty 4 Fr su guida 0.035
Figura 4: Ben visibile lo stent in Arco Cefalico
Figura 4: Ben visibile lo stent in Arco Cefalico

Al termine, il controllo ecocolordoppler intraoperatorio, effettuato dal nefrologo, e il controllo angiografico post-procedura hanno evidenziato un buon risultato, con pervietà della FAV, in assenza di stenosi residue. È stato rimosso il sistema introduttore, con successiva revisione dell’emostasi e sutura per piani della ferita chirurgica.

A distanza di più di un anno (14 mesi), il controllo ECD mostra una FAV ben funzionante, in assenza di velocità di flusso patologiche, senza stenosi, con buona pervietà dello stent (Figura 5) ed una portata pari a 1500 ml/min (Figura 6).

Figura 5: a) All’ecocolordoppler la vena cefalica appare di buon calibro, in assenza di formazioni trombotiche; b) All’immagine B-mode lo stent appare pervio. Si apprezzano ben evidenti le maglie dello stent
Figura 5: a) All’ecocolordoppler la vena cefalica appare di buon calibro, in assenza di formazioni trombotiche; b) All’immagine B-mode lo stent appare pervio. Si apprezzano ben evidenti le maglie dello stent
Figura 6: L’Ecocolordoppler di controllo dopo 14 mesi mostra una FAV ben funzionante, con buona portata (1800 ml/min), in assenza di velocità di flusso patologiche
Figura 6: L’Ecocolordoppler di controllo dopo 14 mesi mostra una FAV ben funzionante, con buona portata (1800 ml/min), in assenza di velocità di flusso patologiche

 

Revisione della letteratura

La vena cefalica

La fistola brachiocefalica è costituita dalla anastomosi fra l’arteria brachiale e la vena cefalica. Come consigliato dalle linee guida KDOQI, questo AV è da preferire nei casi in cui vi è una inadeguatezza dei vasi dell’avambraccio o dopo un fallimento di una FAV distale poiché presenta un miglior tasso di pervietà e tempi di maturazione più rapidi [8,9].

Anatomicamente la vena cefalica fa parte del sistema venoso superficiale dell’arto superiore; a livello del braccio risale lungo la superficie laterale del muscolo bicipite verso il muscolo grande pettorale, entra, poi, nel solco deltopettorale e, giunta sotto la clavicola, si approfonda e gira bruscamente descrivendo un angolo acuto, perfora, successivamente, la fascia clavico-pettorale e termina il suo tragitto confluendo nella vena ascellare.

In letteratura, diversi Autori hanno descritto delle varianti anatomiche [10] segnalando varianti sia nella morfologia (doppio arco o variante bifida e triplo arco) [11] che nella terminazione. Entrambe le varianti (morfologiche e di terminazione) sono soggette a stenosi con malfunzionamento dell’AV. La variazione segnalata più frequentemente è un singolo ramo che si unisce alla vena succlavia. È stato riportato che l’80% dell’AC è visibile nel triangolo deltopettorale più superficialmente ed il 20% è localizzato in profondità.

Anche la fascia deltopettorale può avere un aspetto variabile, a volte sottile, altre volte interrotta da segmenti di grasso simile al tessuto sottocutaneo e può impedire una adeguata dilatazione dell’AC tramite una compressione esterna [12].

La variante bifida è caratterizzata dalla biforcazione dell’arco e l’arco bifido bilateralmente defluisce nella vena ascellare; oppure, uno dei due rami può assumere un decorso sovraclavicolare e drenare nella vena giugulare esterna [11]. Lau e colleghi hanno descritto un caso clinico di un arco cefalico sopraclaveare, riscontrato durante il posizionamento di un pacemaker, che drenava nella vena succlavia [13].

Yeri e colleghi, riportando l’anatomia della vena cefalica in 50 dissezioni di spalla nei cadaveri, hanno segnalato che il grado di curvatura della vena cefalica prossimale era variabile ed inoltre, hanno descritto una vena cefalica con decorso infraclavicolare che si univa alla vena giugulare esterna [14]. Altri Autori hanno riportato un caso di un AC sopraclavicolare con un singolo ramo che drenava nella vena giugulare esterna, stenotica, in un paziente emodializzato portatore di un AV. Questa variante anatomica, peraltro, sembrava essere soggetta ad un tasso più elevato di restenosi con limitate opzioni terapeutiche; infatti, nel case report descritto dagli Autori, sono stati eseguiti tre tentativi di angioplastica nell’arco di sei mesi [15].

Bennett e collaboratori hanno descritto ulteriori varianti, più rare, con più ramificazioni (due e tre) e con vasi collaterali più complessi. La biforcazione e la triforcazione della vena cefalica sembrano essere meno soggette allo sviluppo di iperplasia intimale e, di conseguenza, a stenosi. Inoltre, per la presenza di percorsi di flusso alternativo, i rami aggiuntivi diminuiscono la velocità di flusso [11]. Infatti, Boghosian e collaboratori hanno affermato che tutti i pazienti con ramificazioni di flusso, sia biforcazione che triforcazione, hanno una FAV funzionante a 12 mesi; al contrario il 40% (6/15 pazienti) senza ramificazioni presentano una stenosi a 12 mesi [16].

L’arco cefalico

Anche la definizione di AC è varia. In letteratura radiologica, l’arco cefalico viene definito come la porzione centrale perpendicolare della vena cefalica quando attraversa il solco deltopettorale e termina nella vena ascellare [17]. Altri Autori [8] lo descrivono come l’arco finale della vena cefalica, cioè come l’ultimo tratto di vena cefalica prima della sua confluenza nella vena ascellare. Tutti gli Autori concordano nel considerare l’AC un’area tipicamente più vulnerabile allo sviluppo di stenosi emodinamicamente significative ricorrenti, nonché una frequente causa di fallimento della fistola brachiocefalica [18,19].

Una stenosi venosa, solitamente, si verifica come complicanza dell’impianto di cateteri venosi centrali per emodialisi o per terapie infusionali, lasciati a lungo in situ, o pacemaker o defibrillatori cardiaci automatici impiantabili, ma sono anche descritte stenosi venose centrali in assenza di una pregressa cateterizzazione [20,21].

La stenosi del’AC presenta alcune peculiarità che la rendono una entità particolarmente interessante sotto il profilo eziopatogenetico e terapeutico.

Per ragioni ancora in fase di studio, l’esatta eziologia della tendenza a sviluppare la stenosi dell’AC non è nota. Diversi fattori patogenetici sono chiamati in causa, come la naturale anatomia della vena cefalica, il flusso turbolento, la lesione intimale e l’ipertrofia valvolare, che contribuiscono a rendere l’AC particolarmente suscettibile alla stenosi [5,2226]. Tra le possibili cause vi è:

  • la presenza di un maggior numero di valvole nell’AC, soprattutto dopo l’orifizio di sbocco dalla vena cefalica nella vena ascellare. Questo, probabilmente, determina un flusso turbolento che altera lo sheer stress e causa il danno endoteliale, l’iperplasia dell’intima con conseguente stenosi;
  • la morfologia dell’AC e la curva anatomica della vena cefalica nel solco deltopettorale che determina una turbolenza di flusso che modifica, anche in questo caso, lo shear stress con conseguente aumento della proliferazione endoteliale, vasocostrizione ed aggregazione piastrinica;
  • la mancata capacità della vena di dilatarsi adeguatamente, in presenza di flussi elevati, a causa della compressione di strutture rigide (fascia clavipettorale, i muscoli pettorali e deltoidi). Quando la vena cefalica non è in grado di dilatarsi per gestire la portata, il flusso elevato diventa turbolento causando il danno endoteliale e l’iperplasia intimale;
  • la presenza, a volte, di un esiguo calibro del vaso.

È stato, anche, sottolineato che i pazienti con insufficienza renale presentano un ispessimento di parete ed una iperplasia dell’intima della vena cefalica già prima dell’allestimento dell’AV rispetto ai soggetti con funzione renale normale [27]. Un’altra peculiarità riguarda i pazienti diabetici portatori di FAV brachiocefalica: Hammes et al. hanno dimostrato che c’è una tendenza minore a sviluppare stenosi dell’arco cefalico rispetto ai soggetti non diabetici, verosimilmente perché presentano un arco cefalico morfologicamente diverso, con un maggiore raggio di curvatura, oltre che per le caratteristiche dei vasi nei soggetti diabetici [28,29].

Bennett e collaboratori, in uno studio prospettico nel 2015, hanno sottolineato che uno dei fattori che limita il riconoscimento della causa della stenosi dell’AC è la mancanza di una nomenclatura standardizzata per la localizzazione della stenosi e che ciò potrebbe condizionare la risposta al trattamento. Gli Autori hanno diviso l’AC in quattro segmenti, considerando la porzione terminale dell’AC (quarto segmento) come la sede più frequente di stenosi [11].

L’angioplastica percutanea transluminale

La PTA è la strategia di trattamento standard di tutte le stenosi; ma, nella maggior parte dei casi delle stenosi dell’AC, il risultato non è soddisfacente e i dati sono, spesso contrastanti. Infatti, il tasso di pervietà primaria con tale procedura, dopo un anno, è relativamente basso (<11%). Inoltre, anche il posizionamento di uno stent in metallo nudo non ha dato buoni risultati [7,30,31]. Al contrario alcuni Autori [32], sebbene considerino la PTA la strategia di trattamento di prima linea per la stenosi dell’AC, confrontando la PTA con il posizionamento di uno stent, hanno segnalato risultati più durevoli e soddisfacenti (percentuale del 100% a sei mesi e del 29% ad un anno in termini di pervietà primaria) ed un ridotto tasso di reintervento.

Il trattamento della stenosi dell’AC è stato riassunto nella Tabella 1.

Autore, anno Tipo di studio Numero pazienti Trattamento Complicanze procedura Follow up (mesi) Reinterventi/paziente/ anno Tempo di pervietà assistita della FAV
Rajan, 2003 (17) RO 26 PTA Rottura (6%) 12 1.6 75%
Shemesh, 2008 (31) PR 12 PTA + bare stent nessuna 12 1.9 90%
13 PTA + Graft stent nessuna 0.9 100%
Kian, 2008 (10) PO 13 PTA nessuna 12 3.5 8%
1.0 92%
13 TV
Miller, 2010 (42) RO 14 banding con riduzione del flusso nessuna 14.5 0.9 97%
Sigala, 2014 (33)  RO 25 TV Sanguinamento/trombosi (8%) 12 0.1  90%
Davies, 2017 (4) RO 219 PTA Rottura, steal, occlusione, stenosi venosa centrale, stenosi residua >24 3.5 59%
stent Rottura, stenosi residua, stenosi venosa centrale >24 3.1 63%
TV / bypass Stenosi venosa centrale >24 1.9/1.4 90/92%
Feng, 2020 (35) RO 21 Stent graft nessuna 12 100%
Mudoni CC 1 PTA-stent nessuna 14
Tabella 1: Trattamento della stenosi dell’arco cefalico: revisione della letteratura. RO: Retrospettivo osservazionale; PR: Prospettico randomizzato; TV: trasposizione; CC caso clinico

La stenosi dell’AC, oltre ad essere resistente alla PTA, può presentare, durante la procedura, una elevata percentuale di rottura indotta dalla dilatazione (fino al 15%), tanto da portare alla perdita dell’AV o al necessario posizionamento di uno stent [33,34].

Feng et al. [35], in uno studio retrospettivo, hanno riservato il posizionamento dello stent graft esclusivamente alla recidiva di lesione o alla rottura dell’AC dopo PTA, con una attenzione particolare alla misura dello stent graft poiché un sovradimensionamento favorirebbe l’iperplasia intimale. Viceversa, uno stent sottodimensionato determinerebbe un’ulteriore complicanza quale la migrazione dello stent, con possibilità di occlusione della vena succlavia e della vena ascellare [36]. Il problema della migrazione dello stent nell’arco cefalico è probabilmente sottostimato poiché, in genere, nelle fasi iniziali è asintomatico [37].

Va comunque segnalato che, gli stent possono precludere la chirurgia come opzione per trattare la stenosi. Infatti, dopo posizionamento di uno stent, l’AC presenta una ridotta compliance che, a volte, potrebbe determinare l’occlusione della vena ascellare e succlavia per alterazioni emodinamiche, e, di conseguenza, non solo potrebbe compromettere un successivo AV nel braccio omolaterale, ma causare un’occlusione venosa centrale.

Anche la mobilità relativa del segmento dell’arco cefalico e le forze di compressione esterne dalle fasce clavicolopettorali e deltopettorali possono contribuire alla migrazione dello stent. Patel e collaboratori hanno illustrato il caso di un uomo di 53 anni, portatore di uno stent migrato in vena succlavia, tanto da sviluppare una sindrome del braccio grosso dopo la creazione di una fistola brachio-basilica. Il paziente è stato trattato con successo, utilizzando un nuovo dispositivo (TruePath) che ha facilitato la ricanalizzazione della vena ascellare occlusa, perforando il tessuto che aveva imprigionato la vena ascellare. Gli Autori consigliano l’utilizzo di questo device, in particolare la dove le tecniche convenzionali comporterebbero un alto rischio di lesioni o potrebbero essere inutili [38].

L’opzione chirurgica è un’alternativa, più invasiva, da considerare in mani esperte poiché si tratta di un intervento chirurgico in cui il flusso della FAV va direzionato sull’asse ascellare, bypassando l’AC; a volte anche con l’interposizione di un tratto protesico [4,39].

Shenoy propone un algoritmo di trattamento, che inizia con l’angioplastica seguita dalla riparazione chirurgica, riservando il posizionamento di uno stent e la deviazione chirurgica del deflusso come opzioni future, al fine di prolungare ulteriormente la pervietà dell’AV. Inoltre, sottolinea che non ci sono dati di follow-up a supporto di risultati migliori con questo approccio [40].

Henry e colleghi hanno condotto una revisione retrospettiva della durata di circa sette anni, analizzando stenosi dell’arco refrattario; ventitré pazienti sono stati sottoposti a trasposizione della vena cefalica con FAV mature. A due anni, la pervietà primaria era del 70.9%. Quindi gli Autori hanno concluso che la trasposizione della vena cefalica è un trattamento sicuro ed efficace oltre che durevole, richiedendo re-interventi minimi [41].

Una opzione meno invasiva è quella di ridurre la portata della FAV tramite banding del segmento iuxtaanastomotico, con il risultato di una diminuzione delle restenosi. Miller e collaboratori hanno ottenuto buoni risultati (pervietà della lesione pari al 91%, 76% e 57% a 3, 6 e 12 mesi rispettivamente, e pervietà dell’accesso vascolare del 97% ad un anno), utilizzando una riduzione del flusso (media 42%) con un trattamento miniinvasivo quale un bendaggio che utilizza palloncini per angioplastica intraluminale per regolare con precisione le dimensioni della fascia (mediamente 4 mm con un intervallo da 3 a 5 mm) [42].

Kim e collaboratori hanno pubblicato recentemente i dati di uno studio retrospettivo, della durata di 9 anni, che mirava ad identificare i predittori clinici di recidiva della sindrome dell’arco cefalico. Hanno valutato, inoltre, l’effetto della riduzione del flusso dell’AV in termini di pervietà primaria post-intervento e numero di interventi della FAV nei pazienti con sindrome recidivante. Gli Autori hanno concluso che un elevato rapporto tra il diametro massimo della vena cefalica distale ed il diametro dell’arco cefalico (CV/CA) ed il coinvolgimento del segmento prossimale dell’AC sono predittori clinici indipendenti di stenosi recidivante. Inoltre, il bendaggio endovascolare potrebbe ritardare la recidiva nei pazienti con una elevata portata della FAV e con un elevato rapporto CV/CA [43].

 

Conclusioni

La complessità del quadro clinico e delle varie opzioni di trattamento rendono le stenosi dell’arco cefalico, ancora oggi, difficili da gestire.

A nostro avviso, non è possibile fare particolari raccomandazioni a causa di vari fattori: l’eterogeneità negli studi, la carenza di studi prospettici, la mancanza negli studi di una segnalazione appropriata circa il numero di interventi necessari, ed un numero insufficiente di pazienti trattati.

La corretta conoscenza anatomica è essenziale sia per la diagnosi che per il trattamento di questa condizione. L’utilizzo dell’ecocolordoppler è di notevole aiuto nella diagnostica delle stenosi. Infine, un approccio multidisciplinare, con la collaborazione di varie professionalità, è necessario per il trattamento e la sorveglianza di questa entità.

 

Bibliografia

  1. Nikam MD, Ritchie J, Jayanti A, Bernstein OA, Ebah L, Brenchley P. Acute arteriovenous access failure: long-term outcomes of endovascular salvage and assessment of co-variates affecting patency. Nephron 2015; 129:241-246.
  2. Turmel-Rodrigues L, Pengloan J, Baudin S. Treatment of stenosis and thrombosis in haemodialysis fistulas and grafts by interventional radiology. Nephrol Dial Transplant 2000; 15(12):2029-2036.
  3. Quencer KB, Arici M. Arteriovenous fistulas and their characteristic sites of stenosis. AJR 2015; 205:726-734.
  4. Davies MG, Hicks TD, Haidar GM, et al. Outcomes of intervention for cephalic arch stenosis in brachiocephalic arteriovenous fistulas. J Vasc Surg 2017; 66(5):1504-1510.
  5. Jaberi A, Schwartz D, Martecorena R, et al. Risk factors for the development of cephalic arch stenosis. J Vasc Access 2007; 8:287-95.
  6. Shenoy S. Cephalic Arch Stenosis – Surgery is the First step. J Vasc Access 2009; 10(4):254-255.
  7. Kim SM, Yoon KW, Woo SY, Kim YW, et al. Treatment Strategies for cephalic arch stenosis in patients with brachiocephalic arteriovenous fistula. Ann Vasc Surg 2019; 54:248-253.
  8. Lok CE, Huber TS, Lee T, Shenoy S, Yevzlin AS, Abreo K, et al. KDOQI Clinical Practice Guideline for Vascular Access: 2019 Update. Am J Kidney Dis 2020 Apr; 75(4 Suppl 2):S1-S164.
  9. Rodriguez J, Armandans L, Ferrer E, Olmos A, Cordina S, Bartolome J, et al. The function of permanent vascular access. Nephrol Dial Transplant 2000; 15:402-408.
  10. Kian K, Asif A. Cephalic arch stenosis. Semin Dial 2008; 21:78-82.
  11. Bennett S, Hammes MS, Blicharski T, Watson S, Funaki B. Characterization of the cephalic arch and location of stenosis. J Vasc Access 2015; 16:13-18.
  12. Russo A, Cubas S, Mansilla A, Mansilla S, Olivera E. Variants of the cephalic arch: report of 2 cases. Int J Anatomical Variations 2017; 10(3):64-65.
  13. Lau EW, Liew R, Harris S. An unusual case of the cephalic vein with a supraclavicular course. Pacing Clin Electrophysiol 2007; 30:719-720.
  14. Yeri LA, Houghton EJ, Palmieri B, Flores M, Gergely M, Gómez JE. Cephalic vein. Detail of its anatomy in the deltopectoral triangle. Int J Morphol 2009; 27(4):1037-1042.
  15. Jun ESW, Lun ALY, Nikam M. A rare anatomic variant of a single-conduit supraclavicular cephalic arch draining into the external jugular vein presenting with recurrent arteriovenous fistula stenosis in a hemodialysis patient. J Vasc Surg Cases Innov Tech 2017; 3(1):20-22.
  16. Boghosian M, Cassel K, Hammes M, Funakic B, et al. Hemodynamics in the Cephalic Arch of a Brachiocephalic Fistula. Med Eng Phys 2014; 36(7): 822-830.
  17. Rajan DK, Clark TW, Patel NK, Stavropoulos SW, Simons ME. Prevalence and treatment of cephalic arch stenosis in dysfunctional autogenous hemodialysis fistulas. J Vasc Interv Radiol 2003; 14(5):567-573.
  18. Sivananthan G, Menashe L, Halin NJ. Cephalic arch stenosis in dialysis patients: review of clinical relevance, anatomy, current theories on etiology and management. J Vasc Access 2014; 15:157-162.
  19. Sarala S, Sangeetha B, Mahapatra VS, Nagaraju RD, et al. Cephalic Arch Stenosis: Location of Stenosis in Indian Hemodialysis Patients. Indian J Nephrol 2018; 28(4):273-277.
  20. Oguzkurt L, Tercan F, Yildirim S, Torun D. Central venous stenosis in hemodialysis patients without a previous history of catheter placement. Eur J Radiol 2005; 55:237-242.
  21. Morosetti M, Meloni C, Gandini R, Galderisi C, Pampana E, et al. Late symptomatic venous stenosis in three hemodialysis patients without previous central venous catheters. Artif Organs 2000; 24(12):929-931.
  22. Iimura A, Nakamura Y, Itoh M. Anatomical study of distribution of valves of the cutaneous veins of adult’s limbs. Ann Anat 2003; 185(1):91-95.
  23. Hammes M, Cassel K, Boghosian M, Watson S, Funaki B, Coe F. A cohort study showing correspondence of low wall shear stress and cephalic arch stenosis in brachiocephalic arteriovenous fistula access. J Vasc Acc 2020; 22(3):380-387.
  24. Forneris G, Savio D, Trogolo M, Cecere P. L’arco cefalico: non tutte le stenosi delle fistole sono uguali. Tecniche Nefrol Dial 2011; 23(2):1-5.
  25. Daoui R, Asif A. Cephalic arch stenosis: mechanisms and management strategies. Semin Nephrol 2012; 32(6):538-544.
  26. Remuzzi A, Ene-Iordache B. Novel paradigms for dialysis vascular access: upstream hemodynamics and vascular remodeling in dialysis access stenosis. Clin J Am Soc Nephrol 2013; 8(12):2186-2193.
  27. Wali MA, Eid RA, Dewan M, Al-Homrany MA. Intimal changes in the cephalic vein of renal failure patients before arterio-venous fistula (AVF) construction. J Smooth Muscle Res 2003; 39(4):95-105.
  28. Hammes M, Funaki B, Coe FL. Cephalic arch stenosis in patients with fistula access for hemodialysis: relationship to diabetes and thrombosis. Hemodial Int 2008; 12(1):85-89.
  29. Hammes MS, Boghosian ME, Cassel KW, Funaki B, Coe FL. Characteristic differences in cephalic arch geometry for diabetic and non-diabetic ESRD patients. Nephrol Dial Transplant 2009; 24(7):2190-2194.
  30. Miller GA, Preddie DC, Savransky Y, et al. Use of the Viabahn stent graft for the treatment of recurrent cephalic arch stenosis in hemodialysis accesses. J Vasc Surg 2018; 67:522-528.
  31. Shemesh D, Goldin I, Zaghal I, Berlowitz D, Raveh D, Olsha O. Angioplasty with stent graft versus bare stent for recurrent cephalic arch stenosis in autogenous arteriovenous access for hemodialysis: a prospective randomized clinical trial. J Vasc Surg 2008; 48(6):1524-1531.
  32. D’Cruz RT, Leong SW, Syn N, et al. Endovascular treatment of cephalic arch stenosis in brachiocephalic arteriovenous fistulas: a systematic review and meta-analysis. J Vasc Access 2019; 20:345-355.
  33. Rajan DK, Falk A. A randomized prospective study comparing outcomes of angioplasty versus Viabhan stent-graft placement for cephalic arch stenosis in dysfunctional hemodialysis accesses. J Vasc Interv Radiol 2015; 26:1355-1361.
  34. Sigala F, Sassen R, Kontis E, Kiefhaber LD, Forster R, Mickley V. Surgical treatment of cephalic arch stenosis by central transposition of the cephalic vein. J Vasc Access 2014; 15:272-277.
  35. Feng PC, Lee CH, Hsieh HC, Ko OJ, Yu SY, Li YS. Promising results of stent graft placement for cephalic arch stenosis after repeated failure of angioplasty in patients on hemodialysis J Int Med Res 2020; 48(6).
  36. Huang EP, Li MF, Hsiao CC, Chen HY, Wu PA, Liang HL. Undersized stent graft for treatment of cephalic arch stenosis in arteriovenous hemodialysis access. Sci Rep 2020;10(1):12501.
  37. Sequeira A. Stent migration and bail-out strategies. J Vasc Access 2016; 17(5):380-385.
  38. Patel A, Chan SXJM, Zhuang KD. Recanalisation of an axillary vein occlusion jailed by a migrated cephalic arch stent-graft using the TruePath chronic total occlusion drilling device. CVIR Endovasc 2020; 3(1):7. 
  39. Ankit B, Shenoy S. Assessment and intervention for AV fistula maturation. In: Wilson SE (ed). Vascular Access: Principles and Practice. 5th ed. Philadelphia: Lippincott Williams & Wilkins, 2009; pp 234-242.
  40. Shenoy S. Cephalic Arch Stenosis – Surgery is the First Step. Abstracts of the 6th Annual Controversies in Dialysis Access. November 12-13, 2009. San Francisco, California, USA. J Vasc Access 2009 Oct-Dec; 10(4):237-291.
  41. Henry JC, Sachdev U, Hager E, Dillavou E, Yuo T, Makaroun M, Leers SA. Cephalic vein transposition is a durable approach to managing cephalic arch stenosis. J Vasc Access 2017 Nov 25:0. 
  42. Miller GA, Friedman A, Khariton A, Preddie DC, Savransky Y. Access flow reduction and recurrent symptomatic cephalic arch stenosis in brachiocephalic hemodialysis arteriovenous fistulas. J Vasc Access 2010; 11(4):281-287.
  43. Kim Y, Kim HD, Chung BH, Park CW, Yang CW, Kim YS. Clinical predictors of recurrent cephalic arch stenosis and impact of the access flow reduction on the patency rate. J Vasc Access 2021 Apr 10:1129729

La nuova frontiera nel trattamento endovascolare della stenosi della fistola artero-venosa: ruolo dell’angioplastica percutanea transluminale eco-guidata

Abstract

La fistola artero-venosa allestita con vasi nativi è considerata l’accesso vascolare di prima scelta in quanto porta con sé un prolungamento della sopravvivenza, un minor tasso di infezioni e una riduzione dei costi legati all’ospedalizzazione, rispetto alle fistole protesiche ed ai cateteri venosi centrali. La stenosi rappresenta una delle più frequenti complicanze, sia precoci che tardive, della fistola artero-venosa per emodialisi. La presenza concomitante di molteplici fattori causativi (turbolenze di flusso, venipuntura, trauma chirurgico, stato uremico) provoca un danno a carico dell’endotelio e delle cellule muscolari lisce della parete vasale. La risposta infiammatoria a tali insulti conduce all’iperplasia neo-intimale, la quale costituisce il substrato isto-patologico della stenosi. L’angioplastica percutanea transluminale rappresenta il gold standard per il trattamento delle stenosi emodinamicamente significative delle fistole artero-venose per emodialisi. Rispetto alla chirurgia, essa consente la visualizzazione dell’intero circuito vascolare e permette l’utilizzo immediato dell’accesso vascolare per le sedute emodialitiche successive. L’angioplastica percutanea transluminale eco-guidata rappresenta un’alternativa valida e sicura alla metodica fluoroscopica convenzionale, poiché garantisce pari efficacia nel ristabilire la pervietà dell’accesso vascolare, ma con il vantaggio di non utilizzare radiazioni ionizzanti né mezzo di contrasto. Obiettivo di questa review è quello di esaminare gli ultimi dati sui meccanismi cellulari e molecolari che concorrono allo sviluppo dell’iperplasia neo-intimale, le prospettive terapeutiche attuali e future (con particolare riguardo all’utilizzo dei farmaci anti-proliferativi) e l’efficacia dell’angioplastica percutanea eco-guidata nel ristabilire e mantenere nel tempo la pervietà della FAV.

Parole Chiave: Angioplastica percutanea, ecografia B-mode, fistola artero-venosa, emodialisi, stenosi

Introduzione

La prevalenza della malattia renale cronica terminale aumenta di anno in anno. Nel 2010, il numero dei pazienti sottoposti a terapia emodialitica in tutto il mondo era pari a 2,618 milioni e, secondo alcune recenti stime, è destinato a crescere fino a 5,439 milioni entro il 2030 [1]. A livello nazionale, i dati estrapolati dal Report 2015 del Registro Italiano di Dialisi e Trapianto evidenziano un’incidenza e una prevalenza di 154 pazienti/pmp e di 770/pmp rispettivamente [2]. Indipendentemente dalla metodica utilizzata, il buon funzionamento dell’accesso vascolare (AV) rappresenta un requisito irrinunciabile per una ottimale adeguatezza dialitica. 

La visualizzazione dell’intero documento è riservata a Soci attivi, devi essere registrato e aver eseguito la Login con utente e password.