L’esercizio fisico nella malattia renale cronica: una vecchia storia da raccontare o un efficace intervento da attuare?

Abstract

La malattia renale cronica (MRC) è una patologia in costante incremento, con un crescente numero di pazienti esposti ad insufficienza renale terminale, elevato rischio cardio-vascolare, disabilità e mortalità. Il riconoscimento precoce della MRC e il miglioramento dello stile di vita sono elementi decisivi per il mantenimento e il recupero della funzione fisica e della qualità della vita. È noto infatti che la riduzione della sedentarietà, l’incremento dell’attività fisica e l’avvio di programmi di esercizio contrastino il rischio cardiovascolare e la fragilità, limitando il decondizionamento e la sarcopenia e migliorando la mobilità in assenza di rischi. Tali interventi, spesso richiesti dalle persone con MRC, risultano però scarsamente disponibili. Infatti è necessario identificare o formare specialisti dell’esercizio nella MRC e sensibilizzare medici e personale sanitario specialistico a stimolare i pazienti verso uno stile di vita attivo. Tuttavia, restano ancora da definire le modalità di intervento efficaci, sostenibili e in grado di superare le barriere all’esercizio dei pazienti.

Società scientifiche, team di ricercatori internazionali e amministratori devono evitare che l’esercizio fisico in ambito nefrologico continui a rappresentare una vecchia storia da raccontare, un interesse di nicchia privo di traslazione nella pratica clinica con mancato beneficio per la salute fisica e mentale delle persone con MRC.

Parole chiave: malattia renale cronica, attività fisica, esercizio fisico, qualità della vita, sarcopenia, disabilità, funzione fisica, barriere.

Introduzione

La malattia renale cronica (MRC) è una delle principali patologie endemiche non trasmissibili in continua crescita [1]: circa il 10% della popolazione mondiale ne risulta affetto, ed è associata ad un elevato rischio di morbilità e mortalità [2]. Attualmente la MRC determina circa 1,2 milioni di decessi all’anno [3,4] e si stima che entro il 2040 diventi la quinta causa più frequente di morte al livello globale [4]. Le più frequenti cause identificate di MRC sono l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito, le glomerulonefriti e le malattie cistiche [5], anche se alcune malattie genetiche rare, tra cui la malattia di Anderson-Fabry, si stanno riscontrando con una maggiore frequenza rispetto a quella attesa [6].
La prevalenza delle differenti eziologie varia tra le aree geografiche del globo ed in una percentuale ancora troppo elevata, pari al 20% dei casi, l’origine del danno renale cronico risulta sconosciuto [7]. I pazienti affetti da MRC spesso rimangono asintomatici fino a valori ridotti di filtrato glomerulare, quindi solo tardivamente si manifestano i segni e sintomi del danno renale, quali anemia, sovraccarico di volume, anomalie elettrolitiche e disturbi del metabolismo osseo. Tuttavia, una volta instauratosi il danno renale, la velocità di progressione dello stesso dipende non solo dall’eziologia ma anche dalla durata di esposizione al fattore causale ed alla tempestività del trattamento [8].

Alla luce di queste conoscenze risulta chiaro ormai che la precoce identificazione di persone affette da MRC è di primaria importanza per ridurre l’esponenziale incidenza di questa patologia e le sue complicanze spesso mortali. Da circa 15 anni un programma di informazione e screening in ambito nefrologico su scala globale, la Giornata Mondiale del Rene, è organizzato ogni anno in numerosi paesi, tra cui l’Italia [9]. La Società Italiana di Nefrologia e la Fondazione Italiana del Rene promuovono questo evento mediante numerosi progetti svolti nelle piazze e nelle scuole superiori italiane. Le persone sottoposte a screening compilano un questionario per la raccolta dei dati anamnestici e per la valutazione della conoscenza di alcuni termini utilizzati in ambito nefrologico, tra i quali proteinuria. Inoltre, è eseguito un esame standard urine mediante dipstick e una misurazione della pressione arteriosa [10,11]. Dai dati italiani pubblicati si evidenzia l’efficacia di questo strumento, dato che i valori di pressione arteriosa e l’esame delle urine sono risultati alterati rispettivamente nel 23% e nel 5% della popolazione adulta “sana” sottoposta a screening [12]. Negli studenti degli ultimi anni di scuola superiore, la proteinuria era addirittura riscontrata in circa il 15% del campione totale ed elevati valori di pressione arteriosa sistolica e/o diastolica nel 11% dello stesso [13]. Tuttavia, il rapporto costo/beneficio per uno screening sistematico di tutta la popolazione risulta ancora controverso, mentre è fortemente raccomandato un regolare controllo di albuminuria e filtrato glomerulare in popolazioni ad alto rischio (es. obesi, diabetici, ipertesi) [14].

Un ulteriore elemento fondamentale per ridurre il rischio di sviluppo e di rapida progressione del danno renale verso gli stadi avanzati che richiedono un trattamento sostitutivo, è l’adozione di uno stile di vita sano costituito da una ridotta assunzione di alcool, dall’abolizione del fumo, da una alimentazione con elementi ricchi di potassio e a basso contenuto di sodio, dallo svolgimento di un’adeguata attività fisica, dallo stretto controllo del peso corporeo, della pressione arteriosa e della glicemia [1518].

Sebbene siano state proposte numerose strategie per favorire uno stile di vita sano, ad oggi non esistono trials randomizzati controllati (RCT) che valutino l’impatto di questo stile di vita sulla prevenzione primaria e secondaria della malattia renale cronica. Infatti, per condurre un valido RCT si dovrebbero affrontate notevoli problematiche spesso di difficile soluzione, quali la durata elevata dello studio, la consistenza ampia del campione, l’influenza dei fattori confondenti e l’idoneo disegno di studio [19]. Dati i limiti nel produrre livelli superiori di evidenza, le consistenti associazioni tra MRC e fattori di rischio dimostrate negli studi osservazionali possono essere considerate una base scientifica solida su cui impostare programmi di sanità pubblica per prevenire l’ulteriore dilagare della MRC [20]. Di conseguenza, l’obiettivo da raggiungere per la MRC in prevenzione primaria consiste nel controllo dei principali fattori di rischio: fumo, alcool, ipertensione arteriosa, iperglicemia, obesità e ridotta attività fisica; in prevenzione secondaria e terziaria, l’obiettivo prefissato risulta il rallentamento della progressione del danno renale che dipende non solo dall’eziologia e dallo stadio della malattia, ma anche dall’apporto di adeguati approcci dietetici, farmacologici e sullo stile di vita [21].

 

Esercizio fisico e malattia renale cronica

L’attività fisica e più ancora l’esercizio fisico sono elementi potenzialmente efficaci nel ridurre il rischio di sviluppare patologie cardiache e vascolari periferiche con outcomes sfavorevoli [2,22,23].

Per questo motivo, negli anni, si sono succeduti indicazioni e inviti ad utilizzare l’esercizio fisico nella gestione del paziente con MRC [2427]. L’interesse scientifico sul tema è progressivamente incrementato, con un numero di pubblicazioni più che triplicato negli ultimi 10 anni (Figura 1), ma l’impiego dell’esercizio nella MRC rimane limitato a fronte di certezze ma anche di dubbi e criticità tuttora presenti (Tabella I).

Figura 1: Numero di pubblicazioni indicizzate su Pubmed inerenti esercizio/attività fisica e malattia renale cronica negli ultimi 20 anni
Figura 1: Numero di pubblicazioni indicizzate su Pubmed inerenti esercizio/attività fisica e malattia renale cronica negli ultimi 20 anni
Certezze Dubbi Criticità
↑ Qualità della vita

↑ Mobilità e capacità funzionale

↑ Mood / outcome psicosociali

Assenza di effetti collaterali

Interesse prioritario da parte dei pazienti

Interesse scientifico “di nicchia”

Modalità e gestione degli interventi (intensità, sede, operatori)

Identificazione di programmi ideali

Benefici sulla funzionalità renale

Benefici sull’efficienza dialitica

Empowerment del paziente in preparazione alla dialisi e/o al trapianto renale

Necessità di trials clinici con adeguato numero di pazienti

Evidenze scientifiche ancora frammentarie specifiche per singoli outcomes

Barriere alla partecipazione da parte di pazienti

Condivisione da parte degli operatori sanitari

Lenta traslazione operativa delle evidenze scientifiche

Tabella I: Stato dell’arte sul tema dell’esercizio fisico nella malattia renale cronica

Una certezza è che lo stile di vita attivo e l’esercizio fisico possono impattare contemporaneamente su rischio cardio-vascolare, disabilità e qualità della vita nella MRC [2830]. A questi aspetti è infatti strettamente connessa sia in termini di causa che di effetto la sedentarietà del paziente, testimoniata da valori di attività fisica oggettiva o autoriportata inferiore a quella della popolazione anziana [3134]. A ridotta attività fisica si associano bassi livelli di funzione fisica e di fitness cardiorespiratorio ed outcomes sfavorevoli in tutte le popolazioni affette da MRC, e in particolare negli stadi finali della patologia [30]. All’inattività fisica può inoltre seguire un progressivo decondizionamento, caratterizzato da ridotta efficienza vascolare e cardiovascolare, mancato controllo dei fattori di rischio e riduzione della massa muscolare. Si acuiscono inoltre il senso di fatica e il rischio di depressione, lo stato di fragilità e il rischio di disabilità [3537]. In questo quadro l’esercizio, senza alcun effetto miracolistico ma in assenza di effetti collaterali [38], può contribuire a disinnescare il circolo vizioso perverso [35], invertendo gli effetti dell’inattività e determinando adattamenti fisiologici positivi riguardo capacità funzionale e qualità della vita [28,32,36,3941]. Inoltre, anche se non vi è evidenza che l’esercizio possa ridurre il rate di mortalità del paziente, è vero che studi osservazionali che includevano pazienti con MRC hanno riportato una maggiore sopravvivenza, così come un minor numero di ospedalizzazioni, in funzione di livelli maggiori di attività fisica [30,42,43]. Tra le certezze va poi considerato l’elemento più importante, ovvero l’interesse manifestato dalle persone con MRC che, tra le proprie priorità, indicano il bisogno di attività riabilitative mirate a recuperare la funzione fisica per favorire attività quotidiane lavorative, viaggi e attività sociali [44,45].

La mancanza di alcune evidenze alimenta però dubbi o incertezze che rallentano il pieno sfruttamento delle potenzialità, anche ecologiche, derivanti dall’utilizzo costante dell’esercizio nella MRC [34]. Se l’interesse scientifico sui temi legati all’esercizio è cresciuto, l’attività scientifica appare in parte frammentaria, relativamente carente di trials randomizzati controllati, con limiti metodologici [30,44]. Rimane infatti da definire il possibile effetto dell’esercizio fisico sulla progressione della MRC nei pazienti critici [46], con possibile rallentamento dell’ingresso in dialisi o sull’efficienza del trattamento dialitico [34,4749]. È inoltre da studiare se l’esercizio possa avere un ruolo chiave nell’empowerment della persona che si avvicina al trattamento dialitico ma anche in lista di attesa per un trapianto renale [50], considerando gli outcome sfavorevoli che si registrano nei primi mesi di terapia sostitutiva della funzionalità renale [51]. Tra i programmi di esercizio proposti, in supervisione in struttura o senza supervisione a domicilio, svolti al cicloergometro, o camminando, o contro-resistenza [2830,5254], restano da identificare quelli associati ad un maggior impatto sui diversi outcomes, pur in presenza di una generale risposta efficace in ogni forma [55].

La fattibilità dei diversi programmi su larga scala, il loro gradimento da parte dei pazienti e la possibilità che la scelta tra diversi programmi di rieducazione disponibili possa portare a una maggiore adesione all’esercizio da parte dei pazienti [56] devono essere verificati. Un ulteriore aspetto da definire è la dose ottimale da somministrare, in termini di frequenza, volume e intensità di esercizio. Se una frequenza superiore a un solo stimolo settimanale si è associata a una mortalità ridotta [57], miglioramenti aerobici sono riportati con maggiore efficacia a seguito di esercizio ad alta intensità [28], ma anche dopo esercizio a bassa intensità [53,58]. Anche a fronte di prescrizioni inferiori alla dose raccomandata dalle linee guida [44], programmi sostenibili modificati secondo le necessità individuali possono essere una chiave per introdurre in sicurezza e continuità all’esercizio pazienti fragili limitati dalla fatica.

 

Conclusioni

Gli aspetti precedentemente riportati, unitamente alla formazione di specialisti dell’esercizio fisico nelle malattie renali, potrebbero portare a un superamento delle note barriere all’esercizio [5962]. Le resistenze nel personale sanitario devono invece essere superate attraverso la diffusione delle conoscenze relative ai benefici derivanti dall’esercizio e la chiara definizione dei compiti, come avviene per altre malattie croniche.

Poco però è cambiato in questi anni, nonostante gli appelli dei ricercatori e le indicazioni allo svolgimento dell’esercizio fisico presenti nelle linee guida [30,63]. Programmi per i dializzati, e ancor meno per i malati renali non dializzati, sono disponibili in pochi centri nazionali e internazionali [44]; bassa è l’attività di counseling all’esercizio del nefrologo e del personale sanitario, in genere troppo impegnato in attività specialistiche [64,65]. Infine, le recenti linee di indirizzo sull’attività fisica, che includono le raccomandazioni per specifiche patologie croniche, non menzionano la MRC [66].

L’impegno delle società scientifiche internazionali e nazionali e dei relativi gruppi dedicati all’esercizio fisico, l’azione di gruppi internazionali di ricercatori [44,61], le pressioni dei pazienti e la diversa sensibilità verso temi ecologici [34,45] possono spingere amministratori, sponsor e personale sanitario a sostenere la transizione dei pazienti con MRC verso uno stile di vita attivo. È necessario evitare che l’esercizio in ambito nefrologico continui a rappresentare un interesse di nicchia, senza traslazione nella pratica quotidiana, come spesso avviene [67]. È necessario fare sì che anni di studio sull’argomento non rimangano una vecchia storia da raccontare, ma diventino una fonte efficace per promuovere ed attuare concreti interventi nella pratica clinica quotidiana.

 

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Impatto clinico e sociale del telemonitoraggio in dialisi domiciliare

Abstract

Introduzione. Le cure domiciliari permettono di migliorare la gestione e la qualità della vita del paziente cronico. Si sono, quindi, valutati i vantaggi clinici e sociali apportati dal sistema di telemonitoraggio con il programma Doctor Plus® Nephro rispetto allo standard of care. Metodi. L’analisi ha considerato i pazienti in dialisi domiciliare (peritoneale ed extracorporea) inclusi nel servizio di telemonitoraggio del Centro di Nefrologia della ASL Roma 3 tra luglio 2017 ed aprile 2019. Ogni paziente è stato osservato per un periodo compreso tra 4 a 22 mesi, in cui si sono registrate pressione sistolica e diastolica, frequenza cardiaca, peso e ossimetria. Ad ogni paziente è stato anche somministrato il questionario SF-12 e valutato il livello di gradimento del servizio Doctor Plus® Nephro. Risultati. Si sono considerati nell’analisi i 16 pazienti (56,3% maschi, 62 anni in media) che hanno avuto una permanenza di almeno 4 mesi nel programma. Tra di essi, la pressione sistolica si è ridotta nel 69% dei pazienti, quella diastolica nel 62,5%. Il valore medio delle pulsazioni è sceso da 69,4 bpm a 68,8 bpm (p<0,0046). Il questionario SF-12 ha mostrato un miglioramento dello stato di salute percepito in tutti i pazienti. Gli accessi al Pronto Soccorso durante il programma sono diminuiti rispetto al periodo di standard care. Conclusioni. Doctor Plus® Nephro si è dimostrato uno strumento utile per migliorare la gestione clinica dei pazienti, con conseguente diminuzione degli accessi al Pronto Soccorso. I pazienti hanno rilevato un costante e crescente senso di “cura”, che nel tempo li ha aiutati ad accettare maggiormente il loro trattamento domiciliare.

Parole chiave: telemonitoraggio, dialisi, dialisi domiciliare, pressione arteriosa, qualità della vita

Introduzione

Puntare sulle cure domiciliari per migliorare la gestione e la qualità della vita del paziente cronico e della sua famiglia è l’indicazione contenuta nell’ultimo Piano Nazionale della Cronicità (PNC) approvato dal Ministero della Salute Italiano, che dedica una particolare attenzione alla malattia renale cronica e all’insufficienza renale. Nel capitolo del PNC dedicato alle malattie croniche e all’insufficienza renale uno degli obiettivi generali è favorire l’assistenza domiciliare del paziente; una delle linee di intervento proposte a supporto è sperimentare modelli di dialisi domiciliare (dialisi peritoneale e emodialisi domiciliare), utilizzando strumenti di tele-dialisi assistita [1].

La dialisi domiciliare offre numerosi vantaggi se comparata con la dialisi effettuata in ospedale. Gli studi dimostrano diversi benefici per i pazienti in dialisi domiciliare in termini di sopravvivenza, qualità di vita, costi di spostamento, autonomia e benefici clinici, quali aumento del controllo dei valori pressori e del fosforo [28]. Inoltre, nella maggior parte dei paesi, il costo della dialisi domiciliare è inferiore al costo della dialisi effettuata in ospedale [911].

 

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Emodialisi Extracorporea Domiciliare: esperienza e risultati preliminari del primo centro in Campania

Abstract

L’emodialisi domiciliare (HHD) è un’alternativa ancora poco utilizzata, ma in grado di offrire migliori outcomes clinici ed una più soddisfacente qualità della vita. Il Piano Sanitario della Regione Campania 2011-2013 afferma che “per la programmazione regionale riveste particolare importanza il sistema di cure domiciliari”.

Da Agosto 2014 a Marzo 2015 due pazienti che praticavano Emodialisi Standard (HD), presso il Centro Dialisi della Università “Federico II” di Napoli, sono stati avviati alla Short Daily Home Hemodialysis (SDHHD, 4-6 trattamenti dialitici/settimana della durata ognuno di circa 2,5 ore) utilizzando il cycler portatile NxStage-System One.

I dati raccolti hanno evidenziato che i benefici clinici descritti in letteratura si confermavano nei pazienti arruolati nel nostro programma di HHD. L’effettuazione di sedute emodialitiche più brevi e frequenti permettevano una significativa riduzione dell’incremento ponderale interdialitico ed una maggiore stabilità emodinamica intradialitica. Inoltre, si è ottenuta una significativa riduzione dei valori pressori con possibilità di ridurre la terapia anti-ipertensiva. Il controllo della fosforemia risultava migliore e l’emoglobinemia era a target con una minore dose di eritropoetina settimanale.

I pazienti riferivano un maggiore senso di benessere ed una riduzione dell’astenia post-dialitica. Nessuna problematica è insorta utilizzando l’accesso vascolare (CVC e FAV) da parte del paziente e/o del caregiver. L’analisi dei parametri di efficienza dialitica ha documentato come l’adeguatezza dialitica della SDHHD sia sovrapponibile a quella ottenuta con la HD tradizionale. L’esperienza fatta con la HHD è incoraggiante poiché si è ottenuta una dose dialitica “adeguata” senza nessuna complicanza ed i pazienti hanno riferito un maggiore benessere psicofisico ed una migliore qualità della vita.

Parole chiave: Emodialisi Extracorporea Domiciliare, Dialisi Breve Giornaliera Domiciliare, Adeguatezza Dialitica, Qualità della Vita.

L’Emodialisi Extracorporea Domiciliare (HHD) è un’alternativa non ancora ben conosciuta nel panorama dei trattamenti sostitutivi dell’insufficienza renale cronica. Questo tipo di modalità dialitica, già utilizzata in altri Paesi e in alcune Regioni Italiane, può offrire significativi vantaggi in termini di outcomes clinici, socio-economici e soprattutto di qualità della vita del paziente. 

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