Farmaci ad azione antivirale diretta, epatite C e dialisi: un aggiornamento

Abstract

L’infezione da HCV rimane frequente nei pazienti con malattia renale cronica, in particolare nei Centri Dialisi di tutto il mondo. La piena estensione della trasmissione di HCV nei pazienti in emodialisi rimane sconosciuta ma numerosi focolai epidemici sono stati riportati in tutto il mondo. L’evidenza accumulata nell’ultima decade suggerisce la presenza di manifestazioni epatiche ed extra-epatiche di HCV. Una recente revisione sistematica della letteratura ha identificato 15 studi clinici longitudinali (n=2,299,134 pazienti); abbiamo osservato associazione tra positività sierologica per HCV ed aumentata frequenza di CKD, la stima aggregata del rischio aggiustato di CKD nei pazienti infetti rispetto a quelli senza infezione era 1.54 (95% CI, 1.26; 1.87) (P<0.001). L’avvento dei farmaci ad azione antivirale diretta (direct-acting antiviral agents, DAAs) ha rivoluzionato la cura di HCV, compresa la popolazione con malattia renale cronica avanzata. Due combinazioni antivirali a base di DAAs sono state di recente approvate per questi pazienti: elbasvir/grazoprevir e glecaprevir/pibrentasvir; tali regimi terapeutici sono dotati di elevata efficacia e sicurezza, in accordo a quanto concluso negli studi clinici C-SURFER e EXPEDITION-4, rispettivamente. Il sofosbuvir (SOF), un inibitore nucleotidico della HCV NS5 polimerasi, è un importante componente di molti regimi terapeutici anti-HCV ed ha significativa escrezione renale; pertanto, non è consigliato nei pazienti con eGFR<30 mL/min/1.73m2. In conclusione, studi recenti hanno evidenziato come esistano numerose combinazioni di DAAs per la cura di HCV nei pazienti con CKD, inclusi quelli con CKD grado 4-5. Tali farmaci hanno mostrato elevata efficacia e soddisfacente tollerabilità, indipendentemente da genotipo e grado di insufficienza renale. Si tratta ora di favorire lo screening e l’accesso alla terapia antivirale HCV in questa popolazione di pazienti.

Parole chiave: Agenti ad azione antivirale diretta; Dialisi; Epatite C; Malattia renale cronica; Risposta virologica protratta

Introduzione

L’infezione cronica da virus dell’epatite C (HCV) è un problema sanitario globale: si calcola che circa 71 milioni di persone siano infette in tutto il pianeta [1]. HCV è tuttora frequente nei pazienti nefropatici, inclusi in pazienti con malattia renale cronica in fase pre-dialitica (Tabella 1) e dialitica [ 211]. Esiste ormai una solida evidenza scientifica riguardo il ruolo deleterio svolto dall’infezione da virus HCV sulla sopravvivenza dei pazienti infetti; HCV sembra produrre danno epatico ed extraepatico. Il danno epatico è legato all’epatite cronica con le sue manifestazioni quali cirrosi epatica, carcinoma epatocellulare e scompenso. Nell’ultima decade si sono rese evidenti le manifestazioni extraepatiche di HCV: il virus favorisce, tra l’altro, l’insorgenza di diabete mellito, aumenta la mortalità cardiovascolare, e promuove lo sviluppo della malattia renale cronica [12]. HCV è considerato la causa più frequente di malattia epatica nei pazienti con malattia renale cronica. A loro volta, le epatopatie sono importante causa di aumentata mortalità e morbilità nei pazienti con CKD, specialmente nei dializzati e nei portatori di trapianto renale [12].

 

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I nuovi farmaci antivirali per la terapia di HCV post-trapianto renale

Abstract

La frequenza dell’infezione da virus dell’epatite C rimane elevata nei pazienti portatori di trapianto renale funzionante e riduce la sopravvivenza del paziente e dell’organo trapiantato in questa popolazione. In accordo alle ultime evidenze, il rischio relativo aggiustato di mortalità e di perdita di funzione del rene trapiantato nei pazienti con anticorpi anti-HCV rispetto ai pazienti anti-HCV negativi è stato pari a 1.85 con intervalli di confidenza al 95% (CI) di 1.49; 2.31 (P < 0.0001) e 1.76 (95% CI, 1.46; 2.11) (P < 0.0001), rispettivamente. Gli schemi di terapia antivirale a base di interferone sono stati raccomandati per la cura dell’epatite C dopo trapianto di rene solo in casi selezionati (epatite colestatica fibrosante e vasculite aggressiva) perché interferone dopo trapianto di rene determina di frequente crisi di rigetto del rene trapiantato in virtù della sua attività immunomodulante. Esistono informazioni limitate riguardo alla terapia dell’epatite C mediante i farmaci ad azione antivirale diretta che sono stati introdotti di recente in commercio. Lo studio più importante è quello multicentrico Europeo, uno studio randomizzato che ha confrontato la combinazione Ledipasvir/Sofosbuvir per 12 o 24 settimane in un’ampia coorte (n=114) di pazienti con trapianto di rene e filtrato glomerulare almeno di 40 mL/min/1.73m2. Gli autori hanno osservato alta efficacia [frequenza di SVR, 100% (114/114)] con tre eventi avversi importanti attribuiti ai farmaci antivirali; un paziente non ha completato la terapia. Sono stati pubblicati alcuni studi osservazionali, a singolo braccio, che hanno documentato un’elevata efficacia e sicurezza di combinazioni farmacologiche basate sul sofosbuvir. In molti pazienti è stato osservata una riduzione dei livelli ematici dei farmaci anti-calcineurinici al completamento della terapia antivirale; è stata suggerita una migliorata attività metabolica epatica dopo eliminazione di HCV. Una terapia antivirale efficace e sicura per la cura di HCV dopo trapianto di rene potrebbe favorire la strategia del trapianto da donatore di rene HCV positivo, pratica che non è al momento utilizzata di frequente nei Centri Trapianto del mondo industrializzato.

Parole Chiave: Agenti ad azione antivirale diretta; Epatite C; Trapianto di rene; Risposta virologica protratta

 

Introduzione

L’infezione da virus dell’epatite C (HCV, hepatitis C virus) è una delle cause più importanti di malattia epatica; si calcola che circa il 3% della popolazione mondiale sia colpito da infezione cronica da HCV (185 milioni di persone nel mondo). L’infezione da HCV è attualmente la condizione più comune che porta al trapianto di fegato [1].

L’infezione acuta da HCV è frequentemente asintomatica ed è difficile da diagnosticare; essa può andare incontro a remissione spontanea, oppure progredire in una forma cronica di infezione (nel 50-90% dei casi). Tra i pazienti infettati da HCV che sviluppano un’infezione cronica, il 5-20% sviluppa cirrosi e l’1-5% muore di cirrosi o carcinoma epatocellulare.

L’obiettivo primario del trattamento dell’HCV è prevenire lo sviluppo della cirrosi e del carcinoma epatocellulare. Per molti anni, la combinazione di interferone pegilato (Peg-IFN) e ribavirina (RBV) è stata la terapia di scelta (terapia convenzionale) per i pazienti con infezione da HCV. Interferone e ribavirina sono entrambi farmaci con proprietà immunomodulante; interferone è stato raccomandato per la cura di HCV dopo il trapianto di rene solo in casi selezionati (epatite fibrosante colestatica e vasculite aggressiva) [2]. Infatti, l’uso di interferone dopo RT è frequentemente complicato da crisi di rigetto che sono spesso insensibili alla terapia steroidea e causano perdita completa di funzione dell’organo trapiantato. Inoltre, l’efficacia di IFN post-RT è limitata [2].
 

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